Barbara Fattorelli

Amo scrivere dall'età di dieci anni. Ho scritto molti racconti, per lo più a sfondi rosa-fantasy anche se non rientra proprio nel genere fantastico quello che scrivo. Il mio sogno è di diventare un giorno una scrittrice. Poter dare agli altri le emozioni che provo io quando batto le dita sulla tastiera entrando in quel piccolo e immenso mondo in cui vivo le mie storie.

IL TOCCO DI UN ANGELO

Era l’alba. I primi raggi del sole illuminavano la stanza lasciando penetrare un po’ di calore in quella grigia mattina d’inverno. Sara si era appena alzata e non aveva per nulla voglia di uscire. Si sentiva stremata. Quella sua impossibilità di fare le cose più semplici, quel dolore che le bruciava nel petto fino a farle male. Alzandosi di mala voglia, si preparò il latte. Odiava berlo bianco ma non riusciva a trovare il caffè, evidentemente sua madre si era dimenticata di comprarlo. I suoi erano già usciti per andare a lavoro. Lei era rimasta sola in quella casa troppo grande.

Sotto la doccia lasciò scorrere l’acqua calda sul corpo, la pelle diventata morbida, profumata, senza peso. Sentiva i pensieri abbandonarla, alleggerirle quel fardello di dolore troppo pesante per quel suo corpo troppo esile, troppo magro. Quante cose erano successe negli ultimi tempi. Un amore finito, spezzato in mille infiniti pezzi. La morte, orribile che con il suo dolce e tiepido sonno eterno le era passata davanti agli occhi, le aveva strappato tutto quello che amava, in cui credeva, di cui viveva. Quell’afflizione della consapevolezza di non poter mai più giocare. Per uno stupido incidente, per una banalità del destino, la sua carriera e la sua vita erano finite schiacciate da una forza più grande e potente di lei. Qualcosa cui non poteva ribellarsi. Le sembrava che il mondo le fosse caduto addosso. O forse era lei stessa ad esser caduta in fondo ad un precipizio. Sentiva la terra sfracellarsi sotto i suoi piedi, si vedeva cadere in un baratro scuro e profondo dal quale non vedeva via d’uscita. Si sentiva sola. Tremendamente sola. Uscì dalla doccia crogiolandosi nell’asciugamano. Davanti allo specchio si guardava, sordamente, come se si vedesse per la prima volta da tanto tempo. Vedeva quei lineamenti un tempo così dolci e morbidi, esser diventati marcati e longilinei, quei suoi occhi vispi e di un color azzurro, esser ora di un grigio fosco e senza luce.Le sue labbra serrate in una morsa di ghiaccio che non rivelava il minimo sorriso, le rughe sulla fronte testimoni del troppo pianto. Il suo corpo, un tempo muscoloso e agile, era magro, senza quelle "forme" che adorava tanto il suo Mark. Il seno abbondante era in pessimo risalto con un corpo quasi "anoressico" che era diventato ormai. I fianchi ormai spogli e lisci, le gambe lunghe e affusolate non erano più le stesse di una volta.

Effettivamente si rendeva conto che quell’esaurimento nervoso l’aveva portata allo stremo di tutte le sue forze. Era dimagrita parecchio. Non si riconosceva nemmeno più. Mark se fosse ancora con lei l’avrebbe sgridata, l’avrebbe fatta ragionare, l’avrebbe aiutata.

Ma non c’era più. Da un anno ormai. Da quando quel giorno d’inverno la sua moto scivolò sull’asfalto bagnato, da quando per colpa di quel temporale perse la vita lasciandola sola al mondo. Da quando per colpa sua la vita del suo amato era finita...

Si morse le labbra al ricordo del dolore, di quel pugno in pieno stomaco quando ricevette la telefonata dalla madre: "Sara è una disgrazia. Mark ha avuto un incidente... Il nostro Mark non c’è più... Oh, mio Dio! Sara, Mark non c’è più!"

Era colpa sua se quel giorno aveva fatto l’incidente. Era solo colpa sua, del suo carattere, di quella stupida litigata per un nonnulla.

Non doveva finire così, tutti i suoi progetti, tutti i loro sogni... Mark desiderava finire l’università. Era solo al secondo anno. Lei era ancora al quarto liceo. Lui voleva diventare medico, eguagliare suo padre un giorno, diventare primario di chirurgia e realizzare i sogni del defunto.. Quei progetti che gli aveva giurato su letto di morte...

Ma ormai era tutto finito e da molto ormai. Da più di un anno. La madre di Mark in preda alla depressione, era impazzita e il fratello maggiore di Mark l’aveva rinchiusa in una casa di cura per vecchi. Per liberarsene. Lei era l’unica che andava a trovarla e allora parlavano del loro Mark, di tutto quello che era stato e piangevano, l’una nelle braccia dell’altra consolandosi, parlandosi, amandosi. Le uniche rimaste a sopravvivere in quel mondo che ormai non le apparteneva più. Accasciata al lavandino le lacrime le scorrevano veloci sulle gote rosse senza che potesse fermarle. I capelli bagnati e ricci le ricadevano sulle spalle come un manto. Era disperata. Era sola. Quando sarebbe passato tutto quel dolore che l’affliggeva? Sapeva, sentiva che qualcuno l’aiutava, che qualcuno esisteva e le dava una mano... Doveva esistere. Doveva...

Inaspettatamente un tepore le invase il corpo. Una sensazione di calore inaspettato, dolce. Come un’invisibile ala che l’avvolgeva in un abbraccio forte, protettivo, misterioso. Sentiva la calma invaderle le membra. Un respiro sulla pelle, quasi impercettibile la fece rabbrividire. Chi era? Cos’era quella strana sensazione che provava, che sentiva sulla pelle... Chiuse gli occhi lasciandosi andare.

Ascoltava il silenzio. Sentiva la presenza di qualcuno accanto a lei che la stringeva, la cullava, la proteggeva. Istintivamente abbracciò l’aria, strinse le braccia intorno al vuoto consistente al suo fianco, quel vuoto così caldo e così tangibile che il cuore prese a batterle forte nel petto.

Davanti agli occhi tutto il suo dolore, tutte le immagini che prepotentemente cercava di dimenticare da mesi. Sentiva quel sordo dolore dentro di lei rimbombarle nelle orecchie. Si immerse in quell’abbraccio, si attaccò con tutta la sua volontà per risalire a galla. Quella sensazione la devastava, sentiva perdere ogni forza, sentiva la pelle infuocarsi al contatto con quell’invisibile forza, con quel tocco innaturale e dolce che la stava tenendo, la riportava in vita lentamente.

Qualcuno, sentiva il contatto con la sua pelle, sentiva nel cuore la sua voce. Una voce dolce, passionale, che la chiamava, la cercava. Come lei stava cercando lui.

Sentì il suo cuore, il suo battere accelerato farsi sempre più vicino, raggiungendola, penetrandole nell’anima, nella mente.

Era confusa, stremata. Aprì gli occhi e una luce accecante l’avvolse, rubò i suoi sensi. Nel bagliore tiepido, in quell’abbraccio soffuso e incoerente lo vedeva... La sua pelle bianca, il suo viso bellissimo, dai lineamenti marcati...

Sentiva quella forza attirarla sempre di più dentro di lui, verso l’infinito... Lo raggiunse. L’aspettava, rannicchiato in quella luce dove tutto aveva inizio e tutto aveva fine... Abbracciò quella luce, si immerse in lui. Vide il suo volto, i suoi occhi neri e i capelli lunghi, scuri come l’ebano. Vedeva il suo corpo, le sue braccia che la chiamavano.

Non ebbe il tempo di chiedersi cosa le stesse accadendo, cosa fosse. Non aveva il tempo di tremare dalla paura. Sentiva che lo cercava da sempre, che si aspettavano dalla notte dei tempi. Era come se le entrasse nel sangue, circolandogli senza lasciarle respiro. Quando le sue mani lo raggiunsero, lo strinsero forte al petto, in quel tocco impercettibile e caldo, sentì la sua anima fondersi con la sua, sentiva il suo sguardo profondo arrivargli al cuore. Sentiva la sofferenza svanire, il dolore tormentoso delle sue notti celarsi dietro un sorriso verso quell’uomo misterioso che la stava rapendo di tutti i suoi sensi, della sua anima, del suo cuore. Quando il tocco delle sue labbra la toccarono inaspettatamente, sentì una scarica elettrica passarle il corpo. Aprì gli occhi spaventata.

Sentiva il freddo sulla pelle, la mancanza di quel tepore che l’aveva abbandonata improvvisamente. Si rialzò a fatica. Sentì un leggero dolore al ginocchio.

Aveva sentito quel calore sulla sua pelle, aveva sentito quel respiro sul suo seno, il tocco...

Quella strana sensazione che provava, il gelo che avvertiva in tutto il corpo. Forse era semplicemente frutto della sua immaginazione, forse voleva credere a tutto questo per uscire da un tunnel di dolore che non le lasciava pace. Eppure quel sentimento, quel qualcosa che non sapeva esprimere ma che cresceva dentro di lei lo sentiva, era vivo nel suo cuore e scalpitava per farsi sentire... Aveva ancora dinanzi agli occhi l’immagine di quel ragazzo... Di quel viso...

"Ok, Sara! Basta così o ti prendono per matta!" Corse in camera avvolta nell’asciugamano e si vestì di fretta. Prese la prima gonna che le capitò sottomano e un maglione bianco... Stranamente quel colore le ricordava qualcosa... Una sensazione, un ricordo... Lontano...

Se solamente Mark potesse vedere le lacrime che ogni giorno versava per lui, se solamente potesse guarirle il cuore come tutte le volte che disperata si rannicchiava nel suo petto...

"Cosa è successo Nithael? Sei pallido come un fantasma... ", "No, non preoccuparti. Non voglio certo fare loro la concorrenza...", "E allora che cosa è successo?".L’uomo si sedette su quel grosso masso di fronte a lui guardando la luce accecante del sole che gli investiva il corpo. "Non so amico mio, non so cosa sia accaduto. So che stavo svolgendo il mio lavoro come sempre. Quando ho sentito la voce calda e profonda del cuore di quella ragazza, che mi chiamava, piena di dolore e disperazione mi sono precipitato da lei... Come sempre Reyl. Ma quando mi sono avvicinato a lei, qualcosa, come un turbine si è preso possesso di me e ci siamo ritrovati abbracciati, ci siamo visti, l’ ho toccata... L’ ho sentita... Un tocco impercettibile, dolce, doloroso. Poi una luce ha come investito i nostri corpi e... E non so spiegarti Ryel. Io... ", "No amico. Un consiglio che ti do. Stai lontano da quella ragazza. Stalle lontano. Non andare più da lei, lascia che qualcun altro allevi il suo dolore e purifichi la sua anima. Ti stai cacciando in un grosso guaio Nithael, un guaio più grosso di te. Se ti risucchia sei finito. Dammi retta amico mio. Segui il mio consiglio."

Nithael lo guardò sparire. Improvvisamente una sensazione che non provava da molto prese a fare capolino nella sua testa. Una sensazione di solitudine, di mancanza. Una parte di lui che aveva un bisogno ardente, inconfondibile... Scosse la testa e si tuffò nell’acqua fredda del ruscello accanto a lui. No. Quella leggenda di cui gli aveva parlato Ryel migliaia di anni fa non poteva veramente essere vera. Non poteva crederlo... Non voleva.

Non poteva abbandonare tutto quello, il suo mondo, tutto quello che era per...

Si ricordava ancora quel lontano giorno. Il giorno in cui per una strana coincidenza si era ritrovato a prendere un taxi, l’autista ubriaco... L’incidente, il coma. Ricordava ancora quell’uomo che gli parlava, mentre cercava di capire dove si trovasse, dove quel senso di disorientamento e quella sensazione di serenità lo stavano portando.Ricordava le parole: "Puoi scegliere di vivere Nithael. Vivere la tua vita, tenere la tua anima, i tuoi ricordi, le sensazioni e scegliere di diventare un angelo delle anime perse. Potrai continuare a fare del bene. Non sarai più medico, non vivrai sulla terra. Ma in un luogo speciale. Non soffrirai più per te solo. Sentirai e porterai pace ai cuori addolorati.

Oppure puoi scegliere di finire di vivere Nithael, di lasciare la tua anima e di tornare nel luogo dove tutto si crea e tutto si fonde, dove luce e oscurità vivono e combattono ogni giorno. Puoi scegliere di tornare alla tua forma originale.

Scegli Nithael. È ora." Non poteva tradire quelle parole di giuramento. Ma sempre di più sentiva la presenza invadente nel suo cuore di quella ragazza, di quel tocco, di quel viso che sembravano essersi impressi nella sua testa. In pochi secondi, in quella luce, aveva bevuto la sua essenza, aveva assaporato il sapore delle sue labbra, il dolce suono del suo cuore. Voleva vederla, toccarla anche solo per una volta.

Una sola volta.. Aveva scelto di vivere per una volta. Quel giorno aveva perso la moglie e il figlio in una rapina alla banca. Si erano trovati li per caso. Lui, prestigioso medico del "Daily Hospital" di New York, stava raggiungendo le salme dei suoi cari all’obitorio. Accompagnato dal suo migliore amico prese il taxi... Quel taxi che non arrivò mai a destinazione. George si era salvato. Questa era l’unica cosa che gli avevano detto.

Quando gli imposero quella scelta, dimenticò tutto il suo dolore e tutti i suoi ricordi per diventare l’angelo delle anime perse. Non ricordava nulla della sua vita sulla terra, quella reale. O quella che non esiste. Perché lui stava ancora vivendo. A volte si trovava a riflettere su quale delle due vite fosse quella vera...

L’unica cosa che gli era stato concesso di ricordare erano le informazioni basilari per poter raccontare ad altri la storia della sua vita. Non sapeva più chi era, quale nome aveva, non sapeva che aspetto avesse, o il nome della moglie e del figlio persi. Non sapeva dove fossero. E non sentiva nessuna emozione nel pensiero del suo passato.

Essere angeli aveva i suoi aspetti positivi e negativi.

Da quel lontano giorno non avrebbe mai creduto di poter provare ancora delle sensazioni simili.

Sapeva che se si fosse realmente trattato della leggenda le cose non sarebbero assolutamente andate bene. Ma sentiva un bisogno disperato di lei e sapeva che lei avvertiva le sue stesse emozioni e che, se lo avesse chiamato una seconda volta, non sarebbe riuscito a dirle di no. Qualunque cosa fosse successa...

Camminando per le vie della città Sara si sentiva strana e stanca. Pochi metri e sarebbe arrivata a scuola. In quell’edificio buio e dai mattoni rossi che dava le sembianze di una casa dei pompieri. Emily la stava raggiungendo come sempre in sella al suo motorino.

"Buongiorno Emy. Tutto bene?", "A me si, ma tu hai talmente una faccia di una stracotta che mi preoccupi sul serio ragazza mia. Che ti è successo? Non dirmi ancora Mark perché non ne posso davvero più di sentirti lagnare sempre... ", Sara rise di gusto e saltò in groppa a "Puppy" attaccandosi forte ad Emy. "No Emy. Tranquilla! Anzi... Sinceramente... " E con aria noncurante guardò in alto sospirando.

"No!!! Dai! Non ci credo... La nostra pupilla ha fatto colpo?! Dai avanti. Sputa il rospo e dimmi chi è il fortunato", Sara rise e le fece notare l’ora. Emy spalancò gli occhi e partendo in quarta raggiunse in pochi secondi il parcheggio della scuola. Sara scese dalla sella con gli occhi che sembravano essere diventati due sfere roteanti. Scuotendosi la testa riprese il senso della realtà. "Ma sei diventata tutta matta?! Vuoi farmi morire?!?", "Dai Sary calmati! Sei ancora viva, no?! Perché scaldarsi? E poi lo sai che sono una centaura di nome e di fatto!", "Si! Sei proprio tutta matta!! Altro che centaura da strapazzo! E adesso muoviamoci o ci tocca fare sei piani a piedi e la prof. strozzapreti ci mette una bella nota come ogni mattina!" Le due si affrettarono su per le scale. Gli ascensori erano stracolmi. Arrivarono in classe ansimanti e senza fiato. Quando entrarono si accinsero a scusarsi senza nemmeno guardarsi intorno.

"Ci scusi prof. ma abbiamo trovato traffico...", "Ma quale prof.?! Se assomiglio alla strozzapreti allora Sharon Stone è identica a me!" Le due si guardarono intorno e sospirarono di sollievo.

Tranquillamente presero posto ai loro banchi in prima fila. Emily si tolse la giacca di pelle. Sara e Pamela la guardarono spalancando la bocca. Strizzarono gli occhi parecchie volte, ma il risultato sembrava essere lo stesso.

Emy portava una minigonna in pelle con spacco laterale nera e un maglione extra-strech che copriva appena il seno, gli stivali ai piedi... "Emy... Stai... Stai molto bene. Davvero. Ma... Ecco... Non ti sembra un po’ esagerato in classe?" Lei rise di gusto. Dalla cartella estrasse una camicia bianca lunga fino ai piedi e la indossò. Allacciò i primi tre bottoni coprendo così l’ombelico.

"Meglio vero? Dite che stavate morendo d’infarto prima!" Pam ridendo le indicò la parte alta del vestito. "Stai benissimo ma la scollatura non l’ hai rimediata. Quella camiciona è scollata forse più del maglione Emy!" Lei alzò le spalle. "Appena usciti da sto’ carcere ho un appuntamento con Mike... Vuoi che non mi faccio bella?", "Si ma di certo così non pretendere che non ti salti addosso!", Emy rise di gusto.

Sara scosse la testa e batté una mano sulla spalla di Pam. "E chi ti dice che vuole che non la tocca? Come sei ingenua Pam!"

 

"E poi Pam cara, non vedi com’è vestita invece oggi la nostra Sara? Non vedi che razza di facce arrapate che tengono i maschietti laggiù? Inconfondibilmente la maggior parte è per me ma anche la nostra amica non scherza!"

Pam guardò Sara. Era davvero una bellissima ragazza. I suoi occhi, azzurri ancora più del cielo risplendevano sotto quella chioma fluente di riccioli ribelli. Il suo corpo, modellato da una gonna stretta e lunga con spacco sul davanti segnava ogni forma dalla vita in giù e dai bottoni del golfino si lasciava intravedere il pizzo del reggiseno nero che portava sotto. Le scarpe, delle ballerine a tacco alto ai piedi le davano un’aria slanciata. Aveva un corpo da modella, snello. Un corpo invidiabile.

 

"S... S... Sara?!?" Pam la guardò prima sconcertata poi oscillando lo sguardo qua e la si accorse degli apprezzamenti maschili. Tra le risate delle amiche tentò in tutti i modi di coprire Sara, scoppiando poi in un sospiro rabbioso e lasciandosi cadere sulla sedia ostentando una falsa calma.

"E poi non venirmi a dire che i ragazzi ti rompono mia cara! Non cercare nemmeno il mio aiuto per toglierteli di torno!" Sara scoppiò a ridere e abbracciò forte l’amica.

"Non preoccuparti dolce Pam... Non ce n’è più bisogno. È ora di cambiare vita. È ora di cambiare tutto. Tutto." Sara aveva detto così seriamente quella frase che le due ragazze la guardarono perplesse in viso.

"Sara... Sei sicura di quello che stai dicendo?", lei sorrise ad Emy. Così straordinariamente ribelle e scandalosa, con quella sua falsa aria da seduttrice che nascondeva un agnellino ancora troppo spaventato per schiudersi completamente. Emy era stata la prima ragazza che si era avvicinata a lei quel primo giorno di scuola. L’unica che insieme a Pam le era stata vicino in tutto quel periodo. Ricordava ancora che compagnia che avevano creato. Lei, Mark, Emy e il ragazzo "del momento" e Pam. Erano una compagnia invidiabile. Ma tutto si era dimenticato, perso fra le righe di pagine non scritte. Tutto si era dissolto fra le sue mani.

"Si Emy. Sono sicura. Devo affrontare la realtà che finora non ero riuscita nemmeno a vedere. Basta con i maglioni extra-large per cercare di nascondermi da tutto il mondo, basta con gonnellone e pantaloni che mi arrivano fino a sotto le scarpe. È tempo che riprenda in mano la mia vita e che mi faccia un guardaroba nuovo... I miei vestiti più belli e sexy, il mio "modo di vestire" è tornato alla carica ma non so nemmeno che cosa sia la moda di oggi. Queste cose che indosso oggi le ho cacciate da un vecchio baule in soffitta... " Emy l’abbracciò forte ridendo. Cercava di nascondere una lacrima che le scendeva veloce sulla guancia. Sara se ne accorse e si precipitò ad asciugargliela con un gesto banale per non farsi accorgere. Emy sorrise e lei le strizzò l’occhio.

"Ragazze adesso vado un po’ a vedere chi deve venire a supplenza. Voi state qui e non parlate troppo di me!" Ridendo si diresse con passo felino verso la cattedra della bidella.

"Emy... Pensi che sia davvero successo quel miracolo?", Emy si guardò il ciondolo che portava al collo. "Ti ricordi cosa simboleggia questo ciondolo Pam?", lei annuì sorridendo, stringendolo forte nel palmo. "Pam, da quando ci siamo conosciute ne abbiamo passate di tutti i colori. Io ho perso entrambi i genitori in quell’incidente di moto, la nostra cara Sara ha perso l’amore della sua vita e con quella razza di genitori che si ritrova la sua vita non è facile. Lei è stata adottata, lo sai. Quando quel giorno di pioggia ci siamo ritrovate tutte insieme davanti a quell’albero ci siamo giurate di non lasciarci mai, di continuare a vivere qualsiasi cosa fosse successa, di non lasciarci mai andare, di continuare a combattere Pam. Tu, la nostra streghetta... Ne hai passate tante anche te. Ma quando davanti a questi ciondoli abbiamo giurato, le nostre vite sono cambiate. Sara questo lo sapeva. Quel ciondolo è una promessa solenne e credo che la nostra amicizia, la fede che ha in noi l’abbiano aiutata a superare e a combattere. Deve riprendersi la sua vita, quella che ha abbandonato un anno fa. Ma ce l’ha fatta. E credo anche che forse c’entri qualcuno in questo suo cambiamento repentino...", Pam la guardò illuminandosi nello sguardo. "Davvero?!", "Forse. Quando sarà pronta, vedrai che ce ne parlerà. È difficile Pam. Ha paura e lo sento. Ma deve farcela."

La ragazza chiuse gli occhi stringendo il medaglione. Una piccola e debole luce comparse nella sua mano. L’immagine di Sara dentro quella piccolissima sfera nel suo palmo.

Pamela sembrava un’altra. Quando usava quei suoi "poteri" strani e speciali, si trasformava completamente.

I suoi occhi, vivi e spenti in un colore di un azzurro oltre mare guardavano una luce e un orizzonte sconosciuto, che solo lei conosceva e vedeva. Che solo lei sapeva.

"Sara è pronta. La sua anima è incatenata a qualcosa... Lei e un angelo... Nithael... Sembra che le loro anime si inseguano da tempo, sembra che... Oh, mio Dio!"

"Pam... Che è successo?" La ragazza si guardò intorno confusa. "C’è qualcosa Emy. Qualcosa che non so spiegare. È tempo. Era giusto che Mark morisse. Era destino. Ma ancora quello che non voglio leggere in quello di Sara mi spaventa. Fermami la prossima volta. Ti prego." Con le lacrime agli occhi abbracciò l’amica che perplessa e confusa la stringeva pensando.

Pam aveva sempre visto tutto. Fin da quella volta che aveva sognato la morte di Mark. E come caduta in trance il giorno del funerale le disse: "E’ giusto così. Doveva andare così"

Quella volta Emy si era spaventata. Ora sapeva che quando Pam diceva qualcosa doveva darle retta e quella storia non le piaceva. Cosa voleva dire che l’anima di Sara rincorreva... Rincorreva chi?

"Ehi! Che musoni! Che è successo in quei cinque minuti che sono uscita e tornata?!" Pam sorrise girovagando il discorso sui ragazzi, Emy sorrise e frugò nella cartella alla ricerca di qualcosa per deviare la conversazione.

"Voi mi state nascondendo qualcosa!", Pam voltò lo sguardo. Emy trovò finalmente l’anello nella scatoletta. Quella doveva essere una novità. Una notizia bomba...

"Non ti stiamo nascondendo niente ragazza... io ho una sorpresa per voi... Ta-dan!" Nel palmo aveva una scatoletta con all’interno uno splendido anello di zaffiri blu incastonato in oro bianco...

"Alla faccia Emy!", Pam rimase senza parole. "Visto? Sapevo che vi avrei stupito... Me l’ha regalato il mio tesoruccio ieri pomeriggio... Ha detto che dopo il diploma saremo fidanzati ufficialmente e daremo una grande festa... Credo proprio che sia la volta buona no?!" Sara corse ad abbracciare l’amica.

Viveva sola. I suoi genitori erano di famiglia più ancora che ricca e le avevano lasciato una fortuna. Con la rendita mensile delle aziende di famiglia poteva comprarsi tutto quello che aveva bisogno. Abitava sola. Aveva venduto la grande villa che dava sulla collinetta. Al suo posto era andata ad abitare in una piccola villettina molto più piccola ai confini della città. Lei e il suo cane, Tom. Un bellissimo esemplare di Pastore Belga.

Molte volte gli zii le avevano detto di andare ad abitare con loro, ma lei aveva sempre rifiutato. Con un patrimonio come il suo l’unica cosa che volevano era ben capibile a miliardi di distanza.

Mike dormiva con lei volentieri quando potevano permetterglielo i suoi impegni di lavoro. Aveva una piccola azienda ereditata dal padre alla sua morte. Si erano conosciuti alla cerimonia funebre. Erano entrambi di famiglie rispettabili ma con idee ribelli in testa.

Pam e Sara le volte che Mike non c’era andavano volentieri a dormire da lei. La casa anche se dall’esterno sembrava piccola all’interno era una reggia. Arredata in stile "harem" era una vera delizia. Nel seminterrato aveva fatto un piccolo rifugio con caminetto per loro tre. Al terzo e ultimo piano aveva fatto costruire una piccola piscina.

Anche se ammetteva che a volte sola aveva paura si ostinava a continuare a vivere così. Il suo sogno era quello di fare la stilista. E ci stava riuscendo pienamente. Il pomeriggio per tre giorni a settimana frequentava un corso di moda. Avrebbe preso il diploma verso la fine di maggio. Aveva l’ultimo esame. E poi avrebbe messo su un negozio. Pam voleva farle da amministratrice... Erano sogni, belli, ma pur sempre sogni.

"Comunque rimane il fatto che non era questo quello che dovevi dirmi. Sono sicura che mi nascondete qualcosa... Va bhe! Dai che arriva la matta!" Si voltò verso la porta indicando con lo sguardo la professoressa che stava entrando sbadigliando.

"Buongiorno ragazzi. Seduti prego. Sono la supplente della vostra professoressa che per una settimana sarà assente. Allora, chi vuole essere così gentile da dirmi dove siete arrivati. Inizieremo con un po’ di esercizi alla lavagna."

Le ore passarono in fretta. Pam e Emy erano completamente fuori di testa. Tre ore di ragioneria con quella matta erano sufficienti per un mese intero.

Sara sorrise alle facce stravolte delle amiche e preso lo zaino e il cappotto si diresse verso l’uscita. Si voltò solamente per salutarle.

Arrivò a casa stanca e finalmente sorridente. I suoi genitori la stavano aspettando a tavola. Cosa abbastanza insolita. Le poche volte che erano tutti e tre seduti a mangiare in uno stesso tavolo era solo per natale o per sgridarla per qualcosa che aveva fatto.

Stavolta non se lo spiegava.

"Ciao a tutti. Che ci fate a casa?", la madre le prese la mano facendola sedere. Il padre, le sorrise. "Sara... Noi volevamo darti un piccolo regalo. Sappiamo che è stato duro per te quest’ultimo anno e che non ci siamo comportati come due veri genitori nei tuoi confronti. Abbiamo sbagliato molto con te e ogni volta, credici piccola, non sapevamo mai come prenderti. Noi ti vogliamo tanto bene Sara, sei la nostra vera e unica figlia. Per questo, se vuoi ricominciare un rapporto e accetti di darci un’altra possibilità e diventare una vera famiglia, prendi questo piccolo dono. È per dimostrarti che sei tutto quello che abbiamo."

Sara era rimasta senza parole. I primi anni della sua vita li aveva passati in un orfanotrofio. I suoi veri genitori erano morti in un incidente d’aereo. Una catastrofe. Lei ricordava ancora nei suoi sogni la fragranza di vaniglia che aveva sempre addosso sua madre, il sorriso del padre. Per lei era stato uno shock. Nessuno della sua famiglia la voleva e lei finì all’età di dieci anni in quel sudicio collegio troppo piccolo per tutti loro. Ricordava il giorno che Natasha e Yary si erano affacciati alla sua stanzetta e l’avevano vista per la prima volta. Il sorriso di Yary e il profumo, così somigliante a quello di sua madre di Natasha... Erano una coppia di russi.

Non avevano figli perché lei era sterile. Lei sentì per la prima volta dopo tanto tempo di volere a tutti i costi una famiglia. Di avere qualcuno cui volere bene, una madre, un padre. E loro fin dall’inizio le erano sembrati la coppia perfetta.

Così fu adottata. Ma le cose non si rivelarono così semplici. All’inizio tutto era perfetto. Eccitante. Poi passarono i mesi, gli anni. Lei cresceva e suo padre era sempre più geloso, le continue litigate, il non capirsi. Pensava che tutto fosse finito, che il suo sogno non si sarebbe mai realizzato. Con la morte di Mark tutto deteriorò ulteriormente.

Fino a quel momento. Non aveva mai smesso di volere bene ai suoi genitori. Mai. Anche se con il lavoro di suo padre, sempre in giro per il mondo essendo pilota d’aerei e la madre, stilista affermata, non aveva mai avuto l’occasione di fare pace e ristabilire un contatto, un rapporto.

Prese nel palmo della mano l’anello in ametista e lo mise al dito.

"Io vi ho sempre considerato i miei veri e unici genitori. Siete voi la mia famiglia. Ma siete sempre via, tutte le volte che ho cercato di venirvi incontro, le volte che mi avete lasciata sola in casa senza avvisarmi con la paura che vi fosse successo qualcosa e fossi rimasta sola un’altra volta... Adesso mi chiedete una cosa quasi impossibile. Io li ho fatti gli sforzi, i passi. Quante volte è successo che preparavo la tavola imbandita per un’occasione speciale e finiva sempre che rimanevo da sola a mangiare tutto. Quante volte me ne tornavo nella mia camera piangendo… e voi che non vi accorgevate mai di niente. Accetto, ma voi dovete fare il passo con me. Non posso sempre fare tutto da sola. Non avete mai avuto il tempo di venire con me al cimitero a trovare i miei genitori, ne Mark. Sono sempre sola qui. Sempre." La madre corse ad abbracciarla.

"Per questo c’è una novità tesoro mio. Abbiamo lavorato tanto negli ultimi tempi ma per una ragione più che valida. Papa è troppo vecchio per volare. Così ha deciso di rimanere sempre in ufficio come capitano.", "Papa è vero? Non partirai più?", "No Sara, la mamma ha detto la verità." Sara con le lacrime agli occhi corse tra le braccia del padre che non si aspettava quelle lacrime.

"Sara... ", "Sono felice... Tanto!", "Sara non è finita. Domani dovrai stare attenta, in casa avremo dei muratori. Abbiamo deciso di ingrandire la casa. Farò costruire un piano in più e con un’entrata esterna, diversa da quella principale. Li farò il mio ufficio. Non sarò più costretta a fare su e giù dal negozio a qui e ho deciso che non parteciperò più a sfilate di moda. Ho intenzione di aprire una catena di moda per giovani ragazze qui, nella nostra città. L'atelier rimane affidato a Pierre. Lui condurrà il tutto. Io prenderò solo gli utili. E in più oggi pomeriggio ci siamo presi un permesso io e papa e abbiamo intenzione di andare a prendere un cucciolino. Un cane. Va bene o volevi un gatto tesoro?", Sara era senza parole.

Non poteva credere a tutte quelle parole. Sembrava che tutto andasse per il verso giusto. Ma perché ora? Cosa era successo?

"Un cane? Sarebbe stupendo mamma. È da tanto che lo chiedevo! Ma... Perché tutto questo cambiamento? Mi avete spiazzata... Voi mi nascondete qualcosa. Che è successo per un cambiamento così repentino?"

"Vedi tesoro, la figlia di una nostra amica è morta tragicamente... e noi non vogliamo che… abbiamo capito di aver sbagliato tutto. Abbiamo capito che non esiste: va bene domani ci penserò, e poi non ce ne occupiamo mai. Tu hai bisogno di noi. Come noi tesoro mio abbiamo bisogno di te." Sara non capiva. La sua mente era rimasta concentrata alle prime parole di sua madre. "Chi? Chi è morta mamma?", "Sara... Non fare così... ", un pensiero. Un lampo che l’accecò. Un secondo per capire. Capire tutto. La sua Dafne...

Quasi urlando: "Mamma! È Dafne?! Mi stai parlando di lei?!" La madre abbassò lo sguardo. Sara indietreggiò... Incredula, spaventata. Un altro colpo, un altro dolore. Dafne... La sua Dafne... Le lacrime le scendevano senza che se ne accorgesse.

"Come? Come!?!" Il padre la guardò negli occhi. "Si è suicidata. Ha lasciato una lettera dove diceva che... Che non ne poteva più di vivere così, con dei genitori che lo erano solo di nome. Si è tagliata le vene in una sera che Jake ed Elizabhet erano fuori per una cena di lavoro. Quando sono arrivati l’hanno trovata nella vasca piena di... Non hanno fatto in tempo. Mi spiace tesoro." Sara non credeva alle sue orecchie. Non poteva. Scuoteva la testa ridendo.

"Non hanno fatto in tempo! Loro non erano mai in tempo per niente! Come voi! Non ci siete mai! Pretendete di avere, pretendete di essere dei genitori ma ci uccidete e niente altro. Non siete nati per esserlo. La mia Dafne è morta anche per colpa vostra!!"

Piangendo furiosamente si tolse buttandolo addosso alla parete l’anello dei suoi genitori e corse fuori. Corse fino a che le sue gambe la ressero, fino a che aveva fiato nei suoi polmoni.

Si trovò al suo laghetto. Al lago dei "loro sogni". Amava andare li con Dafne quando la veniva a trovare dalla Svizzera. Quell’ultima volta l’aveva vista diversa dal solito. Triste, non ce la faceva più.

"Sono sempre sola Sara. Non mi capiscono. E i miei genitori mi mancano. Tanto. Jake è capace solo a bere e a giocare a carte. Elizabhet pensa più ai suoi gioielli che a me. Perché Sara? Perché tutto questo?", quel giorno l’aveva presa per le spalle e le aveva fatto giurare. "Giurami Dafne. Giurami che non smetterai mai di combattere. Giurami che non ti lascerai mai andare, che non smetterai di vivere. Siamo giovani Dafne. Siamo sorelle e io non ti lascio sola. Mai. Promettimelo.", "Te lo prometto Sara. Insieme sempre. Ma sono sola Sara. In quel collegio non c’è nessuno mio amico... Ma te lo prometto. Combatterò. Per te Sara. Solo per te."

Sbattendo un pugno sul tronco dove avevano inciso con un coltellino i loro nomi pianse fino a tarda sera. Era quasi il tramonto. L’aria era fresca. L’orizzonte si tingeva di uno splendido rosso arancione. Sara lasciava scorrere le ore, i minuti. Vagava i suoi pensieri nell’infinito davanti a lei.

"Perché l’hai fatto Dafne?! Perché?!" A cosa servivano le sue lacrime, le sue grida. Non certo a riportare indietro Dafne. Non certo per parlarle un’altra volta.

Lei era stata la prima amica, la sua unica migliore amica che aveva conosciuto all’orfanotrofio. Erano entrambe rimaste sole. Dafne era sempre stata la più debole delle sue. Quando venne adottata e si trasferì in Svizzera decisero che non si sarebbero mai perse di vista. E così fu. Ma erano troppo lontane...

La rabbia le saliva lentamente al pensiero del dolcissimo sorriso della sua Dafne. Con quei suoi capelli rossi e le lentiggini sul naso... "Dafne... Perché mi hai lasciata sola?! Perché?!"

Pianse tutte le sue lacrime. Fino a quando stanca di tutto si guardò le mani. Con quelle stesse mani aveva distrutto la sua famiglia. Con un gesto. No. Non voleva ancora le lacrime. Aveva bisogno della sua famiglia, ora più che mai. Ora ancora più di altre volte. E sapeva che solamente parlando sarebbe riuscita a dimenticare il dolore, sarebbe riuscita a perdonare la vita, se stessa per non averla fermata, per non aver fatto niente per lei quando ne aveva bisogno. Ma perché non le aveva detto niente?! Perché non le aveva telefonato? Almeno per sentirla quell’ultima volta?

Quel rimorso di non averla chiamata quella sera per i suoi dolori... Quella mattina... Quella sensazione...

Al pensiero di Dafne delle lacrime le scesero. Non voleva più soffrire, voleva riprendersi in mano la sua vita. Doveva combattere, per Dafne, per lei, per le persone che amava. Doveva riuscirci... Ma era sola... Si sentiva sola...

"Sara... " , "Le lacrime non si addicono ad un viso così dolce", Sara presa alla sprovvista si voltò di scatto cercando di asciugarsi le lacrime.

"Davvero? E allora che cosa si addice al mio viso?", il ragazzo si avvicinò di qualche passo. La guardava profondamente. Sara sentiva come una scossa, dei brividi sul corpo. Conosceva quel ragazzo, aveva già sentito quelle sensazioni.

Lui le sorrise accarezzandole una guancia. Lei ricambiò con uno sguardo spaventato. Che cosa la spingeva in quelle braccia, cosa la spaventata allo stesso tempo?

"Questo ti si addice. Hai il sorriso più bello che abbia mai visto." Sara arrossì sotto il suo sguardo divertito.

Rise. Sospirando si voltò verso il lago. Lanciò un sassolino che teneva tra le mani da ore. Non riusciva a parlare. Aveva il magone che le pungeva nella gola, la voglia di sparire. Il dolore... Lo sentiva vivo, dentro di lei. Come una lama di ghiaccio che le trafiggeva le membra. Il ragazzo si sedette sull’erba vicino a lei.

"Hai un viso triste. Ti è successo qualcosa? Se vuoi puoi parlarmene. ", lei rise. "Ti ringrazio ma ti annoierei. La mia vita non ha niente per cui vale la pena raccontare. ", lui le prese la mano facendola sedere vicino a lui.

Il sentirla così vicina, così reale... Il suo profumo. Il suo viso, bellissimo e dolcissimo... Sapeva tutto di lei. Poteva leggerle il cuore, l’anima. Sapeva che se si fosse sfogata avrebbe preso la strada giusta questa volta. Non avrebbe più sbagliato.

Ma quella vicinanza... Sara era dannatamente sensuale anche nei minimi movimenti. Seduta vicino a lui, impacciata e imbarazzata era tenerissima.

"Secondo me nessuna vita è insignificante. Avere vita, vivere è la cosa più preziosa che abbiamo."

"Hai ragione. Ma non tutti la pensano come te e me..." L’immagine di Dafne con il suo sorriso, il solo pensarla in quella vasca piena di sangue.... Perché?! Perché le aveva fatto quel torto?

Le lacrime iniziarono a scenderle. "Oggi ho perso la mia migliore amica. Una sorella per me. Una sorella che si è uccisa... Si è tagliata le vene... Non ha combattuto, non ha mantenuto la promessa... Dio! Se esiste perché mi da tutto questo dolore?" Si rannicchiò arsa dal dolore e dall’imbarazzo, dalla voglia di perdersi in quelle braccia e lasciarsi andare. Ricominciare. Una vita. La sua... Amare. Scosse la testa. Troppi pensieri. Troppe emozioni. Chi era quel ragazzo? Perché alla sola sua vicinanza sentiva quelle sensazioni? Perché quel tormento nel cuore, nella testa...

La prese tra le sue braccia. Sara sorpresa e stanca di piangere, di soffrire, si lasciò cullare. La teneva stretta sul petto. Aveva il suo respiro sul cuore. I suoi capelli soffici che gli ricadevano sul braccio... Il pianto cullato ormai al termine.

"Non so nemmeno chi sei.", lui le sorrise alzandole il viso. "L’importante è che ti senti meglio. Che ti sei sfogata. Mi spiace per la tua amica. E mi spiace ancora di più vederti in questo stato. Secondo me lei non vorrebbe vederti così. So che vorrebbe che continuassi a lottare. Sono sicuro che presto capirai tutto e la perdonerai. Hai troppa rabbia adesso. Il tempo. Il tempo guarirà tutto." Sara gli sorrise. Aveva ragione. Si sentiva meglio. Parlare le aveva fatto bene. Forse se anche quando Mark l’aveva lasciata avesse parlato e si fosse sfogata con le sue amiche ora non sarebbe così... O forse le avrebbero semplicemente reso la vita più facile da sopportare. Forse...

Doveva lottare. Lo doveva fare. Guardandosi in giro si accorse che si era fatto tardi. I suoi genitori saranno stati in pensiero per lei.

"Mi spiace ma devo tornare a casa. I miei saranno in pensiero.", lui annuì sorridendole. "Quando vuoi parlare basta solo che vieni qui e ti raggiungerò. Quando hai bisogno di me basta che mi chiami." Sara sorrise poi spinta da un desiderio più forte di lei si alzò sulla punta dei piedi e gli stampò un bacio sulla guancia.

"Grazie... ", lui le sorrise accarezzandole una guancia. "Nithael. Il mio nome è Nithael." Lei sorrise incamminandosi verso casa.

Non si voltò a guardarlo. Sentiva il suo sguardo sulla pelle come una carezza che la faceva rabbrividire.

"Dafne… sarai sempre nel mio cuore. Sempre. E sono sicura che da lassù mi guardi..."

"Vai Sara. Non piangere più." In un turbine sparì. Aprì la porta piano. Aveva paura che il rumore avesse spaventato i suoi. Li trovò entrambi in salotto. Sua madre che camminava su e giù per la stanza. Suo padre con il telefono in mano.

Quando la videro entrare le corsero incontro abbracciandola. "Sara!" Lei li abbracciò chiudendo gli occhi e riscoprendo dopo tanto tempo il calore delle braccia dei suoi genitori.

 

"Sono qui mamma.", lei con le lacrime agli occhi le accarezzò il viso. "Piccola ma dove sei stata? Sei andata via così sconvolta che siamo morti di angoscia... Abbiamo iniziato a pensare che ti fosse successo qualcosa... Tutto per colpa nostra! Oh, Dio! Non posso nemmeno pensarlo!" L’abbracciò così forte che quasi le fece male."Mamma sono qui adesso. E poi sono io che devo chiedervi scusa per come mi sono comportata. Non dovevo dire tutte quelle cose... Non sono vere. Però adesso giuratemi che non mi lascerete più sola!" Il padre le sorrise piangendo. "Mai più tesoro. Moriremo senza di te. Non sapremmo nemmeno dove sbattere la testa!" "Mamma... Dove vai?" Lei le fece segno di aspettare. Tornò dopo qualche minuto con un cesto in mano. Dal bordo saltò fuori un musino... "Un cane!" Sara corse a prenderlo fra le braccia. Era tenerissimo. Iniziò subito a leccarle tutto il viso.

"È bellissimo! Ma quando...?" Il padre abbracciò la madre. "Sapevamo che il boxer era la tua razza preferita e così nel pomeriggio nell’attesa che arrivassi papa è uscito a prendertelo. Abbiamo già messo la cuccia in camera tua. E poi gli abbiamo preso un sacco di giochini... Dovevi vederlo con papa!" Sara sorrise e lo guardò. "Così sei un maschietto, eh?! Bene. Ti chiamerò... Nithael. Si. Nithael. Che ne dite?", i genitori si guardarono in viso.

"N... Nithael...? Bhe! Va bene. Un nome un po’ più facile no, vero?!" Lei rise.

Finalmente erano una famiglia. Con un nuovo arrivato....

"Sara... Non so se è il momento. Ma Elizabhet ha spedito questa per te. Credo sia una lettera che Dafne ti ha scritto prima di... L’ha trovata sulla sua scrivania."

Sara lasciò a terra Nithael e prese con una mano tremante la busta. "Grazie mamma." Sorrise ad entrambi e prendendo il cucciolo in braccio salì nella sua camera.Si sedette alla scrivania guardando dalla finestra il lago. Il tramonto aveva lasciato il posto alla sera. Il vento era freddo e i lampioni illuminavano le vie.Accese la lampada e tenendo il cucciolo sulle ginocchia aprì la busta. Trovò la calligrafia di Dafne. Scritta con un pugno abbastanza veloce, frettoloso.

 

"Carissima Sara, sono qui a scriverti le mie forse ultime parole. Non posso più continuare così. Non posso mantenere la promessa fatta e mi dispiace. Ma l’unica soluzione che ho è questa. Forse un giorno capirai, forse un giorno sorellina mia mi perdonerai. Ma mi sento senza più alcuna speranza. Sono dilaniata, dentro. Non so se ho più un’anima, se ho più una vita. È finita tempo fa, una sera. Una sera fredda... Le stelle brillavano nel cielo Sara. La luna mi teneva compagnia mentre il mio destino seguiva il suo corso. Quella sera papa aveva troppo da fare in azienda per venirmi a prendere alla lezione di pianoforte. Quella sera un uomo mi ha sorpreso per la via e... Sono stata violentata Sara. Dio! Mi fa schifo solo pensarlo... Ho una tale vergogna... Addosso... Sul corpo... Su questo corpo... non c’è spugna più ruvida per lavare via il dolore, lo schifo e la vergogna. Quella sera le stelle erano la mia unica vista... Ho ancora dei lividi sulle gambe. Ma presto non dovrò più preoccuparmene. Mia madre, Elizabhet è troppo impegnata per accorgersi che sua figlia è cambiata. Non è la stessa. Sembro uno zombi. E forse adesso lo diventerò sul serio, almeno non dovrò più subire queste umiliazioni. Quella sera nessuno poteva accorgersene. Erano via tutta la notte. E da chi potevo andare? No. Devo farla finita adesso Sara. Forse non capirai mai il perché... L’unica cosa che mi spiace, che rimpiangerò sempre sarà... Oh Sara! Le lacrime solcano questo mio viso che non ha più lacrime da piangere. Quella notte la mia vita è cambiata. Non riuscirò mai a spiegarti il dolore che sento. E non posso dare una vergogna così grande a mio padre... Che cosa direbbero i suoi amici? "Ehi! Jake, tua figlia si è fatta mettere incinta a 17 anni!" Dio! Non posso nemmeno pensarlo. Non posso dare questo dolore ai miei genitori. Così ho deciso di tenermi tutto nella tomba. Stasera dovresti chiamarmi. Spero che non lo farai o non avrò mai il coraggio di farlo. Si Sara. Queste sono le mie ultime parole, i miei ultimi pensieri prima di morire e raggiungere i miei genitori. Ma non prima di donarti qualcosa di me. Anche da lassù ti veglierò sempre. Io e te saremo insieme sempre Sara. Me ne vado tutto sommato da una vita che non mi ha mai voluta, non ne ho mai fatto veramente parte. Io e te siamo simili. Nate e abbandonate sotto stelle diverse. Sono sicura che la tua brillerà ancora per molto sorellina mia. E voglio che continui a vivere , per me. Per tutti quelli che credono in te. Io non posso più mantenere la promessa, non posso convivere con questa vergogna, non posso vivere così. Tanto credo che qui a nessuno interessi.

Queste sono le mie ultime parole Sara. Solo per te. Per l’unica persona al mondo che mi abbia mai dimostrato qualcosa nella vita. L’unica che mi abbia mai voluto bene e che non mi ha mai abbandonato. Addio Sara. Addio. Sorridi. Sempre. Ti voglio bene. Tua Dafne."

Sara piangeva ancora dalla rabbia... Quelle parole l’avevano sconvolta. Non era possibile... No. Non poteva credere. Non poteva...

"Nooo!!! Perché! Perché non ti sei mai sfogata! Dafne!!!!" La madre e il padre entrarono nella stanza correndo.

"Sara!" La trovarono a terra che piangeva. Nithael che le leccava il muso per consolarla. La madre la prese tra le braccia. Il padre prese la lettera e la lesse."Ha voluto lasciarmi il peso della verità... Ha voluto fare di testa sua! Perché?! Perché non ha voluto parlare con me! L’avrei aiutata! Ero sua sorella... Non può comportarsi così! Non è giusto!"La madre la cullava mentre con uno sguardo interrogativo cercava la risposta a quelle parole dal marito. "Dafne era stata violentata ed era rimasta incinta. Si è uccisa per questo. Per la vergogna". Sara alzò lo sguardo. "No papa. Non si è uccisa per la sua vergogna. Ma per quella di Jake e di Elizabhet davanti ai loro amici. Loro! Li odio!! L’hanno lasciata sola... Sola... Possibile che non si erano accorti di nulla? Possibile?!?" Improvvisamente un battito troppo accelerato, un dolore al petto accasciarono Sara al pavimento. "Mamma... Mi manca il respiro" respirava a fatica.Yary la prese in braccio e la stese sul letto. Natasha piangendo chiamò il medico di famiglia. "Sara, tesoro mio stai tranquilla. Adesso arriva il dottore." Il padre le stringeva la mano guardandola amorevolmente accarezzandole i capelli. Come quando era piccola e faceva fatica ad addormentarsi. Nithael che cercava di saltare sul letto ricadendo sempre. Era troppo piccolo per riuscirci."Papa, lascia salire Nithael." Il padre gli e lo mise tra le braccia e Sara con grossi respiri tentò di calmarsi. Il dolore sembrava placarsi. No. Basta. Ne aveva abbastanza di bugie, di cose non dette, di morte e di dolore. Non era quello che voleva dalla vita. La sua vota doveva viverla. Era lei che doveva costruirsela giorno dopo giorno. Ed era stanca che tutti l’abbandonassero perché erano stanchi di lottare. Come Mark. Anche lui in ospedale aveva smesso di lottare. Anche lui aveva preferito lasciarsi andare al dolce bacio della morte. Ma non lei. Ora ne aveva abbastanza. Di tutto. Di addossarsi responsabilità e verità che le facevano male... Che non capiva. Non doveva comportarsi così. Non doveva cedere. Forse quella sera doveva telefonarle... Dafne sbagliava se credeva che tutto si risolve abbandonando tutto, non affrontando mai le difficoltà.

No. Non era così che si cresceva. Non era così che si risolvevano i problemi. Dio! Era questo quello che le aveva riservato il destino per lei? No. Lei lo avrebbe cambiato se fosse stato necessario. Perché era stanca di lottare da sola. Stanca di perdere le persone che amava.

Quella sera il dottore le prescrisse un po‘ di riposo. Le sarebbe bastato per riprendere in mano la sua vita.

Stava per addormentarsi. Il suo cucciolone era ai piedi del letto. La luna splendeva nel cielo più stellato che mai. I suoi pensieri vagavano. Lontano. A Mark. A Dafne. Poi un’immagine prese lentamente vita nella sua testa. Quel ragazzo. I suoi occhi. La profondità del suo sguardo. La sua dolcezza...

Si addormentò con quel volto nel cuore. Si addormentò tranquilla. Senza dolore, senza sforzi quella notte. Sentiva uno strano calore. Una sensazione che conosceva fin troppo bene. Sorrise: "Nithael... ", "Sono qui. Sogni d’oro principessa"...

Il vento entrava soffice e tiepido dalla finestra aperta. Un bacio frettoloso sulla fronte fresca. Un sorriso. Un soffio di piume.

"A domani principessa"...

 

Sara si svegliò sentendosi per la prima volta bene in se stessa. Senza più immagini, incubi. Trovò Nithael che dormiva russando accovacciato accanto alla sua spalla. Era tenerissimo. Però se prendeva quel vizio, da grande come avrebbe fatto?... Sospirò alzandosi. "Buongiorno! Dormito bene nel lettone vero?" Il cucciolo scodinzolò sbadigliando. Lo prese in braccio e lo pose a terra. "Nithael i bisognini di prima mattina si fanno fuori... " il tempo di voltarsi verso di lui che una chiazza giallastra si spandeva sul pavimento. "Oh, no!" Corse nel suo bagno e con un rotolo di carta igenica asciugò il tutto.

"Birichino! Non si fa!" Con aria severa lo guardò negli occhi. Nithael sembrava aver capito perché si diresse verso la porta abbaiando.

"Devi farne ancora? Ok. Ti lascio uscire. Aspetta solo un minuto" prese dalla sedia la vestaglia e prendendolo in braccio lo portò fino in guardino.

"Vai". Nithael corse nell’erba fermandosi per i bisognini qualche volta. Doveva piacergli il giardino perché sembrava non voler più entrare in casa. Dovette andarlo a prendere e portarlo in braccio fino su in camera. Lo mise nella cuccia. "Adesso fai il bravo che vado a farmi una doccia e poi mi cambio." Sotto l’acqua calda sentì i brividi sulla schiena al pensiero di Nithael... Non riusciva ancora a capire come poteva essergli passato nella testa di chiamare il suo cane come lui... L’indomani mattina si sarebbero svolti i funerali di Dafne. Lei aveva lasciato detto ai genitori di mandarle una corona ma non aveva intenzione di parteciparvi. Non voleva rivedere ne Jake ne Elizabhet. Sapeva che la sera precedente so padre aveva chiamato Jake per riferirgli del contenuto della lettera. Era inevitabile. Forse Dafne non gli e lo avrebbe perdonato, ma era giusto così. Aspettava la reazione dei suoi genitori. Ma sapeva che nessun pentimento e nessuna lacrima potevano riportarle indietro la sua Dafne. Quel giorno non aveva voglia di andare a scuola. Avrebbe fatto un giro con Nithael al parco. Ancora in fondo al cuore il dolore per la scomparsa di Dafne era forte. Quella era la prima mattina che si svegliava con la certezza di non averla più accanto... Di non poter più pensare anche per lei... Di non poter fare progetti... Era una sensazione strana. Dolorosa. A cui doveva abituarsi. Adesso sapeva che per parlare con Dafne doveva farlo con il cuore.... Ma non era sicura che le sue parole le sarebbero arrivate. O rivolgersi a Pam... Scosse la testa. Non voleva pensarci. Al momento giusto sapeva che avrebbe preso la decisione migliore.

Aprì l’armadio e lo trovò pieno di vestiti... Un biglietto su una delle due ante interne aveva la calligrafia di sua madre.

"Questo è un pensiero per te. Da mamma e papa. Ho creato appositamente per te questi vestiti, conoscendo i tuoi gusti. Nei cassetti troverai ancora qualche vecchio maglione o gonna. Per il resto è tutto qui. Baci, mamma e papa."

Trovò uno splendido vestitino con i suoi colori preferiti. Era a sottoveste, in lino. Lungo appena sotto le ginocchia. Sopra trovò un golfino nero che si abbinava perfettamente. Guardandosi allo specchio non si riconobbe. Era davvero dimagrita. Il seno era rimasto pressoché uguale. E con quel corpino che teneva il seno in due coppe a triangolo, tutta la sua grossezza era messa in evidenza come tutte le curve del suo corpo. Sua madre aveva uno splendido gusto ed era la migliore stilista del mondo. Anche lei aveva imparato a disegnare e a creare i vestiti. All’età di dodici anni tutte le cose che indossava le aveva confezionate da sola. Nel sotterraneo aveva una stanza che sua madre aveva creato appositamente per lei. Le faceva trovare sempre stoffa a quantità e delle migliori che portava a casa dall’atelier. Erano gli scarti che altrimenti sarebbero stati buttati nei cassonetti. Uno spreco inutile. Ormai era da tempo che non entrava in quella stanza. Aveva lasciato li il suo ultimo disegno, l’abito che stava realizzando lo avrebbe dovuto indossare per il compleanno di Mark. Da allora aveva lasciato tutto. E non era più entrata nella stanza.

Era tempo di tornare e riprendersi in mano la sua vita. Il suo modo di vestirsi era molto particolare e fantasioso. A lei piaceva creare e indossare quello che la faceva stare bene. Sua madre sapeva cosa le piaceva. E seguendo la moda che creava lei, le aveva realizzato un guardaroba splendido. Dei suoi colori preferiti. Sabbia, azzurro, violetto e rosa. Con un tocco qua e la di nero e bianco. Sorrise all’immagine di se stessa allo specchio e soddisfatta scese a fare colazione. Un fischio la seguì fino al frigorifero dove prese il succo di frutta all’arancia.

"Ehi! Signorinella, dove crede di andare vestita così? Nithael hai visto la tua padroncina? È uno schianto!", la madre con falsa modestia mostrò al padre la creazione. "Tesoro questo è un esempio della collezione che ho creato per nostra figlia.", il padre trasalì. "Un esempio? Vorresti dire che gli altri sono peggio?" La madre rise. "No papa. Non preoccuparti".

Diedi un bacio ad entrambi e messo il guinzaglio a Nithael lo portò fuori. Era una bellissima giornata. Nithael annusava ogni singolo centimetro di strada. Sara si divertiva come una bambina. Il suo cucciolo era uno splendido esemplare di pura razza. Aveva quella strana macchia a forma di stella sulla fronte bianca che gli dava un’aria assolutamente buffa. Guardò l’orologio. Erano solamente le nove e mezza. A quell’ora le sue amiche stavano subendo un’ora di matematica. Poverine!

Si ritrovò a camminare per le stradine che un tempo amava per il suo shopping. Ricordava che in altri tempi i ragazzi si appostavano su quelle panchine per guardarla... Allora lei si creava da sola gli abiti e girovagava in cerca di stoffe particolare o accessori che si adattassero al suo stile di vestire. Lei era sempre stata una ragazza che amava le gonne attillate e dalle linee morbide, a long ette. Adorava le scollature abbondanti e particolari, gli abiti interi. Tutto quello che era malizioso, particolare e sexy. Tornata ora nei suoi panni sentiva di sentirsi a suo agio anche se sentiva addosso gli sguardi dei maschi che la guardavano quando passava. Cosa a cui non era più abituata. Questo la disorientava. Imbarazzata si diresse verso il parco. Li avrebbe trovato un posto tranquillo dove stare in pace e giocare con Nithael. E il suo cucciolone si sarebbe divertito a correre su e giù nei prati.

Arrivati al laghetto si stese sull’erba. Era fresca e sentiva il pungere del terreno sotto la pelle delle gambe nuda. Era una piacevole sensazione di serenità, di gioia, di beatitudine. Il sole era caldo.

Nithael si avvicino alla riva del laghetto immergendo una zampa che ritrasse subito al contatto con il freddo glaciale delle correnti. Corse da lei spaventato e lei accarezzandogli il collo rise alle sue espressioni buffe.

"Piccolo!" Rise. Come mai in quell’ultimo anno aveva fatto, di gusto. Erano solamente le dieci. A quell’ora stavano portando la sua Dafne alla pace eterna. Al cimitero. Sicuramente la sera prima per Jake e Elizabhet era stato uno shock sapere la verità. Avrebbe voluto anche lei darle il suo saluto. Ma si sentiva ancora troppo ferita nell’anima, nel cuore. Si sentiva tradita. Dafne non aveva il diritto di farle questo, di fare questo a lei. Di farla soffrire così. Non aveva il diritto di togliersi la vita. Non ne aveva il diritto. Una lacrima le scese aprendo una dolorosa ferita nel suo cuore. Quando tutto quel dolore le passerà nel cuore? Scosse la testa vedendo Nithael che la guardava preoccupato. Poi saltandole in braccio le leccò il viso facendola vacillare e cadere completamente sull’erba. Stesa con Nithael sulla pancia che la leccava facendola ridere non si accorse del ragazzo che si stese accanto a lei che la guardava appoggiato su un gomito.

"Ciao... ", lei saltò per lo spavento. "Nithael!" Il cane si fermò a guardarla interrogativamente. "Oh, piccolo non tu... " imbarazzata e rossa in viso prese il cucciolo in braccio portandolo sulle gambe scoperte dalla gonna che le era salita fino alla vita e cercando di rimettersi decente gli sorrise passandosi una mano sui capelli sconvolti.

"Ciao... " lui le sorrise togliendole un filo di erba dai capelli. Poi accarezzò il cane prendendolo in braccio.

"È bellissimo. Come l’hai chiamato... ?", lei ancora più rossa in viso voltò lo sguardo cercando di cambiare discorso e tirandosi il più possibile la gonna fino alle ginocchia. "Ni... Nithael... Già! L’ho chiamato così... ", lui rise. "Allora Nithael... Come te la passi con una padroncina talmente bella? Dovrai fare la guardia tutto il giorno... " poi la guardò. Lei era arrossita.

"Grazie... ", lui le accarezzò una guancia. "Ho solo detto la verità. Sei una ragazza bellissima." Lei gli sorrise, poi stirandosi si alzò riprendendo il cane al guinzaglio. "Che ne dici Nithael di farci un giro?" Il cane sentendo il nome abbaiò scodinzolando. "Oh! Non tu Nithael... Oh! Che pasticcio che ho combinato! Ok. Ti va se ti chiamo Nithy?" Azzardò lei con un timido sorriso. Lui le sorrise. "Va benissimo. Adesso vieni che ti porto a fare un giro in barca." Lei annuì con gusto. Mentre stava pagando per il noleggio della barca Sara lo guardava. Aveva un corpo muscoloso e dannatamente attraente... Quel viso e quei lineamenti le facevano tornare alla mente un ricordo... Vago... Vivo...

"Ecco qui. Pronta principessa?", a quella parola Sara trasalì. L’aveva già sentita. Aveva già... Scosse la testa e sorrise.

"Pronta. Ma mi metti in imbarazzo se mi chiami principessa." Lui sorrise. "Hai ragione... Allora ti chiamerò... Come ti chiami?" Sara esplose in un risata fragorosa. "Sara... Il mio nome è Sara.", lui la prese in braccio depositandola cautamente sulla barca e le consegnò in braccio Nithael che si guardava intorno divertito. "Benissimo Sary... Allora in viaggio!", poi dopo appena una remata si fermò. "O mamma! Non è che per caso hai un gatto che si chiama Sary... Sai per... " Sara lo guardò poi scoppiando in una risata. "Sei davvero impossibile!" Lui le sorrise guardandola profondamente negli occhi.

"Lo so. Io sono impossibile davvero." Sara lo guardò per un istante. Il tono con cui aveva detto quella frase era serio. Troppo. I loro sguardi si incrociarono e per un breve istante Sara aveva la certezza che quel ragazzo che le era apparso dal nulla per farla rinascere l’aveva già incontrato... Per un brevissimo istante la sua anima capì chi fosse. In quel momento capì tutto. Si sorrisero. Nithael si muoveva da una parte all’altra della barca divertito. "Mi sa che non si è mai divertito tanto in vita sua questo cucciolo.", lui le sorrise. "É da molto che l’hai? Sembra molto piccolo.", "Infatti. Me l’ha regalato ieri mio padre." Voltò lo sguardo. Ricordare quella giornata le faceva tornare il magone in gola. "È successo ancora qualcosa Sary?", lui aveva fermato la barca. Lei aprì gli occhi guardandolo. Intorno a loro solo l’infinito lago dalle acque azzurre, gli alberi che si stagliavano sopra il manto lucente accarezzandone il movimento. "Già. Sembra che nella mia vita tutti abbiano il diritto di lasciarmi sola, che tutti debbano umiliarmi e riempirmi di rabbia... Anche lei. Anche Dafne ", una lacrima scese veloce e lei si affrettò ad asciugarla.Gli sorrise cercando di deviare il discorso ma lui lasciando i remi si sporse e l’abbracciò. "Piangi Sary. Piangi. Ne hai bisogno", lei si lasciò andare. Lo abbracciò aggrappandosi a quelle sensazioni che le infondevano il contatto con quel corpo e quella pelle, l’emozione che il respiro di lui le sfiorasse i capelli lasciandole piccoli brividi, il cuore che le stava martellando nel petto.

"Nithy... Perché? Perché provo queste sensazioni quando sto con te? Perché ho la netta sensazione di averti già conosciuto in un qualche luogo e in nessuna parte? Mi fai venire in mente un ricordo Nithy quando sto con te e guardo i tuoi occhi. Un momento... " lui la zittì accarezzandole le labbra con un dito. "No Sary. È meglio che quel ricordo lo cancelli e dimentichi anche me... Forse ho sbagliato tutto. Si, non dovevo venire da te quel giorno, non dovevo parlarti, non dovevo tornare... " lei gli prese il volto fra le mani guardandolo negli occhi. Uno sguardo profondo, perplesso.

"Cosa stai dicendo Nithy? Tu hai sbagliato? No! Tu hai curato questo mio cuore spezzato, lo hai ricomposto e ricucito. Hai dato sollievo a questa mia anima, hai ridato vita a questo mio cuore. Nithy... Tu mi hai insegnato moltissime cose e se adesso sono qui e sto ridendo con te, se sono ancora me stessa, una io che ho dimenticato da tempo, da anni, è in parte merito tuo. E non m’interessa sapere il perché ho queste sensazioni, il perché sono certa di averti già incontrato... Non lasciarmi Nithy. Non anche tu. Non ora ", lui la guardò senza più forza. Aveva gli occhi lucidi. Non poteva farlo, non poteva. Ma qualcosa di più grande, qualcosa di più misterioso, lo spingeva da lei. La sua metà dell’anima che aveva ritrovato da tempo. Questo lo sentiva. E la voleva. Ora. Sempre. "Oh, Sary! Perdonami ti prego!" Scuotendo la testa la strinse fino a farle mancare il respiro. Poi guardandola dolcemente la baciò. In un contatto esplosivo. In un bacio passionale. Sara non riusciva a riflettere, sentiva che lentamente tutto quello che le stava intorno spariva sotto quelle labbra calde che le facevano perdere la testa. Cosa le stava succedendo? Come poteva comportarsi così? Mark... Mark sembrava un ricordo ormai lontano, sembrava svanire sotto le sue mani che la stringevano, sotto il battere incessante del cuore di Nithael presso contro il suo...

Si staccò dolcemente sorridendogli. "Nithy... Credo che... Ecco io... ", lui le sorrise prendendole il viso tra le mani e baciandole la fronte. "Anch’io Sary. Anch’io. " lei chiuse gli occhi abbracciandolo. Si sentiva sicura in quelle braccia, protetta. Le infondevano coraggio, voglia di amare. Sensazioni che non provava da tempo e che non aveva mai provato con tale intensità prima di allora.

Lui la cullò per un tempo che sembrava non finire mai. Sembrava si fosse fermato, solo per loro due. Due amanti che avevano perso la strada del tempo, della realtà. Nithael dormiva tranquillo in fondo alla barca in mezzo a loro. Il suo russare li fece sussultare e ridere di gusto. Era tenerissimo. "Che ne dici Sary di tornare a riva. Tra poco il sole sarà alto e scotterà. Potresti prenderti una scottatura con quel vestito... " disse arrossendo e abbassando gli occhi.

"Perché? Cos’ha questo vestito? ", lui sorrise scuotendo la testa. "Nulla... Ehm... Vai sempre vestita così a scuola?" Sara rise. Mark non era mai stato geloso di lei. E trovare un ragazzo che lo fosse la faceva sorridere. "Daccordo a scuola vado anche peggio vestita... Ma se vuoi posso fare uno strappo alla regola", lui spalancò gli occhi lasciando cadere i remi. "Come?!" Lei rise guardando la sua espressione.

"Eh dai! Non fare il geloso! E poi chi sei tu per essere geloso e dirmi come mi devo vestire?", lui prese il colpo in pieno petto. Sembrava un pugno ben assestato nello stomaco. Impallidì ricordandosi solo allora di chi fosse realmente, di cosa stava facendo, di quello che aveva fatto. Scosse la testa e raccolse uno dei remi. L’altro era caduto in acqua.

"Hai ragione Sara. Non sono nessuno. Adesso torniamo e ti riaccompagno a casa."

Aveva detto quelle parole con una tale serietà e un tono talmente duro che Sara non riuscì ad aprire bocca. Lei cercava solo di capire se quello che era successo voleva dire qualcosa, se anche lui aveva provato quelle stesse cose oppure era solo stato uno "sfogo di ormoni" come diceva sempre Emy.

Nithael si svegliò e avvertì la tensione nell’aria. Saltò sulle ginocchia di Sara che lo coccolò rimanendo in silenzio.

Nithael remava con un remo cercando di portare al più presto possibile la barca al molo e di andarsene. Non poteva aver fatto... Non poteva.

Aveva il viso corruciato, lo sguardo impenetrabile. Sara rabbrividì. Non lo aveva mai visto con quell’espressione. Forse aveva sbagliato a dire quelle cose con quel tono. Forse aveva sbagliato tutto... Improvvisamente un nodo alla gola salì a farle male e per non farsi accorgere si alzò in piedi lasciando Nithael sul fondo della barca e tentò di voltarsi dall’altra parte per dargli le spalle ma la barca era troppo instabile per tenerla in equilibrio.

"Ah!!" Cadendo si ritrovò in acqua. "Sara!!" Nithael si tolse la maglia e si tuffò in acqua. Il cane che dal bordo abbaiava come un pazzo alla vista della sua padroncina in difficoltà. "Sara sto arrivando! Sono qui!" Lei che si divertiva nell’acqua tiepida faceva finta di non saper nuotare per cercare di smorzare quell’aria tesa e chiarire la situazione.

"Sary... Eccomi. Stai tranquilla, adesso ci sono io." Lei si aggrappò alle sue spalle. "Nithy... Sei arrivato... Ma io so nuotare benissimo. Alle gare della scuola ho preso la medaglia d’oro... ", Nithael la guardò in viso, togliendosi l’acqua che gli gocciolava sul viso.

"Che cosa?! " lei gli alzò il viso. "Ho fatto apposta si. Non potevo più reggere quella situazione! Diamine! Ma che cosa credi?! Che ti ho baciato così, per sport?! No! Cristo Nithy io... Oh, al diavolo!" Piangendo di rabbia prese a nuotare verso al barca. Salita a fatica cercò di tranquillizzare il cucciolo che scodinzolava alla vista della padroncina.

Nithael nuotò con rabbia fino alla barca. Quando salì Sara si accorse del suo petto nudo. Della bellezza quasi folgorante di quel ragazzo che le aveva strappato il cuore.

Lei con quei vestiti bagnati si sentiva in imbarazzo. Se ne stava seduta rannicchiata sul fondo della barca senza dire nemmeno una parola. L’abito diventato trasparente al contatto con l’acqua le stava appiccicato al corpo come un manto, mostrando le forme, il reggiseno e le mutande... Era rossa in viso. Nithael capendo la situazione tentò di voltare la barca alla riva più vicina. Era una parte di lago deserta. C’era come sabbia bianca e gli alberi di salici piangenti incorniciavano quella piccola spiaggetta. Arrivati prese la sua maglia e la buttò a terra lasciando che Sara si sedesse e non sporcasse il vestito di sabbia. Lui si rassegnò a ricoprirsi di granuli bianchi su tutto il corpo. Sara era zitta. Poi sospirando scattò verso di lui. Gli prese entrambe le braccia e si stese sopra di lui, tenendogli le mani incatenate alle sue sopra le loro teste.

"Sary... ", lei scosse la testa. "No, niente Sary stavolta. Ascoltami. Da quando ti ho detto quella frase sei cambiato Nithy. Sei diventato cupo e così mi fai dannatamente paura. Io non so che cosa è successo, non so cosa mi hai fatto. Ma... Io... Io credo di amarti, di volerti bene Nithy. E non dirmi che sono pazza a pensare che ci siamo conosciuti prima perché so che anche tu provi le mie stesse emozioni... Lo leggo nei tuoi occhi Nithy. Non puoi fare così, non puoi!" Lui chiuse gli occhi alzandosi. La tenne stretta sulle sue ginocchia. "Sara non possiamo lo vuoi capire?! Proprio per quel ricordo Sary... Dannazione!" Lei lo guardò non capendo. Urlò: "Perché?! Dimmi perché non posso amarti! Dimmelo!" Lui la guardò teneramente. "Sary... No, ti prego non guardarmi così! Ti prego!" Lei pianse. Lacrime di rabbia, di dolore. Chiuse gli occhi prendendo respiro. Si alzò camminando verso la riva. Rabbiosa. Sentiva il cuore scoppiarle nel petto. Com’era stata stupida. Nithael la seguiva giocando con i sassi. "Sono stata una stupida. Solamente una stupida. Cancelliamo tutto e non vediamoci più." Lui la prese tra le braccia arrivandole alle spalle ma lei si divincolò. "Non toccarmi. Se per te non ha avuto nessun significato il fatto che ci siamo baciati... Che... Oh! Lasciamo perdere." Incamminandosi verso la barca stava per salirci quando Nithael la fermò per un braccio. "No Sary. Non puoi andartene così. Diamine! Io ti amo! Ma non posso stare con te, non posso!" Piangendo cadde in ginocchio distrutto. Aveva fatto un grosso errore a tornare sulla terra. Doveva dare retta a Ryel. Era impossibile non innamorarsi di lei... Era impossibile vivere senza di lei.

Sara si voltò inginocchiandosi davanti a lui. Gli prese il volto fra le mani e lo guardò senza capire. "Perché? Voglio saperlo Nithy. Adesso."

Lui chiuse gli occhi. Annuì con la testa. Poi alzando lo sguardo e levando le braccia al cielo come una luce lo avvolse, mentre dalla sua schiena due ali spuntavano librandosi in tutta la loro maestosità, bellezza. Sary piangeva senza che se accorgesse. Non aveva paura. Guardandolo in viso vedeva l’espressione di dolore nei suoi occhi, vedeva le sue lacrime scendergli veloci sulle gote.Con una mano tremante toccò una di quelle ali che Nithael muoveva delicatamente verso di lei. Erano morbide. Bianche, candide. Calde.

Guardò in viso Nithael. Gli sorrise e lo abbracciò. Lui colto di sorpresa aspettandosi un’altro tipo di reazione la strinse con tutte le sue forze.

"Ti amo Nithy." Lui la strinse di più piangendo. "Anch’io principessa. Anch’io ".

Erano stesi entrambi sulla spiaggia. Un’ala di Nithael sotto il corpo di Sara. Non voleva che le faceva sparire. Le voleva toccare. Le piacevano.

"Nithy... Dimmi chi sei", lui la guardò girandosi su un fianco. "Sono l’angelo delle anime perdute. Do sollievo a chi ne ha bisogno, scendo sulla terra per aiutare chi soffre ", lei lo guardò perplessa. "Eri tu quel giorno?", lui annuì sorridendole e accarezzandole una guancia. "Si. Forse non avrei dovuto venire... Forse... Ma è successo... ", lei gli sorrise stringendosi nel suo petto. "Forse hai ragione tu, ma io sono felice di averti conosciuto e di amarti. E non m’interessa cosa sei o chi sei. Io ti amo. Semplicemente. Sempre. " Nithael colpito da quelle parole, da quello sguardo sincero, limpido le sorrise baciandola. Le sue mani sotto l’abito umido, le sue labbra sul suo corpo. Si amarono semplicemente. Liberi. Sopra di lei Nithael la guardava dolcemente. Con passione. Nuda sotto di lui non provava paura o rimpianto. Voleva lui. Voleva amarlo. Con tutta se stessa.

Quando entrò in lei sentì esplodergli il petto. In un sussurro riuscì a dirgli: "Ti amo"... Nelle sue braccia si coccolava, al riparo delle sue ali sentiva il suo calore. Il suo cucciolo dormiva sopra di loro al riparo dal sole.Sara accarezzava il suo petto muscoloso. Era stata la sensazione più meravigliosa che potesse mai regalargli. Non aveva sentito dolore, rimpianto. "Ciao... " lui si svegliò al suono della sua voce. Le sorrise e la strinse forte baciandola. "Mi sono addormentato... " Lei sorrise. "Lo so". "Tesoro... Cos’è quel faccino?", lei scosse la testa piangendo e sorridendogli. "Sary... Amore che c’è?", lei si aggrappò alle sue spalle. "C’è che ti amo e che è stato bellissimo. Grazie ", lui le sorrise stampandole un bacio sulla fronte.

"Amore... Quando ci vedremo adesso?", lui la guardò sospirando. "Ogni volta che avrai bisogno di me. Appena ti riaccompagno devo fare una cosa. Stasera verrò a darti la buonanotte" lei si appoggiò su un fianco giocherellando con i peli del suo petto.

"Ma come faccio a farti entrare in casa? I miei se ne... " lui rise arruffandole i capelli. "Secondo te chi ti ha dato la buonanotte ieri sera?", lei rifletté un attimo. "Bhe! Non era mio padre che mi teneva la mano e mi ha detto buonanotte princ... Eri tu! Tesoro eri tu!" Sorrise. "Già. Verrò ogni notte e ogni mattina. Ogni volta che avrai bisogno ", lei gli sorrise baciandolo appassionatamente.

"La giornata di oggi non è ancora finita, perciò se sei ancora a mia disposizione non ti muoverai di qui fino anche non avrai esaudito tutti i miei desideri", lui la guardò divertito. Lei lo stese circondandogli il collo con le braccia.

"Cosa desidera la mia principessa?", "Amami". Nithael riaccompagnò fino alla porta di casa Sara. Il suo cucciolo entrò senza esitazioni stanco morto. "Ci vediamo dopo amore." Lei gli sorrise baciandolo. "A dopo".

Entrata in casa trovò i genitori sulla porta del salotto. "Chi era quel bel ragazzotto?", lei sorrise e senza dire una parola corse in camera sua. La madre la seguì sedendosi sul letto. "Allora?", lei stessa sul letto le sorrise. "É un amico." La madre la guardò di sottecchi alzandosi e guardando fuori dalla finestra. "Oh, si certo. Perché da oggi gli amici si baciano appassionatamente, vero?", Sara arrossì. "Si chiama Nithael. È... Il mio ragazzo", la madre esplose di felicità."Che bello! Sono contenta... Qualche giorno tesoro dovrai invitarlo a casa, va bene?", Sara sorrise annuendo."Posso stare sola mamma?", lei annuì. Uscì chiudendo la porta. Il cucciolo era giù che mangiava. Erano già le cinque di pomeriggio. Il sole stava iniziando a tramontare.

Sara guardava dalla finestra. C’era qualcosa di nuovo nel suo sguardo. Qualcosa che sapeva esisteva lassù. Ma quanto sarebbe durato? Come avrebbero fatto? Sentiva che attimo dopo attimo Nithael le rubava un pezzo del suo cuore, sentiva che gli strappava la sua anima, lo sentiva circolarle nel sangue. Non si immaginava senza di lui. Gli aveva donato se stessa quel giorno. Gli aveva dato tutto di lei. Ma per quanto sarebbe successo? Sospirò cambiandosi. Era stanca. Si fece una doccia veloce. Sentiva ancora le sensazioni sulla pelle. "Nithael! Che cosa hai combinato?!" Lui sospirò battendo una mano sulla spalla dell’amico. "Ryel lo so... Ma non potevo rinunciare a lei. Sarebbe stato come rinunciare a me stesso. L’amo Ryel. E non posso farci niente. ", lui annuì. "Amico mio per quanto credi che lassù ti concedino di andare avanti?", "Spero il più possibile e poi sceglierò amico mio. Aspetterò due giorni e poi dovrò decidere anche se già la mia scelta l’ho fatta. A qualsiasi costo", Ryel annuì.

"Daccordo amico. Io ti aiuterò se sarà necessario", "Grazie".

Era notte. Sara aspettava impaziente. Avvolta nella sua camicia da notte era stesa sul letto quando all’improvviso un vortice di piume davanti a lei mostrò la figura di Nithael. "Amore!" Gli corse nelle braccia. "Ero preoccupata... Ho pensato che... ", lui la strinse baciandola.

"Sono qui principessa. Sono qui." Lei sorrise baciandolo nuovamente. Fino a che aveva fiato in quel corpo, fino all’ultima fibra del suo essere. Lo amò tutta la notte. Addormentandosi poi nelle sue braccia.

All’alba Nithael la svegliò con un bacio caldo e lieve sulle labbra. "Buongiorno. Dormito bene?", lei gli sorrise. "Benissimo grazie. Nithy... Ho come l’impressione che mi stai nascondendo qualcosa." Lui le accarezzò una guancia baciandola. "Non dire sciocchezze. Oggi devi andare a scuola?", lei annuì. "Già". Si alzò vestendosi. Nithael nel letto la guardava accarezzandole ogni parte del corpo. Di quel corpo che aveva amato con tutto se stesso, che aveva toccato fino in fondo arrivando fino all’anima.Sara prese una gonna nera con spacchi laterali e un top celeste. Un golfino nero rifiniva il tutto. Messi gli stivali di pelle ai piedi si voltò facendosi ammirare da Nithael."Ma sei matta?! E tu vorresti andare vestita così a scuola?" Lei gli sorrise baciandolo. "Non essere geloso!", lui la prese buttandola sul letto e baciandole il collo. "Nithael... Starai sempre con me?" Lui si fermò guardandola in viso. Fuori pioveva a dirotto, il cielo era cupo. Nuvole nere avevano ricoperto la città. "Ogni volta che pioverà, ogni volta che guarderai il cielo amore mio, sorridi perché starai sorridendo a una parte di me, un’infinita particella di me che sarà parte di quel mondo. Bacia la pioggia, accarezza il vento. Arriveranno fino a me. E in quel vento soffice che ti passerà sulla pelle io ti dirò quanto ti amo. Io sarò sempre con te amore. Sempre. ", Sara non capiva cosa voleva dire. Ma gli sorrise baciandolo. "Ti amo Nithy".

Quella mattina con l’ombrello in mano Sara si avviava verso la scuola. Incontrò come sempre Pam e Emy in classe.

"Sara.. Te la sei bigiata, eh?", lei sorrise scuotendo la testa. "L’altro ieri Dafne si è suicidata. Così ho preferito stare a casa. Poi i miei mi hanno regalato un cane. E hanno deciso di stare a casa il più possibile. Sembriamo una vera famiglia. E poi... Sono insieme ad un angelo. Nithael." Le amiche erano rimaste senza parole. "Sary... Oh, mio Dio!" Emy e Pam corsero ad abbracciarla. Sara pianse. Tutte le sue lacrime. Tutto il suo dolore. La sua angoscia.

"Si è suicidata. L’avevano violentata ed era rimasta incinta. Così ha preferito tradirmi... Ha lasciato una lettera a me dicendomi tutto questo... A me. A me sola la verità. Non mi ha chiesto aiuto... Poi è arrivato lui. Come per incanto è successo tutto. E mi ha rivelato di... Ho visto e amato le sue ali. E sono felicissima ma non so perché continuo a piangere. È più forte di me... " si strinse alle amiche. Si strinse alla vita. Voleva afferrarla prenderla a due mani perché sentiva che le stava sfuggendo dalle mani. Perché sentiva che stava succedendo qualcosa. Perché sapeva che all’uscita da scuola non avrebbe visto Nithael. Perché sapeva che quella mattina l’aveva amata per l’ultima volta. Aveva fatto l’amore con lei con foga, passione. Come se la stesse amando quell’ultima volta. Il cielo sembrava piangere con lei. Quelle lacrime che scendevano dal cielo sembravano un richiamo di Nithael. Sembravano volerle dire qualcosa.

Pam si scosse dai suoi pensieri. "Siediti Sara. Ho da dirti qualcosa.", lei la guardò preoccupata. Emy le teneva la mano. "Sary l’altro giorno è vero che ti abbiamo nascosto qualcosa. Ho visto Nithael. Ho visto le vostre anime unirsi. Ho visto quell’angelo presso di te. Voi siete anime che si rincorrono. In altri tempi vi siete amati e mai siete riusciti a coronare il vostro sogno. In questa vita Nithael ha ricordato questo e quando vi siete incontrati per caso è successo tutto. Sara, Nithael dovrà pagare per aver scelto di amarti. Sento la sua voce. Ti sta dicendo addio. Lassù l’hanno punito. Non verrà. Ma forse una soluzione c’è... ", Sara aveva ascoltato abbastanza. Chiudendo gli occhi prese la cartella.

"Grazie per avermi nascosto questo. Per aver lasciato che ancora una volta la mia vita mi distruggesse. Ma questa volta non ho intenzione di farmi sopraffare da lei. Cambierò il mio destino".Pam stava per rincorrerla quando Emy la fermò. "No Pam. Ha ragione. Avremmo dovuto parlargliene. Ora lasciala sola. Qual’è la soluzione che dicevi Pam?"Sara piangeva in silenzio. Stringendosi nell’impermeabile camminava senza meta. Si trovò alla via principale. Vedeva la gente affollata che camminava accanto a lei. Le sembrava di impazzire. Sentiva un vuoto che non sapeva colmare. Sentiva il suo cuore perdersi nell’infinito che la circondava. Bagnata fino all’estremo guardava le gocce di pioggia che cadevano su di lei. Le sentiva sulla pelle come delle carezze. Si ricordò delle parole di Nithael. Provò a baciarle a prenderle fra le mani. Con rabbia. Con amore. Con dolore. Per un suo bacio, una sua carezza. Il suono della sua voce. No. Non poteva lasciarla così. Pianse accasciandosi a terra. Il dolore sordo che le rimbombava nella testa. Cosa stava baciando? A chi stava parlando? "Nithael!!!!" Un urlo, un grido di dolore. Senza risposta. Senza lacrime. Si sentiva vuota. Sola. Si rialzò a fatica. La gente attorno a lei che camminava per la sua strada. A Sara sembrava che la testa, il mondo iniziasse a girare sempre più forte. Sentiva il freddo sotto i vestiti bagnati. Il freddo del suo cuore. Un’altra volta. Era accaduto un’altra volta..."Hai scelto Nithael. Sei sicuro della tua scelta? Potrai tornare umano ma non ti ricorderai nulla. Non ti ricorderai di lei. La tua memoria verrà cancellata." "Lo so. Ma non potrò mai dimenticarmi di lei. Mi basterà un suo sorriso. Sono sicuro. Ho scelto". Pam e Emy la raggiunsero. Emy le pose una mano sulla spalla. "Coraggio Sara".

Le parole di Nithael le giravano vorticosamente nella testa. "Ti amerò sempre Sara. Sarò sempre con te. Sempre. Bacia la pioggia. In ogni soffio di vento ti dirò quanto ti amo..." Senza più forze sorrise. Si rialzò. Sorrise. "Questa pioggia. Questo vento che tiepido e soffice passa sulla mia pelle è il suo respiro. I suoi baci. È il suo modo per dirmi ti amo. Per sempre". Si strinse nelle spalle, mentre Pam piangeva.

Sara si guardò la mano. Porse il palmo verso il cielo. Tentò di amarlo, tentò di riaverlo. Li, in quel palmo. Lo voleva, ora. Un soffio di vento caldo le passò sul viso. Una piuma le arrivò ai piedi. Sara la raccolse. Guardò davanti a se e lo vide. I suoi occhi. Gli sorrise. "Nithael... " il ragazzo guardò quella bellissima ragazza che correndo andava verso di lui. C’era qualcosa di familiare in lei.

Sara felice gli saltò al collo baciandolo. Lui la respinse dolcemente. Lei lo guardò perplessa... Poi gli sorrise. Non poteva averla dimenticata. Non poteva essere tornato da lei a questo prezzo.

"Non ricordo... Chi sei?" Un colpo in pieno stomaco l’investì. Un vento gelido le trapassò le membra. Chiudendo gli occhi scosse la testa andandosene.

No. Non poteva accadere. Ma sorrise al cielo. Anche se non si ricordava nulla di lei, del loro amore, era felice. Era vivo e sulla terra. Questo era l’importante. Lei lo avrebbe amato sempre.

"Sary... ", "No Emy. Non dire niente. Continuerò ad amarlo ad ogni soffio di vento, continuerò a baciarlo in ogni goccia di pioggia che investirà il mio corpo. Lo abbraccerò abbracciando il vento. È così." Emy sorrise incamminandosi.

Nithael sentì come un martello nella testa. Un pulsare incessante. Quella ragazza... Quei capelli... Quel viso... Quel sorriso... Il sorriso...

La raggiunse correndo. La prese per un braccio.

"Nithael... ", "S... Sary?", lei gli sorrise con le lacrime agli occhi. "Sei tu! Sei tornato!" Una valanga di ricordi sfuocati ma nitidi nel suo cuore presero forma nella sua mente. "Amore te l’avevo detto che sarei stato sempre con te. ", lei lo abbracciò forte.

"Ti amo Sary", "Ti amo Nithy. Sempre."

Era questo che aveva sempre saputo. Quello che aveva sempre desiderato. Sorrise. Guardò il sole. Un brivido al contatto della mano di Nithy sulla sua schiena. Un tocco impercettibile, dolce. Il tocco di un angelo.