PROFONDO
NOIR
Perché scrivere gialli?
L'aspetto comune a
tutti gli scrittori di gialli è che raccontano storie. Ci sono molti
scrittori che non lo fanno. Possono creare un'atmosfera suggestiva, possono
dare vita a personaggi umani e affascinanti, ma non raccontano una storia. E
per "storia" intendo una vicenda imperniata su un conflitto
costruito con molta attenzione, una vicenda che coinvolge esseri umani che
impariamo a conoscere e cui ci affezioniamo. Una storia si conclude con la
risoluzione del conflitto.
Sono cresciuto leggendo letteratura di ogni genere: fantascienza, per
esempio, come i libri di Ray Bradbury, Robert Heinlein, Edgar Rice Burroughs…
Tutti autori che si preoccupavano di trasmettere un racconto. È qualcosa
che risale agli scrittori greci e latini, alla tradizione orale della
narrazione. C'è qualcosa dentro alle persone che fa sì che si innamorino
istintivamente delle storie. Anche quando leggo opere di alta letteratura,
non riesco a interessarmi se non si racconta una storia. La letteratura
sperimentale può essere brillante ed estremamente creativa, con lampi di
introspezione, ma fine a se stessa se viene a mancare la storia.
Com'è il rapporto coi
lettori?
Al lettore possono non piacere alcuni aspetti del libro, troppa violenza o
troppo poca, la perdita di qualche personaggio simpatico nel corso della
storia. Ma uno scrittore non deve mai deludere il lettore su questioni
importanti. Dobbiamo scrivere un libro con la certezza che sarà emozionante
per il lettore.
Bisogna giocare onestamente. C'è un'enorme differenza tra ingannare e
imbrogliare, tra distogliere l'attenzione del lettore e barare. Se non si
vede l'assassino fino alla scena finale, non c'è modo per il lettore di
individuarlo: questo è barare. Se si crea invece un cattivo che figura come
una brava persona, otteniamo due obiettivi: il lettore pensa di avere capito
chi egli sia, ma rimane sorpreso nello scoprire qualcos'altro. Alla fine
sappiamo qualcosa su di lui che ci fa comprendere come questi sia
l'assassino.
Qual è la psicologia
dell'assassino?
Credo che all'interno di tutti noi ci possa essere un elemento di tenebra.
Ma ciò che separa un adulto razionale da un assassino è una sorta di
supporto psicologico che ci permette di vedere la differenza tra il bene e
il male.
Un assassino, per esempio, può essere pazzo o non esserlo. Per esempio, uno
schizofrenico paranoico può uccidere a causa della sua follia, convinto di
non fare del male, anzi, del bene. Può essere convinto, poniamo, di punire
l'assassino di Lincoln, mentre noi sappiamo che sta colpendo una vittima
innocente. E questa è una scelta casuale.
Ma gli assassini più spaventosi sono quelli che sanno di compiere il male e
scelgono di farlo, senza essere pazzi. Questo è ciò che mi fa veramente
paura. Come Ted Bundy: lo si poteva guardare in faccia senza intuire che
fosse un omicida, anche se lui sapeva senza dubbio che si dedicava al male.
Questo è quello che cerco di esporre nei miei libri. Dedico la maggior
parte del tempo all'elaborazione del cattivo… fondamentalmente perché
voglio spaventare a morte i miei lettori.
Come sei diventato… un
attore?
Nel marzo 2003 avevo appena cominciato un tour promozionale. Partecipai a un
programma della CBS. Il presentatore mi chiese dell'aspetto umano dei miei
personaggi. Risposi: "E' molto importante, come lo è nelle soap-opera
trasmesse dalla vostra rete." E citai il titolo di una serie in onda
sul network.
Proseguii il tour e, mentre mi trovavo in Nuova Zelanda, mi chiamò il
produttore di quella serie e mi disse: "Vorrebbe fare la parte di un
cadavere nella soap-opera?" Io risposi: "Certo." Pensavo che
sarebbe stato divertente. Ma loro cambiarono idea: quanto rientrai dalla
Nuova Zelanda, mi trovai davanti a tre volumi di sceneggiatura, con
quarantacinque minuti pieni in cui avrei dovuto recitare, cosa che non avevo
mai fatto prima d'allora. Mi piace leggere in pubblico negli incontri coi
fan, ma non avevo mai recitato prima. Lessi la sceneggiatura e conobbi il
personaggio che avrei dovuto interpretare: ero un giornalista ed ero
identificato come "il subdolo giornalista". Imparai le mie
battute, andai allo studio dove sarebbe cominciata un'intensa settimana di
riprese e mi presentai al guardaroba per avere il costume di scena.
Guardarono com'ero vestito, controllarono il foglio della produzione e mi
dissero: "Ah, lei è il subdolo giornalista. Si già portato il suo
costume. Eccellente."
L'ultimo giorno due persone si presentarono sul set. Una ero io, l'altro era
lo stunt coordinator. Scoprii che dovevo lottare con un bravo attore,
piuttosto robusto, per il possesso di una pistola. Io ero quello che
perdeva.
E' stato divertente. Non se se lo rifarei, perché è stato un lavoro
impegnativo. Ma è stata una grande esperienza.
Il nuovo libro?
Si intitola Il giardino delle belve e si svolge a Berlino nel 1936. Anche se
l'ambientazione è diversa, la struttura è molto simile a quella degli
altri miei libri. Si svolge più o meno nell'arco di due giorni, alla
vigilia delle Olimpiadi. Nella trama sono coinvolti Hitler, Goering,
Goebbels, Himmler e alcuni personaggi di fantasia, sia statunitensi che
tedeschi. Ci sono come sempre molte sorprese e molti colpi di scena. Questo
romanzo mi ha dato la possibilità di esplorare il male nella sua
incarnazione più estrema.
(Copyright
Mondonoir 2004)
Si ringrazia La Sherlockiana-Libreria del Giallo, Milano.
Foto: Andrea
Carlo Cappi
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