Marco Lodi

Sono nato a Taglio di Po (Ro) il 19/06/1968 ma sono cresciuto nella provincia di Milano,come lavoro faccio l'operaio matalmeccanico,ho fatto il musicista,l'aspirante liutaio,il rappresentante ecc.ecc... Alterno il lavoro con la visione di cassette e film gialli,noir,Bmovie italiani,frequento una scuola di musica(il CEMM),prediligo quella improvvisata. Mi piace molto WILLIAM SAROYAN come tanti altri autori Americani....Se qualcuno vuole scrivermi,o contattarmi ...

IL PREZZO DA PAGARE

1

Quando arrivammo alla stazione, eravamo entrambi stanchi e scocciati.ll nonno passò tutto il tempo fumando il suo sigaro, raccontando ai nostri compagni di scompartimento le sue gesta eroiche (LO FURONO VERAMENTE), agitandosi e gesticolando come per difendersi da un attacco di vespe assassine o da un improbabile ogiva sparato , da un chissà chi ,che solo lui poteva immaginare .

Lui si, lo poteva immaginare, anzi, di più: lo aveva vissuto.

Io comunque, cercavo di nascondere il mio disagio sorridendo, cercando di distogliere l’attenzione che tutti dedicavano al vecchio con qualcosa che al momento mi sembrasse più attuale, ottenendo però solo sguardi e occhiatacce e svariati "shhhhhhhh…", altrimenti frasi tipo "lasci finire il nonno maleducato". Di conseguenza me ne rimasi zitto e incazzato col vecchio e con tutti quelli, che per l’intera durata del viaggio, in quello scompartimento crearono una specie di incontro tra reduci e sopravvissuti attorno ad un tavolo di un circolo ANPI .Stavano lì, tutti insieme, coalizzati, mostrando bene anzi ostentando le rispettive dentiere, ridendo e sbavando su tutte quelle disgrazie, facendomi sentire un’ essere che ancora doveva nascere, che ancora dovevano pensare di concepire.

Scendemmo dal treno dopo aver salutato tutta la marmaglia e dopo essermi sorbito lo sguardo di soddisfazione del vecchio, cioè direttamente proporzionale al mio disgusto, prendemmo un taxi , per raggiungere l’appartamento della zia, in un quartiere non molto distante dal centro della città (i mattoni una volta non costavano così tanto diceva sempre lui) con la valigia sotto braccio e la custodia del " ferro" ben stretta nella mano sinistra.

Nel periodo primaverile, la zia preferiva andarsene da sua sorella , che sarebbe poi mia madre, un posto che non era proprio campagna, visto che ci stava un imponente zuccherificio lì attaccato; sicchè a me non mi veniva difficile paragonarlo ad una città . Oddio , una cittadina ecco, così ogni anno io e la zia ci producevamo in questo scambio .Però questa volta le motivazioni erano assai diverse ,per me,

voglio dire ,stavolta "ero pronto", voi lo sapete cosa vuol dire insomma ,uno prende ,viene via da un posto per cercare qualcosa, che lì non c’è, giusto? Ebbene io lo ero, ero a posto non mi mancava niente, leggevo bene , il labbro era a mille, nessuno mi avrebbe dato filo da torcere, sapevo il fatto mio, il mondo finalmente mi si offriva ,ed io finalmente allargavo le braccia per poterlo accogliere, per potergli dire che stavolta c’ero anch’io, cribbio. Eccomi a te ,fratello dell’universo, eccomi qua, Placido Bonelli per servirti, per soffiare nel mio strumento per festeggiare il nostro incontro, dammi una possibilità vedrai non ti deluderò .Blow in your horn dicono in America, yieahh……

 

2

Tornando a noi ,insomma , entrammo in casa, sistemammo le quattro cose mi feci una doccia e mi sbarbai . Quindi mi rilassai sul divano a fiori dove era morto lo zio, povero. Infatti ogni volta che mi ci sedevo sentivo una specie di prurito alla schiena ,un disagio momentaneo che poi spariva quando accendevo la radio, allungavo le gambe che finivano sopra il bracciolo, e tutto tornava a posto.Non si poteva mica buttarlo via quel divano. Lo zio si che aveva buon gusto, pace all’anima sua .

Il nonno invece stava su una poltrona alla mia destra rivolta verso la grande finestra, dandomi quindi impunemente le spalle ,leggendo le sue riviste sulla natura e il mondo animale, inforcando i suoi occhiali sgangherati .Io ascoltavo la radio ,lui leggeva , fumava, ogni tanto lo sentivo grugnire o

sghignazzare; forse per le strane abitudini di qualche gatto indonesiano o forse chissà cosa, chissà….

"Cosa pensavi di fare stasera" mi chiese lui.

"Stasera è quella "sera" lo sai no?

"Perché non ti cerchi una brava figliola?"

"Lo sai che non è il momento ,stasera no ."

"Io non dico stasera ,ma prima o poi ‘na guagliona me la farai conoscere o no?"

Ormai c’ero abituato alla sua litania ,solo che non volevo dargli l’impressione che non fosse

fondamentale per me. Così, come ero solito fare in quelle situazioni ,mi inventavo qualcosa; del genere che avevo conosciuto questa, ero uscito con quella, che ero molto intimo con quell’altra , insomma, cercavo di accomodare la mia immagine alla sua strana idea, così lui si gongolava, annuiva ,si sciroppava tutto, o almeno così mi sembrava. Poi, finita la mia scenetta, poteva finalmente sibilare: "Prima o poi mi spezzerai il cuore mannaggia a te".

 

3 

Era ormai passata da un bel pezzo, l’ora di cena, ed il mio unico pensiero, era proiettato a quella sera, a quello che sarebbe successo dopo, e quel pensiero prese a martellarmi la testa furiosamente ,con costanza e precisione, sbattacchiandomi su e giù per la stanza ,ed io camminavo avanti e indietro, cercando di schivare i colpi, cercando di sfuggire quel pensiero, che assestava le sue cadenze, mi teneva in pugno ,non mi dava tregua, come una bestia antica dominata da passione e un bel po’ di sadismo, e quel pensiero, mi faceva pensare ad una sola parola: il tempo..il tempo …il tempo…

Così andò avanti per un po’, cioè fino a quando mi resi conto che il tempo era passato, e dopo essermi sistemato presi la custodia , salutai il nonno che intanto bofonchiava qualcosa in dialetto, per buttarmi finalmente in una, che doveva essere ,una notte memorabile.

O almeno lo speravo.

Quando cominciai a scendere le scale, mi sentivo già meglio, la bestia era momentaneamente quieta, ma, non si dimenticava di farsi sentire, con qualche unghiata ogni tanto .Comunque camminavo già da mezz’ora quando iniziai a calmarmi e mentre pianificavo la mia grandiosa entrata nel grande circo musicale della città, frugando nel portafogli mi rendevo conto che probabilmente i soldi che avevo non sarebbero bastati per quella notte di consacrazione; ma non riuscivo a vederla come una così

grave disgrazia, niente e nessuno mi avrebbe fermato. Né Dio, né il Papa, figuriamoci la pecunia.

Camminavo, con la custodia che ciondolava e danzava tra la mano, fermandomi davanti ad ogni locale dove sentivo casino, rumore di bicchieri, musica diffusa e voci di ragazze, come per far sapere a tutti che quella notte ci sarei stato pure io, a condividere la pazzia e l’entusiasmo per la vita. Avevo quasi vent’anni, che potevo sapere io, della vita? Molto, pensavo, cioè mi sforzavo di pensare. In realtà, che ne sai tu della vita, presuntuoso d’un Bonelli, che ne sai del mondo, ingenuo che sei, cos’hai fatto fino ad ora? Dici di essere un gran trombonista ma ti cola ancora il moccio dal naso,datti una ridimensionata, che ne sai della musica, che ne sai delle donne!!! Già, delle donne, hai bisogno di fare esperienza, di fare qualche scopata, a chi potrebbe interessare il tuo sguardo puro sul mondo? Per il momento sei soltanto una facile preda, chiunque potrebbe fare di te un sol boccone, guarda, Bonelli, guarda in alto e potrai vederlo, caro il mio Bonelli, stà proprio sopra di te, tutto il male del mondo, come una poiana con il verme solitario, che ti svolazza intorno, pronta a prenderti in qualsiasi momento, ,affamata, bramosa della tua carne giovane, ingorda delle speranze e dei sogni, della gioia della vita, che prevarica la volontà degli uomini, disconoscendo il perdono e la pietà, e proprio così un giorno si porterà via anche te, bastardo ingenuo d’un Bonelli!

 

Il soliloquio andò avanti per un po’, ma non è che mi impressionavo più di tanto, ormai c’ero abituato, lo erano anche le persone che mi conoscevano, (specialmente il nonno) così decisi di fermarmi in qualche posto, per bermi una cosa, giusto per farmi coraggio.

Il locale era già abbastanza pieno a quell’ora, trovai subito un posto a sedere proprio davanti al bancone dove veniva elargita la consumazione, che come in tutti i locali, veniva considerata obbligatoria.

Ordinai una birra scura, che pagai subito mentre il mio portafogli miagolava come un gattino abbandonato, divagando su alcune fantasie crudeli riguardo la ragazza che si dava un gran da fare dietro il banco, e quindi non poteva di sicuro dedicarmi nemmeno uno sguardo, neppure quando, dopo un buon quarto d’ora mi servì la birra.

Ringraziai agitandomi dallo sgabello per attirare l’attenzione di lei con scarsi risultati, poi presi a picchiettare le mani sul banco come un invasato, muovendo la testa per seguire quel ritmo da cerebrolesi e ne fui ricambiato solo da uno sguardo pietevole, raggiungendo quindi, lei, pienamente il suo scopo, vale a dire di farmi sembrare un idiota.

Sorrisi al mio meglio e le chiesi il nome mentre rientravo nel mio essere meraviglioso, lei mi rispose che Grazia era il suo nome, così io le dissi che mai come in quel caso un nome era talmente scollegato alla sua presenza, così scortese dissi , non hai niente a che vedere con il tuo nome Grazia, sei una ragazza troppo presa dal tuo lavoro, le dissi, perché non cerchi di guardare un po’ più in là del tuo banco ed i tuoi bicchieri, potresti fare amicizie interessanti, uno come me, per esempio.

_Senti caro, io ho un sacco di lavoro, se dovessi ascoltare tutte le stronzate che cercano di raccontarmi, non me la caverei più, io faccio il mio lavoro posso anche sembrare sgraziata, ma di sicuro i bastardi

come te tirano fuori le peggiori maniere_

Non era poi così male questa Grazia, dimostrava un certo carattere la ragazza, così cercai di andare fino in fondo alla mia opera.

-Certo, sei una brava ragazza, sei anche molto paziente, ma come fai a dare del bastardo ad una persona che nemmeno conosci , sicuramente io ti conosco molto di più di quanto tu non conosca me. Conosco il lavoro che fai, dove lavori e come tratti i clienti come puoi parlare così?-

Mentre blateravo lei smise di armeggiare dietro alla spina della birra, alzò la testa e si mise le mani sui fianchi, gli occhi due tizzoni ardenti ad infiammare l’aria intorno.

-Cosa?- disse modulando lentamente.

-Tu non vuoi capire , te ne stai qua in questo postaccio, a giudicare gli avventori, come se ne fossi la regina, ma è solo un’ atteggiamento stupido, idiota. Tutti quelli che entrano in questo locale non ti cagano nemmeno, sei solo una schiavetta stupida ed arrogante che si dà un po’ troppe arie, con i tuoi capelli tinti e le tue mani rovinate dal detersivo, dovresti essere grata al sottoscritto che ti rivolge la parola e ti fa riflettere sulla tua vita.-

Mentre finivo di bere la mia birra, che iniziava a darmi alla testa la vidi protendersi dal banco con un sorriso che non annunciava niente di buono si avvicinò mi accarezzò dietro un orecchio portandosi con la bocca vicino ad esso per dirmi:

-Chi cazzo credi di essere moccioso? Io non so chi sei e cosa ti frulla per la testa se per caso volevi fare colpo, ebbene non ci sei riuscito, percui non vedo l’ora che tu esca di qua con la tua presunzione e la tua faccia da bravo ragazzo di campagna e non ci metta più piede visto che trovi così indegno da parte tua entrarci.-

Io ascoltavo cercando di assumere un’ aria di sufficienza e sorridendo sempre. Non potevo dargliela vinta.

-La birra era di suo gradimento?- chiese sarcasticamente.

-Faceva abbastanza schifo, grazie – le risposi

-Non so nemmeno come ho fatto a riservarti questi pochi minuti , sbarbatello- mi rispose cercando di riprendere il controllo sui vetri e le Ceres da servire, mentre la conversazione aveva incuriosito i vicini che stavano appollaiati sugli sgabelli di legno.

-Cos ’hai in quella custodia la tua riserva personale di pannolini?- Dichiarò ad alta voce per allargare il conflitto con un tono che pareva impregnato di un odio autentico.

-è un trombone, ignorante che non sei altro, ne hai mai visto uno sui libri almeno?-

Le sue guance cominciarono a colorarsi di porpora mentre serviva un ragazzo che di birre ne aveva già bevute troppe.

-Bene abbiamo scoperto finalmente che sei un musicista o così dici di essere, perchè non ci fai ascoltare qualcosa di grazia o, questo per caso potrebbe disturbare il tuo percorso artistico personale?-

-Dove le hai imparate tutte queste parole, alla scuola serale?- Replicai rabbioso.

Questo poteva considerarlo una specie di affronto, infatti dopo aver finito di esternare il mio campionario di provocazioni finalmente scattò fuori dalla sua nicchia dove fino a qualche momento prima era stata confinata. Prigioniera della sua ignoranza, pensai io.

Potevo così vederla per intero, in tutto il suo opaco mondo lasciato sfuggire dai suoi occhi, che come potei costatare subito erano castani. Portava un paio di Levi’s neri, un paio di scarpe di cuoio senza tacchi e salendo nella mia ispezione mi resi conto che nella sua interezza avrebbe potuto anche fare colpo su qualcuno, magari anche su di me.

-Allora, cosa ci suoni menestrello? Dai, facci sentire.

Momento di panico con indecisione!

Vedendo, il mio disagio di fronte alla sua proposta, mi guardò come se fosse dispiaciuta, come se avesse trovato un varco nel quale poteva vedere le mie debolezze, incorniciandosi di un sorriso che sapeva di vittoria e vendetta, mostrandosi magnanima comunque se dopo tutto il mio blaterare avrei dimostrato di essere il grand’uomo che dicevo di essere

Da quel momento in poi cominciai ad odiarla , veramente.

-Sei una stupida, non vali nemmeno le pernacchie che faccio per riscaldarmi, e non intendo stare qui a perdere altro tempo in codesto postaccio dove non sapete distinguere la cioccolata da sapete bene che cosa….- cercai di rifarmi sotto .

Il resto della gentaglia cominciava a squadrarmi e a formare un capannello intorno a noi, un’ uomo e una donna, presupposti necessari per un concerto magistrale.

-Quale sarebbe l’altra cosa ?- disse un tipo dietro di me alzandosi dal suo tavolino.

-Vorresti dire la merda eh?-

-Certo volevo dire proprio così ma, a me non viene bene dirlo come lo dici tu, caro amico.-

-Penso proprio che tu non abbia amici qui dentro .- aggiunse Grazia .

-Certo che sei un bel tipo, com’è che ti chiami?-

-Placido Bonelli è il mio nome, e non sprecherò nessuna delle mie note in questo posto va bene?-

-Sei libero di andartene Bonelli , sei tu che mi hai stressata con le tue chiacchiere da paranoico, se vuoi puoi tornare una sera che sei più tranquillo, stasera basta però. - lo disse allargando le braccia mostrando la sua soddisfazione, credendo di avermi umiliato.

Ci guardammo negli occhi, soddisfatti tutti e due per il risultato raggiunto, che non sarebbe servito a nessuno, ma che per lo meno, ci fece sentire vivi, più sani, perché non eravamo riusciti ad essere indifferenti alle strane complicazioni della vita, alla nostra solitudine di esseri mortali.

Lei mi prese la custodia e mi accompagnò verso l’uscita prendendomi sottobraccio, salutai la plebe fingendo un certo fastidio, guardando la schiavetta come se fosse una creatura Kafkiana ,in realtà vibrai al tocco della sua mano sul mio braccio…..

Quando mi girai verso la porta d’entrata, mi faceva ciao-ciao con la manina e rideva.

Mi ripromisi di perdonarla.

Potevo sorseggiare finalmente l’aria fresca, camminare, piantare bene i piedi per terra e mischiarmi nelle ombre notturne insieme al mio bagaglio, il fardello ingombrante che mi portavo appresso da quando ero nato.

Chi sono io? Chi era Placido Bonelli ?Dio era ancora vivo? Avevo una piccola speranza di diventare un musicista? Uscirà il nuovo libro di Baricco?

Non avevo le risposte pronte , tutto mi sembrava illogico, ed io ero solo un messaggio d’aiuto messo in una bottiglia lanciata durante una bufera.

La risposta stava da un’altra parte, forse nei lampioni in lontananza, un piccolo esercito sull’attenti, orgogliosi e fedeli ,nelle luci riflesse nel grande fiume che ribolliva di vite passate, nelle gambe scattanti delle ragazze che animavano la via pedonale.

Grazia, ti ricordi di Placido? Mi dispiace di averti fatta arrabbiare, anche tu come me conosci l’umiliazione, l’amara realtà di non vedere riconosciute le proprie aspirazioni .Devi riconoscere che scendere in strada ad affrontare il mondo con i suoi meschini abitanti è un po’ come mettere le mani in un braciere ardente, ed è per questo che brancoliamo in giro mostrando le ferite accumulate negli anni come degli ipotetici Muzio Scevola metropolitani….Forse un po’ più furbi.

La città stava sotto i miei piedi, ci camminavo sopra con rispetto e devozione ,salutavo le pietre dei marciapiedi, le alogene dei lampioni, salutavo le automobili che come un lungo bruco metallico si dirigevano verso il centro. Salutai anche l’indiano che vendeva le rose.

Hei come ti và la vita Rashid? Puoi portare da mangiare ai tuoi figli stanotte?

Tieni questi soldi, amico spendili bene, io non ne ho bisogno, sono un musicista sai? Sentirai parlare di me tra un po’ di tempo, così potrai dire com’e stato generoso quel Bonelli, accidenti non si incontrano spesso personcine così in giro, io si, che l’ho conosciuto quel Bonelli, gran brava persona eh già, è fortunato chi lo ha conosciuto.

Ti dedicherò un pezzo, Rashid, dopo che ti avrò dato tutti i miei soldi ti dedicherò una suite, un’ inno alla semplicità della vita alle sue macchinazioni, e quello sarà il mio omaggio per te, e le note che scriverò saranno rosse come il sangue, che scorre fluido come lo swing, il sangue di Bonelli, dispensato senza limiti dalla sua stessa fonte, illimitata, dall’ arte della vita, quindi prendi tutto quello che ho, senza fare complimenti .Se questo è il prezzo da pagare mi sta bene, so stare al gioco, io.

Le note del tema vennero fuori così, come il sangue da uno squarcio profondo apertosi improvvisamente e da quella voragine sentivo cantare le ance e gli ottoni, eleganti e bilanciate con la leggerezza del vento dell’aurora quando passa per sfiorare il cielo più alto, la sciando la traccia del finale, sfumando dopo un crescendo, lasciandomi stordito e sgomento per la sua bellezza irraggiungibile.

 

 4

La tormenta che prima aveva attraversato la mia testa svanì con la coda della composizione.

Tornai indietro, verso la strada principale attraversai un ponticello di cemento con un nodo alla gola, con la testa tra le mani temendo che mi cadesse da un momento all’ altro, ma non successe niente di così grave. Ero leggero, inconsistente, se guardavo in basso verso il mio petto, lo potevo vedere, il mio cuore, che pulsava e penzolava al di fuori di esso facendomi sporgere dalla protezione metallica che costeggiava il fiume.

Girai più volte su me stesso per cercare l’indiano o forse per trovare un riferimento esterno per distrarmi da me stesso bestemmiando e imprecando, maledicendomi per l’occasione sprecata.

Cominciai a camminare lungo la sponda del fiume, seguendone il corso ed il borbottio ritmato, con un buon passo, deluso ma fiducioso per il mio futuro alzando la testa verso il cielo. Felice, dopo tutto di essere sopravvissuto a quella notte balorda, felice di essere ancora vivo. Si, ero ancora vivo dopotutto…

Con questa consapevolezza, tornò anche il sorriso, poi risi da solo. Prima dentro, poi ad alta voce come un’idiota. Mi venne in mente il nonno, così pensai che tutta la faccenda era finita lì: la ragazza del locale, l’indiano i lampioni le rose, il lungo fiume e la mia imbarazzante timidezza.

Mi fermai appoggiandomi alla protezione metallica per un’ultima panoramica. Poi sputai.

C’era sempre un prezzo da pagare ed io non potevo sfuggire a questa regola aurea, dovevo pagare e basta. Fu così che pagai il dazio, mentre pensieri raminghi fluttuavano nel mio cervello .Questo è il mio obolo per il mondo: ecco qua, di più non posso fare, pensai, mentre l’ennesima, forse l’ultima umida perla di dolore scivolava lungo la mia guancia.