fi.xs

vivo fra milano ed il piemonte, dove sono nato nel millenovecentosettantotto. scrivo per bisogno, non per eccesso di autostima. mi sto chiedendo dove sia nata l'idea di mettere in rete un mio racconto. forse, perché c'è qualcosa che vorrei dirti, anche se non ci conosciamo. fra i tre che mi conoscono, sono meglio noto per le mie performances, le mie installazioni, le mie foto. questa è una realtà nascosta ed inconfessata. vedila così.

se vuoi dirmi qualcosa, mi farà piacere, questa è la mia mail: fi.xs@inwind.it

ARGENTI

Ieri sono ritornato sulla spiaggia.
Contrariamente agli altri, ci vado quasi solo al mattino, all'alba. Infatti, mi ricordo la rena solo nel suo colore verdastro, lucida perché bagnata, con la luce quasi radente, fioca, bianca, lontana.

Mi piace l'acqua. A quell'ora è sempre blu, della sfumatura dell'indaco che è la mia preferita.
I riflessi quasi accecano.
Tutto è blu, verde, ma con luce bianca. Non so perché, ma mi viene in mente l'argento.

Per questo motivo vado lì a quest'ora.
Non c'è mai gente; si sentono i pesci, se si avvicinano un poco alla riva e saltano oltre il pelo dell'acqua.

Ieri mi piaceva proprio. Per farne parte, sono andato a camminare sul bagnasciuga. L'acqua era fredda, la sabbia morbida. Lo consiglierei a chiunque.

Dalle zone più sabbiose, ho costeggiato i bagliori della massa blu fino alla parete rocciosa del promontorio.
Sì, ho camminato un po'.
Sono andato molto oltre il mio solito; me ne sono reso conto dal crescere dell'intensità della luce.

Bianco, un poco azzurro.

Più oltre, ancora. La scogliera, lucida e statica; le mie mani bagnate, l'odore della salsedine. Mi arrampicavo leggero…
Sentivo il rumore dei rigagnoli d'acqua scossi dalle onde, non forti, ma cadenzate.

Ho ascoltato meglio.

Ho guardato meglio.

Capelli neri, umidi, lunghissimi, lucenti.
Pelle chiara, bianca come marmo.
Sotto l'ombelico, le prime squame, che si infittivano verso il bacino, poi sul lungo fittone, lungo chissà quanto, che le concludeva il corpo e si perdeva nel verde dell'acqua.

Non mi vedeva. Volevo ucciderla.
Non mi muovevo. Fissavo quella cosa.

Osservava l'orizzonte con le prime luci che spuntavano dal mare.
Sì, erano lacrime le sue. Cantava un lamento dolcissimo.
Mi chiedevo con che cosa l'avrei ammazzata.
Dei miei simili, ero il solo. Altri come lei, non ne ho visti.

Lei stava un poco più in basso di me.
Ho sollevato un masso molto grande, lentamente, senza farmi sentire.
Poi l'ho gettato in aria, calcolando la parabola che l'avrebbe portato a colpirla.
Cadde secco sul suo ventre, spezzando qualcuna delle sue ossa.

Increspava l'acqua dimenando la coda, a tratti ne ho viste anche le pinne. Non si è mossa, però, da dove stava, e pure sembrava soffocare il grido di dolore. Ho intravisto un liquido scuro scendere dal suo scoglio ed infestare l'acqua.

Mi guardava, con le guance ancora rigate d'argento. Con le braccia, continuava a reggersi sul busto, inarcandosi, come ad alleviare il dolore.
Ne ho gettato un altro, spezzandole ora il collo.

Finita.
Era molto bella.

E' stata la prima volta in cui ne ho incontrata una. Non credevo che esistessero.
Prima pensavo; pensavo che, forse, se l'avessi lasciata vivere, le avessi tentato di dare conforto, forse, avrebbe sofferto di più.

Questo è capitato ieri.