Isabella Rinaldi

Nata a Roma, abita a Milano.
Ha scritto ventisei racconti, tutti inediti.

Ma anche un romanzo, "Hey men" per mla casa editrice Addictions.

UN AMORE

L’importante è rimanere buoni amici. Perché non è che una donna dopo che te la sei scopata non vale piú niente. Al contrario: è preziosa per presentarti le amiche, ed eventualmente per riscaldare quei pomeriggi in cui non vuoi fare la fatica di andare a pescarne di nuove.

Quando capita di farmi la donna di un altro non mi sento in colpa, mi sembra anzi di riparare a un torto: ma come, avevi ‘sto fiore di figliola tutta per te e non la coccolavi a dovere? Sí, perché in fondo tutto si riduce a questo. Le donne non vogliono altro che le coccole, il calore di un abbraccio. E sono pronte a pagarlo qualunque prezzo.

All’inizio mi sembrava troppo facile, non volevo approfittarmi di questa scoperta, e lesinavo le mie attenzioni alle sole che si facevano piú coraggio e venivano a chiedermele. Poi mi sono detto: Oscar, non sei un genio, non sei un adone, se l’unica cosa che sai fare è quella, dacci dentro, vuol dire che è la tua missione. Io credo che ognuno abbia una missione in questa vita, se no che ci stiamo a fare? Ecco perché sono convinto che morirò quando non mi tirerà piú, o meglio: quando l’uccello se ne andrà in pensione vorrà dire che è arrivata la mia ora. Semplicemente finirò di vivere. Ma a questo cerco di pensare il meno possibile, perché mi intristisce molto immaginare il mondo che continua mentre io non ci sono piú.

Ecco: adesso mangio un boccone, mi faccio una doccia e sono pronto per uscire.

Per qualche tempo la sera ho frequentato le discoteche, ma mi sono accorto presto che le ragazze che si rimorchiano lí, ti trattano come una specie di numero: una tacca in piú sul loro fucile. Alcune sono capaci di farsi due o tre ragazzi di fila, la stessa sera. E che amore è quello? All’opposto ho conosciuto donne che si tenevano vergini alle soglie della menopausa in attesa dell’uomo giusto. Che confusione regna nelle femmine! Quelle che mi fanno piú tristezza sono le donne sposate, magari da tanti anni, che da tempo immemore non scopano col marito, e lasciano ammuffire la loro sessualità in nome di una malintesa fedeltà. Ma non lo capite che le uniche cui dovete rimanere fedeli siete voi? Per fortuna ci sono io, generosamente pronto a dare anima e corpo per riparare, nel mio piccolo, alle storture del mondo.

Stasera ho appuntamento con una sposata. Me la vuole presentare a tutti i costi un mio vecchio amico, eravamo compagni di stanza al pensionato a Milano, prima che io lasciassi il Politecnico. So che sono stati insieme per un certo periodo, credo si siano anche voluti davvero bene, lui non mi ha spiegato perché si siano lasciati. E non siamo cosí in confidenza perché io glielo possa chiedere. Ma penso che se la vita ti allontana da quelli che ami è solo per insegnarti qualcosa. Lei in particolare di insegnamenti dovrebbe averne ricevuti abbastanza, visto che ha pure avuto un bambino da un altro. Eppure è ancora infelice, a detta del mio amico, forse ha bisogno di trovare un po’ d’armonia nella sua esistenza. Per cominciare penso che me la scoperò stasera stessa, poi vedrò.

Ma guarda che bella ragazza s’è portato dietro Gianluca. Sarà lei? E che gli salta in mente di uscire a tre? Non avrà voluto farmi uno scherzo, spero.

"Ciao, io sono Oscar" dico, mentre mi siedo al loro tavolo.

Dedico a lei un lungo sguardo, per farla sentire al centro dell’attenzione. Solo dopo passo a salutare il mio amico, ma torno subito a guardarla, anche mentre ordino la stessa birra che ha preso lei. A prima vista sembra una che fa la difficile. Si chiama Lucilla, e mi pare un buon segno, perché non sono mai stato con una Lucilla prima, e perché è un nome assurdo.

Comunque Lucilla beve come uno scaricatore, man mano che vanno giú le birre la vedo sciogliersi ed è come se venisse fuori dal velo di ipocrisia dietro cui stava all’inizio. Ora piú che carina mi sembra buffa. Ci metto poco però a capire che anche questo è uno schermo.

S’è fatta mezzanotte. Gianluca dice che deve andare, perché domattina si deve alzare presto.

"Tu che fai" le chiedo, "vai con lui o preferisci che ti riaccompagni a casa io?"

Prima sorpresa della serata: Lucilla dice che credeva che si sarebbe fermata a dormire da me. Istintivamente guardo il mio amico, non è che lo voglio rimproverare, ma poteva dirmelo da subito che con questa si giocava a carte scoperte, sarei stato piú spontaneo.

Lo salutiamo e rimaniamo soli.

Lei mi si fa vicina sul divanetto.

"Prendiamo un’ultima birra" propone, e lo fa come se ci conoscessimo da anni e dovessimo rimanere a parlare di un argomento che prima, in compagnia, non potevamo affrontare.

Dopo quattro pinte di ale comincio a sentirmi intorpidito. Le chiedo scusa e mi alzo per andare in bagno. "Ti accompagno" dice lei.

Si mette accanto a me e lo tiene in mano mentre piscio. E’ la prima volta che sono imbarazzato a farmi toccare l’uccello da una ragazza. Eppure la naturalezza dei suoi gesti mi mette a mio agio, riesco a far tutto come se fosse una cosa normale. Mentre ci laviamo le mani, ci mettiamo a ridere.

"Credo di aver bevuto troppo" dice lei. E io mi sento leggero e frizzante insieme, insomma sono già mezzo innamorato di questa Lucilla e non vedo l’ora di portarmela a casa.

Abito in una soffitta di trenta metri quadri, che ha il doppio vantaggio di costare pochissimo e piacere molto alle donne. Le pareti sono tappezzate di libri di filosofia, che compro già usati e ai quali do solo un’occhiata superficiale, ma che ammollano tutte quelle che fanno le intellettuali. Ovviamente conto che Lucilla rimanga subito colpita dai titoli, ma anche stavolta è lei a sorprendermi, chiedendomi se possiamo guardare la tele insieme, dice che la fa tanto sentire a casa. Si accoccola sul divano, togliendosi le scarpe, ed è il ritratto dell’innocenza.

"Vuoi da bere" le chiedo accendendo un paio di candele.

"Solo dell’acqua, per favore" risponde con una voce suadente e impostata.

Quando arrivo col bicchiere Lucilla mi tira a sé e mi caccia la lingua in bocca tanto profondamente che fatico a riprendere fiato. Poi beve l’acqua: "siediti qui con me, c’è un film dell’orrore che ha fatto epoca quando ero alle medie. Mi ricordo che al cinema andammo in sei, io ero l’unica ragazza, mentimmo alla bigliettaia, perché non avevamo ancora l’età…"

"Quanti anni hai?"

Forse sono stato maleducato, forse ha paura di confessare la sua età, che tra l’altro conosco benissimo, ma ci mette un pezzo prima di rispondere.

Le sorrido con quell’espressione incantevole che so avere presa sicura sulle donne. Non reagisce come speravo, ma mi pare comunque ammorbidita. Forse sta pensando che sono solo un idraulico e che non si deve aspettare troppo.

Lucilla è vischiosa, mi intrappola in una rete di ragno che non mi ero accorto avesse filato. Sono qui sul divano vicino a lei, che guarda una ragazzina che si masturba con un crocifisso, e vorrei scappare altrove, ma mi sento incollato, intrappolato. Immagino che faccia lo stesso effetto anche a suo marito, e mi fa pena.

"Sei venuta qui per qualcosa?"

"Solo un po’ di sesso, se ti va di farlo piú tardi. Mi ha detto Gianluca che sei un esperto. Sono anni che non mi godo una vera scopata. Solo che prima ho bisogno di sentirmi a mio agio, voglio prendere confidenza con lo spazio."

"E che sei un gatto?"

Poi addolcisco la voce e mi avvicino: "perché non prendi un po’ confidenza con me, tanto per cominciare?"

Non mi aspetto molto, ormai ho capito che è lei che vuole dirigere il gioco. Invece comincia a strusciarmisi addosso proprio come un gatto. Sento il profumo dei suoi capelli, morbidissimi, che mi solleticano la guancia. Le faccio una carezza, distribuisco bacetti sul collo, quelli insalivati che arrapano le ragazze, e lei mi sembra gradire, anche se non distoglie mai completamente lo sguardo dalla tele. Dopo un tempo interminabile finisce il film, e lei comincia a dedicarsi a me.

"E’ vero che di andare con le donne ne hai fatto un lavoro?"

"No! Non sono un gigolo, temo che Gianluca ti abbia detto qualche cazzata sul mio conto."

"Scusa, in realtà non voglio sapere niente di te" dice distratta, e riprende a baciarmi.

Con una cosí insolente non mi tirerà mai. La serata mi sembra ormai sprecata. E mi pare di aver capito che non la posso scaricare fino a domattina. Faccio fatica a dominare un attimo di sconforto. Mentre le rispondo che io amo per vocazione naturale, e le racconto le solite frottole che ripeto ormai da anni, la guardo e la trovo sorprendentemente carina. Saranno i riccioloni biondi, saranno gli occhi chiari, anche se non sono poi cosí grandi, ma che sembrano avere il potere di scavarti dentro ogni minimo segreto, insomma, mi piace.

Mi lascio andare all’istinto e mi sdraio sopra di lei, magari un po’ goffamente, perché la sento gemere, ma non protesta, cosí finalmente lo facciamo.

Dopo: siamo sul divano, ancora vestiti, ancora affannati. Non è andata da dio, mi dico, questa poverina chissà che si aspettava, mi affretto a profondere carezze e baci e i soliti abbracci rassicuranti.

Lucilla si alza, si sfila completamente i collant, e va verso la cucina, cosí, senza parlare, col seme che le cola tra le gambe, mentre lei sembra non farci caso. Apre il frigo e si versa un intero bicchiere di vodka. Mi sento imbarazzato per lei: mi sembra che mostrare cosí la sua dipendenza dall’alcol sia il modo peggiore per chiedere aiuto. Non riesco a intenerirmi, provo solo fastidio.

"Andiamo a letto, ora?"

Le mostro la scala a pioli che porta al soppalco su cui è appoggiato un enorme materasso, con sopra il piumone.

Ci spogliamo nudi e ci sdraiamo al caldo.

Lucilla parte con una di quelle confessioni assurde e gratuite, che spesso le ragazze fanno col solo scopo di stupire e destabilizzare l’uditorio, che poi sono sempre e solo io che me le sorbisco dopo l’amore. Ci sarà una relazione tra il loro bisogno di aprire il cuore dopo aver aperto le cosce?

"Ho sempre desiderato fare l’amore con mio padre."

"Pensavi a tuo padre anche prima" chiedo, cercando di sembrare disinvolto.

Lei ride: "no, prima non pensavo a niente, mi stavo solo rilassando, mi è piaciuto farti venire."

Protesto che la parte del crocerossino del sesso devo farla io, e lei: "oh, ma la tua parte non è ancora cominciata!"

Davvero esisteva ancora una ragazza capace di stupirmi. Forse per questo il nostro amico ci ha organizzato l’incontro. Resta un mistero cosa abbia a spartire una come Lucilla con Gianluca, che è il piú noioso bravo ragazzo che si possa immaginare. Lei forse intuisce quello che le voglio chiedere, perché mi riassume in fretta la sua vita.

Mi sembra di parlare con una tossica. Un senso di claustrofobia aleggia attorno ad ogni singola sua parola. Ogni minuto di confessione è una stilla di dolore che mi piove addosso. Non ci ero abituato. Lucilla mi fa percepire la vita pesante come non credevo potesse essere.

"Scappa, Lucilla, non è giusto che tu stia cosí, sei giovane."

Lei si gira e mi rivolge uno sguardo da vecchia. E’ ovvio che va orgogliosa delle sue sofferenze. Forse pensa che i travagli dell’anima la possano far apparire piú matura. Forse crede di essere tanto avanti rispetto al mondo perché la sua folle sensibilità la porta a vivere piú intensamente degli altri.

"Io vado sempre in fondo alle cose. Io cerco l’essenza delle cose."

Vorrei dirle che è quello che fanno tutti gli esseri umani dal giorno in cui cominciano a riflettere sulla loro vita, ma ho paura di offenderla, mi dà un’idea di tale fragilità questa finta vecchia. Ecco che mi scopro innamorato come un coglione della donna piú complicata della terra, anzi, se dico che è complicata sono di sicuro già perso, perché il mio motto fino a qualche ora fa era di montarle per smontarle, adesso invece pendo dalle labbra di questa ragazza e non desidero altro che ascoltare e vivere il suo dolore e leccare le sue incurabili ferite.

"Ho cercato di suicidarmi, la settimana scorsa. Ma non ce l’ho fatta. Mi è mancato il coraggio di lasciare il bambino."

Questa però mi sembra una balla bella e buona, buttata lí per farmici abboccare. Vorrei reagire, gridarle: ma chi credi di prendere in giro? O magari dovrei picchiarla, farle capire che sono un uomo, che non ci casco in questi giochetti per rendersi interessante. Poi la guardo: è capacissima di averci provato davvero. Che bisogno avrebbe di sembrare ancora piú interessante una cosí? E’ un essere soprannaturale, delicatissimo, devo proteggerla, devo salvarla. Le dico: "non ci pensare, adesso sei qui per prenderti una pausa solo per te. Voglio che tu smetta di far girare la tua testolina dolente (e gliela bacio), voglio che tu abbia una tregua dai tuoi problemi tra le mie braccia, vieni piú vicina, lasciati andare, pensa al tuo piacere, anzi, no, non pensare a nulla, a nulla…"

Finalmente sento che risponde come volevo, finalmente sono nel mio campo, e ora voglio dare il meglio di me alla mia piccola Lucilla.

Le accarezzo il viso con una mano, mentre con l’altra mi spingo a toccarle ogni angolo di pelle piú nascosto e perciò piú eccitabile. Lucilla è completamente a suo agio, forse per tutto quello che ha bevuto, mi lascia fare e risponde lenta agli stimoli. Meglio: detesto le assatanate, quelle che ti sommergono di saliva ad ogni bacio e gorgogliano appena sfiori un capezzolo.

La ricopro di attenzioni, mi appago nel compiacerla, e lei mi ripaga alla fine con un lunghissimo orgasmo silenzioso.

Vorrei toccarla ancora, fare ancora l’amore, penetrarla col cuore gonfio della meraviglia che mi suscita ogni suo movimento. Ma lei mi ferma. Dice che ha sonno, ed è vero, perché è già quasi addormentata, anzi si abbandona completamente al sonno proprio mentre la tengo tra le braccia, e la guardo, e capisco che sono innamorato, e per la prima volta mi dico: per sempre.

Sento il peso del suo corpo caldo sul mio petto, sono intenerito ed estasiato dalla grazia del suo sonno, mi sembra di avere aspettato lei per tutta la vita.

Il desiderio di possederla mi travolge e delicatamente le scivolo sopra, attento a non schiacciarla, e la penetro mentre dorme, mi pare quasi un miracolo quello che sta succedendo, ho un angelo nel letto, e vengo dentro di lei per la seconda volta, conoscendo un piacere nuovo, dilatato ed insieme piú intenso rispetto al solito.

 

Mi sveglia la luce limpida del mattino, che filtra dal lucernario sopra il letto. Sento dai rumori di sotto che Lucilla si sta facendo una doccia. Accendo lo stereo e scendo a preparare un caffè.

Non posso aspettare che esca dal bagno: la voglio guardare mentre si lava, la voglio fare mia in ogni istante di intimità. Lei esce giusto mentre mi affacciavo per spiarla. Ha i capelli bagnati e arruffati, gli occhi cerchiati, mi passa accanto come se non mi vedesse. Non si è asciugata e cammina per casa nuda sgocciolando ovunque. Mi si stringe il cuore a vederla cosí, il mio angelo di ieri sera trasformato in un fantasma.

"Ti ho fatto un caffè."

"Vorrei solo tornare a dormire per un po’, tanto tu vai al lavoro, no?"

"Non hai freddo?"

"Ah, sí, mi presti un pigiama, per favore?"

Non si è accorta di essere fradicia, mi nasce un sospetto: "Lucilla, hai preso qualcosa?"

Prima che risponda passo mentalmente in rassegna tutte le droghe che conosco. Temo che possa starmi male in casa, voglio che se ne vada, che si vada a fare altrove, mi sembra che stia sporcando la mia tana.

"Non è niente, ho solo lasciato a casa le mie medicine, mi sento smarrita senza, devo rimanere calma e poi andarle a cercare in qualche farmacia."

Dissimulo un vago senso di allarme, e le chiedo, col tono piú indifferente che mi riesce, di che malattia soffre.

"Nessuna malattia contagiosa, non ti preoccupare, ho solo una specie di esaurimento, squilibri chimici nel cervello che mi fanno sentire un po’ sfasata, fuori posto."

La abbraccio e la avvolgo nel mio accappatoio. Non riesco a immaginare come una cosí sbandata possa mandare avanti una famiglia. Stringere il suo corpo mi fa ricordare le tenerezze della sera prima, e mi vergogno di averla creduta una drogata, torno a vederla come un pulcino bisognoso di protezione.

"Oggi non ho impegni. Possiamo stare insieme quanto vuoi."

"Che giorno è oggi?"

"E’ sabato. Ma tu che hai detto a tuo marito per poter stare fuori tutto questo tempo?"

"E tu che ne sai che sono sposata? Te l’avrà detto Gianluca. Ho semplicemente detto che andavo da mia madre in montagna col bambino. Poi lei è partita, e io sono rimasta qui. Non pensare male di me, giuro che è la prima volta che faccio una cosa del genere, ma sono in un periodo un po’ difficile…"

Parlando si è seduta e ha cominciato a bere il caffè che le porgevo. Con le dita s’è pettinata i capelli, e sembra tornata padrona di sé, nell’aspetto come nella mente.

"Vuoi rimanere con me tutto il fine settimana" le chiedo, e intanto spero mi dica di sí.

"Gianluca torna a prendermi domani, mi riporta lui a Milano, pensavo vi foste già messi d’accordo."

Evidentemente il mio amico ha giocato sporco, che senso ha abbandonare a casa mia una ragazza che non avevo mai visto prima? Sperava che me ne innamorassi, che le facessi da balia, o se ne voleva solamente liberare per un po’?

"Sono indiscreto se ti chiedo che rapporto c’è tra te e Gianluca?"

"Te l’ho detto, no? Siamo stati insieme qualche anno fa, poi mi sono sposata. Ogni tanto ci sentiamo, non ci vediamo quasi mai."

Volevo chiederle se ci andava ancora a letto, ma dal suo tono pare non voler approfondire l’argomento. Poi però aggiunge, non richiesta: io lo amo ancora.

Finiamo la colazione, ci vestiamo e decido di portarla fuori.

Di solito non ho problemi a starmene in casa con una per due giorni interi, voglio dire: la fantasia per riempire il tempo non mi manca. Con Lucilla però, anche in questo, mi sento in dovere di uscire dagli schemi, di darle qualcosa di unico, anche se lei non può minimamente sapere quali siano i miei schemi abituali; poi non dimentico che ha bisogno delle medicine.

Pavia in autunno è bellissima, al mattino presto. In pieno centro c’è una nebbia sottile e odorosa di campagna che le dà un’aria magica: puoi camminare per le stradine di ciottoli silenziose senza incontrare un’anima, attraversare piazze testimoni di secoli, spiare nei cortili dei palazzi antichi, che nascondono angoli pieni di poesia. Questo è uno dei motivi per cui non potrei mai lasciarla; l’altro, ovviamente, è l’università, col suo vivaio di fanciulle sempre in fiore. E poi c’è la sua provincialità, che ho cominciato ad apprezzare solo dopo aver vissuto qualche anno a Milano. Pavia è piccola, e questo fa sentire tutti in famiglia, una famiglia però dove la forma surclassa la sostanza per l’importanza che le si attribuisce. L’ipocrisia che leggo sulle facce grasse delle signore impellicciate mi mette sempre in guardia, aiuta a mantenermi obbiettivo. Per non cascarci pure io devo fare questa continua ginnastica mentale che mi obbliga a prendere distanza dalla gente, è faticosa, ma tonificante, e non voglio scambiarla con la rilassante indifferenza in cui ti avvolge una città piú grande.

Lucilla cammina strascicando un po’ i piedi, e dopo pochi passi si stringe nella sciarpa e cerca la mia mano, non so se per affetto o per scaldarsi, perché l’aria in effetti è pungente. Le illustro le chiese e i palazzi piú importanti. Lei sta zitta, mi sembra comunque felice, o almeno leggera, forse per l’aria infantile che le danno le guance arrossate e gli occhi lucidi per il freddo.

Le prime due farmacie che incontriamo sono ancora chiuse; mi sembra di cogliere una sfumatura di apprensione sul suo volto altrimenti disteso, e di nuovo penso che non è tanto normale una che non sa affrontare una giornata senza le sue medicine, e di nuovo fatico a cacciare la sensazione di sporco che deriva da questa sua dipendenza. Quando finalmente riesce a comprare le medicine, mi dice di essere infreddolita, di voler tornare a casa (come detesto sentirla parlare della mia casa come fosse sua), ed è chiaro che lo fa per prendersi subito quella roba. Infatti si precipita in cucina, traffica con le boccette ed esce rasserenata, piú per effetto placebo che reale, devo credere, vista la rapidità della sua trasformazione.

Mi viene incontro sorridente, quasi radiosa, mentre io, assorto nei miei pensieri, non mi sono ancora completamente sfilato il cappotto. Mi si struscia addosso, fa la faccia furbetta, da quella che la sa lunga, ha un’espressione che sottintende chissà quale confidenza ed io sento di odiarla. La respingo prima gentilmente, quasi soprappensiero. Lei è stupita, offesa, torna ad avvicinarsi. E inspiegabilmente mi prende una smania che non avevo mai provato prima: voglio farle male, voglio picchiarla, voglio darle una lezione, perché mi sembra la bambina piú viziata della Terra che solo una scarica di botte può raddrizzare.

In un attimo le sono addosso.

Comincio con una spinta, piú forte che mi riesce, e la vedo volare per terra contro il muro della cucina. Si rialza senza fiatare e sento che non mi è bastato, che devo andare fino in fondo. Le afferro il maglione giusto sotto al collo e la sollevo. Sentirla leggera e inerme non fa che aumentare la mia rabbia. Le do’ uno schiaffo, e poi un altro e un altro ancora. Lei si lascia cadere e quando la vedo ai miei piedi le do un calcio, mi chino e le mollo ancora qualche pugno sulle gambe e nella pancia.

La faccia è coperta di sangue. Forse le ho rotto il setto nasale. Deve stare molto male. Ma non dice una parola, se ne rimane accucciata a gemere sommessamente, infine in silenzio. Penso che potrei averla uccisa.

"Sei ancora viva" le chiedo, scavalcandola per andare a bere dell’acqua.

Ci mette un po’ prima di rispondere di sí.

Bevo.

"Credi che ti debba portare in ospedale?"

Dice che non è necessario, si alza a fatica e si stende sul divano.

"Sento male dappertutto. Perché l’hai fatto?"

"Detestavo quel tuo atteggiarti."

"Io non mi atteggio per niente. Sono venuta da te per stare un po’ in pace e tu quasi mi ammazzi di botte. Ma che ti ho fatto, Oscar?"

"Non ti capisco, Lucilla."

"E reagisci cosí davanti alle cose che non capisci?"

In effetti non mi era mai capitato di picchiare una ragazza. Non mi sento affatto in colpa, come magari dovrei, sono anzi piuttosto sollevato e di buon umore. Guardo Lucilla come da una grande distanza, anche se ci separano solo pochi metri. Mi avvicino a lei, per essere gentile le chiedo ancora se vuole andare al pronto soccorso, ma poi non ascolto la risposta, prendo a girare per la stanza e non so che fare, mi sento in gabbia, penso di uscire. E se muore mentre sono fuori? Il pensiero mi sfiora appena la mente, non provo ansia o panico o altro. Ma neppure vorrei averla uccisa. Sono soddisfatto cosí, mi sento in armonia col destino, come se avessi ottemperato ad un dovere tacitamente imposto.

"Gianluca mi aveva convinto a stare un po’ da te perché dice che sei un ragazzo meraviglioso. Ti descrive come la persona piú altruista del mondo, forte, affidabile, sempre pronto ad aiutare la gente. Penso sia anche un po’ invidioso di te, almeno per come ti immagina, mi aveva detto che avevi un equilibrio inattaccabile."

"E allora?"

"Se ti avesse visto un minuto fa avrebbe cambiato idea."

"Pensi che io sia un sadico?"

"Non ho detto questo."

"Sai che è la prima volta che tocco una ragazza?"

"Tu non mi hai toccata, mi hai massacrata!"

"Devo riportarti a casa?"

"Ti prego, no. Qualunque posto è meglio di casa mia."

"E se io sono un pazzo assassino e tra cinque minuti ti finisco a botte?"

"Accetto il rischio. Adesso, però, mettiti accanto a me, ho bisogno di calore."

Mi stendo sul divano e comincio a sfiorarla sul volto, dove il sangue si sta raggrumando, ma a nessuno dei due viene in mente di lavarglielo via. Le chiedo dove le fa piú male e lei mi risponde senza lamentarsi, come se stesse constatando il dolore di un altro; sono tanti posti diversi, sparsi per tutto il corpo, mi stupisco di averla potuta colpire cosí tanto in un tempo cosí ridotto.

Comincio per gioco a baciarla delicatamente sul naso, sul collo, sul gomito, sulla pancia, e naturalmente ci eccitiamo, c’è qualcosa di cameratesco adesso tra noi, mi sento incredibilmente libero e anche lei mi pare non si nasconda piú dietro tutti gli atteggiamenti che aveva sfoggiato dalla sera prima. Cosí finisce che mentre facciamo l’amore, anche se dobbiamo stare attenti a non schiacciarle tutti quei punti dolenti, ci sentiamo spontanei, sinceri, come se la tutta la violenza che ho buttato fuori prima avesse esaurito anche la sua, e riusciamo a goderci liberamente, mentre la possiedo sono posseduto da lei e questa mi pare la migliore scopata della mia vita.

Sono felice.

Non mi sono accorto se è venuta o no. Di solito ci faccio caso, lo considero un obbligo aspettare le signore, ma anche in questo con Lucilla è stato diverso. Non voglio chiederglielo, ho paura di rovinare l’atmosfera che s’è stabilita, ma il solo pensiero è già un’ombra sulla mia piena felicità. Mi faccio coraggio: "sei venuta?"

"Detesto sentirmelo chiedere."

"Ma ti è piaciuto?"

"Secondo te?"

Ecco che siamo già distanti mille miglia. L’unione di due persone è un’illusione destinata a durare pochi istanti.

"Lucilla, dimmelo, sei venuta o no?"

"Sí."

Ovvio che ora vorrei non averle chiesto nulla, ma sento che non tutto è irrimediabilmente rovinato, la tengo tra le braccia e mi sento ancora leggero, appagato. La coccolo e spero di addormentarmi cosí.

Lucilla è di altro avviso: "sono le due, andiamo a mangiare?"

"Ti posso preparare qualcosa a casa, sono bravo a cucinare."

"Non c’è un ristorante carino da queste parti?"

"Pavia non è rinomata per la cucina, ma se vuoi uscire ci sono locali di tutti i tipi, sai, per gli studenti…"

"Oscar, sai una cosa? Mi sembra di stare con te da anni. Questo mi spaventa un po’."

"Forse ti stai innamorando."

"No. E’ peggio. E’ come se ti amassi già da tanto."

"E non ti senti a tuo agio?"

"Certo che no. Ero venuta qui per respirare aria nuova, e mi sento ancora in gabbia, come a casa mia."

"Forse la gabbia ce l’hai nel cervello."

"Forse."

Lucilla rimane immobile in silenzio per un bel pezzo. Controllo se dorme, ma ha gli occhi spalancati, come se stesse contemplando un oggetto che la attrae e la spaventa insieme. Mi alzo e lei rimane sprofondata nel divano, senza dire una parola. Dopo la doccia, dopo essermi rivestito cerco di scuoterla: "che hai? C’è qualcosa che non va?"

"Hai detto una cosa piú intelligente di quanto puoi immaginare."

So che non è un complimento, ma cerco di non prendermela. Poi si alza anche lei, sta in bagno un’eternità ed esce con un vestito nuovo, un nuovo profumo e col viso truccato. Intorno agli occhi, però, già si indovinano due spaventosi cerchi bluastri.

 

L’ora è decisamente insolita per un ristorante tradizionale, cosí optiamo per un pub irlandese, dove a metà pomeriggio servono una merenda tanto ricca da sostituire pranzo e cena.

Lucilla è di ottimo umore, tanto brillante che la guardano dagli altri tavoli, e questo mi gratifica e suscita una certa gelosia, che ha il sapore strano delle cose nuove. Beve molto, come la sera prima, mangia anche molto, parla a voce cosí alta che in poco tempo si aggregano a noi tutti gli spiritosi del locale. Comincio ad essere indispettito, vorrei monopolizzare la sua attenzione, ma mi diverte anche scoprirla in questa nuova veste di mattatrice. Piú che affascinante la definirei carismatica: attira gente nuova come api sul miele, e pare trarre energia da loro. In breve mi trovo completamente estromesso dal gruppo. Le fanno quadrato intorno degli studentelli ipnotizzati dalla sua carica vitale, che assecondano ogni sua minima iniziativa, dalle imitazioni, ai coretti, ad un improvvisato talk-show che Lucilla dirige evidentemente compiaciuta. Noto che cresce la sua verve all’aumentare dei presenti. Quando scocca l’happy hour il locale si riempie di ressa, e quasi tutti sgomitano per assistere allo spettacolo di Lucilla, che nel frattempo s’è messa a ballare in piedi sul bancone. Irritato scopro che sono tutti contagiati, come ci fosse una droga nell’aria, tutti ridono e si divertono e si comportano come ad una festa tra amici. Non vedo l’ora di riportarmi a casa Lucilla, anche se capisco che per lei questo deve essere un modo per allontanarsi dai pensieri di ogni giorno, fare la buffona in un luogo dove mai piú metterà piede, accompagnata da uno che non rivedrà probabilmente mai piú.

L’ultimo pensiero mi riempie di tristezza. Mi siedo ad un tavolo in disparte e cerco di non sentire la sua voce che racconta un’altra barzelletta, che intona un’altra canzone, e penso a domani. Domani Gianluca se la riporta a Milano. E io quando potrò riavere Lucilla? E’ assurdo credere che non ci vedremo piú, dopo quello che è successo, dopo quello che sta succedendo non posso immaginare un futuro senza di lei. Forse verrà da me nei fine settimana. Anzi, di sicuro è cosí, Lucilla sarà la mia donna, ed io il suo amante, perché è chiaro che un’intesa come quella che abbiamo trovato oggi non si può liquidare per sempre, questo è l’inizio di un amore, io la amo, ne sono certo, piú di quanto abbia mai amato nessuna, e lei non può tornare al suo insipido matrimonio dopo che con me ha conosciuto la passione, l’ardore di un sentimento vero.

Il locale si va svuotando. Lucilla siede su una panchetta, attorniata da ragazzi giovani e bellissimi, e anche lei sembra piú giovane e ancora piú bella di quanto non sia. La guardo godersi il suo momento di gloria, e mi riempio di tenerezza. La vedo sorridere sicura scoprendo i suoi denti bianchissimi, e sono pieno di invidia, e rabbia, perché i suoi sorrisi vanno ad altri che a me.

Mi avvicino. Quando mi vede ha un brivido, impercettibilmente si ricompone, abbassa appena la voce, allarga meno le labbra mentre sorride per le idiozie di quelli intorno. Mi fa cenno di sedermi. - Sono stanco, le dico, vuoi fare una passeggiata?

Lei si alza visibilmente controvoglia. Colgo sguardi di disapprovazione tra i suoi ragazzi: mi credono un fratello maggiore o qualcosa del genere, vorrebbero tenersi Lucilla stretta tutta la sera.

Usciamo.

"Perché non sei stato a fare casino con me? Mi sarei divertita di piú."

"Non volevo intralciarti, mi sembravi molto lanciata come animatrice."

"Mi è dispiaciuto che stessi in disparte, ti facevo piú socievole."

"Te l’ho detto, era solo per lasciarti esprimere piú liberamente."

"Piú di cosí? Ma ti sei accorto che ho ballato scalza su un tavolo?"

"Non mi ci far pensare, va’."

"Ecco, di nuovo quell’orribile sensazione di stare con te da sempre. Mi sento soffocare!"

"Stai scherzando? Siamo in mezzo ad una piazza, c’è tutta l’aria che vuoi, puoi andare dove vuoi. Sei libera, Lucilla."

"Menti. Menti! Dí la verità che stai già pensando di rivedermi una volta o l’altra? Dí la verità che in qualche modo anche tu mi stai etichettando, classificando, marchiando a fuoco come una vacca in una stalla, nella tua stalla personale, eh?"

Si è fermata al centro della piazza, ha gradualmente alzato la voce fino quasi ad urlare. Ha la figura irrigidita, vorrei abbracciarla, ma sento che sarebbe la mossa peggiore, devo rassicurarla in qualche modo, anzi, devo prima di tutto calmarla, perché altrimenti non riesco neppure a portarmela a casa stanotte, altro che futuro insieme.

"Ho voglia di scoparti, Lucilla, eri cosí bella là dentro che stavo per scoppiare dalla voglia, se non mi fai arrivare a casa mi ti faccio qui in mezzo alla strada."

Mi sembra una buona idea atteggiarmi a quello un po’ brutale, in fondo credo fosse questo che cercava facendosi portare da me. Infatti diventa remissiva, subito disarmata. Fa ancora un po’ di bizze, ma sono solo per provocarmi, capisco che le è piaciuta l’idea. Cominciamo dunque il nostro gioco, intanto che camminiamo ci prendiamo a spinte, lei mi colpisce un paio di volte, mentre io fatico a mantenermi spontaneo, perché ho paura di ricadere nell’eccesso di stamattina, ma fingo, faccio il duro, e piú mi respinge piú sono sinceramente eccitato. Quando sento che non resisto piú la strattono per un braccio e ci infiliamo in una stradina buia. La spingo sul cofano di una macchina parcheggiata e me la faccio cosí, al freddo e senza smancerie. Lei rimane immobile in silenzio tutto il tempo. Solo quando mi rialzo mi avvicina le labbra all’orecchio e sussurra qualcosa, troppo piano per poterla capire, credo sia per dirmi che è soddisfatta, invece mi indica con gli occhi le tende scostate di una finestra buia: intravedo una figura, non so se di uomo o donna, e sono imbarazzato. Guardo Lucilla, ma lei ride di gusto, contenta di aver dato ancora spettacolo.

Saliamo a casa, tre piani di scale ripide, in pietra grezza. Lucilla mi precede, ancheggia, con la gonnellina corta a pieghe che le scopre a tratti quella porzione di carne tra la fine delle autoreggenti e le mutande. Lo fa per eccitarmi, e ci riesce benissimo, perché appena in casa non ho altro desiderio che scoparla di nuovo. Anche questo è nuovo per me, constatare la dipendenza fisica da un’altra persona. Provo per lei un’attrazione tanto forte, assoluta, accecante, che non posso starle lontano, ho perennemente voglia di penetrarla, di farla mia.

La serata fuori è appena cominciata, e noi ci chiudiamo alle spalle il mondo rumoroso del sabato degli studenti, quando le strade si popolano, qualunque sia la temperatura, di ragazzine agghindate per rimorchiare e di giovanotti pronti a farsi prendere all’amo. Provo addirittura un senso di ridicolo se penso che di solito là fuori ci sono pure io, nonostante i miei trentatré anni, in cerca di compagnie piú o meno facili.

Sono felice di poter stare con Lucilla questa notte, e pensare che possa essere davvero l’ultima me la fa godere in modo piú intenso Ho tutti i sensi all’erta, come se dovessi trarre il massimo da qualunque cosa succeda qui con lei. Immagino che siano le sensazioni canoniche di un innamorato, ma per me è tutto nuovo: la presenza di Lucilla mi fa perdere la scorza che m’è venuta andando con tante donne, ripetendo mio malgrado ogni volta meno convinto gli stessi gesti, le stesse parole. Con lei io torno innocente, mi sento puro come un bambino, riesco a stupirmi di ogni cosa senza provare vergogna.

Penso che Lucilla alludesse a questo strano senso di appagamento, di autarchia della coppia, dicendo di sentirsi soffocare. Dev’essere una sensazione che conosce bene, e che porta su una strada per niente felice, se lei la teme come la peste, e se ne è rimasta mortalmente invischiata le volte che le è successo. Probabilmente è stato per mettermi sull’avviso che ieri mi ha detto di essere ancora innamorata di Gianluca, e per lo stesso motivo non lascia il marito. Ma cos’è allora questo amore vero che tutti inseguono? Da come ne parla Lucilla pare la maledizione peggiore che possa capitare. E io perché mi trovo intrappolato in queste seghe mentali e non riesco a sbattermi Lucilla come una ragazza qualsiasi? E’ carina, a letto ci sa fare, che voglio di piú per il mio sabato sera?

Intanto lei s’è chiusa in bagno. Potrebbe stare male, magari ha bevuto troppo, ho visto che pagava una cifra assurda all’uscita dal locale, chissà quante birre s’è fatta, oppure le ho fatto prendere freddo prima, per la strada.

"Lucilla, tutto a posto?"

Non è certo la cosa piú elegante da chiedere a una che sta nel cesso da mezz’ora, ma mi sto preoccupando sul serio. Anche perché non risponde.

"Lucilla, hai bisogno di aiuto?"

Avvicino l’orecchio alla porta, vorrei entrare, d’un tratto mi sento inopportuno. E se si sta svenando nella mia vasca?

Entro di colpo, senza bussare.

Lei è nuda, immersa in una vasca, alla luce di una candela, e io non avevo neppure sentito scendere l’acqua.

Ha gli occhi assenti, lo sguardo obliquo.

Mi avvicino e intanto alla mente si presentano immagini apocalittiche del suo corpo dissanguato, corse in ospedale, funerale col marito e i parenti che mi vogliono linciare.

Lei tira fuori un braccio, mi afferra per la manica della giacca e sussurra, con voce roca: "ce ne hai messo di tempo, Oscar, che aspetti a entrare anche tu?"

 

Cosí è cominciata la mia ultima notte con Lucilla.

Il seguito è stato fantastico, eravamo in stato di grazia.

Una notte che non riesco a dimenticare, che rivivo in modo ossessivo ogni volta che sto con qualche altra ragazza, e nel paragone il presente perde sempre.

Non l’ho piú rivista.

Gianluca è arrivato in macchina quella domenica mattina verso le dieci, che noi c’eravamo addormentati da poco.

Ci ha svegliato bruscamente suonando al citofono e contemporaneamente telefonando, con un certo sadismo, visto che non era difficile immaginare il perché del mio ritardo nel rispondergli.

Mentre lui saliva, lei rapidissima si era già vestita, e aveva in un lampo raccolto le sue cose sparse per la casa.

Abbiamo bevuto insieme un caffè.

Lucilla scalpitava per andar via.

Ancora non capisco come abbia fatto a trasformarsi cosí in fretta, dall’amante calda che era stata fino a poco prima, in quella donna sconosciuta, distante, che mi trovavo davanti. Forse anche per questo la sua partenza è stata indolore.

Si guardavano appena, ma scorreva tra loro un flusso di confidenza di cui ero istintivamente geloso, perché escluso. Gianluca quasi non ha parlato. Lucilla mi ha baciato sulle guance sfuggendo i miei occhi. Tutto è avvenuto tanto in fretta da non permettermi di capire, e quindi neppure di soffrire.

Lucilla non l’ho mai cercata, per rispetto a lei, ma soprattutto per il terrore di essere respinto.

Gianluca, invece, si è sistematicamente negato ad ogni mio tentativo di incontrarlo, nell’ultimo anno.

E’ di nuovo autunno.

Pavia in autunno è bellissima, al mattino presto.