Andrea Grassi

ho ventanni. Studio alla Scuola di Commercio di Bellinzona (Svizzera), 4º anno. Mi dedico alla scrittura sperimentale da parecchi anni. Il mio racconto TORPORE è uno degli ultimi che ho scritto ed è caratterizzato da un uso molto libero della sintassi, della punteggiatura e del lessico. In esso vi è una ricerca ritmica basata anche sull'impiego della metrica tradizionale celata all'interno della prosa. Si ispira a parecchi scrittori e filosofi, tra cui Emil Cioran, Thomas Bernhard, Charles Bukowski e molti altri. Dopo torpore vi è una lunga poesia sperimentale ispirata a Salò di Pasolini.

TORPORE

I

Torpore d'una notte algore d'inebriante inverno tepore del corpo di Sabrina frenesie odore sudore turgore vita attimo nitido svaniscono i ricordi onirica la mente s'appanna nulla esiste te vita passato - morte - la luce lucente funesta dei suoi occhi si desta abbaglia e incanta l'anima dispersa in un mondo tutti padri di tutti i figli tutti figli di tutti i padri leggiadra visione platonica di società antiche attuali.
E poi in fondo dolore, solo dolore dopo ogni affondo e come sempre l'amarezza distrugge il piacere e l'alcol sognato ingerito ributtato dolce, e tutto si fa rosso, troppo vivo che è quasi nero, e allora la morte ti sfiora, ti bacia, fievole, sospira un dolce ciao, poi languida invisibile se ne va, ma sai che un giorno non lontano tornerà e allora vorrà di più.
Infine l'affanno, il vuoto, solo vuoto, dentro fuori, ovunque e vuoi pensare, ma non puoi; ogni cosa si contorce e attendi inerme e lo stomaco stomaca e la gola s'acida di vendetta, veleno del tuo stesso dentro. Lei Sabrina presenza muta arcigna indignata ribrezzo ripugno si svincola si alza schifo le narici stremate odore rancido i primi conati.
Sabrina, conosciuta la mattina di due settimane fa in ignoto luogo e familiare. A mio agio come sempre. Aria stantìa. Puzzo di piscio. Una lunga cicatrice sfigura il volto del barista strabordante con la maglietta del Che - il solito comunista esaltato. Mi siedo. Riposano le gambe deambulate fra vie e vie in un itinerario vano... il gelo nelle ossa e nell'anima - una birra grazie.
Non mi piace parlare con la gente, non mi piace la gente - pochi - noia, è una storia già raccontata.
Il barista spina lentamente il liquido giallo spumoso - ecco, Tuborg la migliore! - una birra vale l'altra. Il barista se ne va incazzato in fondo al bar a rovistare fra i bicchieri sporchi. Muto - sei un grandissimo figlio di puttana fottutamente sfacciato. Non me ne frega niente. Guardo la birra nella sua solennità - in fondo ci vuole veramente poco per far felice un uomo. Bevo, lentamente, molto lentamente, questo è il trucco, la si sorseggia adagio, la si assapora, si fa finta che sia l'ultima così la gusti molto di più.
Poi d'un tratto, affianco a me appare un angelo - che cazzo ci fa un angelo alle nove di mattina in un bar?! Ma senza aureola e senza ali, un angelo mutilo per un povero mostro come me - salve angelo, sei in pausa? Lo sono sempre… Aveva begli occhi, cazzate, nulla in confronto al seno perfetto tondo sodo maledettamente arrapante - bevi qualcosa?
Birre. Discussioni freudiane sulle sue tette belle e su come sia possibile amplessare con la pinguedine del barista.
Andiamo a casa sua. Sabrina, alcolizzata, appartamento lì vicino, disoccupata, da mesi non succhia un cazzo. Sabrina è una bella scopata. Non subito stanchi e ubriachi - un mezzo disastro come due pivellini. Poi allucinante, frenetico come con Veronica, e godo godo godo come mai da allora. Mi piace chiavare e chiappare con lei e lo facciamo ogni due ore, con intensità crescente.
Lei è perfetta come una puttana, sa lavorar di mani e di bocca e di lingua in trascendenze flebili e rudi. Vedo il paradiso prima della morte.
Poi la bottiglia rossa, non so cos'è quell'intruglio brucia-stomaco. Ne bevo litri e sbronzo e vomito e fiotti atroci di liquido rosso sfocato che pare sangue schizzano sparsi e grumi di cibo mezzo digerito (del poco cibo che ingerisco) e l'esofago bolle, ustionato come da soda e lo stomaco piange e mi manda affanculo e ghigna e tutto va a rilento e la testa scoppia di nebbia e fotte i riflessi e tutto va troppo veloce, troppo forte ogni rumore e uno scricchiolio rimbomba la testa. Supplizio e nausea mi soffocano - morsa mortale. Regressione psichica. Letto e cesso.
Sabrina ce la mette tutta - cucina meglio che può pulisce l'appartamento meglio che può scopa meglio che può rompe i coglioni meglio che può - litigi graffi botte mi scaglia i pochi oggetti che ci sono in casa. La lascio fare troppo sbronzo per reagire - le donne sono un sesso decorativo non hanno nulla da dire ma lo dicono con molta grazia. Ora non so se Sabrina fa eccezione o se Wilde è un idiota egocentrico.
Finita la gazzarra, lo rifacciamo, lento, dolce, senza pensare, senza dire - idiota la lite di poc'anzi.
I giorni passano lievi irreali alcolizzati monotoni; le notti più tormentate, la luna sbarazzina sciocchi innamorati fuori di testa.
Un venerdì di luna piena. Argentea. Pura come il nostro amore impuro. Sabrina è drogata quasi demente ride per ogni vaccata - poi erra beata in paesi lontani lontani troppo lontani. Io perché no? sono ubriaco lo stomaco ghigna l'eccedenza e il cervello affoga. Camminiamo zigzagando qua e là in mezzo a una strada deserta, senza meta ma felici - Sabri fermiamoci, io non ce la faccio. Ho voglia di scopare, e là in cima c'è un laghetto, almeno facciamo una cosa romantica una volta… Affanculo il romanticismo! Sbuffo, arranco, ora è un sentiero. Arbusti e sassi noiosi, ma non impedienti.
Neanche l'ombra del laghetto - perché queste baggianate Sabrina?
Inveisco un rosario da bassifondi - allusioni ai primati, alle scorie biologiche, alle galline, a Nostro Signore e infine alla povera sua mamma che giace sepolta in un cimitero a mille chilometri di distanza.
Botta, risposta, botte degne del Fight Club, ho la meglio soltanto grazie ai venti chili d'eccesso e alla sua lucidità mancata dalla marijuana.
All'ultimo pugno, Sabrina cade svenuta sul terriccio. Resto lì, mutolo, barcollante, col sudore che m'avviluppa come un sudario, mi siedo affianco. Sento lieve il suo respiro. Sospiro, aspetto e guardo la luna, che altro fare? La sbronza s'allenta e Sabrina riprende i sensi. L'aiuto a sedersi e lei si tocca il mento - figlio di puttana, mi hai picchiato! - un rantolo. Scusa - vergogna.
Poi restiamo zitti.
Poi l'abbraccio.
Poi la bacio.
Poi la spoglio.
Poi la scopo.

Ma la dignità macchiata di Sabrina s'incazza. Devo andarmene - addio Sabrina. Vago con la mia scrancia valigetta da quattro soldi e con un vago senso di nausea che m'allucina.
A volte la vita riserba amari piaceri. Si dice così?

II

L'inverno effimero aspro scioglie il gelo opprimente che avviluppa assidera l'anima e il vento scabro che fotte come la vita. Un ricetto languido lercio. Per un spiccia somma posso poggiare il culo gelato su un letto tarlato e duro. Schifoso. Fuori le foglie fradice sudice nella loro solitudine come in un suicidio di massa. Piango con una strana brama di condividere il loro destino.
Ma il vino barbaglia dentro e la morte bramosa arretra e il taedium vitae. Paura. L'antidoto al tedio, più forte del male e sfuggo all'aggressione dei ricordi ed evado dalla mia stessa vita.
Ma la gola mi stringe. Fiori, profumi e la foia di una fica. Da mesi non sgorgo. Solo i soldi per l'affitto. Niente bagasce. Ridotto a una larva. Il mio cervello fottuto, fottuti i riflessi. Impietrito consunto ebete. Misantropo, con un nostalgico desiderio del mondo e degli uomini. Nel tugurio della vita leggo qualche tascabile economico. Ma nulla può attecchire su pensieri vuoti. Mi subisco dalla mattina alla sera.
Penso all'impossibile all'improbabile.
D'un tratto mi ritrovo scaraventato in una sequenza di scene turbinanti senza redini scorrono veemenze furiose funeste per cavalieri impavidi non abbioccarti non addolcirti corri anticipa non lasciarti trascinare un'esplosione inaudita. Bello il buio nel silente silenzio. Quieto quieto, senza fretta, senza paura, senza niente, via lentamente in un rapido epilogo di una vita passata fra poveri, fallito senza poter dire fare.
Poi odori, un'orgia, acri sapidi, poi nulla.
Poi il risveglio, come lo sbocciare di una rosa mutila di spine, resurrezione e dolore, fiero fulmineo agro terrifico e sangue, tanto sangue, abbacinante come la luce impetuosa lacerante assordante soffocante, che mi fa tornare per un attimo, fulgido, al dolce Nero. Sospiro soffoco, urla tutt'attorno, turbinio di parole stordite e buie, tripudio di musica sopente. Di nuovo il Nero, sublime. O grata morte. Vieni, consolatrice degli afflitti!
Ma un dolore aspro e una moltitudine di tubicini che fuoriescono da tutti i buchi del mio corpo, porca puttana, anche dal mio cazzo e l'unico muscolo che riesco appena a muovere sono le palpebre. Il soffitto è bianco privo d'increspature. Affianco al letto il rumore sfiancante delle macchine, bip bip bip, poi un angelo che appare spare arrapa. Temo l'erezione con il catetere, poi nulla, il vecchio Big Billy non si risveglia. Aleggia un lezzo insopportabile, qualcosa come fòrmica e alcol intrugliati, così asettico, così pulito, così anomalo. Il tempo scorre lentamente, un vago senso d'oppressione mi soffoca e oscillo dall'onirico al reale. Sogno donne nude che s'avventano sul mio sesso, un incubo. Tre veneri dai corpi celestiali e dai capelli d'oro sboccano in un intrico di lingue, divina fellatio. All'orgasmo imminente, con una sincronia perfetta serrano le mascelle sul muscolo estatico, ma un atroce dolore di amputazione soffoca l'anima e il viso si smorfia, i muscoli s'indurano, gli occhi s'abbagliano s'incupano in un urlo inumano. Sangue deturpa i volti delle veneri, terrifiche orfiche effigi di fiche malefiche. Mi sveglio inebetito madido di sudore malato e metto istintivamente una mano sotto le coperte.

Pietro, sì è Pietro in carne, ossa e camice bianco. Lunga la barba e fulva. Uggioso il tedio e putrido. Sfoglia una cartella clinica. Henry, terribile l'incidente… la camera vicina è esplosa per una perdita di gas… chi ci stava è schiattato e tu sei vivo per miracolo, e ora ti trovi in stato confusionale… abbiamo dovuto operarti la gamba destra e farti una trasfusione di sangue… Parla parla parla. Non me ne fotte un granché. Allora non sono morto! Peccato. Mi piacerebbe essere libero come un nato morto. Continua la litania… della vita.

Fumo ombra sole nero bianco un vortice traslucido s'ingarbuglia di colori un puzzo di merda mi strazia le narici palpo flaccidume nausea ancora e sempre nausea il giallo mi avvinghia il tunnel è viola poi verde arancione nero il vortice si restringe stritola asfissia... E tutto s'esala e i colori s'estenuano e gli odori si dissipano e resta il vuoto, soltanto il vuoto…
E penso la mia morte
e mi vedo già steso nella bara
troppo stretta fantoccio inanimato...

III

Un mese in ospedale con angeli arrapanti che ti lasciano solo con il tuo penoso turgore, un mese di incubi fra vortici zugnanti di strafiche eviranti che sfumano nell'oblio, un mese di struggimenti atroci e gracili ugge. Mangio, nemmeno una goccia d'alcol e io non ho amici che mi possano soddisfare di frodo come il protagonista di 'Addio alle armi'. Così mi rodo dentro tra una debole crisi d'astinenza affievolita da analgesici e la sofferenza al pensiero di un solo boccale di birra.
Poi finalmente fuori, sole piante strade taxi, una donna che spinge un carrello pieno di lattine vuote, il dolce profumo dei gas di scarico, le urla del benzinaio all'angolo, lo stridio di una frenata, il botto sordo dell'urto, le bestemmie, tutto alla normalità, nulla è cambiato nemmeno il rispetto, amen. La gamba mi prude, mi tira pazzo, il mio corpo è debole, e la voglia di una birra mi permette di arrancare, attraversare la strada, indifferente alle auto indifferente alle persone indifferente alla vita.

Entro in un bar, mi guardo attorno, ci sono soltanto due persone sedute al bancone, chiacchierano fiaccamente. Mi siedo isolato. A mio agio come sempre. Aria stantìa. Puzzo di piscio. Una lunga cicatrice sfigura il volto del barista strabordante con la maglietta del Che - il solito comunista esaltato. Mi siedo. Riposano le gambe deambulate fra vie e vie in un itinerario vano... il gelo nelle ossa e nell'anima - una birra grazie.
Non mi piace parlare con la gente, non mi piace la gente - pochi - noia, è una storia già raccontata: ogni amicizia è una serie di sottili ferite.
Guardo per un lungo attimo la birra prima di sorseggiarla, il timore del peccato, alzo lo sguardo, immobile il tempo...
Mando giù in una lunga sorsata.
Sublime.
Un'altra birra grazie.
Poi d'un tratto, affianco a me appare un angelo. Ma senza aureola e senza ali, un angelo mutilo per un povero mostro come me - salve angelo, sei in pausa? Lo sono sempre… Aveva begli occhi, cazzate, nulla in confronto alla bocca turgida maledettamente arrapante - bevi qualcosa Sabrina? Sabrina?
Birre. Discussioni freudiane sulla sua bocca sboccata e su come sia possibile amplessare con la pinguedine del barista. Ogni parola è un luogo comune.
Andiamo a casa sua. Sara, depressa, abita da amici, disoccupata, spompina a comando, perfetta di bocca come una puttana. Sara è anche una bella scopata. Cerca nel sonno un rifugio alla sua inquietudine. Ti sei ripresa dallo sfinimento? Pensa come sarebbe vivere nel dolore di sapere che nella nostra vita non ci sarà più dolore! Cos'hai? Niente, solo un salto fuori dal mio destino.

IN MEMORIAM PIER PAOLO PASOLINI
SALÒ O LE 120 GIORNATE DI SODOMA

nous sommes tous

scatofagia
dell'esistenza umana in sublim'arte
ove dipinti tetre mura adombrano
d'urla e martìri abbacinanti e rubri
buio turpe sfacelo e laido esumano
di gente seviziata e mutilata
in un sordido pelago di morte
per un poker farnetico d'insania
orano pie lordure tre bagasce

au fond d'un enfer

una ferina disciplina invige
correi gli accordi del pianoforte
inumane coartate orge a effige
d'un immondo che poco più è morte
con ancestrale poesia un binomio
di genio l'atra impostura denuda
dall'esilio
celata che mai morrà nella reale
fantasia

dont chaque individu est un miracle

ANTINFERNO
Nascita

Trafitto

da immemore dilacerato pianto
che memoria non ebbe a rammendare,
ridestato d'incanto in una culla
da acri stridori di celli scordati,
una luce corrusca m'abbaglia
m'opprimono putri profumi,
la vita d'intorno gorgoglia:
pusillanime pullulio d'anime.
E tutto mi è nuovo e l'aria
le gote grava e il corpo
ravvolto in brincelli cilestrini.
Sto male! Mi sembra d'esser risorto
in un atavico algido mondo
ove ignavo nessuno s'avvede

del nulla.

1º GIRONE
Fase orale

Volteggiavano stelle e pianeti
iperbòlei ermi romiti.
Arrancavo le mani nell'aria
vessato convulso smarrito.
Piangevo. Apparve una ignota
figura e dolce e mia.
Mi nutriva e nel nulla svaniva.
Piangevo. E lei tornava pia.
Gioivo mai sazio e gemendo
l'attesa
succhiavo succhiavo succhiavo
le mani i piedi il ciucciotto.
Nativo corrivo lascivo
la vita carpivo.

2º GIRONE
Fase anale

Riverso al suolo
coi glutei al cielo
un atro lezzo e agro
le nari effluvia.
Adulator già mai fui stato
e pur solea patire in esta bolgia
acciò che tosto m'accorsi
d'aver amato esto laido sollazzo.
Sostenni poscia l'onta
di rimembrare siffatto trastullo
che pur ogn'uom far dee.
Alfin compresi il nesso
tra'l cerebro mio
e'l piacer perverso.

3ºGIRONE
Fase edipica (fallica)
1ª Bolgia: L'Androgino

Nel quint'anno di mia vita
m'avvidi d'una protuberanza.
Pavida s'ergeva nella mia vita.
Intesi che non
tutti godevano di quest'istanza
vedendo mamma fluttuare ignuda
in soave ilare danza.
E l'esanime vidi selva oscura.
"L'Androgino è dunque impostura?"
Fui colto d'angosciosa afra paura
di divenir com'ella
eunuco per tagliatura.

2ª Bolgia: Il magno Ale

E l'indomani m'avvidi a mio scorno
che carenti eran le dimensïoni
e aulica potenza instava dintorno.
Spesso la notte trovavo ricetto
nel mio ditale. Sopivo negletto.
Inane era il dissenso del magno Ale!
E la cagion era solo di pene
e del rivale dovetti patire
formidabili oniriche pene.
D'acre si tinse l'atavica tema,
atra squillò la raggianza suprema:
"Se il lùbrico incaglio sveller potessi!"

3ª Bolgia: Identificazione

A lungo lottai l'immane nemico
ma sconfitto mi ritrassi, e convenni
di farmelo amico.
La mia integrità fu salva e la mente
labile salda - in un padre fallica
mente invitto.
Il ritorno sfumò al paradiso
perduto nell'ultimo sublime incubo
d'amore idilliaco.
Alla fine di questo ardüo viaggio
l'inizio di ben altro saggio: il dolce
gentil sesso.