Angelo Vitale

ha 32 anni. Ha vissuto fino all'ottobre 2000 a Partinico, paese di 33 mila abitanti, 40 chilometri a ovest di Palermo. Nel giugno del 1994 si è laureato in lingue con il massimo dei voti all'Università di Palermo. Ha frequentato un master in comunicazione e media dell'Università di Firenze. Anche se, suo malgrado, non ha ancora il titolo di professionista da sette anni lavora a tempo pieno come giornalista in emittenti televisive e radiofoniche locali, quotidiani (L'Ora, La Sicilia, Il Mediterraneo, La Repubblica ed. Palermo) agenzie di stampa (Ansa Sicilia), uffici stampa. Adesso lavora a Milano in un'agenzia di relazioni pubbliche dove svolge attività di ufficio stampa. E' appassionato di poesia e nel 1992 ha pubblicato anche una raccolta dal titolo "Presuntuosi magmi".

"BUONA CAMICIA A TUTTI"
Memorie della Prima Repubblica

"Sapessi quante camicie ho fatto nella mia vita".
"Ma tu - gli fa l'altro - non lavoravi nell'ufficio di ...."
"Si, appunto... Andiamo con ordine - comincia Alfredo mentre accende una sigaretta. Al paese ho fatto solo le elementari. Per le medie i miei hanno preferito mandarmi in un paese più grande a pochi chilometri da casa. Lì ho frequentato anche lo scientifico. Quindi mi sono iscritto all'Università, in Giurisprudenza. Lo studio - dice, lasciandosi scappare una smorfia paffuta come il suo viso - non è che mi sia piaciuto mai tanto, parliamoci chiaro. Al liceo ero il classico studente della sufficienza stentata. All'Università ogni materia era un ostacolo insormontabile. Poi è capitato il diritto privato. Mi sono presentato due volte ma non sono passato. Tentai un corso di laurea breve in giornalismo ma non fui ammesso e nel frattempo arrivò la chiamata militare. Subito dopo il servizio militare, l'obiettivo principale era quello di trovare un posto di lavoro. Ormai - continua con voce calma e tono dimesso - lo stimolo di continuare l'Università non c'era più".
Ebbe "l'occasione di lavorare nella segreteria di un'onorevole che allora contava". Un deputato diccì del grande centro che Enzo Biagi, in una sua inchiesta, bollò per essere in quegli anni il più assenteista di Montecitorio. "La promessa non era tanto di andare a lavorare, perché ci davano appena centocinquanta mila lire al mese, c'era la speranza che prima o poi lui ti piazzasse in qualche banca, alle poste. M'accollai di andare a Palermo tutti i giorni".

"Ma il lavoro in che consisteva?"
"Dovevo preparare lettere di raccomandazione a ciclo continuo. Si scrivevano sempre seguendo un certo schema, si potrebbe dire impersonale. Per esempio il signor tizio mi ha riferito che ha bisogno di questa cosa, vedi quello che si può fare. L'interlocutore principale era l'allora Ministro Gava. Ogni giorno si scrivevano in media una ventina di lettere. L'onorevole le leggeva e se andavano bene le firmava altrimenti ritornavano indietro. Nella segreteria c'erano, pure, dei segretari incaricati di settori specifici. Chi si occupava di sanità, chi di poste, chi di sip. Spesso veniva a trovare l'onorevole un prete "spogliato" che ora è morto". Alfredo, ammicca, non dice altro di questa persona perchè sa bene che l'amico ha capito di chi si tratta, e cioè di un ex prete accusato di associazione mafiosa, per intenderci quello che sposò Totò Riina e Ninetta Bagarella.
"Per ogni segnalazione che arrivava - riprende il discorso - si apriva un fascicoletto, ovvero la camicia. Sopra si scrivevano i dati anagrafici del raccomandato, chi lo segnalava e l'oggetto della raccomandazione. Ogni camicia veniva registrata anche sul computer".
"Ma perchè la chiamavate camicia?"
"In gergo tra di noi si diceva: fagli la camicia". Fa un accenno di risata. "Ma non in senso ironico - precisa, cercando di trattenere il sorriso. Era semplicemente una normale carpettina bianca con i risvolti".
L'amico sempre più incuriosito incalzava: "e quali erano le richieste più frequenti?"
"Il posto di lavoro, il trasferimento, soprattutto nell'ambito delle poste, e poi le cose più disparate. Una volta un signore ci chiese di intervenire presso l'amministrazione comunale di un paese sperduto per cambiare la destinazione urbanistica di un suo terreno. Voleva costruirsi una casa. Per non parlare delle pensioni d'invalidità, di accompagnamento, dei trasferimenti di militari che volevano avvicinarsi a casa. Per ogni posto in cui si scriveva c'era un referente privilegiato".
Certe cose l'ascoltatore le sapeva, si sentivano in giro come tante leggende metropolitane ma stavolta aveva la ghiotta possibilità di scavare:" Le segnalazioni per i concorsi, ad esempio, come funzionavano?"
"In anteprima arrivavano da amici…"
"Quali amici?"
Alfredo lo scapolone ci gira intorno ma non vuole dire chi. "Insomma ci davano i tabulati delle graduatorie definitive. Si inserivano i dati nel computer e si vedeva se in quel concorso c'erano persone segnalate da noi. Se andava bene ci premuravamo a scrivere per informarli del buon esito ma anche se la prova era andata male".
"Quando si dice prendere la gente per il culo, eh?"
"Ah, è stata un'esperienza molto formativa. Mi sono reso conto in realtà che rivolgersi alla segreteria di un politico non serviva a niente". Parla muovendo la mano sinistra che gli nasconde il viso e una sigaretta tra le dita. "La raccomandazione non si fa a chiunque. Per ottenere quella giusta devi essere presentato da una persona che ti può dare un riscontro concreto soprattutto in termini di voti. Se conosci qualcuno che durante le elezioni è in grado di garantirti 300-400-500 voti allora è degno di essere ascoltato. Già da tempo ero convinto che per trovare un posto nella pubblica amministrazione ci voleva una raccomandazione".
"Ne sei convinto ancora oggi?"
"Si - risponde quasi calcando e prolungando la s. Non serve essere preparati, superintelligenti...
"Ma non c'è proprio scampo?"
"Per quello che ne so io non tanto. Personalmente ti posso dire della prova a quiz di un concorso alla Usl. Il ragazzo che era seduto accanto a me, un mio amico, ha fatto il tema uguale al mio. Lui non è passato, io si, ma senza raccomandazione - sottolinea toccandosi le guance. Poi ovviamente non c'è stato nulla da fare".
L'amico pensava che era troppo fatalista e, in fondo era stato una rotella che aveva contribuito a far girare quel sistema. Però non era questo che gl'interessava. Voleva sapere fin dove poteva arrivare la cialtroneria politica e la creduloneria della gente. "Certo ne avrai viste e sentite in quella segreteria?"
"Era patetico vedere nei giorni di ricevimento, quindici, venti persone che aspettavano di parlare con l'onorevole. Spesso provavo vergogna per loro e anche per me stesso, perché mi trovavo nella stessa condizione. Da un lato dicevo fra me e me: guarda questi poveretti, che cazzo vogliono, che ci vengono a fare qua, non lo sanno che prima ci siamo noi. Poi pensavo ma siamo sicuri che l'onorevole pensa prima a noi e non a loro? Quale criterio di scelta adotta? Avevo sempre questo dubbio. Tutti quelli che lavoravamo là eravamo nella stessa situazione".

Nel frattempo passavano gli anni, Alfredo cominciò a lavorare, contemporaneamente, presso lo studio di un avvocato perché "chi mi aveva portato in quel posto - continua - capì che non c'era niente da fare". Dal 1993 l'onorevole cadde in bassa fortuna. La segreteria si smantellò e Alfredo ricorda bene il giorno in cui l'ex sottosegretario entrò e senza guardare nessuno in faccia disse perentoriamente: "cancelliamo tutto". Quintali di camicie, tritate, ridotte in coriandoli. Per fortuna, l'anno dopo, arrivò, inatteso, un posto alle poste: "adesso - un pò sospira e un pò sbuffa - metto timbri, pago bollette, e... sarebbe ora di trovarmi una moglie. Ah ma con questo benedetto posto l'onorevole buonanima non c'entra nulla. Avevo presentato una domanda, così, tanto per...".