Marco R. Capelli

30 anni ( quasi 31 sfortunatamente ). Vivo e lavoro in Irlanda, ma niente prati verdi e scogliere, mi occupo di networking per una multinazionale e vivo in una citta' inquinata e rumorosa. Scrivo ( a volte ) quando mi annoio o sono triste, e quindi, da quando ho conosciuto Eva, non scrivo piu'.

R I P A R T I R E

Molly Malone

 

In Dublin's fair city,

Where the girls are so pretty,
I first set my eyes on sweet Molly Malone,
As she wheeled her wheelbarrow
Through streets broad and narrow

Crying "Cockles and Mussels! alive, alive, Oh!"

 

Chorus:

Alive, alive O, alive, alive O. Crying
"Cockles and Mussels ! alive, alive O!"

 

She was a fishmonger,

And sure it was no wonder,
For so where her father and mother before,
And they each wheeled their barrow
Through streets broad and narrow

Crying "Cockles and Mussels! alive, alive, Oh!"

 

Chorus

 

She died of a fever,

And no one could save her,
And that was the end of sweet Molly Malone,
Now her ghost wheels her barrow
Through streets broad and narrow

Crying "Cockles and Mussels! alive, alive, Oh!"

 

Chorus

 

Ripartire.

Come guardare quel muro davanti e chiedersi perché, perché tutto debba finire li’, davanti ad un muro bianco. Come cadere sempre sull’ultimo metro, come trovare sempre chiusa quell’ultima porta.

 

Gente che passa, rumore di tacchi, veloce.

Il sibilo sordo e potente di un altro aereoplano che parte, per dove non lo saprò mai.

Parole in tutte le lingue del mondo. Sono circondato da parole e questo, di non capirle, quasi mi spaventa.

Io, che della parola mi servo per vivere, qui sono nudo, indifeso, impotente.

Solo? Forse… ma, qui, non piu' che altrove.

 

Dublino e’ già solo un ricordo, anzi, meno. Perché i ricordi si inventano col tempo, crescono e prendono forma ad ogni successiva narrazione, quando l’illogico filo di una sapiente tessitura a posteriori collega fra loro le immagini isolate ed i tasselli perduti, colmando vuoti, lacune, memorie mancate.

 

La ragazza mi si avvicina spingendo una fila di carrelli, di quelli che i turisti usano per trascinarsi appresso montagne di valigie e che poi abbandonano qua e la'. Senza schema, senza ordine o logica alcuna.

Lei ed i suoi colleghi guidano questi rumorosi vermi di metallo con consumata perizia, evitando turisti spaesati ed i bagagli dimenticati. Poi li ricompongono in lunghe file vicino all’ingresso. In un ciclo senza fine.

Ci urtiamo, quasi volontariamente. Biascico un ‘Sorry’, sorride. Sorrido.

Non e’ bella. Almeno, sono certo che i più non la definirebbero tale. Ma cosa sia la bellezza non l’ho mai capito.

La guardo ancora, non provo neppure a farlo senza farmi notare. Sono troppo stanco e troppo vecchio per giocare ancora a questo gioco. Capelli scuri, corti, scuri come gli occhi. Quasi ricordo solo questo di lei, due occhi luminosi, vivi, per un solo istante fissi su di me.

 

Quattro ore. Ancora quattro ore all’imbarco, uno sciopero, un guasto. Non so. Non importa.

 

Giro ancora per l’aereoporto. Celtic Craft, un’altra vetrina per turisti. I Celti, quelli veri, queste porcherie non le avrebbero mai indossate. Panini con prosciutto e formaggio. Un gruppo di Inglesi.

 

La mia anima, se ce l’ho, da qualche parte fra Waterford e Killarney aggrappata ad una croce di pietra.

 

La ragazza spinge ora un solo carrello, con aria distratta. Ci incontriamo di nuovo e di nuovo sorride. Ha piccoli denti bianchi e regolari. Niente trucco sul viso, quasi sembra una bambina. ( Quanti anni avrà?).

Ha braccia magre, dita lunghe, e’ quasi buffa con la divisa blu e grigia troppo larga per lei.

Spinge il carrello, la schiena piegata in avanti per l’abitudine. Sorride.

Devo spedire una cartolina ai colleghi. Devo inventarmi qualcosa di stupido da raccontare.

Inventare qualcosa e’ difficile, essere stupidi in genere no. Mi riesce bene.

Passano molte donne, giovani, meno giovani, belle, meno belle.

Una cosa che mi stupisce sempre, nei paesi anglosassoni, e’ la difficolta’ di trovare dei francobolli. Una di quelle cose banale delle quali, fino a quando non se ne ha la necessita’ non si avverte la mancanza. Come l’amore.

Dal ‘book shop’ mi rimandano ad una macchinetta automatica nascosta dietro ad una colonna. ‘Out of order’. Ovviamente. Non va. Chiedere, col mio povero inglese, a chi?

 

Saltellare di ruote alle mie spalle ed I miei occhi incontrano I suoi.

‘..’xcuse me… I’m searching for …stamps’

‘Stamps?’

‘Si… I mean yes, for … postcards’ L’accento deve essere terribile, ma il gesto di mostrare le cartoline scarabocchiate e non potrebbe essere più eloquente. Inizia una spiegazione confusa, confusa per me, almeno, che guardo la sua bocca muoversi senza tentare di capire.

Dio, com’e’ giovane. Lo sono stato anch’io?

Mi guarda, alzando le sopracciglia, inclina il capo leggermente…’ Ha capito?’ si chiede. Io allargo le braccia quasi sconsolato, come a dire ‘mi arrendo’. Lei capisce, forse.

‘Follow me’ mi dice. Seguimi. Ed e’ una concessione, capisco, come un premio per il nostro casuale triplice incontro.

 

La vita e’ un buffo intrecciarsi di storie.

Una volta un vecchio saggio, un indiano Cheroke, mi racconto’ questa storia.

 

 

C’era, in un tempo molto lontano, un giovane guerriero molto valoroso. Tra gli Hopi, che erano la sua gente, tutti lo amavano e lo rispettavano. Ma nel suo cuore non c’era pace, perche’ era tormentato dall’amore per una giovane squaw di un’altra tribu’. I loro sguardi si erano incontrati una volta sola, durante una battuta di caccia nel lontano Nord e, da allora, aveva speso molte e molte lune per cercare di ritrovarla. Aveva viaggiato a lungo e domandato di lei a chiunque incontrasse nel suo cammino, ma ogni sua ricerca era stata inutile.

Cosi’ era ritornato alla sua tribu’, ma nulla sembrava recargli conforto, ne’ la compagnia degli amici, ne’ I sorrisi delle fanciulle Hopi, la cui bellezza e’ famosa ovunque, ed ogni giorno si faceva piu’ triste e silenzioso.

 

L’uomo-medicina, che gli era affezionato e lo conosceva sin da quando era un bambino, un giorno lo chiamo’ nella sua tenda.

"C’e’ una grotta fra le montagne", gli disse," a molte settimane di viaggio da qui, nella direzione del sole che muore. In quella grotta vive da sempre un vecchio stregone. Di lui si dice che, dopo molti anni di meditazione e di preghiera, abbia ricevuto dagli dei il piu’ prezioso dei doni. La conoscenza del fine ultimo delle cose.

Io sono vecchio, ormai, e non potrei mai arrivare fino a quella caverna, ma vorrei che tu lo facessi e che andassi, a nome mio, a rendere omaggio a questo saggio eremita."

Cosi’ gli disse, e gli affido’ una sacca di pelle di bufalo contente un calumet, un coltello, un corno di bue ed altri piccoli doni da portare con se’ in segno di pace.

Quando l’uomo-medicina saluto’ il giovane in partenza, era certo che avrebbe trovato, durante il viaggio o nelle parole del vecchio eremita, sollievo alla propria pena.

 

Il guerriero raggiunse le montagne al termine di un viaggio lungo e faticoso. La prima neve dell’inverno scendeva dolcemente sui pini e gia’ cominciava a coprire il sentiero quando, finalmente, riusci’ a trovare la grotta dove viveva il vecchio eremita.

 

"O nobile saggio" gli disse inchinandosi e deponendo I suoi doni "Ho viaggiato a lungo per boschi e per valli, battendo sentieri dimenticati, al solo scopo di raggiungerti e di renderti omaggio. Che mi e’ stato detto che tu, e tu solo, conosci le vie misteriose di quello che alcuni chiamano destino, altri caso ed altri ancora, volere degli dei. Che tu, e tu solo, sai perche’ gli uomini si incontrino e si lascino e tormentino I loro cuori con la mancanza ed il rimpianto e con la gioia della riunione. "

 

Il vecchio saggio rimase a lungo in silenzio, poi, presa una matassa di corda sottile che aveva appena finito di intrecciare, ne fece tante parti con un coltello, ciascuna di diversa lunghezza e le getto’ a terra, vicino al fuoco.

 

"Guarda questi pezzi di corda." disse al giovane mentre le fiamme danzavano sul suo viso rugoso

" Scegline uno, quale, non importa. Lo vedrai comunque iniziare da solo un viaggio lungo e tortuoso. Ora, seguilo con lo sguardo, fino a che non incrocia il cammino di un’altro simile a lui e, per un instante, lo abbraccia e lo ama, assieme a mille altri che poi si lascera’ alle spalle e dimentichera’ per sempre.

Guardali, ora si riprendono ed ora si lasciano, proseguono paralleli oppure divergono, si attorcigliano e si aggrovigliano oppure, semplicemente si sfiorano.

Alcuni camminano vicini per tutta la loro lunghezza, altri si incrociano per un solo brevissimo istante, altri ancora, non si incontreranno mai.

Pure, tutte le storie sono in qualche modo connesse e formano un unico disegno, imperfetto, caotico, affascinante.

Non c’e’ scelta e non c’e’ casualita’, perche’ tutto e’ gia’ stato deciso, ma il libro del destino e’ scritto dalla mano del caso.

Poi la corsa finisce, all’improvviso, ed ogni filo e’ di nuovo da solo. Tutti I cammini terminano davanti alla pietra bianca che circonda il fuoco. Qualunque cosa ci sia oltre a quel muro, non lo sapranno mai.

Cosi’, sono le vite degli uomini."

 

Quando il guerriero usci’ dalla caverna, la neve copriva ogni cosa.

Ogni cosa sembrava differente, e forse lo era.

 

Okay, lo ammetto, non esiste nessun vecchio indiano, in America non ci sono neppure mai stato e questa storia me la sono inventata.

Pero’ non e’ male.

 

La macchinetta?

Ah, ma l’avevo già vista e’ solo che… non capisci?

‘Out of order’. ‘Do you understand?’

Ti guardo, e spero che no, no tu non capisca. Cosi’ te ne resterai ancora qui a fissarmi. Sei cosi’ bella con quest’aria sorpesa sul viso che potrei morire ora e qua. Ma di tutto questo tu non saprai mai nulla.

 

E corrono i miei pensieri, come cani sciolti nella brughiera, e prendono tutte le strade che sanno e non sanno…

 

Seguimi ancora, mi dici. E siamo complici, ora.

La tua colpa e’ di avere abbandonato la cigolante fila dei tuoi carelli. La mia l’avere inventato una scusa banale, solo per non saper dire ‘Aspetta, vorrei parlarti’.

‘Da dove vieni?’

‘ Dall’Italia, sto tornando a casa’

Annuisci e, forse, capisci. Altro dubbio che non avrei sciolto mai.

‘ Mi spiace tornare ‘.

 

La ragazza di servizio al banco delle informazioni mi spiega senza neppure guardarmi in faccia. Fuori di qui, ne l parcheggio e poi a Sinistra, oppure a destra. Che importa: Siamo tornati dai tuoi carrelli, capisco, ognuno di noi deve andare, e per strade diverse. La saluto, sorrido. Mi vergogno del mio sorriso tirato a labbra strette, del mio cranio pelato. Ma non ho nulla di meglio da offrire, piccola mia. Mi spiace. Too Kind, troppo gentile, le dico, ma non è quello che vorrei dirle.

 

Penso ancora ai miei fili di spago, li ho come davanti agli occhi.

Ce ne sono tra loro, per così dire, di sfortunati, ammesso che quello di fortuna, o sfortuna, sia un concetto applicabile ad un filo di spago. Questi, disposti in genere sul bordo, tagliano perpendicolarmente tutti quelli che incontrano cosi’ che partono ed arrivano sempre soli.

Se disegni due linee su un foglio, due linee qualsiasi, basta che non siano parallele, capirai quel che voglio dire. L’esperimento si può fare anche se questa stessa pagina che, tanto, e' gia' rovinata.

Adesso guardale, partono lontane, l’una ignara dell’altra, fino a che, per un momento solo, per un singolo istante, si incontrano, si toccano, si confondono, diventano una sola cosa, un punto. La geometria e’ spietata, si sa, e ci insegna che il punto non ha estensione ne’ dimensioni , non e’ che la singola unità del tutto. Dunque le nostre linee si sono incontrate, che cosa succede ora? Niente, perché sono semplici linee, non curve complesse o funzioni, esse possono solo procedere , dritte all’infinito in teoria. Fino al margine del foglio, fino al muro bianco che delimita ogni cosa, in realtà.

Hanno potuto, per un solo istante - che non e’ neppure un istante perche non ha dimensione - vedere il frutto di una convergenza cui erano destinate fino dal momento della loro creazione e di cui, pure, erano ignare, ma non hanno potuto - né potranno mai - goderne, destinate come sono, dalla immutabile logica matematica che le ha generate, a divergere all’infinito. O magari, soltanto fino al bianco margine che, là davanti, sbarra loro la strada.

 

La ragazza si schermisce ed alza le mani, come per coprirsi il viso in un gesto così graziosio che sembra venire da un altro tempo, da un tempo dimenticato, e che mi lascia senza fiato. Distoglie lo sguardo, ma non smette il sorriso.

Vorrei restare ancora ma, davvero, non c’è più niente da dire, lo sappiamo entrambi.

E devo ancora trovare i miei francobolli.

Sapranno le nostro linee tracciate sul foglio - ricordate? - che ciò che le porta lontano e’ soltanto il loro essere linee e nient’altro che quello? Accetteranno la logica asettica della geometria o malediranno le vie misteriose di un destino sconosciuto?

 

Penso ai colleghi in ufficio, penso a quanto sono più fortunato di loro. Poi penso a quanto mi sono costati questi tre giorni di pioggia. Due mesi di vita per tre giorni di pioggia ed un viaggio in aereo, che e’ poco piu' di un giro di giostra. Forse e’ la mia vita che vale veramente poco.

Penso a tante altre cose. Vado sul classico, penso ad una donna che, forse, mi aspetta in Italia. Penso che, se anche ha deciso di non farlo, non me ne importa niente.

Ma in realtà penso per non pensare e guardo l’aereoplano che si alza e sembra sospeso nel nulla solo per non vedere. Per non pensare che da quella scrivania piena di carte non me ne andro’ mai, per non vedere, nello specchio, il mio sorriso stanco.

Ho davanti agli occhi i suoi occhi e nelle orecchie lo sferragliare della fila di carrelli, che e’ un po’ la nostra canzone. Mi volto ma, no, non e’ lei, e’ grande questo aereoporto e poi…

 

Tre ore, ancora.

Un altoparlante annuncia uno sciopero dei dipendenti della British Airways, in ufficio nessuno sa’ per quale compagnia io stia volando. Potrei dire che lo sciopero mi ha costretto a rimandare il volo di ritorno, pagare venticinque sterline per cambiare il mio biglietto con uno per domani… Ma poi che faccio? Torno in citta' a riempirmi lo stomaco di Murphy's - niente Guinness, grazie, quella e' solo per i turisti - mi ubriaco e passo la notte su di una panchina in Stephen's Green?

E comunque, prima o poi si deve tornare. Forse.

Intanto, ancora, tormento il biglietto dell'aereo tra le mani, le mie orecchie cercano lo sferragliare dei carrelli, I miei occhi I suoi.

 

Innamorarsi e’ sempre ridicolo. Senza bisogno di citare Eraclito - Quando arriva Eros, svanisce il Senno ecco, l’ho fatto - l’amore, qualunque cosa sia, e’ la quint’essenza dell’ irrazionalita’. Dopo i quindici anni non sono neppure del tutto sicuro che esista qualcosa che si può chiamare amore. Esiste il desiderio, sempre, ed esiste l’amicizia, a volte. Se poi voi volete chiamare amore una sfortunata combinazione di desiderio ed amicizia, fate pure. Io, più facilmente ritengo che sia il desiderio inappagato a prendere il nome di amore. Quello appagato si trasforma in rimorso. Stupida cosa.

 

E’ lei. E’ passata spingendo la solita interminabile fila di carrelli. Mi ha guardato, ci giurerei. Voleva vedere se anch’io la guardavo…?

Adesso basta lasciala perdere. Una volta ritenevo che non imparare nulla dall’esperienza fosse un pregio, ora non se sono più cosi’ sicuro.

 

Dieci minuti ogni giro… fra sette minuti mi alzo, e quando passa le faccio segno col pollice, cosi’ come se volessi un passaggio, tanto per attaccare discorso.

Solitudine. A volte credo che sia il peggiore dei mali. Anche quel muro bianco, la’ in fondo, diventa sopportabile quando si ha qualcuno a cui stringersi, quando gli cammina incontro, senza fretta, tenendola per mano.

 

Sei minuti. Ci sono persone che sono destiate ad essere sempre sole, anche se hanno qualcuno che le ama, perché hanno alzato troppi muri attorno a loro e non sanno uscirne più. Ma ci si abitua.

 

Quattro minuti. Sono persi nel loro stesso labirinto e nessun altro ne ha le chiavi. Non si fidavano di nessuno, per questo le hanno tenute tutte per se’. Chi lascia una mappa, spera sempre che qualcuno la trovi, semina indizi in giro. Ma nessuno trova chi, davvero, vuole nascondersi. Passa un gruppo di ragazze, si siedono qui di fronte a me. Sono spagnole, credo, e certamente sono tutte più belle della tua piccola irlandese. Perché non cerchi di fare un po’ di conversazione, cosi’ per passare il tempo? Per smettere di pensare sciocchezze…

 

" Mio caro Corto, tu sei l’ultimo dei romantici, scommetto che, in Autunno, vai a sederti sulle panchine del parco…" Hugo Pratt, lui e’ già oltre quel muro.

 

Mi alzo e comincio a girare per l’aereoporto, ma sono le quattro e sicuramente lei ha finito il suo lavoro ed e’ tornata a casa, con la sua famiglia, con I suoi sogni. Reali, a differenza dei miei.

 

Il monitor mi dice che e’ ora di imbarcarsi.

 

Torno a casa, e meno male… cominciavo davvero a pensare che tutto questo fosse reale.

Ed invece, eccola. Ancora li’, appoggiata ad una colonna, con lo sguardo nel vuoto.

Oh, ma cosa fai? Perché vuoi andarla a disturbare? Guarda com’e’ carina, cosi’ semplice. E’ questo che ti ha colpito? E’ cosi’ diversa dalle ragazze a cui sei abituato, artificiali, sicure… lei e’ semplice.

Ma come puoi presentarti e dirle che ti sei innamorato? Di cosa, poi? Di quei suoi occhi ? Di un gesto grazioso? L’amore, ammesso che esista, dovrebbe essere intimità profonda, conoscenza, concordanza di intenti… dovrebbe nascere da anni di conoscenza, dovrebbe essere… al Diavolo. Dovrebbe essere istinto.

 

Non la rivedrai mai più, e passeranno mesi, anni. Tutta la sua vita e la tua e non vi rincontrerete mai più.

 

Impediscilo.

Lascia che accada.

 

Fermala.

Non la guardare.

Lascia che sia l’assoluta immobilita’ ad agire per te.

 

E’ l’ultima occasione, pensa a tutti gli anni sprecati. L’ultima possibilità…

Immobile.

 

Adesso, straccia il biglietto e seguila.

 

"Check in, gate 8, signore."

"Okay."

 

 

Adesso.

Un secondo.

 

Presto!

 

"Da questa parte, prego."

"Un attimo, ho una cosa da fare."

Due righe veloci sul retro di un biglietto da visita.

Due parole che forse non capira’.

 

"Grazie di tutto."

Le allungo il biglietto, le sue mani sono sottili, la pelle quasi bianca.

Mani che non tocchero’ mai.

 

Me ne vado con un sorriso, senza voltarmi.

Destino infame, ne concordo.

Ma, almeno, la scelta e’ mia.

L’avventura e’ li’, dietro l’angolo, inaspettata, la sfiori e ti accorgi che non fa per te.

Addio, addio Molly Malone. Torno a casa.

E’ un lavoraccio ma qualcuno deve pur farlo, non ridere troppo di me.