Piero Troffa

nato a Roma il 20 giugno 1964  Impegnato da sempre nel sociale, collaboratore x anni di comunità terapeutica nel campo della tossicodipendenza,attualmente animatore e presidente dell' Associazione Animamigrante che si occupa a Roma di immigrazione .A tempo perso scrivo e quando tempo e soldi lo permettono viaggio...

LETTERA DA GUERRERO

Caro fratello,

ti scrivo in un giorno in cui il sole non ha rispetto per niente, fa molto caldo e il silenzio lungo il fiume taglia in due i miei pensieri. Conoscevo già il Messico, ma non la regione di Guerrero, dove tra le spiagge d’Acapulco e Ixtapa, i siti archeologi di Chilpangingo e l’argento di Taxco si estende S.José un paese di mille anime che ogni santo giorno lotta per sopravvivere.

Sono qui da pochi giorni e qualcosa in me sta mutando, al contrario di quello che mi circonda che sembra impassibile al tempo e alle stagioni. Oggi S. José festeggia il suo Santo Patrono e il clima è ovviamente festaiolo. Sono seduto nel patio della casa, avvolto nei miei pensieri che fuggono veloci come lucertole. Siamo in molti qui, la casa è grande con ampi spazi, ma molto semplice, non vi sono né porte né finestre e questo fa sì che tutti nella notte sono costretti a sopportare il mio terribile ronfare. Sono distante anni luce dalle mie comodità occidentali, ma per la verità non mi mancano, nonostante debba dividere il momento quasi sacrale del bagno con altre venti persone. Ad onor di cronaca avevo escogitato un sistema per risolvere la cosa; fischiavo, in modo che, chi era all’esterno poteva captare la mia presenza, buffo ma efficace. I grilli e le cicale fanno contorno a questa notte dalle mille stelle, il cielo che mi sovrasta sembra ancora più grande e io piccolo uomo, mi sento ancora più inerme.

Questo pomeriggio sono andato a pescare con il mio piccolo amico Hector, sono stato molto bene, divertito dal suo modo di fare e parlare, dalla sua pazienza "India" nello spiegarmi i trucchi della pesca a traino. E’ stato un momento di straordinaria intensità, vedermi lì dove ho sempre sognato, accompagnato dai canti delle donne che fanno il bucato sulle rive del fiume. Le osservo e non posso fare a meno di notare i loro capelli color petrolio, forti come arbusti e luminosi come lanterne, i loro visi segnati che non danno adito a nessun tipo di constatazione anagrafica, le loro braccia forti abituate a sopportare croci maledettamente pesanti. Accanto, hanno i loro figli più piccoli, belli come il sole ed espressivi come maschere veneziane, si rincorrono, sguazzano e urlano ed è meraviglioso guardarli mentre giocano. Per la verità non sono molto socievoli con gli estranei, almeno in un primo momento s’imbarazzano. Nei loro modi di fare c’è la riservatezza e se vuoi la tristezza di questa gente, nei loro occhi la fierezza e la forza di questo popolo.Ho vissuto con loro in questi giorni, sguazzando nel rio tra frutta marcia e rifiuti e per un istante, lungo come una vita mi sono sentito uno di loro. I nostri sguardi s’incrociavano spesso e dopo poco tempo ci siamo salutati e parlati. Con il mio fare goffo, e per questo divertente, ho rapito la loro sincerità e la loro attenzione. Con i bambini ho sempre avuto un bellissimo rapporto, con loro mi trovo a meraviglia, non ho problemi di lingua perché parlano in maniera semplice e innocente e poco importa se sono divorato dai moschitos, vivo la felicità di camminare a piedi scalzi e mezzo nudo, con i loro sorrisi che m’inseguono.

Torno a casa per il pranzo, anzi, per mangiare, poiché qui non esiste un vero e proprio orario; in questi giorni non ho fatto altro che alimentarmi con pollo e fagioli, con uova e tortillas, pane fatto con farina di mais e calce viva simile alla piadina nostrana. Come vedi è un pasto umile e povero, niente a che vedere con le nostre abbuffate, di fatto, cibo per sopravvivere, sì, perché in quest’angolo di mondo, di cui molti ignorano l’esistenza, non si vive, si sopravvive. Eppure loro sono qui a dividere con me il loro pasto, felici di donarmelo e desiderosi di sapere se sia di mio gradimento.

Quando cala la sera il piccolo Hector m’invita ad andare di nuovo a pescare, mi mostra i suoi ami per le carpe e la sua fionda per le iguane, mi spiega quali siano i pesci da mangiare e quelli che non sono buoni. In pochi giorni ho instaurato un bellissimo rapporto con il mio piccolo amico, con il suo esile fisico lo vedo dimenarsi tra le fatiche quotidiane, avrei quasi voglia di abbracciarlo con tutto l’affetto possibile, lo vorrei stringere con un forte senso di protezione, affinché niente e nessuno possa danneggiarlo. Qui a dodici anni non si è più dei bambini, l’ho notato dal comportamento delle madri, che con i piccolissimi sono protettive e molto affettuose, ma come crescono pretendono da loro un comportamento da uomini. La maggioranza dei padri-mariti se ne sono andati, per lo più negli Stati Uniti in cerca di fortuna. Hector aveva due anni quando è stato abbandonato dal padre, sono dieci anni che non lo vede, e sa poco di lui; è la storia di moltissimi bambini sparsi in tutto il continente e mentre lui lo aspetta, io schiumo di rabbia.

Nella notte ci spostiamo nello "zocalo", il punto di ritrovo di tutti i paesi e le città messicane. L’aria è gradevole e allegra, le bancarelle colorate e la musica incalzante. Almeno una volta l’anno ci si dimentica di tutti i problemi e le necessità, giostre di altri tempi evocano epoche e uomini lontani, i bambini che se lo possono permettere impazziscono di gioia, i giochi pirotecnici disegnano il cielo e i nostri occhi brillano di luce colorata. C’è l’albero della cuccagna, le risse tra ubriachi, i danzatori e perfino i mimi, ci sono io che attiro l’attenzione per il fatto di essere l’unico straniero in giro, qualcuno incuriosito mi domanda se sono un gringos, un americano, io risentitissimo nego e va a finire che divento orgoglioso di essere italiano. Le strade non sono asfaltate e la polvere mi ingolfa la gola, bevo acqua di tamarindo e va meglio, mangio "enciladas" piccantissime e va peggio che mai. Pian piano si attenua la musica e si addormentano i primi bimbi, sulle strade terrose i cani abbaiano ad ombre barcollanti, le luci si spengono ad una ad una, mi stendo sul letto e come tetto ho le stelle, i miei pensieri vanno in mille direzioni mentre gli uccelli notturni mi tengono compagnia, Hector si è già addormentato: buona notte!

I galli cominciano a cantare presto da queste parti, infatti, alle prime luci mi sono svegliato. La casa era già in movimento, mi sono alzato ho dato il buon giorno, e con naturalezza sono andato in bagno, lavaggio denti, barba senza specchio e la notizia che saremmo andati in paese a fare spesa. Arselia è un paesotto leggermente più grande di S. José, è abbastanza vivo, se non altro per il fatto di avere il mercato, la stazione degli autobus, il telefono pubblico e anche un hotel per accogliere il viaggiatore occasionale. La mamma coordina tutte le operazioni, io cerco di essere utile in qualche modo destreggiandomi con fatica tra il caos del mercato, come sempre, colorato e rumoroso. Qualche arancia, due polli vivi, pomodori e ovviamente tortillas sono i nostri acquisti; li carichiamo su un pulmino adibito a taxi e torniamo a casa. Mentre torno il vento caldo e asfissiante mi sbatte in faccia, osservo tutto ciò che mi circonda, vedo Hector cincischiare con la sua nuova fionda, vedo la mamma con i suoi segni profondi di donna forte, gli occhi neri e tristi, il suo grembiule liso e i suoi monili, ultimo tocco di vanità femminile concessale dalla vita. Infine osservo Aldo, il bambino, il ragazzo, l’uomo, il capofamiglia, è lui il punto di riferimento maschile che si fa carico di molte necessità familiari. Lui vive a Città del Messico, è fuggito via da questo posto, portandosi dietro tre fratelli più piccoli, che educa, veste e nutre, alleviando la madre di un fardello pesante, si è ribellato a questo "modus vivendi", fatto di ripetitività, povertà estrema, di polli e fagioli, di tequila per dimenticare e speranze da coltivare. Ha solo ventiquattro anni e una grande passione: il ballo; dando lezioni ha la possibilità di vivere e provvedere ai fratelli più piccoli. Il suo è un grande sogno, fatto di doppi passi e toupé, di flamenco e neo classica, danza sulle punte immaginando di non essere lì, danza sulle nuvole e nel vento, una giravolta e poi ancora un’altra, allarga le braccia accarezzando il vuoto con gestualità antica, come un trapezista si inarca su se stesso fino a sentire il contatto con il proprio corpo; è l’enfasi, è il sogno che svanisce e la dura realtà che riemerge.

Caro fratello, come ti dicevo qui è tutto magico.

Quando la notte ci rapisce ho la sensazione di entrare in un altro mondo, cammino su di un improbabile ponte di legno, sotto un cielo che non è stellato, è molto di più. I pensieri si fanno veloci e meno razionali, mi immagino e mi trovo diverso, vivo un sogno e ho paura di svegliarmi, accendo un fuoco per illuminarmi e mi metto a giocare con le ombre e i bagliori. Vedo una stella cadente e mi emoziono, tiro a sorte un desiderio che non può essere che uno! Le forme e i colori della luce riflessa sul fiume, il movimento eterogeneo dell’acqua, le cicale e il vento nei canneti mi avvolgono scalfendo la mia umana paura.

Quante volte ho immaginato di essere qui, quante volte ho desiderato fortemente di vivere qui, fantasie che mi attanagliano la mente ogni qualvolta mi rimetto in viaggio, desidéri che risorgono dal profondo del cuore ogni volta che riprendo il mio piccolo bagaglio. La magia di un viaggio sta nel viverlo intensamente: il sole, il mare, il cocco, le belle ragazze, le comodità, l’automobile, i locali da ballo sono una componente per un certo tipo di vacanza, ma il viaggio è un’altra cosa, non è ferie e non è vacanza; il viaggio è il consolidamento di un pensiero, di un’idea, è ricerca e conoscenza, è esperienza e approfondimento, è sudore e paura, è gioia e recriminazione. Il viaggio è sete di radici, di tradizioni, è un cammino al fianco della storia e della vita di un popolo. Quando rimani solo, accarezzato dal vento e violentato dal sole, quando le mani tese dei bambini ti toccano il cuore, quando ti viene offerto un frutto, quando nel silenzio ascolti il suono della tua anima, quando le stelle ti sfiorano la testa e ti conducono verso nord, quando parlare è comunicare, quando ascoltare è condividere, quando vivere diventa indispensabile, ti incontri con te stesso.

Le giornate caro fratello passano in fretta, tra qualche giorno mi sposterò e vivrò altre storie che solo al pensiero mi stimolano da morire. Non è la prima volta che viaggio da solo, molti mi hanno preso per svitato, altri hanno tentato di capirmi. Più o meno tutti sogniamo di partire, tutti almeno una volta abbiamo sperato che il sogno si avverasse immaginando rotte fantastiche. Ci sono delle cose per cui vale la pena spingersi oltre, sogni da realizzare con un poco di buona volontà, io ho deciso che voglio guidare i miei, fin dove è possibile. Pilota del presente e del futuro, sognatore ma non ingenuo, stralunato ma non cretino, forse superficiale ma non irresponsabile. Adoro sbalordire me stesso!!! Vivo a mille perché a cento non ne sarei capace, ho bisogno di sentirmi vivo perché mezzo morto non servo a niente, ho bisogno di sentirmi protagonista della mia vita perché se così non fosse mi sentirei d’ingombro.

Non posso mandarti cartoline da questo posto, primo: perché non c’è l’ufficio postale, secondo: perché non c’è niente che possa essere fotografato, tranne i volti di questa gente. Gli occhi del cielo ci guardano e noi guardiamo il cielo per scrutare un segno anche piccolo, che possa indicarci la strada, che ci dica se pioverà domani, che possa rispondere alle nostre domande e mentre le nuvole ballano in una danza senza parole, rimango ad osservarle senza fiato.

Questa mattina è Juanito che mi dà il buongiorno, lui ha sei anni ed è il cugino di Hector, mi chiede se posso portarlo al "rio" a fare un bagno; faccio colazione con una zuppa di fagioli e dopo essermi lavato; Andiamo. Ad aspettarci al fiume ci sono Eric, Hector e gli altri, ormai è diventata consuetudine ritrovarci. Aldo mi sorride, aveva un gran timore di mostrarmi questa realtà, secondo me si vergognava, in ogni caso ha insistito che venissi e conoscessi la sua famiglia, ora è felice perché mi vede felice. Juanito piange, ha paura dell’acqua alta e degli scherzi degli altri, cerco di tranquillizzarlo lo prendo in braccio e vorrei essere suo padre, lo metto sulle mie spalle e piano piano ci caliamo nel fiume, ora sorride e sberleffa i suoi compagni perché si sente protetto da me…… anche lui aspetta un padre.

Ho il cuore triste perché sta arrivando il tempo di salutare, avrei voluto che questo momento non fosse mai giunto, sono confuso e non riesco a godermi questi ultimi istanti. Mentre preparo le mie cose mi viene incontro Hector, mi guarda con i suoi grandi occhi lucidi e mi dice: "tu vuoi essere un mio amico oppure mio zio?". Rimango esterrefatto in un misto di stupore e gioia, mi vergogno un poco e quindi gli rispondo con un’altra domanda: "tu cosa preferisci?" lui m’incalza e mi rimanda di nuovo la scelta, orgogliosamente rispondo che preferirei essere suo zio, nel suo sguardo leggo la soddisfazione e ora i suoi occhi brillano ancora di più.

Quando prendo l’autobus che mi porta lontano da qui, ho gli occhi gonfi e lucidi, mi volto continuamente e nervosamente alla ricerca di uno sguardo, un gesto, di una mano tesa. Tra le colline brulle e i cactus dove ancora oggi sembrano aleggiare i fantasmi di Emiliano Zapata, di Pancho Villa e di "tierra y libertad", vado a ritroso nel tempo rivivendo in maniera fotografica istanti di vita quotidiana, chiudo gli occhi e vorrei saper volare per leggere l’infinito, per alzarmi da dove tutto è veloce e programmato e giungere là, dove il vento sussurra grandi storie. Vedi caro fratello ora siamo così lontani eppure ti sento vicino, vorrei averti al mio fianco per condividere questo senso di nostalgia che m’imprigiona la mente, vorrei che fossi qui per ascoltare il suono che si spande lungo le strade terrose di Guerrero, vorrei dividere con te il sogno che si fa realtà, sono triste ma in ogni caso felice perché il viaggio non è finito, mi sto già organizzando….Allacciate le cinture…Si parte !