SICILIANI INTRODUZIONE La Sicilia ? Uno dei luoghi più straordinari del mediterraneo, davvero. Sicuramente avrete già sentito vantare la bellezza della sua natura, i suoi contrasti affascinanti: il celebre sole, le spiagge, il mare cristallino (soprattutto dove è ancora pulito), i gelsomini, i mandorleti, i famosissimi aranci... E certamente avrete sentito parlare anche dei suoi tesori d’arte : Monreale, Palermo, Agrigento, Piazza Armerina... sono nomi che evocano immagini di templi greci che si ergono imponenti nel tramonto, mosaici romani unici per vastità e bellezza, palazzi, chiostri e chiese sfolgoranti d’oro... in Sicilia la civiltà è fiorita molto presto e dappertutto le grandi culture che si sono succedute hanno lasciato splendide tracce (anche se magari per raggiungerle c’è da vagabondare qualche ora per strade completamente prive di segnaletica). Qualcuno vi avrà descritto anche le delizie della cucina siciliana: tra le migliori d’Italia, con i suoi primi piatti elaborati, i suoi accostamenti audaci di sapori, i suoi (ah !) dolci squisiti. Ma : e i siciliani ? Cosa sapete, veramente, dei siciliani ?
FIERI E ORGOGLIOSI "Tu puoi essere espansiva e chiassosa soltanto con me, cara. Per tutti gli altri devi essere la futura principessa di Falconeri, superiore a molti, pari a chiunque." Così, secondo il grande scrittore siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il principe Tancredi istruisce la fidanzata Angelica, in procinto di affrontare l’alta società palermitana. Superiore a molti, pari a chiunque: questo è il motto che ogni siciliano porta scolpito nel cuore, dalla nascita alla morte. Discendenti di popoli regali, fieri del loro sangue normanno (confermato dalla frequenza registrata in Sicilia di capelli biondi e di occhi chiari), i siciliani non perdono mai la consapevolezza di essere superiori: a tutto e a tutti. Se di qualcosa li dovremo accusare, questa non sarà mai l’eccessiva modestia. La serena coscienza della sua schiacciante superiorità accompagna il siciliano, come un angelo custode un po’ bizzarro che lo segue sempre, bisbigliandogli nell’orecchio "Ricordati che sei superiore!".
Oggi mi sento un dio Il siciliano non ha mai fretta. Non perché sappia organizzare con efficienza i suoi impegni. Ma perché non giudica niente al mondo così importante da scomodarlo. Il siciliano non parla molto. Quando parla, parla soprattutto di sé, conscio che ben pochi argomenti possono essere altrettanto interessanti. Parlando di sé, sostanzialmente enumera con ostentato distacco i suoi successi, gli splendori della sua casa, le meraviglie della sua parentela e via dicendo. Non pensate però che sia uno sbruffone, che inventi per farvi impressione. In realtà, è sempre in buona fede: lui si vede proprio così. E gli spiace pensare che – ora che avete avuto la fortuna di incontrarlo - vi possa sfuggire qualche particolare di tanta eccellenza. Nei rari casi in cui è costretto ad ascoltare qualcun altro, mostra la massima indifferenza: con gli occhi socchiusi e il mento rivolto verso l’alto, fumando lentamente (se fuma), evitando di guardare in faccia l’interlocutore, baderà soprattutto accuratamente a non esprimere la benché minima traccia di stupore o ammirazione. In casi eccezionali, e solo di fronte ad imprese assolutamente eclatanti, ammetterà con benevola condiscendenza che siete arrivati quasi al suo livello. E subito trarrà spunto per rievocare episodi della sua vita che esaltano la sua grandezza.
Nell’ascoltare, il siciliano tende a non interrompere il suo interlocutore, non tanto per buona educazione, quanto perché nessun argomento al di fuori di sé lo interessa tanto da spingerlo a fare osservazioni o domande. Nei casi in cui si abbassa fino a partecipare a una discussione con gente "del continente", più che parlare, il siciliano pontifica: qualsiasi sia l’argomento scelto, la prima frase ha la funzione di demolire l’opinione appena espressa dall’interlocutore, dimostrandogli che non ha capito niente. Dalla seconda inizia la solenne Esposizione Della Verità. Il siciliano ha adottato con largo anticipo le istanze secessionistiche del Settentrione: dell’Italia non glie ne è mai importato assolutamente niente. L’idea che ha del resto di Italia è quella di una landa desolata popolata da trogloditi (il Sud) o di una tetra regione immersa nella nebbia, dove masse di forzati lavorano disperatamente tutto il tempo (il Nord). Per il siciliano, d’altra parte, nessun luogo sulla Terra regge il confronto con la Sicilia, unico posto dove lui può vivere. In Sicilia, per lui, c’è tutto: natura, arte, cultura, buona cucina, bella gente... tutto, tranne la mafia, naturalmente, che "è un’esagerazione dei giornali". Dato che in effetti la Sicilia è uno dei posti più straordinari del Mediterraneo, il siciliano ha buon gioco a non lasciarla quasi mai, limitandosi a spostarsi nella seconda casa sulla costa per le vacanze.
Pregi & virtù Ma allora il siciliano è un essere odioso? Assolutamente no. Dal suo smisurato orgoglio scaturiscono infatti una serie di pregi e virtù. Intanto, non solo non vi scroccherà mai niente, ma litigherà per offrirvi l’aperitivo, la granita, il caffè... non farà mai questioni per pochi spiccioli, e si dimenticherà volentieri di chiedervi indietro le cinque o diecimila lire che vi ha prestato la settimana prima. D’altra parte, si dimenticherà anche di restituirvele, se gliele avete prestate voi. Un siciliano non vi inviterà mai a cena per poi offrirvi gli avanzi del giorno prima o fette di salame in busta; non vi farà mai dormire su una branda aperta all’ultimo momento in corridoio. Al contrario, tutte le volte che vi ospiterà (e vorrà farlo spesso) vi offrirà il meglio del meglio, raggiungendo livelli difficilmente immaginabili altrove. Anche se naturalmente cercherà di farvi credere che una cena di otto portate servita da due camerieri - noleggiati per l’occasione - per lui sia la pura e semplice routine quotidiana. Il siciliano non tedierà mai il suo prossimo con l’elenco dei suoi guai e dei suoi malanni: al contrario, dichiarerà sempre fieramente di godere di perfetta salute, anche se è ricoverato in ospedale, reparto terminali. Dato che odia l’umiliante condizione di sentirsi in debito di gratitudine nei confronti di chicchessia, si sdebiterà infallibilmente di ogni favore ricevuto, e lo farà in misura tale da far sentire voi in debito di gratitudine nei suoi confronti. O almeno, così sicuramente la penserà lui. Una volta accertato che gli riconoscete tutta la stima che gli compete, se rientrate nelle sue simpatie, il siciliano vi offrirà un’amicizia sincera, fedele ed eterna. Un’amicizia che considera importante, alla quale è felice di dedicare tempo, che fa sì che sia contento di vedervi e ve lo dimostri apertamente, che si ricordi di telefonarvi per il vostro compleanno (naturalmente con una settimana di ritardo), che si sforzi di farvi piacere e si faccia in quattro per farvi favori di ogni tipo in ogni occasione in cui ne avete bisogno. E’ evidente che si aspetta che vi comportiate in maniera identica nei suoi confronti. Il siciliano vi farà volentieri regali in tutte le occasioni in cui ciò è dovuto, ma: attenzione! Non chiedetegli di regalarvi una lavatrice o un ferro da stiro, neanche se ne avete disperatamente bisogno. Lo umiliereste. No, il regalo lo vuole scegliere lui, e si orienta di preferenza su qualcosa di sfarzoso, tipo un enorme vaso di cristallo o un vassoio d’argento (o almeno, in silver plated). Che poi dovrete tenere al centro del vostro salotto, se no non ve lo perdonerà mai. Insomma, il siciliano non sarà mai gretto e meschino, in nulla. Sa che la generosità è una virtù degli dei, e quindi anche sua.
[tratto
da: Siciliani
– Figli di
un dio
maggiore,
Torino, Sonda
editore,
"Le Guide
Xenofobe",
1998. Lire
12.000.
MADRI Il mestiere più inutile del mondo Ai tempi del libro Cuore, la retorica corrente prevedeva che le madri fossero riverite e amate. Sempre e da tutti. Secondo Cuore "la più attempata delle maestre" poteva paralizzare all’istante una classe di adolescenti chiassosi solo ammonendo con voce lenta e tranquilla "io non sono soltanto una maestra, sono una madre". Al che nessuno osava più parlare, "neanche quella faccia di bronzo di Franti" Secondo Cuore, a quei tempi un uomo di mezza età poteva addirittura farsi cogliere dall’impulso di baciare le pagine del suo vecchio quaderno delle elementari, riconoscendo alcune righe di elle e di ti tracciate dalla madre, "quando io ero stanco e avevo sonno... santa madre mia!". Probabilmente le stesse pagine oggi sarebbero sventolate sotto al naso dell’analista, mentre lo stesso uomo esclamerebbe pieno di rabbia e risentimento: "Lo vede? Lo vede? Mi faceva lei i compiti! Ora capisce perché sono così insicuro?". Perché, bisogna dirlo, dai tempi di Cuore ad oggi sulla figura della madre si è svolta una profonda opera di chiarimento. Come risultato la madre è ormai ben lungi dall’occupare il ruolo del "più sacro degli affetti umani; disgraziato chi lo calpesta", per citare ancora De Amicis. Al contrario, si è rivelata una presenza secondo alcuni inutile, per altri addirittura dannosa. Non è più colei a cui merito si ricorda che "stette chinata tutta una notte sul tuo piccolo letto piangendo sangue dall’angoscia e battendo i denti dal terrore": la madre di oggi se sta sveglia la notte è perché è una nevrotica ansiosa, incapace di addormentarsi prima che i figli rientrino dalla discoteca, dove giustamente hanno tirato le cinque del mattino. E in più con le sue continue angosce rovina la vita dei figli, che fin dalla più tenera età incominciano ad assorbire complessi e frustrazioni: da smaltire poi attraverso lunghi anni (e pesanti parcelle) di psicanalisi. Insomma: c’è da sospettare che quello di madre sia oggi considerato il mestiere più inutile di tutti. Sarà per questo, forse, che sempre meno italiane lo scelgono. Fare un mestiere faticoso, passi; ma fare un mestiere faticoso, poco gratificante e per di più inutile, è davvero troppo per qualsiasi essere sensato. Che poi, mestiere. Qual è oggi, esattamente, il mestiere di una madre? Ogni aspetto della vita dei figli è regolato e curato da un esperto: nel preparare le pappe la madre deve attenersi pedissequamente alle indicazioni del pediatra, che arriva a prescrivere la dose precisa di olio e formaggio, come se le madri fossero delle decerebrate incapaci di condire una pastina; per qualsiasi problema dei figli è consigliato il ricorso a un esponente del folto esercito di medici, insegnanti, psicologi, consulenti familiari, psicoterapisti, per unanime consenso molto più preparati di qualsiasi madre: che anzi in generale come prima mossa dimostrano che la madre ha sbagliato tutto, a partire dai primi cinque secondi dopo il parto. Sommersa dalle critiche e, come tutti i lavoratori non specializzati, soppiantata dagli esperti di settore, la madre sta diventando una specie a rischio di estinzione. Come i mugnai, gli arrotini e i venditori di ghiaccio anche le madri spariranno, condannate dalla storia? Non lo crediamo. Rinunciare alla madre è in realtà impossibile. Se non altro perché è comodissimo disporre di qualcuno cui attribuire sempre e comunque tutta la colpa. E, a partire da Eva, le madri sono sempre state utilissime a questo scopo. D’altra parte, diciamo la verità: come questo libro spera di dimostrare, semplicemente se lo meritano.
I VANTAGGI DEL PROGRESSO "Tutto
è cambiato
nella vita delle
donne, ma tutto
rimane com’era.
I lavori
domestici, i
servizi e la
cura dei
familiari
toccano a loro
ieri come oggi,
forse per l’eternità."
Se il rango sociale della mamma è oggi crollato come la Borsa nella crisi di Wall Street del '29, tramutandola da regina della famiglia a pericoloso residuato postbellico, incessante minaccia per la psiche di chi la circonda, bisogna però riconoscere che una madre dei nostri giorni può godere degli enormi vantaggi di una vita meno faticosa. In fin dei conti, lo stesso cliché che prescriveva mariti e figli in perpetua adorazione della loro divinità domestica prevedeva anche madri perennemente stroncate dalla fatica e dal sacrificio. Al punto che le rubriche dei giornali femminili addirittura invitavano le donne a stancarsi fino a stramazzare: "...lava, stira, rammenda, prepara la cena... La stanchezza è una benedizione", suggeriscono melliflue e inquietanti le pagine di Grazia nel ’48.
Finalmente libere Oggi invece le madri non hanno più nulla da fare. Basta guardare le pubblicità: sono perpetuamente leggere, gaie e strabordanti di energia. Con mano felpata lucidano pavimenti già lucidi, stirano camicie già stirate, estraggono dal forno manicaretti sfilati da buste di surgelati, che strappano baci o almeno entusiastiche manifestazioni di consenso da parte di tutti i commensali, in particolare se c’è dentro il dado da brodo. La casa è lustra, anche se loro dichiarano serene di avere passato tutta la giornata a giocare a tennis. Se lavorano (ma le madri della pubblicità, rifletteteci, lo fanno raramente), non c’è problema comunque: tanto oggi a fare il bucato ci pensano prodigiose lavatrici, arrivate a un passo dal piegare la biancheria e riporla nei cassetti; a pulire i pavimenti provvedono geni magici che escono dai flaconi di detersivo; mentre i piatti li lava il sapone, da solo. La casa alla mattina è già perfettamente a posto: tutti balzano garruli dal letto, tra sbuffi di lenzuola candide e vaporose, per precipitarsi in eleganti e linde cucine, dove vengono accolti da sontuose colazioni che li rallegrano ulteriormente. Poi i piccoli vanno all’asilo nido, i grandi a scuola ed è fatta. Mamma può dedicarsi tranquilla a un corso di yoga, che rilassa e mantiene in perfetta forma, o alla fisica nucleare.
Colpa loro Perciò, se oggi le mamme non riescono a trovare il tempo per attività culturali e creative che permettano loro di tenersi al passo con i sempre più esigenti standard imposti dalla vita attuale; se non trovano il modo di sviluppare le loro facoltà fisiche, scegliere vestiti eleganti, migliorare la loro vita sessuale; o se magari semplicemente non fanno carriera, è ormai puramente e indiscutibilmente colpa loro. Come dimostra la giornata di una madre di oggi, raccontata da lei medesima.
Mattina Stamattina già era una giornata uggiosa, grigia come solo questa città riesce a essere; ho aperto la finestra e la stanza è stata invasa dalla zaffata acre di gas di scarico e dal rombo in distanza del traffico. Se penso che ai tempi di mia nonna si respirava aria pulita. Ho richiuso la finestra che la piccola già strillava a squarciagola che voleva la poppata. Mentre l’allattavo, è arrivata la grande con una Barbie stazzonata in mano e come al solito si è messa a strattonare la piccola digrignando rumorosamente i denti. Meno male che l’analista mi ha spiegato che la gelosia è meglio esprimerla che nasconderla, penso, sforzandomi di non sgridarla. "Cinzia, vestiti !" le grida Fernando dal bagno, cercando di superare il rumore della lavatrice che è rotta ed emette un frastuono spaventoso ogni volta che centrifuga. "Non trovo la felpa !" strilla Cinzia, già pronta a piangere. "Muoviti che facciamo tardi !" risponde Fernando, entrando in camera con indosso solo una canottiera ormai da lavare e cominciando a frugare nel cassetto. "Non c’è neanche un paio di calze ! E neanche un paio di mutande", inizia a dire, un minuto dopo. "Sono nel cesto della roba da stirare", rispondo, mentre dò colpi sulla schiena alla piccola per farla ruttare. La piccola non solo rutta, ma mi rigurgita metà pasto addosso. La camicia da notte stirata ieri sera dalla filippina a quindicimila lire all’ora è inzuppata di latte semicagliato. Mando un pensiero di maledizione alla pediatra che continua a insistere col latte materno, anche se la piccola ha già nove mesi. E pensare che mia nonna con la scusa che non aveva latte aveva in casa la balia. Fernando ha estratto brontolando calze e mutande dalla cesta e grida "Cinzia, sei pronta che ti porto dai nonni ?" Oggi e domani la scuola è in sciopero : la grande va dai miei suoceri. Dopo un battibecco sui calzoni, seguito da un pianto e urla isteriche "Non voglio i fusò-ò-ò ! ! !", padre e figlia si riconciliano e vanno a fare colazione in cucina. Non sento più le loro voci, coperte dal frastuono della lavapiatti in funzione. Porto la piccola al nido. La metto sul seggiolino, attacco con la cintura di sicurezza il seggiolino, attacco la piccola al seggiolino, stacco la piccola dal seggiolino, stacco la cintura di sicurezza, estraggo la piccola. Alla fine, sono in un bagno di sudore. Oggi c’è la visita medica. La pediatra la pesa, la visita e si offende a morte quando scopre che non l’ho fatta vaccinare contro la pertosse. "È… è che il figlio di mia cugina ha avuto una pericardite come conseguenza della vaccinazione", balbetto. "Non è possibile !" si inalbera la pediatra. Poi la pediatra mi rampogna perché non le dò il fluoro per i denti (cancerogeno, mi ha detto l’omeopata) e la carne di maiale (proibita dall’altro pediatra). Finita la visita, la piccola piange per venti minuti quando cerco di lasciarla nelle mani della maestra. Me ne vado che ancora singhiozza e si spalma moccio in faccia sfregandosi con i pugnetti grassi. Cerco di dimenticare gli innumerevoli articoli letti sui supplementi del Corriere della Sera a proposito dei traumi dovuti alla separazione dalla madre nei primi tre anni di vita. Certe volte in questi casi invidio mia nonna, che non si staccava mai dai suoi bambini. Guido nel traffico per mezz’ora. A un incrocio freno in ritardo e tampono la macchina davanti. Scende un tizio grasso, nero in faccia per la rabbia. "Ma come guida ?" mi urla. "Mi di-dispiace" è tutto quello che trovo da dire. Lui controlla accuratamente il suo paraurti, infine sentenzia che non gli ho fatto niente e se ne va senza salutarmi. In casi come questo penso che in fondo non era poi così male per mia nonna non guidare la macchina. In ufficio mi accoglie un cumulo di carte biancheggianti, sotto il quale dovrebbe localizzarsi la mia scrivania. Riconosco pigne di pratiche – molte delle quali contrassegnate dalla scritta URGENTISSIMO – incrostate dal tempo, la consueta montagna di posta inevasa, deliranti circolari aziendali, giornali di mesi prima ancora incellofanati, lo schermo del computer ricoperto di post-it gialli pieni di avvisi minacciosi e numeri di telefono. Prima di mettere le mani nel mucchio devo però: telefonare alla pediatra di base per fissare la visita pre-vaccinazione della piccola, telefonare alla palestra di ginnastica artistica per sentire se c’è ancora posto per iscrivere la grande; telefonare all’assistenza perché vengano a riparare la centrifuga della lavatrice; quindi telefonare alla ragazza del piano di sopra per sentire se la settimana prossima può tenerci le bambine una sera, che forse (forse!) andiamo al cinema. Nell’intervallo dovrò passare in posta a pagare la retta del nido della piccola (quest’anno è triplicata, tra l’altro, secondo i calcoli del Comune ormai il mio reddito sopravanza quello degli Agnelli).
Mezzogiorno A pranzo ho fretta. Come al solito lascio perdere la ipotetica mezz’ora di piscina che dovrebbe aiutarmi a smaltire gli irremovibili due chili sopra il peso forma. Vado a mangiare un panino da sola al bar "Tropicana", dove ho modo di verificare che il livello di lerciume è ancora peggiorato. Meglio non guardare le unghie della barista, con lo smalto rosso che viene via a scaglie, mentre mi affetta il crudo per il panino. Né birra, né coca: acqua, come sempre sono a dieta. Che fortunata mia nonna, che ai suoi tempi andavano di moda le donne in carne.
Pomeriggio Benché me ne stia acquattata dietro al computer nel tentativo disperato di non farmi notare e finire in fretta quello che devo fare, verso le tre sbuca dal nulla il capo. Mi propone due giorni di trasferta la settimana prossima, per andare a seguire da vicino non so bene che pratica delicata. Consulto senza molte speranze l’agenda, verifico che Fernando gli stessi giorni della settimana prossima è all’estero per un congresso e gli dico che mi dispiace, proprio non ce la faccio. Mi guarda con la solita espressione che significa "Mi hai deluso anche questa volta basta che poi non ti lamenti visto che è solo colpa tua" e va a proporlo a qualcun altro. È lo stesso capo che ogni volta che parliamo di aumenti di stipendio in relazione alla mia anzianità di servizio mi interrompe e dice "Be’, però sei stata a casa in maternità quasi due anni". Quando sono in questo stato d’animo arrivo ad invidiare mia nonna, che non lavorava e se ne restava tranquilla a casa.
Sera Guido nel traffico e vado al nido a prendere la piccola. I semafori devono avere dei sensori che rilevano la mia macchina: appena arrivo all’incrocio scatta il rosso. Poi resto incastrata cinque minuti dietro un camion fermo in mezzo alla strada con le doppie frecce lampeggianti. Sono in ritardo. Parcheggio sulle strisce pedonali, arrivo trafelata al nido, mia figlia è l’ultima rimasta, mi scuso con la maestra, che mi guarda torva. Tornata alla macchina: ho beccato la multa. Sessantacinquemila lire di sosta vietata. Appena arrivo a casa, suona il citofono: i suoceri mi hanno riportato la grande. Cinzia entra in casa, senza quasi salutarmi, dice "Posso guardare i cartoni ?" accende la tele e ci si incolla. La casa si riempie delle vocette stridule di gatti e topi che parlano. Che beata mia nonna, che ai suoi tempi non c’erano i cartoni. I miei suoceri stazionano in soggiorno. Chiedo loro se vogliono un tè. Putroppo accettano. Preparo il tè. Che beata mia nonna, che glielo preparava la cameriera. Intanto i suoceri mi raccontano che si sono iscritti entrambi a un corso di reiki, una tecnica giapponese per "convogliarsi nelle mani l’energia dell’universo". "Che interessante", mugolo, versando il tè. Domani hanno appunto una sessione di reiki, quindi non possono tenermi Cinzia, aggiungono con aria distratta. Quando se ne vanno, metto su le carote a vapore. Sono stanca. Sono a pezzi. "Cinzia, apparecchia la tavola", dico. Cinzia, assorbita dai cartoni, neanche mi sente. Intanto cerco di riassettare un po’ in giro per le stanze, rifaccio il letto, metto via i vestiti sparsi sulle sedie, faccio mente locale su dove piazzare Cinzia domani: da mia madre ? Dalla sua amica del cuore ? O mi prendo una giornata di ferie, mancando così la solita, ennesima "riunione importante"? La lavatrice è piena di roba bagnata. Devo stendere. Però, come era fortunata mia nonna, che veniva in casa la lavandaia. Apparecchio. Lavo l’insalata. Metto su la pappa per la piccola. Svuoto la lavapiatti. Sono a pezzi. Arriva Fernando. Mi saluta e inizia immediatamente a raccontarmi l’ultima grana su non so che concorso, dove sanno già tutti che chi deve vincere è non ho capito bene chi, comunque di un altro dipartimento. Cinzia non vuole mangiare le carote cotte. Fernando dà la pappa alla piccola, poi me la dà da cambiare. La giornata volge alla fine. Dopo il complicato rituale dei denti, dei baci, della storia e delle coccole Cinzia va a letto. La picola ha poppato ancora il mio latte e si è addormentata. Sparecchio. Riempio la lavapiatti. La accendo. Rincomincia a ronzare.
Notte Mi lascio finalmente cadere sul divano e accendo la tele. Fernando la spegne. Mi guarda. Mi viene vicino. Mi abbraccia. Non è finita. Sono a pezzi, ma c’è ancora un’incombenza. Non ne ho voglia, ma Fernando sì. Ne ha voglia. Mi accarezza. Mi dice cose nelle orecchie. Mi vengono in mente le prescrizioni delle rubriche di sessuologia dei giornali. Mi sforzo. Cerco di essere fantasiosa. "Devo fare la mia parte per il benessere della coppia". Cerco di assecondare le sue fantasie. Vuole che mi metta il disabillè di seta rossa che mi ha regalato a Natale scorso (mi stringe un po’, non sarò mica ingrassata). Ogni tanto Fernando ha veramente delle strane fantasie. Sono stanca. Ho mal di schiena. Sono a pezzi. Quando sono così stanca penso che era fortunata mia nonna, che il nonno quando aveva le fantasie dopo cena andava al casino.
Sempre più in alto Un tempo, probabilmente, una mamma che la sera si buttava sul letto stravolta dalla stanchezza si sentiva sì distrutta, ma non cretina. Perlomeno poteva consolarla la certezza di aver compiuto il suo dovere (secondo le indicazioni, oggi come allora, dalle riviste femminili). Il marito, nel tradirla, aveva perlomeno un vago senso di colpa. Oggi, quando la sera la mamma crolla sul letto distrutta, esattamente come cent’anni fa, ha in più la netta sensazione di essere una fallita. I suoi doveri non sono stati compiuti neanche in minima parte: tutto quello che ha fatto per i figli (sostanzialmente accompagnarli qua e là, da qualche parte) li ha probabilmente danneggiati; al lavoro, sempre di corsa com’è, ha certamente mollato qualcosa a metà. Ma, soprattutto, non ha vissuto il progresso e la performance. Non ha sviluppato la sua creatività, non ha preso coscienza del suo essere donna, non è diventata più brillante, più attiva, più sexy; non è andata a vedere una mostra d’arte interattiva, non ha fatto un corso di giardinaggio giapponese, non ha stretto amicizie virtuali su Internet, non ha scelto un nuovo completo di mutandine e reggiseno di seta argentata (tra il suo abbigliamento e quello proposto dalle riviste femminili, tra l’altro, ci sono sempre alcuni zeri di differenza). In una parola: non è stata capace di concedersi del tempo per se stessa. Il peccato mortale di ogni madre di famiglia, come ben sa chi legge le rubriche di psicologia delle riviste. Con l’amara coscienza della sua limitatezza, la madre di famiglia si addormenta, proponendosi – per il giorno dopo – di andare a fare un po’ di ginnastica in palestra. Ma, mentre il sonno pietoso la invade, l’ultimo suo pensiero coerente è la coscienza che non ce la farà. Sa che il marito, se tradisse una donna così, sarebbe giustificato di getto da qualsiasi posta del cuore. Fortunatamente, lui non la tradisce. Più che altro perché è stravolto anche lui. [tratto
da: Madri – I
figli so’ piezz’e
core, Torino, Sonda
editore,
"Lavori
socialmente
inutili", 2000.
Lire 16.000. INTRODUZIONE Bada
a chi sei davanti, pesa le parole, e sbrigati. La
prima domanda è: "Perché?". Vuoi evitare Omero? Non iscriverti al liceo classico. Non sopporti l'analisi? Scarta lo scientifico. La lingua di Shakespeare ti dà l'orticaria? Studia tedesco e francese. Ma se non ti piace Manzoni, arrenditi, non hai scampo: te lo ritrovi in qualsiasi scuola, dai licei agli istituti tecnici, da ragioneria alle professionali. Ovunque. E non pochi disgraziati bambini hanno avuto in mano versioni condensate dei Promessi sposi già alle elementari (e si svegliavano di notte in preda ad attacchi d'ansia, accendevano la luce e controllavano di non avere qualche bubbone pestifero sotto l'ascella). Perché? Ma che
cosa ha, questo romanzo, di così speciale? Perché in ogni famiglia c'è un
nonno pazzo che a metà del pranzo di Natale si alza e agitando in aria
l'indice tremolante inizia a declamare "Non tiraaaava un alito di
vento; il lago giaceeeeeeva liscio e piaaaano, e sarebbe paaaarso immobile…"
fino a che qualcuno non lo fa sedere e gli serve un altro po' di cappone? [tratto
da: Manzoni
– Più diavolo o più santo? Torino,
Sonda edizioni, Tuttunaltrastoria, 2003, € 10,50.
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ultimo
aggiornamento dicembre 2003 |