Fabrizio Varallo Sono nato a Vigevano ventisei anni fa, e se nel lavoro comunico coi numeri nella
vita mi dedico alle parole.
sono un equilibrista. cammino sospeso tra due punti lontani nell'oscurita' della
notte.
sento materializzarsi il filo sotto i miei piedi passo dopo passo, ma appena la mia
pressione finisce, svanisce, si dissolve. il mio e' un equilibrio precario, come precari
sono forse tutti gli equilibri, le braccia mulinano nell'aria che sembra rarefatta ed
asciutta, gli occhi chiusi vedono cose che altrimenti sarebbero diverse.
prendo pause. accarezzo lievemente la pianta di un piede, ondeggio nel vuoto, cerco di
leggere con le dita il cammino gia' fatto, sperando che il piede mi dia risposte, che li,
tra la pelle vi siano chiavi nascoste e rivelatrici
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MARCO A PARIGI ...la terre n'est pas une vallée de larmes...e stava li', con gli
occhi
fissi sopra il quadrante dell'orologio che teneva al polso, e quella
scritta, li' ferma, che faceva da sfondo al movimento delle lancette, con il tempo troppo
preso a trascorrere e il fiume li accanto troppo preso a scorrere per poterne cogliere
significati e speranze.
era ormai tardo pomeriggio, e da nord ovest soffiava quel vento che sa di oceano, di spazi
aperti, aria nuova comunque, diversa da quella cui era abituato respirare e sentirsi
sfilare addosso.
e nel suo estraniarsi dalle cose avresti potuto intravedere, osservandolo bene, l'aria di
uno che in fondo era elettrizzato, eccitato, con l'ansia di chi attende sapendo piu' o
meno cosa l'attende.
distoglieva lo sguardo da quel quadrante d'orologio solo per pochi attimi, e sembrava
fotografare i movimenti intorno a se', fissare cose e persone infischiandosene delle
reazioni che avrebbe potuto suscitare negli altri, una mano che trafficava con lo
zaino per sistemarlo meglio, l'altra a fare da cuscino tra la testa e la
corteccia del tronco a cui era appoggiato.
aveva scelto di sedersi in quel posto perche' gli era sembrato isolato, ma proprio per
questo contrasto con il movimento che vi era attorno, pareva essere sotto l'attenzione di
tutti, e poi era un posto che aveva gia' visto in mille foto e filmati e che pareva
essergli familiare.
si alzo', lento nei gesti, con le ginocchia un po' doloranti per la
posizione innaturale che aveva assunto senza accorgersene in quella ora passata seduto, si
diede una passata con le mani sul sedere per far
scivolare il terriccio dai pantaloni, e sospiro'; le luci intanto sulle
strade iniziavano ad accendersi.
era a parigi.
ed era esattamente sull'estremita' dell'isolotto di ile de la cite', che
guarda verso il louvre, dove un albero da anni vede la senna aprirsi in due a pochi metri
da se', ed i suoi rami cercano comunicazione con gli alberi cresciuti lungo i lungofiume
laterali.
"ne uscirebbe una bella cartolina" - penso' . poi riprese a guardare
avanti a se' e di nuovo una scarica di brividi interiori lo percorse da capo a piedi, e la
mente ritorno indietro di ventiquattr'ore, al momento del suo arrivo.
era atterrato al charles de gaulle in un giovedi' d'agosto, e ad attenderlo c'era una
parigi calda, insolitamente calda ed afosa e questo lo aveva colto un po' impreparato. e
soprattutto non aveva trovato nessuno ad accoglierlo cosi' come da programma.
le voci dagli altoparlanti sputavano nomi e destinazioni, arrivi e partenze, la gente
andava e veniva vociando e le ampie volte dell'aereoporto amplificavano le voci ed i
rumori delle valigie
trascinate sul marmo chiaro e lucido.
decise di trovare un taxi e lo fece con attenzione, perche', lui sosteneva, e' dal taxista
che si inizia a conoscere una citta'.
avrebbe voluto trovare raymond baillet, con il suo vecchio taxi, che
trent'anni prima aveva portato jack ad orly per il suo ritorno a casa, ma subito
abbandono' le sue fantasticherie e si diresse verso un uomo di bassa statura appoggiato ad
una mercedes.
sembrava cordiale, con il suo accento francese che risentiva di origini
straniere, e le labbra rapide ad aprirsi e serrarsi sotto due accenni di
baffi.
il suo nome era jorge.
viveva a parigi da anni, tant'e' che si defini come franco-portoghese.
le larghe tangenziali erano deserte ma jorge sembrava tenere a dire che
normalmente le strade erano un ingorgo unico da qui a parigi.
impiegarono meno di mezz'ora ad arrivare a destinazione, passarono accanto al cimitero di
père lachaise, poi giu' fino alla bastille e la citta' inizio' a trovare riscontro nelle
immagini che marco si era costruito prima di partire.
gli sembrava alquanto buffo questo modo di verificare al contrario certe corrispondenze,
quasi che la vera parigi marco l'avesse gia' vista e letta sulle guide turistiche ed ora
fosse qui solo per averne una conferma.
un fascio di luci improvviso lo porto' lontano dalle sue meditazioni e una voce femminile
che usciva da un microfono lo riporto' di colpo a terra.
porto' una mano davanti agli occhi per ripararsi dalla luce improvvisa che lo aveva
distolto senza preavviso dai suoi pensieri a mezz'aria, ma si riebbe subito dalla
sorpresa.
era uno di quei bateaux mouches carichi di turisti che solcavano voracemente il corso
della senna, su e giu', giu' e su, con i suoi potenti faretti che illuminavano a giorno le
mura degli edifici prospicienti la senna mentre una voce piatta ripeteva le solite nozioni
turistiche, alla vostra destra..., alla vostra sinistra...
marco si giro' di scatto, dando le spalle al battello e alle curiosita' di
centinaia di occhi, e si diresse verso pont neuf con la voglia di iniziare a scoprire
qualcosa della parigi notturna.
una volta sul ponte si fermo' un attimo a rimirare dall'alto i battelli che transitavano
lenti e costanti, ed ebbe l'impressione che le luci fossero ancora piu' forti di quanto
gli fosse sembrato solo pochi attimi prima.
fasci luminosi che rimbalzavano sui muri della concergerie e venivano
rilanciati verso il cielo, creando un alone di luce probabilmente visibile anche dalle vie
interne li' a fianco.
raccolse le idee, le fece passare una ad una di fronte ai suoi occhi e
scelse.
voleva avere una visione d'insieme della citta', definire nella sua mente l'esatta
posizione dei monumenti, delle vie principali e di tutto quello che ora gli appariva
conosciuto da sempre ma che in realta' non aveva mai visto prima.
estrasse dalla tasca dei pantaloni una cartina che aveva trovato nella hall del suo hotel
e cerco' i cosiddetti "punti panoramici".
decise: tour montparnasse.
l'idea era stata appena approvata all'unanimita' dalle cellule cerebrali che gia' le gambe
puntavano la stazione metro' piu' vicina.
era un modello di coordinazione, marco, in quei casi.
sembrava che le gambe fossero ansiose almeno quanto il cervello di scoprire questa citta',
che i piedi fossero trepidanti all'idea di calpestare nuove terre, di sentire il calore
dell'asfalto, delle piastrelle, ancora li' trattenuto a fine giornata.
e cosi' anima e corpo si trovarono ai piedi di questa tour montparnasse, che altro non era
che un grattacielo alto piu' di 300 mt con una terrazza panoramica da cui affacciarsi.
era una zona moderna, con altri palazzi alti, alti, con uffici ed insegne
luminose a ricordarne la proprieta', e non c'era una grande vita.
si guardo' di nuovo attorno e vide le saracinesche abbassate di un grande magazzino che
aveva gia' notato nel centro, poi qualche locale e qualche cinema nei pressi della
stazione della metropolitana, per il resto solo altre persone che sicuramente erano li'
per il suo stesso motivo.
s'incammino lungo l'entrata, sorrideva un po' a tutti ed avrebbe scambiato volentieri due
parole con qualcuno della fila, un po' perche' non parlava dalla sera prima quando saluto'
jorge e un po' perche' curioso di misurare il suo grado di apprendimento del francese al
di fuori delle frasette preconfezionate salvavita e riduci-fame.
la porta dell'ascensore s'apri e venne fatto accomodare con un gruppo di ragazzi italiani;
fece di tutto per non far capire di esserlo anche lui, si mise sotto il braccio la copia
di liberation che aveva preso all'aereoporto in italia prima di salire sull'aereo e cerco'
di coprire lo zaino invicta che piu' di una volta lo aveva smascherato.
con l'espressione di chi non capiva niente segui' i discorsi dei suoi
compagni di salita e dopo pochi secondi il campanello risolse l'imbarazzo e le porte si
aprirono.
un cenno di capo e via, verso le scale che conducevano alla terrazza.
non volle neanche guardare dalle ampie finestre per non guastarsi la
sorpresa, non volle anteprime.
sali gli scalini intravendo un pezzo di notte nel cielo, trattenne il fiato
e si sporse dalle mura della terrazza.
parigi era li', tutta davanti a lui, e lui avrebbe voluto urlare quanto
quello che vedeva fosse fantastico, aveva la smania di dire a chi gli stava accanto "ehi,
ma ti rendi conto quanto e' bello tutto cio'!!!", invece stette in silenzio e si
commosse.
erano i grandi spazi aperti a commuoverlo, la sensazione di scoprirsi
piccolo e non potere raggiungere i confini davanti a lui, la meraviglia
della natura e i misteri irrisolti, il cielo sopra di lui, le stelle, il
mare, quante lacrime a sporgersi dagli occhi senza cadere, a rimanere li' per rifluire in
quale punto del suo corpo...
parigi si specchiava nel cielo e il cielo faceva altrettanto.
osservo' tutto per minuti e minuti ancora, cambiava lato di visuale,
rivedeva tutti i monumenti illuminati e ne capiva le distanze. la tour
eiffel di fronte a lui, il curvo letto della senna, la lunga retta che
partiva dal louvre ed arrivava fino alla defense con una linearita'
impressionante, la collina di montmartre e laggiu' in fondo sulla destra
piazza della bastiglia vicina al suo hotel.
si appoggio' con i gomiti sul muro e con le mani sorresse il mento, e rimase cosi' un buon
quarto d'ora con la consapevolezza che quella sarebbe stata l'immagine piu' forte che
parigi avrebbe potuto regalargli.
penso a quali parole affidarsi per descrivere un domani quello che stava vedendo,
aggettivi, sostantivi, avverbi o iperboli, metafore, ma tutto sembrava limitativo ed
incompleto.
si ripromise che a tutte le persone che gli avessero chiesto la cosa da vedere per prima
di parigi lui avrebbe risposto cosi': la terrazza di tour montparnasse di sera.
e' probabile che chi avesse guardato dritto negli occhi di marco quella
sera, avrebbe rivisto quel panorama impresso nelle pupille, un po' come quando spegni uno
schermo di colpo e rivedi l'ultima immagine ancora
impressa seppure in dissolvenza. |