Sabrina Marconvivo a venezia, ho 30 anni e non mi piacciono le maiuscole. da qualche tempo butto delle parole sulla carta e nasce qualcosa. quello che vi propongo è un esempio...breve per fortuna. grazie per l'attenzione. se volete qualcosa di più "ampio"...mandati un segnale... | IL FANTASMA
Arrivai a Venezia il
pomeriggio del 5 gennaio. Io, "una valigia carica di perplessità", un filo di
speranza di smettere di respirare e una matassa di voglia di non mollare. Come inizio non
fu male e con il seguito ebbi tutto lincoraggiamento possibile da
da chi?
Nellarco di poche settimane, la mia esistenza abbattuta sulla linea piatta di un
discutibile encefalogramma, stava riprendendo quota. Giravo quasi sempre di notte. Con il
piacere di farlo, per la prima volta di esserci e sentirmi partecipe di un mondo. Avevo
faticato e mi ero giocata una buona parte di vita per arrivare fino a qui, ma quando mi
sedevo sotto agli archi di Piazza San Marco mi dicevo che ce lavevo fatta. Conoscevo
della gente, la più strana o lontana da me. Alla fine tutti si chiedevano perché perdevo
tempo.
- Hai il mondo in mano, te ne rendi conto? No vero? Avrei potuto fare qualunque cosa, ma non ne avevo voglia. Ero abituata ad ingoiare tutto con la stessa forza: bene, male, dolori, amori o semplici affetti, ma vivevo e per il momento bastava. Non lo posso negare, grazie anche alla costante compagnia di si, di chi? Stavo bene. Molto. Talmente da esserne sconvolta. Non me lo ricordavo più. Respiravo regolarmente, tirando il fiato al punto giusto. La gastrite si era calmata, il sistema nervoso era tornato in pace con il mondo. Avevo esaudito il più grande sogno della mia vita e me lo ricordavo spesso. Non mi sentivo più di passaggio e incominciavo a progettare un fermo di esistenza. I turisti appesantiti mi chiedevano informazioni, che davo regolarmente sbagliate, mi facevano sorridere, anzi quasi tenerezza. Linvidia che procurava il mio nuovo indirizzo lagunare mi riempiva di una gioia cattiva. Ci ero riuscita. Con o senza laiuto di esterni che prima o poi mi avrebbero fatto avere il conto da pagare. Sentivo che dovevo dire grazie a qualcuno, a quellombra senza nome che mi accompagnava e mindicava i nascondigli migliori, sì, a lei certo, ma chi? Ad un certo punto anche il cuore aveva trovato le sue buone sensazioni. Non aveva mai preteso nulla, ma era stato per troppo tempo in una pausa forzata. Qui, e solo qui, aveva ripreso a volare ed era atterato in un posto piccolo e caldo. Ma che prese freddo velocemente. Durò poco, troppo poco per essere dimenticato.
Non ho lasciato indirizzo, nemmeno orme, impronte o segni. Non mi sono fatta trovare scoprendo che è facile perdersi a Venezia. Una calle nasconde un ponte che cela una scala che rende buia un insegna che sfalsa un ombra che ricongiunge ad una calle e infine ad un ponte. Questa era la mia tana, un luogo in cui credevo nessuno potesse farmi male.
E mi dava anche ragione chi? Sono andata via. Non ce la facevo più. Improvvisamente mi sono accorta che avevo bisogno di aria, che i miei bagagli erano troppo pesanti e non riuscivo a trascinarli. Mi rendevo conto di essere stata braccata. Cosa potevo fare? Ritornare alla ricerca di un altro luogo, di un reale, di vie, persone che sgomitano, di confusione e rumore che qui non cera. Mi resi conto di non essere in grado di incidere o cambiare il "sistema" e mi tirai da parte. Avevo parlato per anni senza parlare mai veramente. Viaggiare era diventato il mio unico modo di vivere, quello che conoscevo. Ho continuato così per anni. Avevo accumulato tante di quelle illusioni che non ci vedevo più e avevo smesso di chiedere cose che sembravano impossibili e che desideravo solo io. Attraversavo le città come linterno di una stanza, conoscendole, avendo già dei confini. Parigi era più signora e bacchettona di Londra che era più affaticata e rumorosa di Dublino che mi sembrava più giovane, ma lenta di Madrid che soffriva di caldo e non si spogliava mai come Amsterdam che era più simile ad un puttanaio che ad un posto dove stare, ma era più civile di New York dove al gente moriva davvero per strada, e non era un film. Alla fine mi ritrovavo con quaderni pieni di parole, fotografie anonime e agende coperte di nomi che non ricordavo più. Comunque qualcuno rimaneva, mi aiutava, mi parlava e sospirava con me ma chi? Quel giorno poi, un altro 5 gennaio di secoli dopo, in quella spiaggia bruciata dal sole, nellultimo atollo prima della fine di una qualsiasi esistenza, decisi che era giunto il momento di guardare. Ho scoperto il suo ruolo e visto il volto di chi mi aveva sempre fatto compagnia, mi teneva caldo e preparava le valige. Una massa di ricordi, rancori, rimorsi, biglietti aerei e infiniti traslochi con due braccia e due gambe. Mi sono fermata. Ho aspettato che si voltasse e ho guardato lunica cosa che mi faceva davvero paura e da cui ero sempre fuggita: me stessa. |