Paolo Della Sala
ha lavorato e pubblicato a Bologna negli anni
'70/80 con Gianni Celati, Paolo Fabbri, Enrico Palandri etc.
Ha avuto lezioni di stile da Natalia Ginzburg e a casa Rodari.
Vive in Liguria e si occupa di cinema |
MUSICA/bile
C'era una volta la vita, poi è stato il Silenzio.
Tutti hanno taciuto, quando è arrivato il Silenzio. Lui è stato il RE
maggiore per lunghi decenni, e nessun altro c'era. Nessuno.
Per farla breve: Oliviero è. Conosci altri come
lui? Nella vita il pianoforte suona per tutti, ma pochi lo riconoscono,
pochi rispondono a tono: tacciono come sordi oppure cantano stonando. Oli
no, è uno dei pochi. Semplicemente vive cantando al mondo contro le
tendine grigie attorno a lui, nebbie nemiche, satelliti impazziti,
trappole burocratiche, sfortune economiche, distonie affettive.
Alto non è, neri capelli, occhi scintillano, magro come la sua ombra,
dolce voce un poco malinconica, venata di sofferenze leggere, non gravi.
Pacifico Mare della Tranquillità.
Un amore solo, profondo, lungo pochi anni. Donna magnetica, suo polo
opposito: bionda bassa, occhi celestiali, voce alta non triste. Su è il
suo nome anche ora che è tornata a casa, lasciandolo solo in compagnia di
Infinite Musiche.
Abbandona ora il passato, anche quello di Oli.
Passa al presente, respira profondo, leggi le parole e perciò guardati
attorno. Lo vedrai alla cassa di un supermercato, periferia di piccola
città, vicino-lontano a dove abiti tu. La giornata è densa di scirocco,
nuvole vaporose e sole nervoso come è adesso, mese di maggio. Il
supermarket è al piano terra di un solido palazzo di 4 piani, strada
rada, traversata da donne tempestate di bambini: in fondo una collina la
termina. Sulla collina una nuvola, sotto la collina il mare che aspetta.
Subito vicino un incrocio e un meccanico per auto. Mattino, le undici
circa. Nel supermercato due tre acquirenti, una commessa, e Oli alla
cassa. Nell'aria musica a volume medio Baby won't please come home di
Miles Davis, da Seven steps to Heaven. Questo fatto è rivoluzionario,
oggi. È un'iperbole, un paradosso, impossibile in uno spazio simile una
simile musica, in un mondo simile un simile uomo.
Cosa è successo?
Oli al suo inizio amava leggere e i genitori non
volevano molto che così fosse. Divorava ogni cosa leggibile, persino le
scritte sulle confezioni dei pacchi di pasta. Studiava anche, amava la
letteratura, l'arte la filosofia la scienza, quasi tutto lo scibile, ma
per fame non terminò l'università.
Parlava correttamente cinque lingue, compreso l'ugrofinnico, e adorava la
musica: cercò di vivere con quella, aprendo uno studio di registrazione e
incidendo dischi di musica nuovissima ma colta. Purtroppo in due tre anni
tutto andò a male, lo studio venne chiuso, i dischi dimenticati.
Tentò allora un'infinita serie di attività e lavori, ma inutilmente:
ogni impresa andava a finir male, oppure veniva licenziato, nonostante le
sue qualità fossero puntualmente riconosciute. Leggeva Hugo e ascoltava
Bartòk, eppure ogni giorno doveva andare a fare la spesa, e lì
incontrava presenze arcane equivoche ed equine: persone che parlavano in
strano modo, gridando e gestendo, i loro occhi brillavano in presenza del
denaro, gente che guardava strano e lo derideva per via dei numerosi libri
che portava sottobraccio come armatura contro il mondo. Dicevano che
quando rimaneva in casa preda di malanni, i libri uscivano da soli a
passeggio. Gli sembravano pazzi, erano normali. Così è la gente che vive
fuori dal tuo mondo, quando ne hai uno tutto per te.
Giunse quasi per caso l'occasione del minimarket.
Era grande abbastanza per attirarlo e sufficientemente impoverito per
poterlo rilevare a poco.
Pagò il prezzo, assunse una ragazza anonima chiamata Sha, mantenne
sparuti gruppi di clienti che varcavano timiditi la soglia e fingendo
fretta declamavano l'articolo prescelto, pagavano e sparivano nel nulla.
C'era comunque abbastanza cibo anche per Oli, e ciò non era male,
nonostante la fine di ogni velleità di cambiare il mondo o almeno di
lavorare in un campo piacevole e desiderato.
Unica gioia residua era questa: poteva finalmente ascoltare la musica
preferita e in qualche modo imporne l'ascolto ai clienti.
Comprava dunque uno stereo ricco di splendidi e minuscoli diffusori sonori
celati tra scaffali e angoli bui, trasferiva in negozio la collezione di
dischi e iniziava così la giornata, ascoltando distratto ciò che la mano
casualmente forniva pescando melodie dal contenitore, e continuava poi
senza smettere mai .
Clienti lì per lì trasalivano visibilmente, mentre un raga di Ravi
Shankar si arrampicava come mosca estiva lungo le pareti biancastre.
Sorridevano pagavano uscivano. Dopo mesi Oli non ricordava nessun accenno
alla musica da parte di nessuno. Nessun accenno a nulla.
My guitar want to kill your mama di Frank Zappa (o similia) accoglieva i
radi rappresentanti e fornitori di lattughe e latticini. Costoro
ebetizzavano le parole, tiravano le labbra verso le orecchie (l'istruttore
di turno li aveva ordinati di far ciò per aver successo), incassavano
incazzati dentro e sparivano negli orridi autostradali.
Il meccanico frontaliero Wastefield -vicino di Oli-
era un arcano. Veniva da così lontano che il cognome appariva anche
troppo domestico. Di corporatura massiccia, aveva l'età indefinibile.
Sulla pelle fiorivano numerosi peli scuri unti di olio multigrade.
Abitavano lui e moglie in casetta-castello, munita di cane odioso e
tedioso (non si perdeva mai un'abbaiata). Tutti costoro vivendo vicino
all'autorimessa spesso fissavano stolidi il commerciante. Quando lo
salutavano (di rado) lui non sentiva e viceversa. Dunque quasi non
conoscevano il suono delle rispettive voci.
I clienti di Wastefield erano pochi e improbabili, così che sembrava
possibile che il meccanico vivesse di rendita (o altro) e che l'attività
automobilistica fosse un alibi.
Il punto era comunque un altro: Wastefield aveva una dote negativa.
Ascoltava musica spaventosa.
All'inizio non ci aveva fatto molto caso, poi man mano la cosa era
degenerata. Aveva quell'uomo dalla tuta grassa una radio lurida ma
potente, posta su un banco da lavoro tra chiavi inglesi e cacciaviti,
collegata all'interruttore elettrico generale. L'apparecchio era dunque
sempre in funzione e gareggiava con l'altro (ignobile anch'esso e inoltre
ignoto e invisibile), manovrato in casa dalla moglie di Waste, una donna
formosa come un manico di scopa, dallo sguardo spento, capelli tinti
rossicci, altezza e forme di una pianta di zucca. Speaker latranti di
radio private di ogni pietà e pudore alternavano propri aforismi con
"pezzi" musicali provenienti da galassie lontanissime: arcaica
disco music dance techno della peggiore canzonidelfestivaldisanremo e
smielature di cantanti italici retorici come il discorso di investitura di
un potente. Notiziari bellici a base di sanguinosi eventi e lugubri.
Pubblicità raccapriccianti. Rumori di motori asfittici. Clacson a stormo.
Voci di orchi.
Una miscela esplosiva.
Oli spese una fortuna per dotare il minimarket di
un impianto ad aria condizionata che isolava l'interno dall'esterno e dai
suoi suoni. Aggiunse un diffusore acustico all'entrata col compito di
contrastare, deviare, importunare i miscellanei rumori dei Wastefield.
Rifornì le orecchie di ogni suo cliente con le note di John Coltrane in
My favorite things (con esse spiegava spiritualmente alle massaie che
erano da preferirsi fresche cascate d'acqua sonora e zampilli d'acqua e
alberi verdi e frondosi e parole d'amore un amore Supremo ai disgustosi
cicalii del meccanico, forieri di sventura dietro l'apparente idiota
allegria dei motivetti). Per un mese impostò questo programma:
- Einstein on the beach di Philip Glass (doveva
combattere l'impigrimento mentale e la rassegnazione)
- My favorite things di Trane (di cui già s'è detto)
- Seven steps to Heaven di Miles Davis (una possibile strada per il
Paradiso)
- Il K581, quintetto in La maggiore di W. A. Mozart (contro malinconia e
demenza senile, contrastava fors'anche i fastidiosi disturbi da menopausa.
Occorre dire che, sebbene Oli non apprezzasse particolarmente Mozart,
tuttavia si era risolto al suo uso ritenendolo facilmente comprensibile
per via dell'orecchiabilità).
Inoltre uno schermo Tv in certi giorni emetteva
ricorsivamente il pezzo cantato da Joni Mitchell nell'Ultimo Valzer di
Martin Scorsese. Inizia il secondo tempo, uno grida -Signore e signori,
Joni Mitchell!-. Lei sale sul palco, si inchina con dignità, bacia uno
dei due cantanti della Band, si riveste di chitarra e canta. Quando
finisce saluta brevemente e torna a casa. Perfetta.
Nel corso della campagna sonora i clienti entravano
mostrando timorosi il capino come galline fuori dal pollaio. Salutavano
compunti e sembravano più lieti. Notò persino sorrisi di tipo nuovo, non
quelli soliti e artificiali, ma quasi vivi con barlumi di intelligenza.
Un effetto secondario fu questo: tutti presero a parlare a voce bassa,
eccettuata Sha che continuava a non capire le richieste da dietro il
bancone. Una volta aveva cercato di dirgli che forse...il volume e la...posizione
delle casse...si poteva spostare qua e abbassare là...
Oli la liquidava con una battuta e quella liquefatta non toccava più
l'argomento se non con gli occhi, quand'era ben sola, che levava ratti al
cielo (al soffitto) accompagnando l'atto con pensieri segreti come una
terrorista.
Nel corso del tempo affinava il programma
impostando sul CD questa serie:
- Introduzione con il 4° concerto Brandeburghese
di J. S. Bach
- The Grand Wazoo, di Frank Zappa
- Before and After Science, di Brian Eno
- Pithecanthropus Erectus, di Ch. Mingus (Diffuso all'esterno a
contrastare l'alto volume delle radio-Wastefield).
- Fifth, dei Soft Machine
- Third, dei Soft Machine (in ore serali).
Il programma veniva alternato con l'altro di cui
già si è detto.
Ascolta ora l'evento. Oli dietro l'ingresso del
Minimarket spia con le orecchie Wastefield. Un cliente sbussolato appena
sconvolto dalle note di Zappa esce di fretta dimenticando scottex,
scatoletta gatto etc. Dall'officina proviene alto tra risate l'annuncio
che il paese è sull'orlo della guerra civile. Il meccanico chino su un
motore rauco parlotta con uomini secchi sormontati da crani radi e canuti.
Musichetta dance li spinge a muovere le anche andando verso il buio in
fondo all'officina. Dall'ombra lampi bianchi dimostrano che costoro mentre
parlano guardano verso il Minimarket, forse alludono a Oli. Perchè?
Ore 19.30, Sha è andata a casa. Oli alza il volume esterno emettendo
Passione di San Matteo BWV 244 a 60 W circa. La signora Wast. affaccia
alla finestra e parla col marito. Passa un'auto di polizia urbana, Oli
istintivamente vorrebbe correre verso di loro, poi ricorda di odiarli per
le sosta vietate inflittegli come ferite (peggio) e per la loro incivile
capacità di fregarsene quando c'è gente che sorpassa o corre troppo o
troppo poco. Così rimane solo, con un accenno di inquietudine. Il
meccanico viene verso di lui. Oli rifugia dietro la cassa. Spinge quello
la porta, entra. Fa il giro degli scaffali, borbotta, afferra qualcosa,
arriva all'uscita con una scatola di cibo per cani in mano. Suda e puzza.
Gli dice: Costa 1 e 50. Sì lo so, risponde. ...Bella musica, mica come la
nostra, eh? La metto per i miei clienti. Quello ride, esce.
Settimane seguenti nel paese succede cosa
straordinaria. Comune aumenta a dismisura le tasse sui Rifiuti solidi
urbani, cittadini disperati non vorrebbero pagare, ognuno si lamenta come
può nel segreto della casa, invece Wastefield
-quel disgraziato- raccoglie firme in favore del Comune, così annuncia
Peonia, cliente preferita di Oli, solida donna di estrazione popolare. Oli
risponde: Odio i gabellieri soprattutto se abitano nel palazzo di fronte,
poi arrossendo porge alla Spett.le clientela il Quartetto per archi in sol
minore op. 10 di C. Debussy.
Per fortuna passando i giorni sembra che il profilo fisico, umorale e
persino morale degli acquirenti stia cambiando. Formano piccoli gruppi
agli angoli dei corridoi del Market e soprattutto ristagnano, cosa
sommamente gradevole per Oli: qualcuno infatti sembrerebbe ascoltare.
È il momento di passare a nuovi temi: Fable of Faubus e altre
composizioni di Mingus, Archie Shepp e Ornette Coleman, ottimo l'ultimo in
ambiente commerciale. Anche pezzi rock, in particolare uno che ama molto,
di Nico.
Senza variazioni mattina segue mattino finchè
Peonia non si ferma alla cassa, accompagnata da un vecchietto dall'aria
mite e dagli occhiali dorati.
-Ho ascoltato giorni fa qualcosa a proposito di Stravinskij, L'Uccello di
fuoco, credo. Un programma multimediale... Mio marito non ha saputo dirmi
niente. Anzi ha riso a quel titolo, diceva ch'era materiale pornografico.
Invece il signore qui... un mio vicino... -Cenno di intesa col capo-...
aveva il disco, un vecchissimo disco in plastica nera, che non può più
ascoltare, perchè ha rotto l'apparecchio... Ed ecco -noi- ...vorremmo che
lei mettesse un disco di Stravinskij, se possibile. Ci piacerebbe
sentirlo-. L'altro faceva sì con la testa di neve...
Oli vide un raggio di sole filtrare tra le case e li omaggiò di un
cestino di fragole. Il giorno dopo programmò tutta l'opera del russo
diretta dallo stesso autore.
I clienti continuavano ad aumentare, ma nel contempo cresceva pure la
segreta attività nell'officina di Wastefield. Cosa grave! Uno stuolo di
giovinastri faceva da costui la fila per impiantare/modificare/upgradare
il car hi-fi; gridavano costoro e guardavano verso il minimarket con aria
di sfida, lanciandogli contro centinaia di watt, decibel e canzoni
sguaiate. Una in particolare lo fece soffrire, era antichissima e avea
titolo Yeeeeeeeh!!!. Il testo suonava così: Yeeeeeah! I tuoi occhi sono
fari abbaglianti/ io ci sono davanti, sì! Yeeeeah! / Le tue labbra sono
un grosso richiamo per me che ti amo/ Certo! Yeeeeah! etc. Oli, che era
uscito un attimo per ritirare la posta, colpito a tradimento dalla
raffica, pose le mani ai lati del capo e barcollò. Per fortuna il nome
dell'autore -Mal- testimoniava i sordidi effetti della canzone.
Rientrato all'interno del market Oli reagì con ferocissimi rap e con la
colonna sonora di The Moderns di Mark Isham a mostrare che non aveva paura
e che sapeva essere più contemporaneo dei nemici. Ma intanto nei giorni
seguenti anche un assessore prese a frequentare l'officina e brandiva come
arma uno squallido quotidiano sportivo percuotendo l'aria con esso come ad
afferrare invisibili mosche.
Uno di quei giorni. Ore 11 a.m. Gruppo di clienti
pilotato da Peonia a Oli dice Ehi! non si può fare proprio niente contro
questa nuova tassa sulla spazzatura? Oli inserisce nel CD Follow me, di
Ellington e tutti aprono la porta, escono nel cortile, attraversano
cantando spiritual e Remember Rockfeller in Attica, verso Wastefield. Le
truppe nemiche ridono mentre cantano tu ru ru tu ru ruuu tu ru ru tu ru
ruuu... di un tal Ligabue.
Oli intona col portatile Devil blues e Psycho Killer (accusandoli di
rovinare i giovani come nuovi orchi). Volano parole grosse tra Crazeology
e varie pièces di Erik Satie contrastate da uno spot di ditta di Infissi
per l'arredamento. Oli e i suoi riescono ad afferrare Waste e l'assessore,
chiudendoli dentro un'auto. Cercano di sterminarli al suono di Magic
moments di Burt Bacharach.
Purtroppo in capo a un'ora i giovinastri dei car hi fi fanno irruzione nel
campo con l'aiuto della Polizia urbana. Grandine di colpi discomix sui
volti delle massaie e dei pensionati clienti di Oli che cadono morenti al
suono di Find the coast of freedom.
Dopo di che sull'asfalto polveroso torna il
silenzio. Cittadini sordi dagli occhi ciechi, timidi mostrano il cranietto.
Minimarket chiuso per anni due, poi rilevato dal peloso figlio dei
Wastefield.
Tempo dopo Esattoria comunale in gran spolvero offre in memoria due minuti
di silenzio per i fatti accaduti.
DELITTO
IMPERFETTO DI MO'M
Io sono Seitou. Vivo
da tempo con Nonno, Zia, Pa'a, Mo'm e Nuvola Triste. Devo precisare che Nuvola Triste in
realtà non c'è: è una sensazione che mi accompagna sempre (per ciò Nuvola Triste
esiste più degli altri). È una pioggia nella mia testa che dice soltanto la parola Forse
e che vieta di penetrare il mistero di Vita Terza. Adesso devo riferirti anche questa:
prima d'ora vi sono state altre vite. Vorrei dire di più, dire me stesso.
Seitou ricordava alcuni barlumi di una Vita Precedente che
proveniva dall'inizio del Tempo. Non appena arrivando sera Mo'm lo accompagnava al bagno e
lo infilava a letto in compagnia di Orso Grigio e Bicchiere di Latte, Seitou sorrideva tra
sé, chiudeva gli occhi e subito rivedeva raggi di sole che filtravano tra gli alberi,
stagioni sempre tiepide, un volto che chiamava Mamma nelle Notti Lunghe, e luminosi baci.
Anche se non conosceva i baci, li riconosceva, erano come nuvole che si incontrano: non
senti tuoni ma vedi i lampi che ti risuonano dentro. Mo'm non lo baciava mai: solo un
tempo, durante Vita Seconda, l'aveva toccato con le labbra sulla fronte. Dunque da dove
proveniva il suono di quei baci, a chi appartenevano i volti degli angeli di Vita
Precedente? Queste domande provenivano direttamente da Nuvola Triste e la risposta di
Seitou invariabilmente era: forse.
...Ricordo distintamente tutto ciò che è successo durante Vita
Seconda. Probabilmente sono venuto allora alla luce, al Collegio, un edificio dalle stanze
oscure dotato di alte finestre velate da tende nuvolose con freddi pavimenti di marmo.
Rivedo camera mia, i mobili rivestiti di morbido caucciù e le pareti di legno. Ricordo
gli incontri con gli insegnanti che si sforzavano di descrivermi storie fantastiche e
formule scientifiche mentre dai loro corpi trasparivano pensieri che nascondevano le
emozioni.
Mo'm era la Pediatra che mi curava dalle malattie. Il suo viso formava espressioni neutre
e le mani di avorio dalle unghie vitree e ovali mantenevano una calma fredda ogni volta io
ero caldo di febbre. Mo'm entrava e subito schiudeva magici fiori di plastica che
contenevano sciroppi al sapore di arancio o pillole amare o aghi che pungevano improvvisi
come un ragno con un insetto. Mi passava una mano sulla fronte, io le sorridevo, volevo
andare dove Mo'm viveva. Il giorno dopo passava a vedermi: ero guarito! Camminavo!
Correvo! Saltavo!
Ogni anno mi portavano nello studio di Avvocato, persona grassa e
benvestita che scivolava con i suoi occhi sfuggenti dietro la sua scrivania mentre io
precipitavo irrimediabilmente in basso su poltrone di pelle che puzzava. Ci guardavamo
senza espressione e lui parlava di questioni misteriose che avevano a che fare con Vita
Precedente.
In quello studio di città, sempre lo stesso per anni, ho visto per la prima volta Pa'a.
Era un uomo fatto a uncino che camminava in modo strano, continuo, come avesse molte
gambe, come fosse gambero o granchio oppure cingolato. Porgeva carte ad Avvocato sempre
guardando verso i piedi. Non provo invidia per lui neanche adesso che sono semiparalitico
e cammino a stento, braccia e gambe sempre meno oscillanti: erano fili d'erba mossi da
ogni vento, ora sono tronchi d'albero, duri e nodosi.
Vita Terza non è iniziata così. Ricordo quei giorni: Mo'm entrava
in camera e parlava, sorrideva. In quel tempo mi baciava. Mi portava fuori nel parco dove
i bambini corrono e corro anch'io con loro poi torno da lei, la cerco, tocco i suoi occhi
di ardesia. Ogni volta che il calendario dice Domenica! Mo'm mi porta a pranzo in un posto
cittadino pieno di gente che grida e tavoli bianchi con inservienti in guanti bianchi che
chiedono cosa voglio mangiare e fiori all'ingresso e macchine fuori in attesa.... A volte
viene anche Pa'a per sorridere e mangiare piccoli bocconi di se stesso dato che è ghiotto
di crostacei. Pa'a e Mo'm si tengono la mano finché non sorrido, poi si slacciano per
consegnarmi al Luna Park che è fuori città.
Così mi trasferisco a vivere in casa di Mo'm, una villetta fuori città, non lontana dal
collegio. Al piano di sopra mi aspettava una piccola camera. C'erano anche due vecchi:
Nonno e Zia. Nonno era cieco e fumava sigari, ascoltava la radio, litigava con Mo'm, si
faceva dire com'era il tempo, fuori dai vetri. Ricordava cose antiche, parlava molto e
mangiava poco. Zia era sorella di Nonno: alta e magra, aveva una voce tremula e litigava
in continuazione con tutti finché non tornava in camera a farsi da mangiare su un
fornelletto elettrico. Al piano di sotto due scalini di marmo bianco scivolavano verso un
giardino ordinato e rigoglioso, curato da un robusto giardiniere e imprigionato da un alto
cancello sempre chiuso a chiave. Leggevo libri presi nella libreria di Nonno... Il tempo
scorreva così e sembrava eternamente fermo eppure andava, mentre invece qualcosa era in
agguato nell'erba alta -come un serpente con l'innocente passero.
La Modifica cominciò tre anni dopo il mio ingresso a casa di Mo'm.
Lentamente, senza che me ne rendessi conto, cominciavo a rallentare, come trasformato in
un guerriero di ferro. La ruggine si insinuava dentro e i muscoli si intorpidivano, i
legamenti erano diventati rigidi: cercavo il passo, il moto della mano, la rapida
rotazione del collo, trovavo cadute, inerzie, sguardi fissi. E Nuvola Triste allagava i
miei giorni. Nonno cercava di consolarmi, diceva che in fondo non era così grave, che
bisognava prenderla come veniva, che in fondo anche lui -pur potendo rimediare alla
cecità- aveva preferito restare così perché "si vive meglio al buio" e aveva
già visto abbastanza.
Mo'm mi portò da diversi neurologi di cui si fidava, ma nessuno di questi trovò una cura
adatta al mio caso.
Intanto mi rinchiusero in camera. Seduto o sdraiato sul letto ascoltavo le voci litigiose
dei familiari che veleggiavano verso di me: alta e impetuosa quella di Nonno, sibilante e
corrosiva la conversazione degli altri. Pa'a mi regalò un computer pieno di giochi, io lo
lasciavo spento e guardavo fuori dallo schermo. Così durante Vita Terza il tempo era
immobile e insieme viscido e scivoloso. Tutto uguale, fin dall'alba. Entrava Mo'm ad
aprire la finestra e a porgermi Bicchiere di Latte. Bevevo intanto che cercavo di
ricordare i sogni, ma con sempre maggiore fatica, perché la Modifica stava annerendo
anche i miei pensieri. Dopo una ventina di minuti, entrava Zia per accompagnarmi al bagno.
Poi, aspettavo la fine della giornata.
Stamattina come sempre Mo'm è venuta da me per darmi il latte,
aprire la finestra e andare via. Il cielo cambiava e avevo la sensazione di qualcosa
nell'aria: mi tirai su e il bicchiere, sempre quello, con un manico ortopedico, cadde per
terra. Il latte si era rovesciato sul tappeto, così quando entrò Zia e vide il guaio
piagnucolò che era meglio pulire subito prima che Mo'm se ne accorgesse se no chi la
sentiva. Mi vestirono alla meglio e partimmo in macchina. Siamo entrati in questa clinica
dove qualcuno dovrà decidere il mio futuro. I medici mi hanno steso sopra un lettino poi
all'interno di macchine elettroniche, infine mi hanno messo a sedere su una sedia in
compagnia di bicchiere e bottiglia di acqua.
Mo'm parlava, diceva che tutto ormai era deciso, che dovevano comprovare senza incertezze
la tutela completa di Mo'm sul mio patrimonio, e in effetti i medici -convinti-
cominciarono a scrivere.
Come se fosse del tutto naturale io invece presi tra le mani
tremanti il bicchiere e lo tirai in faccia di Mo'm. Le sanguinava il naso quando tirai
anche la bottiglia, così il sangue le colorò l'intero volto. Nella confusione potevo
ascoltare le mie mani e osservare i pensieri che muovono gli eventi: mentre tiravo un
messaggio divino era entrato dentro me.
Ora capivo cosa era successo. Semplicemente: Mo'm mi stava avvelenando col latte...
Ma questa mattina il latte si era versato: non era mai successo prima, ecco perché
riuscivo di nuovo a muovere un poco le membra e pensare. Dunque mi dava latte avvelenato
Mo'm, ma perché? Siamo rientrati verso casa, in silenzio. Lei aveva una fasciatura sul
viso e guardava fuori dal finestrino. Pa'a guidava. Mi hanno portato in camera, e come se
niente fosse successo sono arrivati pranzo e cena. Adesso è buio, piove. Posso camminare.
Mo'm è anche una biologa, qualcosa di simile, deve certo conoscere una sostanza
invisibile per le macchine dei medici che trasforma le persone in ghiaccio.
Adesso uscirò dalla finestra e mi calerò giù col lenzuolo per
ridurre al minimo il salto per le gambe ancora deboli. È stato Nonno ad aiutarmi, legando
alla cieca le lenzuola mentre parlava di fatti economici che mi riguardavano. Ha promesso
anche di trattenere Mo'm. Così raggiungerò il cancello, lo aprirò oppure cercherò un
varco tra le pareti del muretto di cinta. Salterò dall'altra parte e mi troverò in
strada.. Se è vero che i miei parenti sono morti lasciandomi erede di una miniera d'oro,
prima o poi nel mio cielo sorgerà un volto nuovo che mi trascinerà via dalla imperfetta
Mo'm.
...Ho sentito un soffocato colpo di pistola provenire dalla casa
buia, in fondo al giardino. E un grido, piccolo ma radicale. Ero già vicino alla strada,
in cima al muretto, libero forse. Cosa potevo fare? Continuare a correre e fuggire
cercando di rimanere sul filo dell'arcobaleno fino alla fine dove avrei trovato la mia
pentola colma d'oro? Ho deciso di tornare indietro a vedere cos'era successo, e per farmi
forza stringevo nelle mani, di nuovo ruvide e forti come corteccia d'albero, il soffice e
peloso Orso Grigio. La porta grande che dava sugli scalini e sul giardino era aperta,
mentre qualcosa tremava sul marmo, il bianco corpo di Mo'm. Le ho preso la mano per darle
calore, lei sussurrava: Scusami, Seitou ...per tutto il latte che ti ho dato.
...Lì in piedi c'era Nonno, con la pistola in mano. Pa'a era fuori casa.
Mi sono accucciato vicino a lei ricordandole le parole di un libro che ho letto: Siamo
come serpenti che devono la vita al veleno che dà la morte...
Era lì, consegnata al suo scheletro, io piangevo piano, è stato
allora che Nuvola Triste è andata via per sempre da me. |