Marco Scaldini

insegnante, pubblica racconti pulp su riviste e antologie (per Stampa Alternativa: Cuore di Pulp e Bambini Assassini)

HEMINGWAY

"Che v’hanno fatto, che v’hanno fatto, postino?"
domandò la Biagiotta, che a sentir dire male del prossimo
ci stava con più devozione che alla messa cantata.
Renato Fucini La fatta

Hemingway sedeva nella stazione battendo sui tasti del suo computer portatile. Nonostante fosse la sala di attesa di prima classe non era riscaldata e dopo dieci minuti, all’ennesimo annuncio di ritardo del treno decise di andare al caffè. Erano le undici e mezzo di sera e oltre alla barista dietro il bancone c’era solo un altro avventore, seduto con le spalle all’ingresso. Nessuno dei due si voltò in direzione di Hemingway.

"Un caffè lungo in tazza grande." Era il modo per bere di più spendendo meno. Se si era abbastanza in gamba si poteva riuscire a farselo correggere con un po’ di rum dopo aver già pagato.

La barista era una discreta fica e Hemingway la squadrò per bene mentre lei gli preparava il caffè.

"Non ci pensare neanche -disse ad alta voce alle sue spalle l’uomo seduto- non se la può certo permettere chi beve un caffè lungo. E’ una bella topa e vale i soldi che chiede, ma ne vuole molti."

"Peccato -disse fra sé Hemingway- con questo freddo una strusciata anche veloce..." poi guardò interrogativamente la barista, che gli indicò con le dita della mano il numero di bigliettoni necessari.

Pagò il caffè e uscì. Gli faceva male doverla guardare sapendo di non poter combinarci niente. Adesso ci mancava soltanto che gli facessero la multa per trovarsi nella sala d’attesa di prima classe con il biglietto di seconda o che, una volta arrivato in albergo, venissero a sequestrargli il computer perché non pagava le rate.

Cazzo! aveva pure pestato una merda.

E dire che quell’anno era cominciato bene. Finalmente ce l’aveva fatta a trombarsi tutte e due le sorelle Mainardi; soprattutto la seconda, visto che la maggiore era stata sua moglie per dieci anni. Quella stronzetta della più giovane non ne aveva voluto sapere finché la sorella era stata in vita. Fedele al marito non lo era, figuriamoci, ma le scocciava, diceva, metter corna proprio a sua sorella, per cui più di qualche sega di sfuggita ai pranzi di famiglia a Hemingway non era mai riuscito di ottenere. Ma quando quel benedetto incidente stradale lo aveva reso vedovo, già il giorno successivo al funerale aveva potuto ingropparsela. Che troia, dio santo, che troia! Nei mesi seguenti lo aveva letteralmente fatto impazzire: le piaceva tutto, sembrava non avere alcun limite. Andava fuori di testa in particolare per i trans, quelli non operati.

Partivano insieme per reclutarne uno sui viali e poi lo convincevano a venire a scopare nell’ufficio del marito di lei (diceva che le dava più gusto farlo becco dove lui lavorava). Se ne avevano tiravano su un po’ di coca, poi faceva inculare il trans da Hemingway mentre lei davanti lo spompinava. Una volta che era riuscita a farglielo venire duro la prendevano contemporaneamente, uno davanti e l’altro dietro, scambiandosi più volte i ruoli.

Poi il marito li aveva scoperti. Ovviamente. Nel modo più banale: si era scordato in ufficio un documento sul quale doveva lavorare a casa.

Entrò proprio mentre Rosie stava pisciando sul cazzo del travestito, unico modo per farglielo ancora venire duro, diceva lui, che nel frattempo era impegnato a leccare il buco del culo di Hemingway. Tanto per dare un’idea di suo cognato: la domenica mattina, quando i testimoni di Geova gli suonano alla porta lui li fà accomodare in casa, offre loro il tè e si adopera per convincerli a tornare in seno alla chiesa cattolica. A vedere la sua reazione iniziale Hemingway non poté fare a mano di scoppiare a ridere; il marito infatti si stropicciò gli occhi come un disegno animato, incapace di credere a quello che stava vedendo, senza parole e senza fiato. Hemingway rise meno però quando Rosie annaffiò il trans e lui di merda: a vedere il marito se l’era letteralmente fatta addosso. Infatti Geolco (che nome del cazzo!) era pieno di soldi e non era facile trovare un altro coglione simile disposto a mantenere una troia come Rosie nel lusso.

L’unico a rimetterci in tutta quella faccenda fu Hemingway. Rosie riuscì a rabbonire Geolco (che non per niente era un coglione) e a farsi perdonare; lo indusse anche a licenziare Hemingway, che per l’appunto aveva trovato in suo cognato l’unica persona disposta a dargli uno stipendio. Il trans invece si beccò una grossa cifra per tacere in saecula saeculorum.

La prima volta che Hemingway provò di nuovo ad approcciare Rosie si prese una ginocchiata nei coglioni.

Finì che dovette rimettersi a scrivere per cercare di guadagnare qualche cosa. Ma ora gli editori non accettavano più i suoi dattiloscritti sgualciti e pieni di correzioni e fu costretto ad acquistare un computer. Portatile, visto che già lo avevano scacciato dall’appartamento in affitto e girava da una pensioncina infame all’altra.

Il treno arrivò privo di riscaldamento, guasto in modo irreparabile dicevano i controllori. Hemingway scese alla stazione successiva, dove prese un taxi e si fece portare vicino a casa sua. Scese senza pagare, picchiò l’autista che cercava di fermarlo e, insperatamente stesolo con un bel montante destro, gli rubò anche l’incasso. "Tanto è un immigrato slavo - si disse - nel peggiore dei casi la compagnia lo licenzia e deve tornarsene a casa. Uno di meno."

Non c’era un granché, ma considerò lo stesso l’idea di raccattare qualche puttana. Poi la stanchezza ebbe la meglio e andò a letto.

***

Pochi giorni dopo fece penzolare per le gambe da una finestra del decimo piano il direttore editoriale di una importante casa editrice che gli aveva appena respinto un romanzo. Condannato a un anno e mezzo, in carcere gli piaceva raccontare di averlo fatto apposta per poter avere materiale per futuri racconti.