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Scritti a 16-17 anni, quando ancora frequentava il
liceo, questi racconti anticipano e svelano temi e stile di Daniele Boccardi, grossetano, morto suicida a 32 anni. |
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Un autore da riscoprire: Daniele
Boccardi Commentare gli scritti di Daniele è un compito difficile, tanta è l'emozione che accompagna la mia lettura. Per rompere il gelo della pagina bianca e farmi coraggio, ricorro ad una quartina di Angelo Maria Ripellino, che mi è parsa quanto di più appropriato a sintetizzare la sua breve vita e la sua preziosa opera. Vivere è attendere il sole Mi piace pensare che il drammatico
gesto sia stato dettato dalla volontà di non omologarsi ad un mondo che
Daniele sentiva ogni giorno meno suo, ad una visione generale delle cose
ormai snaturata, sorda alla sua sensibilità. È come se, da un certo
punto in poi, lo scrittore avesse realizzato che non c'era più alcuna
materia umana degna di essere testimoniata. In tal senso la rinuncia alla
vita di Daniele andrebbe intesa come un congedo triste e al tempo stesso
sereno, lungi dal raptus di disperazione: l'unico epilogo, per lui
plausibile, del proprio Bildungsroman. Sul sito: www.stampalternativa.it si possono leggere molti inediti di Daniele Boccardi e scaricare i racconti in formato e-book. Presto il libro con tutti i racconti e le poesie. [per gentile concessione de "Il Foglio letterario", http://www.ilfoglioletterario.it, e-mail ilfoglio@infol.it] |
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Daniele e la provincia La provincia doveva essere un po' tutta così, fosse America, Russia o la nostra città. I fenomeni, sociali, umani e di costume, che altrove sono dispersi, lontani, spesso alterati, indecifrabili, qui li hai sottomano, compatti, vicini, esatti, reali. (Luciano Bianciardi, Il lavoro culturale) "Uno scrittore dovrebbe vivere in provincia, dicevamo: e non solo perché qui è facile lavorare, perché c'è più calma e più tempo, ma anche perché la provincia è un campo di osservazione di prim'ordine". Ma la provincia di Daniele Boccardi non è più quella di Bianciardi: il fervore intellettuale e i buoni propositi del dopoguerra si sono assopiti e Daniele non ha mai pensato che della cultura se ne potesse fare un mestiere. Lo scrittore massetano, e non si sottovaluti l'importanza che la sua provenienza geografica riveste nelle sue pagine, vive nel tempo e nel luogo della disillusione letteraria; il disagio più grande del Boccardi sta forse nella sua solitudine interiore, nella sua incapacità di farsi capire. Massa Marittima è un insieme perfetto di colori e di odori. L'armonia degli edifici che campeggiano in piazza Garibaldi e l'intimità dei vicoletti che da qui si diramano, incantano il visitatore che, dopo aver esplorato ogni pertugio, si siede spossato sulla scalinata del Duomo a respirare l'aria pungente anche in agosto. Massa, un po' come la "sorella maggiore" Siena, dà l'impressione di essere in sé compiuta, immobile, perfetta, impenetrabile ai più. I racconti sono in gran parte ambientati in luoghi intimi e familiari; Daniele scrive cose semplici, senza usare parole ricercate né lasciarsi andare a narrazioni di eventi straordinari. La vita quotidiana, quella "minima", che a prima vista sembrerebbe non avere niente di accattivante, è il soggetto preferito da Boccardi: così quello che a prima vista può sembrare scontato e banale, acquista nelle sue pagine valore narrativo altamente poetico. Nei suoi personaggi sono riconoscibili uomini e donne del posto e lo stesso vale per i luoghi, i locali, le vie. Ed è questo uno degli aspetti più geniali della sua opera: la fedele e stupefacente cronaca di ciò che ci succede intorno, senza pedanteria letteraria. Massa Marittima è il teatro di molte sue storie e lo è anche della sua vita: leggendo le parole di Daniele ho avuto la sensazione che si sentisse soffocare dalla compiaciuta chiusura della cittadina e dei suoi abitanti. Giancarlo, il padre di Daniele, racconta dei tempi dell'Università e di come nell'arco di quegli anni di studio a Pisa, lo vedesse felice e realizzato come non mai; poi la laurea in filosofia e il ritorno a Massa Marittima. Da allora la lunga e dilaniante ricerca del lavoro mai risolta e il tentativo di omologarsi a un luogo e a una mentalità che non gli appartengono. La provincia per Daniele non è il luogo della calma e dell'appagamento, gli procura piuttosto un senso di claustrofobia, di inadeguatezza, di frustrazione. Non riesco a togliermi dalla testa l'idea che la sfida di Daniele, evidentemente persa, fosse quella di farsi accettare dalla "sua" gente e dai "suoi" posti, sposandone i modi, i ritmi e le chiacchiere, inseguendo la presunta normalità. Dopo aver conosciuto il padre di Daniele ho capito quanto Giancarlo abbia sempre letto nella mente del figlio indovinandone le fobie e i desideri e sono sicura che Daniele riconoscesse in lui un complice fedele e un animo affine al proprio. Ma ci sono momenti in cui non ci si fa. [per gentile concessione de "Il Foglio letterario", http://www.ilfoglioletterario.it, e-mail ilfoglio@infol.it] |