Angelo Cavallo
Negli anni '70 cantautore (per vocazione).
Negli anni '80 organizzatore di animazione turistica nei club vacanze (per necessità). In
quegli anni scrive testi di cabaret per alcuni artisti, tra cui un esordiente Antonio
Albanese.
Nel 1993 (per vocazione) su commissione della casa editrice Books e News scrive il romanzo
"Il paese della nave felice" una metafora del sud e forse dell'intera cultura
mediterranea. Da allora (per necessità) è organizzatore e produttore artistico,
nell'ambito della world music.
Nel 2001 ha lavorato al libro edito da Stampa Alternativa "Matteo Salvatore la luna
aggira il mondo e voi dormite, autobiografia raccontata ad Angelo Cavallo" e prodotto
il CD "Ogni giorno una storia" allegato al libro autobiografico di Matteo
Salvatore.
Vive ed opera a Foggia, città in cui è nato il 7/5/1960 |
Il buon
partito aspetta all'altare
il padre accompagna la dote Diario dal
profondo Sud anni '50. Al matrimonio di Annunziata Perla e Pierino Vongola partecipò
mezzo paese. Don Luigi fù che li sposò, al santuario della Madonna Pietosa. Poi i due si
andarono a fare una fotografia dentro la sala barbiere di Pierino. Alla campagna di
Annunziata, nel piazzale delle galline, era già imbandita la grande tavola. Sotto gli
alberi d'arancio e di olive, l'ombra era fresca. Vino rosso di Antonio, padre di
Annunziata, vino bianco di Tonino Vongola, zio di Pierino. Rossi in faccia di sole e vino,
i due sposini erano piccoli e timidi, ma soprattutto muti.
Il corredo di Annunziata lo conoscevano tutte le invitate, ed era
alla altezza di quella unione con decoroso proprietario di sala barbiere, padrone anche di
un fazzoletto di terra coltivato a vigna e cavolfiori.
Il cinghiale di duecento chili sulla lingua di zio Tonino il
cacciatore, aveva perso consistenza arrivando di cinquanta chili sulla tavola. Era pur
sempre un bel cinghiale.
Saverino alla fisarmonica, aveva il bicchiere sempre pieno. Suonava
senza pausa. Sapeva che di li a poco avrebbe avuto inizio il discorso, momento ideale per
lasciare la fisarmonica e mangiare i maccheroni. Quando le zie, commare, insieme a mamma
Dora, fecero il primo giro di walzer si era arrivati alla frutta. Che buona la frutta
della campagna di Annunziata ! le arance erano rosso fuoco, i fichi molli e zuccherati
tanto che le mani rimanevano zuccherate anche dopo averle lavate sotto la fontanella. Ne
mangiarono tanta, poi, una coppia alla volta prese a fare il suo giro di walzer.
- W gli sposi W la sposa, bacia la sposa Pierino, bacia la sposa,
amare sempre sposare mai, chi te lo ha fatto fare, Annunziata poi ci devi raccontare
tutto, capito Nunziatina ? domani, domani, dai che stiamo scherzando non ti fare rossa -
A Papà Antonio toccò il discorso. Saverino poggiò la fisarmonica
e si andò a sedere al grande tavolo per mangiarsi i maccheroni.
- Auguriamo giorni felici e prosperosi a questa coppia di giovani
innamorati, che teneramente oggi hanno coronato il loro sogno d'amore e di felicità. Che
vita non li separi e riserbi per loro una famiglia grande e piena di figliate così come
fu per mamma Dora. Facciamo un brindisi e gridiamo tutti insieme un Evviva gli sposi -
Evviva fu il coro.
Si arrivò al taglio della torta poi i due sposini presero la via per Venezia Roma Firenze
con la fiammante e nuova Topolino blù.
La settimana seguente un loro ritratto apparve su La Domenica del
Corriere nel momento in cui la topolina si schiantava contro il bus al bivio della statale
19 ad appena due chilometri dalla grande tavola.
Ai funerali mamma Dora svenne, subito qualcuno gridò - la sedia,
una sedia, mettiamola sulla sedia -
Giorgio Immondizia
Giorgio Immondizia era un barbone. Giorgio Immondizia viveva in un
bidone della spazzatura del quartiere C.E.P. , era così sporco che la sporcizia avvolte
scappava da lui, tanto che era il tanfo, se non pioveva da tempo. Aveva ai piedi due
scorze di scarpe costruitesi con lische di pesce, un pantalone di buste oleose di pollo e
patatine ed una giacca di avanzi di mortadella e caciotte avariate, appiccicate tra loro
con colla e sputacchiata.
Giorgio Immondizia fumava la condensa del caffè spinellata in un foglio. Giorgio
Immondizia era così perché tanti anni fa la moglie lo abbandonò. Ma lui quando stava
con la moglie era già quasi così. Giorgio Immondizia era l'amico dei ratti e ogni tanto
se ne mangiava uno, ma non per cattiveria bensì per fame. Giorgio Immondizia faceva
l'amore coi gatti in calore. Quando un gatto aveva avuto rapporti carnali con lui, puzzava
come un cane. La puzza di cane era il profumo che Giorgio Immondizia si spalmava al collo
e alle ascelle quando doveva uscire fuori dal bidone per prendere una boccata d'aria. No,
solo la boccata, senza l'aria.
Giorgio Immondizia beveva beveva beveva succo di cozze e succhi di olio fritto
bruciacchiato e mescolato al vino adulterato, e solo quando non aveva succhi da bere
beveva beveva l'acqua delle pozzanghere o il piscio suo con tracce di olio fritto
bruciacchiato.
Giorgio Immondizia quando era giovane faceva l'acchiappa cartoni e l'acchiappa ferro. Le
merci poi le barattava con le bottiglie di vino adulterato che Giorgio ingurgitava insieme
alla moglie Brigitte e all'amante Gesualdo, quando nelle notti degli anni '60 abitavano
nello stesso letto di paglia al basso del vicolo Italia n. 2 di Gradino.
Giorgio Immondizia era stato in galera, in manicomio, in ospedale e allo zoo. Quando l '
autorità Giudiziaria si rese conto che i compagni di cella avevano ragione a fare lo
sciopero della fame e quando i pazzi del reparto pazzi volevano trasferirsi a malattie
infettive, e quando la USL e l'ufficiale sanitario asserirono che il puzzo di Giorgio era
superiore a quello dei rifiuti ospedalieri, lo trasferì allo zoo. Li nella gabbia del
gorilla Gokanga, che perì asfittico una mattina della agosto '63.
Giorgio Immondizia si levava le pulci e le zecche e i pidocchi e li spiaccicava contro le
pareti del bidone. Gli scarafaggi li mutilava delle antenne per fare gli stuzzicadenti,
indispensabili per rimuovere i peli di ratto dai due unici molari.
Siccome le assistenti sociali e le damigelle volontarie decidono di accudire i barboni a
natale, decisero di prendere anche Giorgio Immondizia nel bidone all'angolo di via del
Mezzogiorno.
Le damigelle si prepararono alla impresa. Indossarono le tute ed i respiratori antigas e
iniziò il piano umanitario/sociale/natalizio GiorgioRecupero.
Bussarono al bidone e fecero seguire una gettata di gas neutralizzante AQ-22XD, micidiale.
Micidiale per parassiti se a basse dosi. Non potevano immaginare che AQ-22XD avrebbe
sciolto la pelle di Giorgio già tutt'una con le mortadelle e le caciotte. Giorgio emise
un urlo, bestiale. Sollevò il coperchio con la testa. La muscolatura a vista, come fosse
un manichino della sezione anatomia di Medicina. Disse <Harrggggggrrr!> e si guardò
le mani e le braccia, come il volto anch'essi bruciacchiate e la carne a brandelli.
A volte le donne si lasciano prendere la mano, una seconda gettata di AQ-22XD bruciò
ancora. Fiamme in volto e il corpo tutto. Giorgio Immondizia gridò
""Harrggggggrrr!" che voleva probabilmente dire: mi faccio male, che cazzo
volete da me, puttane.
<E' natale Giorgio, è natale, vieni con noi alla mensa dei poveri > seguì un
ultima gettata di gas incontrollata. A quel punto la dottoressa Minchia, Rotariana e
Leoncina militante sbottò < e basta, basta, state esagerando>.
Tutti insieme si diressero con Giorgio verso la mensa dei poveri. La Minchia li prese la
mano come si fa ai bambini e disse < Giorgio, adesso non devi più vivere nei bidoni,
adesso ci siamo noi. Poi dopo Capodanno fai quello che vuoi, ma adesso ci siamo noi e
smettila di raccogliere le cose per terra>. Giorgio non capiva la lingua dopo anni di
miagolii e squittii e si chinò nuovamente per terra. La Minchia gli gridò < No, non
si prende !>. Il povero Giorgio si era chinato per raccogliersi un brandello di carne
bruciato, staccatosi da vicino il menisco. Una damigella ogni tanto gli bagnava le orbite
degli occhi rimaste senza palpebre. Quando lo sedettero alla mensa dei poveri Giorgio
urlò ancora. La damigella si era distratta a lungo dal bagnargli le orbite, poiché si
era commossa vedendo perire di stenti l'anziano Birra, proprio li e proprio il giorno di
natale.
Dopo capodanno Giorgio tornò al suo bidone e pian piano si abituò al bruciore della
carne infettata e sfrigolata contro i cocci di bottiglia e i peli irti dei ratti. Non
passarono molti mesi che Giorgio prese ad assaggiare la sua stessa carne. Prima si mangiò
il dito mignolo, poi il pollice della mano destra e poi quello della mano sinistra. Quando
si rese conto che il polpaccio aveva sapori paradisiaci volle farsi una ingozzata
ingurgitandone due: destro e sinistro, nello stesso giorno. Poi quando la gamba sinistra
non esisteva più prese a mangiarsi quei brandelli di carne rimasti a destra. Provò
dolore atroce quando prese a mangiarsi i muscoli dello stomaco e quando si accorse che
l ' intestino era lungo lungo e potevano saziarsi in tanti, invitò anche i suoi amici
ratti che con garbo presero a divorare i salsicciotti con piccoli morsetti dolci. Ad
agosto di quell'anno Giorgio si era quasi finito. Era rimasto solo un po di carne dal
collo in su. E allora prese a mangiarsi la lingua poi un occhio poi un orecchio e quando
arrivò al cervello si rese conto che era arrivato alla parte migliore. Lo condì con sale
e condensa di caffè e pian piano iniziò ad assaggiare l'emisfero destro poi quello
sinistro. Quando arrivò ad un nervo, che non so dirvi come si chiama, comunque quando
arrivò a quel nervo emise un urlo sordo. Capì nonostante il poco cervello, che era
arrivato alla fine del pasto. Le sue ossa si andarono decorosamente a seppellire ne
tombino di una fogna, dove formiche e scarafaggi si stanno tuttora nutrendo. |