Sabato 11 ottobre 2003, Biblioteca Comunale di Ischia
di Castro
LA "MANO FINA" DEL
TOMBAROLO GENTILE
Testimonianza di Paola Ucelli Gnesutta, archeologa - Università di Pisa
Ringrazio Anna Laura e la Biblioteca
Comunale di Ischia di Castro di avermi chiesto di parlare - in questa felice
occasione in cui festeggiamo Pietro Bozzini ed il suo libro - degli anni nei
quali abbiamo lavorato insieme nello scavo della Grotta di Settecannelle.
Cinque anni (dal 1985 al 1989) nei quali ho potuto conoscere ed apprezzare a
fondo la sua esperienza e le sue qualità e capacità in archeologia. Spero
che anche Pietro sia contento che sia io a parlare: al suo giudizio tengo
molto, ho per lui una grande ammirazione e un grande affetto.
Ricorderò brevemente quando ci siamo conosciuti, circa trenta anni fa: lui
lavorava col prof. Rittatore a Sorgenti della Nova, insieme con lui ho
conosciuto altri operai "storici" di Ferrante: il Castagnolo,
Giovanni Celestini, Checco Bianchi, Costanzo Contorni e Mattio Curre, che
per tutti gli anni successivi è stato il mio "contatto", il mio
aiuto ad Ischia. Non li dimenticherò mai. Pietro era più riservato degli
altri, molto concentrato nel lavoro, serio e quasi corrucciato, ma quando
gli sfuggiva un sorriso, sembrava una schiarita. Ho anche ricordi fuori dal
lavoro: ervavamo nella cantina di Costanzo, una sera, con Rittatore e tutti
gli altri. Pietro si lasciò convincere e cantò accompagnandosi con la
chitarra, e conquistò tutti con charme ed ironia, con stornelli pungenti e
canzoni romantiche.
Il prof. Rittatore e Nuccia Negroni (che in seguito, per un malinteso, una
supposta mancanza di riguardo verso di lui, si guadagnò il soprannome di
Messalina) mi parlarono subito della sua profonda esperienza di scavi
classici con Poupé a Castro, con la Scuola Archeologica di Danimarca a
Monte Becco, con Mario Moretti soprint. per l'Etruria Meridionale e il prof.
Donato ai quali aveva segnalato, avendone intuito l'importanza la Tomba
detta del Carro ora esposta a Villa Giulia, che aveva individuato sul suo
terreno e che poté essere così scavata regolarmente. E specialmente mi
parlarono della sua "mano fina", un tocco che è essenziale per
uno scavo preistorico. Alle Sorgenti della Nova Pietro lavorò qualche
giornata anche nel mio settore (che già si chiamava Grotta 7): sapeva
tagliare sezioni perfette anche nel terreno più friabile, sapeva - prima
degli archeologi - quando rallentare il ritmo di scavo, al primo indizio di
tracce di frequentazione, della polvere di carbone di un focolare o
dell'elusiva traccia di un foro di palo. Dieci anni più tardi, quando, dopo
una lunga esperienza di scavi con equipes italiane e straniere, riuscii
finalmente ad avere il "mio scavo" nella Grotta di Saettecannelle,
non ebbi dubbi: cercai Pietro.
La sua esperienza e la sua passione per la ricerca di nuovi siti, la sua
sensibilità nelle fasi dello scavo, che hanno i caratteri di vera
curiosità scientifica, mi erano necessarie per un'impresa così impegnativa
come lo scavo di un sito preistorico. In questo campo dell'archeologia ogni
giacimento è diverso: non si lavora su strutture standardizzate in blocchi
di pietra; il più delle volte una capanna, un focolare, un sito dove più
di diecimila anni fa avevano sostato alcuni cacciatori per riposare,
mangiare, scheggiare nella selce nuovi strumenti e munizioni, si rivelano
per colorazioni o consistenze diverse nel terreno. A riconoscere ed a
mettere in rilievo tutto questo, Pietro è maestro. E a Settecannelle è
stato il maestro anche di tutti i ragazzi al primo scavo: fra questi le mie
figlie Nerina e Stella, che ricordano come lui, passando loro vicino, le
aiutava: fai così… spiomba qui la sezione… fai piano. Rimpiangono di
non poter essere qui ad Ischia oggi, fra tanti amici, ormai sono occupate da
impegni di lavoro, fanno i più affettuosi auguri a Pietro e salutano tutti.
Il contributo più importante e decisivo di Pietro allo scavo di
Settecannelle è stato il taglio della grande stratigrafia all'uscita della
grotta, sulla sponda del fosso Paternale. Fu realizzata nel 1986, il secondo
anno dello scavo e la stratigrafia servì da guida nelle ricerche
successive.
Ci eravamo accorti che l'erosione aveva messo in vista alcuni strati del
riempimento della grotta ad una decina di metri di altezza sul fosso. Per
raggiungerla fu eretto un ponteggio, con caratteristiche piuttosto
acrobatiche, ma una volta montato era abbastanza stabile.
Da qui Pietro con mano delicata e precisa, ripulì il fronte della ripa, e
lo scavò arretrandolo di circa 20 cm, in modo da ottenere una superficie a
piombo che misurava più di tre metri in altezza e quasi altrettanti in
larghezza: su di essa era registrata la storia geo-archeologica della
grotta, vi si leggeva una successione di sedimenti di diversi colori e
consistenza, depositi giallastri sabbiosi, dovuti all'ingresso di acque
nella grotta, strati scuri ricchi di carboni, con in vista ossi e selci, che
si erano formati durante le fasi di frequentazione umana, strati grigi di
crolli di tufi dalla volta, prodotti da clima molto arido o da terremoti.
Una visione impressionante per grandiosità.
In un giacimento del Paleolitico o del Neolitico, anteriormente all'età dei
metalli, non si trovano tesori materiali, né architetture come in una tomba
etrusca o in una villa romana; il vero tesoro di un giacimento preistorico
sono le informazioni scientifiche che si possono dedurre da evidenze
apparentemente modeste: ad esempio la disposizione di manufatti in certe
zone dell'insediamento, che indica le attività svolte sul posto, i
focolari, i resti di pasti ed oggetti poveri (come frammenti di vasi
primitivi, strumenti di selce, ciottoli con incisioni, ornamenti di
conchiglia, di osso, di pietra, che tuttavia sono di primaria importanza
perché sono le prime documentazioni della tecnologia e dell'arte).
Ognuno di noi è stato stregato dalla bellezza sublime di preziose opere
classiche, greche ed etrusche; a volte noi stessi, scienziati della
preistoria, ci domandiamo se non stiamo concedendo troppo tempo a
manifestazioni modeste. Eppure la curiosità di sapere e l'emozione che
suscita anche una piccola traccia degli uomini di un passato così lontano
è altrettanto grande ed è una passione cui non si può resistere.
Per tutto il tempo che abbiamo lavorato insieme, durante gli scavi o
cercando tracce del passato fra boschi e corsi d'acqua, che da vero
cacciatore Pietro ben conosce, quest'emozione non è mai mancata.
Grazie Pietro.
LA STORIA DI UNA PASSIONE
Testimonianza di Anna Laura, archeologa e bibliotecaria
La storia di Pietro è la storia di una
passione. La passione che nasce dalla curiosità di sapere chi erano, come
vivevano le genti antiche delle quali ancora oggi si ritrovano le tracce,
gli oggetti, magari arando un campo, o passeggiando in campagna o in un
bosco, o visitando una grotta che per tanti anni è stata ricovero per
greggi o animali domestici, e spesso per gli stessi pastori.
Un frammento di ceramica, un mucchio di sassi, una scheggia di selce, resti
di ossa, tombe che hanno accolto individui certamente nostri antenati.
La stessa passione che ha investito generazioni di archeologi che attraverso
l'interpretazione scientifica hanno decifrato quelle tracce, che ne hanno
compreso il senso, la funzione, alle quali hanno saputo attribuire una
cronologia, un significato, che hanno saputo fissare nel tempo frammenti di
vita lontani migliaia di anni.
Passione di persone che con queste tracce hanno avuto una consuetudine fin
da piccoli, magari senza capire cosa avessero tra le mani, ma che hanno
intuito l'importanza degli oggetti che affioravano dalla terra e che si
proponevano come interrogativo a chi li raccoglieva e li osservava con la
curiosità di chi si pone di fronte a qualcosa di sconosciuto ed
affascinante.
Ho potuto constatare la passione di Pietro durante lo scavo della Grotta di
Settecannelle. In lui era l'esperienza a parlare, ad esprimersi. Dopo aver
letto il suo libro ho capito da dove derivava tale ricchezza di manualità e
di intuizione.
Lui la chiama "dono di natura"…
Credo molto alla capacità di assorbire gli insegnamenti che ci vengono
offerti e di cui sappiamo fare tesoro, ma credo che a volte sia la passione
a sviluppare una grande esperienza di vita.
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