Michele Saracino Call Me Michele Saracino... |
IN UN ROMANZO QUESTO SAREBBE IL PRIMO CAPITOLO
Girare alcune pinacoteche non mi ha certo fatto diventare un esperto d'arte. Resto all'oscuro di tutti i riferimenti che dovrebbero guidarmi nella lettura di un dipinto. Certo in me scalpita lo spirito critico che sulle basi del poco che conosce si diletta in approssimate ed estemporanee disserzioni. Ma la parte depressa del mio intelletto, costituzionalmente la piú umile, che ancora ha il sopravvento su tutte le mie decisioni, ancorandole a terra e gravando sulle mie spalle come un onesto pachiderma, sempre mi richiama all'ordine e mi ricorda che sono solo un piccolo nulla facente che fissa un quadro come un attore incapace "guarda in camera" ad ogni battuta. Ma il frequentare pinacoteche su una cosa mi ha fatto riflettere: i volti nei ritratti. Ogni faccia è come se l'avessi già vista da un'altra parte. Anzi veramente vi riconosco un amico, un attore, un passante pure mia madre. Come se l'umanità riproducesse sempre gli stessi stereotipi di volto. Come se ad intervalli regolari il cliché venisse riutilizzato. Ad un certo punto non è piú possibile una diversificazione e si ripescano stampi già adoperati. Ecco perché Sean Connery si trova ad avere la faccia di un tizio ritratto da El Greco! Uno non ci fa caso, non lo sa nemmeno e gira con una faccia del 1500. Certo questa idea che mi attanaglia il cervello in attesa d'altro, tanto da diventare una delle mie piccole ossessioni, non pretendendo di avere fondamento scientifico, non lo ha. Ma accettandola per un momento come assioma o come dogma (non è poi tanto difficile, siamo abituati a peggio) uno deve per forza raggiungere il punto in cui si chiede: hey di chi ho la faccia? a chi sono già appartenuti i miei lineamenti? Va tenuto conto anche del fatto che la prospettiva gioca un ruolo fondamentale in tutta questa mia teoria. Ossia il come vediamo una persona. La vista si sa è uno dei cinque sensi piú sopravvalutati. Soprattutto quando ad essa si attribuisce univoca capacità di dare una lettura veritiera dei fenomeni (non a caso si utilizzano locuzioni tipo: avere una visuale, dal mio punto di vista ecc.). Ma è facile riscontrare che la vista è soggetta a condizionamenti e preconcetti come il resto della cinquina d'appartenenza. Se non altro è viziata in partenza dal preconcetto della luce. Deve soggiogare ogni sua considerazione al fatto che sia accesa una lampada. Al buio un oggetto perde consistenza visiva, ma mantiene fisicità, esiste specie se vi prendete uno comodino nello stinco! Ma i preconcetti sono molti altri tipo la conoscenza, le esperienze e in genere un po' tutti quelli che differenziano il mio cervello dal tuo e il tuo da quello di chi altro. Si poteva semplificare dicendo: io sono diverso da te e vedo in modo diverso da te? Anche ma per prima cosa non mi permetteva di riempire una dozzina di righe e secondo non era del tutto passabile. Quello che voglio sia chiaro è che vediamo la stessa cosa in maniera materialmente differente. Non è un fatto mentale ma visivo. Perché tutto questo deragliamento filosofico di bassa lega? Per dire che io cercando il mio volto in una pinacoteca, non cercavo il volto che potresti vedere tu, incontrandomi. Un po' come la nostra voce che raggiungendo il nostro l'orecchio risulta diversa da quella che gli altri sentono o che registrando sentiamo noi. Non è solo l'udito ad avere questo errore di forma. Questo è quello che cercavo nella pinacoteca di Galleria Borghese. Soffermandomi sui volti senza sapere neppure chi era il ritrattista. A volte mi accorgevo di rimanere decine di minuti su di un quadro di non so chi mentre un gruppo di turisti stava per mezzore a fissare un Carravaggio. Un po' mi faceva sentire stupido. C'erano tedeschi che sicuramente discutevano di rotondità, di effetto, di colori e di chissà che altro davanti alla Dama con liocorno di Raffaello ed io ero lí a fissare un volto di Parmigianino che tra l'altro non mi ricordava nessuno. Un po' per imitazione un po' perché realmente mi sentivo in colpa, mi accodai a quel gruppo di tedeschi che seguii fino alla sala XX dove c'era Amor Sacro e Amor Profano di Tiziano. Ascoltare una giuda tedesca non conoscendo la lingua è davvero esilarante, grottesco. Voglio dire sembrava che esecrasse l'opera, alle mie orecchie ogni parola risultava un insulto. Non mi trattenni e scoppia a ridere. Una donna grassa con un paio di occhialini da lettura che le penzolavano sul seno prosperoso mi guardò storto. Non potevo certo passare da tedesco per lo meno non da tedesco che si fa centinai di chilometri per venire a Galleria Borghese. Erano tutti impettiti, avidi di particolari e posati mentre io ero rachitico, occhi da bue, mani alla perenne ricerca di una posizione adeguata, barba di tre giorni, capelli in disordine seppure corti. Mi allontanai limitandomi a guardare il dipinto da dietro il gruppo e nascondendomi quando la guida ruotava l'attenzione di 180 gradi indicando con quell'enorme indice la retrostante Venere che benda Amore, certo facendone notare la differenza stilistica. A Sara un pomeriggio, le mie vacanze romane erano terminate da un pezzo, descrissi la mia teoria sui ritratti. Lei mi chiese: a chi assomiglio io? Me lo chiese in un bar a Conegliano, il giorno dopo sarebbe partita per l'Irlanda e ci sarebbe rimasta per molti mesi a lavorare, mi aveva appena detto che non c'era telefono in casa di quell'amica che l'ospitava, in quelle condizioni il mio cervello tardo-romantico iniziò a macinare e mi catapultò in un vicolo cieco. "A Galleria Borghese, nella stanza di Psiche c'è questo quadro: Amor Sacro e Amor Profano di Tiziano, lo conosci?" "No" "Beh ci sono due donne, l'amore divino e l'amore umano, sedute su quello che dev'essere un sepolcro romano o etrusco non so. Il sepolcro è aperto, ma c'è dell'acqua dentro " il cuore mi martellava la gabbia toracica "c'è Eros il dio dell'amore, un bimbo, che mescola l'acqua nel sepolcro. In una bara mescola i due amori e li rende una cosa sola. A metà sepolcro da una un tubo esce quell'acqua ecco l'acqua che esce da quella bocca sei tu." Ci fu un silenzio. Un minuto buono che passai tastando il muro di quel vicolo nel quale mi ero cacciato, mentre lei, arrossendo, stava elaborando il modo migliore per glissare sulla mia imprudenza. C'eravamo già detti tutto a suo tempo e lei voleva sorvolare su questa mia ricaduta. "Cosí io sarei l'acqua di una fontana?" Ero spalle al muro: "No, l'acqua di quella fontana?" Non posso paragonarti ad una immagine ad un volto, perché io sono innamorato di te e ho altri termini di paragone non persone ma sentimenti quella è la cosa piú bella che io abbia mai Ecco come volevo continuare, ma in ottemperanza ai nostri accordi dissi: "Scusa mi sono lascito andare, facciamo cosí dimentica tutto " Lei sorrise e il sogno sfumò. Era l'ultima sala. Con questo la mia visita era conclusa. Avevo fatto la mia figura di merda e quindi era veramente tutto come al solito. Uscito da Villa Borghese presi il 64attentiaborseeportafogli e andai alla stazione Termini. Mi feci un panino al McDonald dimenticandomi di essere comunista o meglio simpatizzate dei diritti umani e salii sul primo treno per Ancona. La fortuna volle capitassi sullo scomparto fumatori. Io non fumo ma trovo che gli scomparti fumatori siano molto piú interessanti degli scomparti non fumatori. Come se i fumatori fossero meno conformati dei non fumatori. Lo so è un controsenso, ed in effetti ho potuto riscontrare l'invalidità di questa mia ipotesi... ma vi assicuro che in treno tutto assume connotati differenti. Ed in treno lo scomparto fumatori è veramente una fucina di storie diverse che si raccontano. Non appartenendo alla categoria non so dire se il fumo disinibisca le discussioni, forse come tutte le droghe ha la capacita di far socializzare non lo so. Il fatto di non appartenere alla categoria mi costrinse a rimanere in disparte immerso nel Il Sospetto di Durrenmatt, solo ogni tanto lanciando occhiate in giro. Sulla sedile di fianco a mio sedeva una ragazza diremmo "alternativa". Sicuramente leggeva riveste di controcultura (come del resto faccio pure io, non sapendo nulla della cultura di cui mi dichiaro contro), aveva un orecchino al naso di quelli che portavano i deportati dalla Liberia. Una serie da dodici piccoli anelli all'orecchio sinistro, un piercing a catenella sull'ombelico. Tatuaggi sul 40 per cento del corpo. Di cui uno magnifico sull'avambraccio. Un angelo. Faccia dura da militante, capelli spettinati fuxia. Fumava guardando fuori dal finestrino, impaziente. Entrò nello scompartimento un altro tizio con una 24ore e un naso da "porto d'armi". Si sedette di fronte alla ragazza che non lo fissò mente imitava uno ritmo ska schioccando la lingua. L'uomo sospirò come a dire cazzo la prossima volta guarda con chi ti siedi. Come faccio io a comprendere da un sorriso questo? Se aveste visto quell'uomo avreste capito che non si sarebbe mai voluto sedere lí. Ma era timido e non poteva certo rialzarsi e cambiare posto senza arrossire. Cosi riluttante aprí la valigetta ed estrasse un piccolo notebook. Digitava qualcosa in Word. Non riuscivo a leggere nulla di ciò che scriveva. Mi incuriosiva devo dire. Avrei potuto menzionarlo in un mio racconto (cosa che sto facendo). Voglio dire mi sono sempre piaciuti i rimandi e le ridondanze. Il fatto di poter descrivere in un racconto una persona che magari sta scrivendo a sua volta un racconto se poi magari nel suo racconto menzionasse a me? non sarebbe tutto un meraviglioso gioco ad incastro. Una metafora della vita. Un entrare nelle storie altri. Un penetrare l'altrui esistenza. Un penetrarsi a vicenda. Un po' come un rapporto omosessuale. Spero che la categoria non insorga per questa metafora. Inutile dire che non seppi mai cosa l'uomo scrivesse. Rimarrò con questo dubbio. Senza preavvisi la stazione si mosse e in breve tempo ci abbandonò, facendo scivolare le rotaie sotto il treno. Due sole esistenze, intrappolate nella maglia della mia storia in divenire. Due persone tanto diverse e chiuse che non si sarebbero mai trovate a discutere. La mia pesca era andata male. Potevo solo confidare in un intervento esterno, nell'attesa leggevo Durrenmattt. La ragazza fece uscire dallo zaino uno stereo portatile. Per un momento lessi il terrore negli occhi della "nasaica" scrittrice di wordprocessor. Come se la ragazza avesse estratto una mitragliatrice o una bomba. A dire la verità anch'io ero preoccupato. Non ci tenevo proprio a farmi il viaggio con un MC che proclamava rivoluzioni in Nike bianche o qualche metallaro che rifriggeva per l'ennesima volta il complesso di Edipo fortunatamente la ragazza estrasse pure un paio di cuffie. Con il semplice gesto di inforcarle aveva azzerato ogni mia speranza di commistione tra i due passeggeri (i miei personaggi ) e quindi mi buttai a capofitto nel libro. Dopo una mezzora, di fatti, non era successo nulla. Posai Il Sospetto e rimasi a fissare i due. Uno tarantolava sulla testiera del suo computer portatile, l'alta boccheggiava infrangendo il fumo sul vetro sudicio del vagone. Può l'autore alterare una situazione di stasi tra i suoi personaggi? Potevo intervenire in quella scena? La risposta aveva due dimensioni. Anzi a questa domanda uno scrittore piú agire in due modi: o attivamente o passivamente. Voglio dire, la maggior parte dei racconti autobiografici (anche se qui stiamo parlando di un paio d'ore in un treno su 23 anni di esistenza) subisce alterazioni per risultare fluidi, divertenti ed interessanti. Lo scrittore altera i fatti in maniera passiva quando modifica gli stessi nel momento della stesura del racconto. Mette per iscritto cose che non sono accadute. La modalità attiva invece è quando lo scrittore interviene nella storia mentre essa sta accadendo. Decide di cambiare i fatti agendo nel momento stesso in cui essi accadono. Nel caso specifico potevo scegliere se far accadere qualcosa (non so vomitando sul computer di tizio, per esempio) lasciando poi che nuovi eventi si sviluppassero o in sede di redazione modificare gli eventi facendo accadere quello che avevo deciso che accadesse. In verità uno scrittore di fronte a queste possibilità sceglie sempre la modalità passiva. Principalmente perché è un codardo (questo spiega perché voglia scrivere la sua vita invece di viverla e basta) e poi pure per, diciamo, orgoglio divino. Un po' alla Mark Lyner le cose possono accadere solo come lui vuole che accadano. Se fossi intervenuto avrei alterato la scena che si sarebbe sviluppata poi a prescindere dalla mia volontà. Cosa che del resto ha sempre fatto Non accadde nulla e arrivato alla stazione di Terni scesi e mi avviami al parcheggio. Di fronte avevano piazzato un enorme "monumento" alle fonderie. Una specie di pressa grande quando una palazzina a due piani. Orrido ma a suo modo rappresentativo della città. Mio zio dice che Terni e Rieti sono in assoluto le province piú mentalmente sottosviluppate d'Italia. Quelle dove il livello spirituale raggiunge abissi mai conosciti in nessun'altra civiltà. Non so se sia un'esagerazione |