Massimiliano Di Lorenzo

Napoletano. Classe 71. Non partecipo a concorsi e premi letterari perché detesto che qualsiasi espressione d’arte si giudichi in base a "regole agonistiche." In questi patetici ritrovi si scrive l’uno contro l’altro sperando di prevalere, come gatti per una lisca di pesce, per vedere riconosciuto il proprio vagheggiato talento davanti ad amici e parenti che solo per sanguigna appartenenza t’applaudono. Credo nel valore della scrittura come strumento di libertà intellettuale e di confronto sociale. Il monologo "LA PAROLA DELLA PELLE BIANCA" descrive con velata ironia un ipotetico discorso di un nazionalsocialista nei nostri giorni. Ho una visione trascendentale dell’arte come mezzo per approdare ad attributi mentali lontani dal proprio essere, sull’onda di una piena e incondizionata immedesimazione, conducendo quindi per mezzo dell’impulso emotivo, ad una più chiara e precisa presa di posizione, cosciente e individuale, libera da influenze politiche, culturali e sociali. Per non morire scrivo monologhi comici per cabarettisti locali.

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LA PAROLA DELLA PELLE BIANCA

Ci siamo fatti fottere dai negri. Gironzolano per strada con le loro camiciole a fantasia e il pantalone bianco, sporchi di 2 o 3 giorni. Si guardano intorno, parlano, ridono, discutono, con il loro linguaggio sordo di vocali; si sentono belli terminata la giornata di lavoro e vorrebbero scoparsi un' italiana. Spavaldi si siedono ai tavolini del bar e bevono un boccale di birra e con le loro labbra doppie c'infettano i bicchieri. Altri chiedono ai passanti qualche spicciolo e comprano del vino che bevono per strada lasciando i vuoti davanti alle saracinesche chiuse dei negozi. Si salutano battendosi il palmo della mano e si dicono, bravo fratello, anche tu qui! Io pure, sai, ho cominciato vendendo fazzoletti ed accendini, ma poi farai strada, vedrai. Uno in più qui, a far parte di quel mosaico occulto che ci stanno costruendo sotto ai piedi: consapevoli del loro progetto finale. Una volta giunti qui dicono, io voglio lavorare, okay amico, io voglio solo lavorare, prendendo in prestito come passaporto le solite locuzioni americane. Quando va bene li troviamo piegati nei campi di raccolta pomodori o a sistemare uno scaffale di un supermarket. Rubano qualche secondo all' orario di lavoro fingendo di stiracchiarsi le spalle per la fatica, e intanto un altro giorno sta passando e le cose continuano a cambiare. Le loro donne poggiate al palo della luce alle due del mattino, coi loro culi alti come antenne, ridenti si prostituiscono ai nostri figli traendo piacere e nobiltà dalla pulizia della pelle bianca; da quei clienti scellerati che per gioco o per noia concedono il frutto del loro sesso a quelle sagome grottesche ed irritanti. E proprio loro, questi ragazzi che un giorno diventeranno uomini, e onesti e validi impiegati, si vedranno costretti a correre dietro al direttore delle poste, il gran negro prioritario, per i corridoi dei piani alti; e il verme, grasso e impacciato, nella sua buffa andatura da gorilla affannato, depositario di chissà quali truffe e clientelismi al cioccolato ,gli negherà il diritto ad accedere allo scaffale in cui sono conservati i modelli per le assunzioni dei loro figli senza lavoro; e poi dirà: "Non ora, non ho dembo!" E intanto loro, stanchi di pregare lo inseguiranno da un ufficio all'altro, promettendogli a Natale una foto di Martin Luther King e un elefantino a dondolo per la figlioletta. E di questi sporchi scimmioni, i figli verranno chiusi a chiave in una stanza a studiare, speranzosi di decantare in loro la protervia che li renderà più grandi, e diventeranno dottori e giudici, e linguacciuti politici, e ci metteranno in fila, completamente nudi, nel corridoio di un ambulatorio medico, a noi anziani derelitti ad attendere il nostro turno, e col mandingo infermiere che osserva e deride i nostri ventri disformi e i volti logorati dal benessere perduto, e sui nostri rilievi sessuali farà un compiaciuto confronto di razza. E poi noi stessi saremo costretti a sborsare il denaro delle nostre magre pensioni, per farci difendere dal più bravo di questi lerci avvocati africani per uno schiaffo mollato a uno di quei piccoli rompiscatole affumicati che ci correranno intorno nel parco, e che giocheranno con le nostre nipotine bianche, a cui tireranno la gonna per strofinarsi il naso.

E si ergeranno a giudici, queste scimmie in tonaca, e col martello sentenzieranno sei anni di carcere e una multa impagabile per un "inaudito episodio di intollerabile razzismo." Articolo 1; "l'Italia è una repubblica sfondata dal razzismo." Si leggerà sulla prima pagina della nuova costituzione sinistro - negroide della ex nazione italiana che elaboreranno insieme con i comunisti, loro turpi confratelli; "Faremo di tutto per combattere questa vergogna!" reciterà il secondo comma.

E poi li troveremo in piazza a sfilare e a ballare, quando celebreranno i tempi in cui s'infilavano anelli ed ossa acuite nei lobi e nelle narici, e con estasi spalancheranno quei raccapriccianti bulbi oculari contorcendosi fra loro come lucertole addentate fra le fauci di un gatto, e il sindaco, sudato e con gli occhiali da 1,3 diottrie, affaticandosi tirerà giù il velo dal monumento della fratellanza tra gli uomini. "Tornatevene a casa!" Urlerà qualche cittadino di buon senso, ma al suo viscerale grido di libertà risponderanno Chiesa, comunisti e capitalisti: siamo tutti figli di Dio, adesso; ma non vi avevamo uccisi tutti nel quarantacinque? Ci servono nuovi manovali per l'industria. Eccoli i nuovi schiavi che diventeranno personaggi e interpreti della nuova plutocrazia mondiale, riempendo sacrestie, fabbriche e sindacati.

E di questa nostra terra, quando saremo la minoranza pura, diventeranno i padroni, e ci danzeranno sopra, e ci lanceranno sul viso la neve delle nostre Alpi. Berranno ai fiumi delle nostre colline, e si sforzeranno di comprendere il significato spirituale delle nostre arti e dei nostri storici monumenti; un negrone che volterà il capo intorno alla cornice per capire da quale punto osservare la Venere del Botticelli, fin quando stufi di lambiccarsi il cervello, getteranno tutto in fondo al mare della nostra amata penisola, che loro chiameranno Idalia, colonia d'Africa, e poi diranno fuori i bianchi dall'Idalia; e ci collocheranno in plotoni schierati per il grande saluto, davanti ai loro capi, in attesa del momento solenne, quando alle dodici di un disperato giorno, per la prima volta isseranno la loro bandiera: verde, bianca e verde, con al centro un casco di banane.