Kristian Betti novello orfano di padre - lui a niguarda ci è morto domenica 7 aprile - io
a niguarda ci nacqui il 25 di giugno del 1971 |
BURATTINI
DI CARNE prodromi in sei inquadrature uno la porta non è chiusa; il vuoto compensato tra la stanza da letto e l'anticamera genera particelle di polvere che fioccano gioiose nel grigio che imbianca di luce solare in ripida crescita; il mattino si inoltra in un altro mattino che lo accoglie e lo pervade di chiarore più distinto; dove i toni vengono a lambirsi, si creano vortici di grigio che mulinando si impastano e si spostano frenetici, cercando di definire una direzione per gli acari che solcano surfisti l'oceano dello spiraglio della porta che non è chiusa, non abbastanza perché, volendo, ci si possa infiltrare a proprio agio - adagio, passi morbidi di cuscinetti s(f)erici - il parquet che rigenera i propri tessuti se viene baciato dalla luce - accarezzare il pomo d'ottone che è maniglia cedevole alle sollecitazioni: manipolata si curva in basso e sospirando si lascia dominare, completamente sottomessa ai doveri che la avvitano al legno venato della porta - non ha buchi occhielli toppe matrici pertugi e orpelli vanagloriosi che la distraggano dall'unico compito che la definisce e che può solamente subire dalla mano del padrone, che incauta o poco accorta o superficiale e manesca - insomma mano che si protende e agguanta stringe prostra torce affossa spinge graffia picchia dona umori d'umido e poi molla senza recriminazioni, dopo averla fatta cigolare, esaurita la funzione per cui l'aveva circuita - lo spostamento d'aria provocato dall'apertura della porta gonfia il grigio dell'anticamera che si rigetta schiumando nelle onde basse della stanza che, impreparate, subiscono lo schianto e accusano il colpo - ingenerando così quella che poi sarebbe passata agli annali dell'enciclopedia britannica come la grande onda del mercoledì mattina (universalmente conosciuta come GOMM), quella per intenderci che sterminò un'intera generazione di gonzi a mollo sull'asse griffato; a tal proposito si riporta qui una testimonianza orale riportata da un surfista colla muta slacciata e afflosciata sull'inguine, nera gommosa e dreadlock allacciati tra loro sul cucuzzolo del crapone crespo e gocciolante - la tavola scheggiata infilzata nella rena grigia, ha detto di chiamarsi brian wilson: 'lo sapevo che finiva così fin da quando ho sentito il tuono
lontano della massa grigia che arrivava
è che tutti cazzeggiavano in attesa di
vederlo arrivare
il colore dico
e guarda che c'erano tutti i migliori cazzo, lo
sapevamo tutti che era il giorno giusto
ma mica così dio bono, ne ho visti due
esplodere in volo
uno sfacelo, lo sapevo che era la fine fin da quando l'ho sentita
arrivare
prima il sibilo, poi come una luce fragorosa
e tutti lì a guardare
sciacquandosi le palle eccitati dalle telecamere che affollavano la spiaggia
grigia
sai perché mi son salvato? perché sono il miglior acaro rasta surfista sulla
faccia della terra cazzo! davvero, dio
quando son riaffiorato ho vomitato tutto il
grigio che potevo e mi son messo a cercare la tavola
cercavo di capirci
qualcosa
ho capito che ero sopra
in cima all'onda capisci? l'onda che tutti
aspettavamo
era un muro immane
li sentivo urlare sotto di
me
dentro
non so, son morti tutti, almeno i migliori dico, riesci a capirmi?' due libreria a coprire la parete, intransitabile per eccessivo
affollamento - traffico congestionato in file compatte poi mucchi arroccati nei
disimpegni, cataste prossime alla tracimazione puntellate dalla voluminosità dei
vocabolari - tentativi abortiti di sistematizzazione cronologica poi alfabetica poi
generica dei volumi assiepati, in strati accumulati e scanditi dall'ora digitale arancione
di una sveglia che perde tempo - come gli anelli dei tronchi degli alberi, irrobustirsi
celando la fibra primigenia, quella ancora tenera e acerba di esperienza - le edizioni che
è giusto ingialliscano di pallore tarmato, quelle solo dimenticate una volta sedimentate
e poi più mai consultate - quelle sottolineate e consumate - quelle sudate d'amore puro e
incondizionato - quelle condizionate dall'amore spurio per il genere il narratore il
colore della copertina - gli inserti uniformi di raffinate collane editoriali nel più
vasto misto melting pot carnascialesco delle edizioni economiche - i libri d'arte rilegati
con cura e lucidati di copertine in abito da sera - i papaveri nella coppa del graal e un
paio di souvenir, una matrioska russa e un boomerang australiano - ci stava pure la palla
trasparente colla nevicata sintetica sull'empire state building, poi le alte sfere sono
girate per conto loro e i cristalli frantumati sul parquet hanno chiuso il sipario sulla
magia della neve sintetica tre vestiti a languire sulla poltrona, altri sullo sgabello, sulla
sedia, un paio di slip bianchi appesi allo schienale - calze spaiate per terra, sotto, una
scarpa, briciole di cibo, una cintura marrone, un'altra scarpa, un'altra ancora, un
orecchino scintillante ad ingioiellare la luce del giorno che penetra a frammenti - una
foto fluttuata dopo essersi staccata dal suo sito archeologico - invertita riporta la
retina alle origini della visione - grumi di sostanza indefinita sul pavimento, peli,
carta appallottolata, kleenex rappresi, un paio di occhiali da sole, un bilama
usa&getta col cappuccio protettivo - il muretto divisorio che cela le coltri, la
sponda del letto - di sguincio, un piede quattro caviglia nodosa e stretta - polpaccio - lenzuolo appena sopra
l'articolazione del ginocchio - un piumone - rosso con temi bianchi a cuore - un corpo
sotto - un altro sopra - sopra il grigio rigoglioso di felino pingue, inquadrato dalla
zoomata apre gli occhi gialli enormi e sbadiglia una bocca infinita e acuminata, si stira
le zampe anteriori infilate in un solco gonfio di calore - muove i baffi indolente -
sbadiglia tre volte tanto e riporta il vissuto visionato alla sequenza iniziale: una gamba
nuda che escresce dal rosso che avvolge la donna cinque la tapparella che si alza scricchiola tangendo i binari metallici
tra i quali scorre - la luce del sole mattutino inonda il letto - ancora un poco, fino
quasi a rischiarare il volto affossato nei cuscini molli, poi, in ordine sequenziale:
ripiegare il piumone avvolgendo il felino che in tanta prigione ricambia di fusa accorate
- far scorrere il lenzuolo incendiato dal chiarore - liberare la gamba femminile fino al
gluteo - cercare il segno dell'indumento intimo - mancarlo - scoprire l'altra natica - il
solco perfetto e morbido del culo - la posa pruriginosa e involontaria - la spina dorsale
arzigogolata - le scapole insolitamente rilassate - il collo a perdersi nell'ombra e nel
nero riccio della matassa di cellule morte che sono i capelli di tutti, in questo caso
neri ricci e talmente folti e diffusi da perdere il viso nei guanciali molli tra mento e
braccia - avvicinarsi troppo per scottarsi il dito che contorna le forme alla ricerca di
un capezzolo risucchiato dal materasso foderato - prima di vederlo lo senti - scatto del
collo, scapole d'improvviso spigolose - torsione del busto, gambe che si raccolgono e
natiche che scompaiono per dar lustro al pube tosato - apre gli occhi gialli il felino
arrotolato nel piumone in fondo al letto, apre gli occhi la donna sei - che cazzo fai? |