Andrea Tarquini Vi invio un mio racconto breve o almeno io lo vedo tale, nasce da una
passione per un genere che non sto a specificare in quanto il titolo è abbastanza
eloquente e da una passione per un autore, almeno alle sue vecchie cose, anche in questo
caso è inutile essere didascalici, si riconoscono facilmente le sue influenze. Io sono
Andrea Tarquini e sono nato 31 anni fa a Roma. |
hardboiled Qualcuno ha detto che nessuna storia dura in eterno
beh si
sbagliava
Non è un mestiere facile il mio
io sono un investigatore privato, un mestiere come
questo non ti fa ben volere, la polizia mi detesta e anche i criminali non vanno pazzi per
me
ma mi piace, ha i suoi aspetti positivi
ci sono bambole da schianto pronte a
glassarti il corpo con la lingua, non so se mi spiego
certo capita anche il tizio che
te lo vuole glassare con un frullino, ma sono cose che metti in conto
sono stupidi e
questo è il loro svantaggio, tutti quei muscoli gli hanno schiacciato il
cervello
con questi tipi basta usare un po' di astuzia
per farvi un esempio,
come fregai un tipo che qui nell'ambiente chiamano Groack, perché usa questo suono in
sostituzione di più o meno tutte le parole conosciute ad eccezione di
"emulsione" che però usa molto di rado
per arrestarlo dovevo trattenerlo a
casa mentre arrivavano i rinforzi. Non sapevo cosa inventarmi, considerate che era un tipo
alto come un semaforo e con una schiena che sembrava un materasso a due piazze
beh
decisi di sfruttare la sua impulsività
feci un accenno poco riguardoso alla mamma e
lui ci cascò. Cercò, per quasi un ora, di farmi entrare nella tasca della mia giacca
mentre la indossavo, senza rendersi conto che non ci sarebbe mai riuscito, nel frattempo
arrivò la polizia. E fu così che gli scattarono una bella foto, un paio di bracciali di
titanio al polso e vai
io me la cavai con niente, due giorni di prognosi e un
leggero shock: ogni volta che mi allacciavo le scarpe scoppiavo a piangere
Ma veniamo a noi
Tutto cominciò come cominciano tutte le cose, dall'inizio
quel
mattino la città portava le tracce del temporale che si era scatenato durante la notte,
ma adesso il cielo era terso e l'aria quarta
una città violenta quella in cui
vivevo, fatta di chiaro scuri, dove la luce malata e pallida dei lampioni era recisa di
netto da affilate lame d'ombra, città purulenta e tumorale, dove il confine tra il Bene e
il Male coincideva proprio con il marciapiede sotto il mio ufficio, dove non esisteva più
la morale, dove non esisteva più l'amicizia, dove non esistevano più i valori
fondamentali, e anche di parcheggi ce n'erano pochi.
Sodoma risorta dalle ceneri del passato, popolata da loschi figuri senza un Dio, da donne
sensuali e letali, da sanguisughe, da vampiri, da vigili urbani, ma questa, nonostante
tutto era la mia città e io l'amavo questa fottuta città
Da solo, nel mio ufficio, stavo pensando a quante volte in media una persona normale
pronuncia "pergolato" quando qualcuno bussò alla porta. Finalmente del lavoro
pensai
si fece avanti un uomo molto ben vestito. In un primo momento non lo
riconobbi, in un secondo momento mi parve di riconoscere il mio professore di religione
delle superiori e solo in un terzo momento mi resi conto che era Frank Zappa.
"Salve" e la sua voce mi riportò violentemente al passato, quell' uomo che
avevo prima scambiato per il mio professore di religione e poi per Frank Zappa, era in
realtà mio padre.
Tornai all'infanzia, all'odore di tabacco della sua pipa, alle serate passate davanti al
televisore, a quelle splendide domeniche quando mi chiamava vicino a lui davanti al camino
e mi svuotava il fornelletto della pipa in testa
"Figliolo" mi disse
"Papà" gli risposi
Bello scambio, pensai, ma d'altronde non avevo mai avuto un ottimo rapporto con
lui
c'eravamo rivolti la parola sedici volte, anzi quindici , perché una volta non
stava parlando con me
l'ultima volta che c'eravamo visti avevamo litigato
anzi
fui io a litigare, esplosi dicendogli ciò che pensavo:
"Cosa ho avuto da te ? Eh ? Niente, ho avuto! Niente! Anzi no. Forse una cosa l'ho
presa, i tuoi difetti. Ecco tutto ciò che ho avuto da te
i tuoi difetti."
"Beh... ridammeli" mi rispose
E ora eccolo presentarsi dopo tutto questo tempo nel mio studio
quasi sei anni senza
una lettera, una telefonata
l'ultima volta che avevo avuto sue notizie, si faceva
chiamare: Il Magnifico Arkan, veggente, prestigiatore e illusionista.
Non ci credereste ma mio padre era venuto a trovarmi perché voleva assumermi
"Perché io ?"
"Beh! Che discorsi! Sei mio figlio! Quale padre per una cosa del genere non sarebbe
andato dal proprio figlio
e quale figlio farebbe pagare la parcella al padre."
Una volta accomodato, mi mostrò un foglio di giornale:
un tizio era stato assassinato nel suo appartamento, lo avevano legato e poi gli avevano
iniettato sei milligrammi di chinotto nelle vene.
Era la terza volta in cui la vittima veniva uccisa secondo questo rito, aveva rilasciato
un intervista in cui asseriva di essere piuttosto stanca.
Mi alzai e andai al mio schedario, ne tirai fuori un fascicolo pieno e lo riportai al
tavolo.
La mia esperienza mi aveva ormai insegnato che dove c'è un rituale c'è un assassino
seriale, e io me ne intendevo di serial killer
Nome: Thomas Barthebly
Conosciuto come: Ibidem
Età: 46 anni
Scheda
Inglese è attivo principalmente nella zona di Liverpool. E' ricercato dalla polizia da
ormai tre anni. Il suo rituale è il seguente: dopo aver imbavagliato le sue vittime, le
sevizia per ore e poi le uccide spaccandogli la testa con una cassa acustica da 60 watt.
In conclusione firma i loro corpi incidendovi sopra con un temperino i primi accordi di
"Hotel California"
Nome: Sconosciuto
Conosciuto come: Finnegan il sanguinario
Età: 38 anni
Scheda
Originario di Molfetta, opera principalmente nel Salento, la polizia lo ricerca ormai da
cinque anni. Deve il suo soprannome all'enorme quantità di sangue rinvenuta sulle scene
dei suoi delitti. Gli esperti hanno più volte avanzato l'ipotesi che Finnegan si porti
appositamente delle sacche di sangue da casa per soddisfare il proprio gusto scenografico
Nome: Domenico Anastasia
Conosciuto come: Ibidem
Età: 52 anni
Scheda
Nato in Libia Anastasia opera nell'Italia settentrionale. Famoso per il suo rituale
piuttosto complesso. Dopo aver ucciso la sua vittima gli taglia la giugulare, quindi gli
spezza minuziosamente tutte le ossa, poi gli asporta i genitali, gli strappa i denti, gli
sfregia il viso, gli impiastra i capelli con il dentifricio, gli inserisce un virus nel
computer, gli graffia il mobilio, gli lacera i divani, gli scarabocchia la carta da
parati, gli disfa il letto, gli rovescia il latte a terra, gli rompe i vetri delle
finestre, gli schiaccia gli occhiali, gli svita tutte le lampadine e gli incastra uno
stuzzicadenti nel campanello
La cosa che non capivo era perché mai mio padre si interessasse ad
un serial killer
- Conoscevi la vittima ?- gli chiesi
- Quale vittima ?-
Gli mostrai l'articolo
- E' quello accanto- mi rispose con un tono di rassegnazione poco lusinghiero.
C'era una colonna in cui una tizia rispondeva ad una certa Madame Seux
Cara Madame Seoux devo ringraziarla, ho seguito il suo consiglio a proposito di quella
vocina che da anni mi tormentava e mi terrorizzava, ho fatto come mi ha suggerito lei, un
giorno mi sono girata di scatto e ho scoperto che era mio cugino Corrado
"Non capisco"
Mi strappò di nuovo il giornale
"Qua. E' questo l'articolo che devi leggere
dì un po', ma la targhetta
investigatore l'hai trovata già appesa quando hai preso in affitto 'sto posto"
In un piccolo trafiletto si diceva che era scomparso uno scienziato il Dottor Dubois
"Cosa c'entri tu con uno scienziato ?"
"Non stare a preoccuparti, lo devi trovare"
"Devo sapere cosa c'è dietro e poi non saprei neanche da che parte cominciare"
"Ecco il suo indirizzo" mi porse un foglietto, era l'interno di un pacchetto di
sigarette, la grafia poteva essere quella di mio padre, ma non potevo saperlo visto che
non ricordavo assolutamente la grafia di mio padre
questa era una cosa che dovevo
scoprire
"L'hai scritto tu ?"
"Si"
Bene l'avevo scoperto, ma non ero certo che la cosa mi servisse
"Avevamo degli affari insieme e non vorrei che se la sia squagliata, per rispondere
alla tua domanda"
Si alzò e si avviò verso la porta
"Teniamoci in contatto"
- Non ho il tuo numero - gli feci notare
- Ma io ho il tuo - uscì dalla stanza lasciandomi lì con il bigliettino, uno strano caso
di sparizione, i miei fascicoli sui serial killer, e un turbine di pensieri e
riflessioni
riflessioni su ricordi che avevo dimenticato e dimenticanze che stavo
ricordando.
Cercai sullo stradario l'indirizzo, era in estrema periferia, indossai il mio soprabito e
decisi di andare a fare una visitina alla casa del professore
Non lasciai detto a nessuno dove andavo e guardando l'ufficio vuoto pensai che non appena
avessi potuto mi sarei fatto una segretaria, la scorsa settimana mi ero fatto un
infermiera e devo dire che la cosa mi era piaciuta.
Arrivato sul posto parcheggiai poco distante dal palazzo che corrispondeva all'indirizzo
datomi da mio padre. Era un edificio basso di quattro piani, l'aspetto esterno era
piuttosto fatiscente, salii le poche scale che mi separavano dal portone ed entrai.
L'androne era buio, e un piccolo e angusto corridoio portava ad una porticina di legno.
Lungo il muro c'erano scritte e graffiti di vari colori: Topina ti amo, Caligola è un
gran testa di cazzo, Guy e Franci insieme per l'eternità, Manuele è frocio, Nel Sahara
libico la temperatura supera spesso i 50°C
Seguii il muro fino alla porticina, l'aprii e mi ritrovai in uno di quei piccoli cortili
condominiali, sul quale si affacciavano due porte, su una c'era scritto
"Portiere" e sull'altra " Studio del professor Dubois " decisi di
prendere la seconda, ma ovviamente era chiusa. Non era il caso di dare nell'occhio nel
tentativo di scassinarla, sarei tornato la notte, avrei sfruttato il tempo che mi separava
dell'effrazione, cercando di documentarmi sul professor Dubois.
L'unico che poteva sapere qualcosa era una mia conoscenza, il vecchio Tiresia. Aveva un
piccolo negozio di libri nel quartiere greco.
Quando entrai il campanellino della porta avvisò della mia presenza. Il vecchio Tiresia
era ormai completamente cieco, e a dargli una mano c'era sua nipote Mirò.
Fu lei che venne ad accogliermi, indossava dei jeans e una camicetta bianca che le metteva
in risalto gli occhi neri, qualsiasi cosa avesse indossato quella ragazza l'avrebbe
portata sempre con gran classe. Aveva i capelli raccolti dietro la testa e portava un paio
di occhiali con montatura nera. Sapevo che aveva un debole per me e la cosa non poteva che
farmi piacere, ma sapevo anche di non essere l'uomo giusto per lei, quindi mi limitavo a
scherzarci e a trattarla come una bambina, cosa che la faceva arrabbiare moltissimo.
L'unica storia importante della mia vita era finita anni fa e sapevo che non ce ne sarebbe
stata un'altra. Tutto l'amore che ero in grado di dare l'avevo già dato.
"Posso chiederti come andò" mi chiese una volta la piccola curiosa
"Che a un certo punto lei si è stancata e mi ha dato il ben servito"
"Così senza nessun preavviso ?" eravamo nel retro della libreria e aspettavamo
Tiresia che era andato a prendere la pensione
"Non proprio"
"Cioè" insisteva, rapita da quello che le stavo per dire
"Avevo avuto delle avvisaglie
cominciai a sospettare che qualcosa non andava
quando prese a darmi del lei al telefono"
"Io non potrei mai lasciarti"
"Certo piccola, dicono tutte così"
"Ma io dico sul serio" mi si avvicinò e mi baciò così, a tradimento
una
delle poche volte che qualcuno è riuscito a cogliermi di sorpresa
quell'episodio è
naturalmente rimasto ben piegato nei nostri ricordi e non ne abbiamo mai più parlato
"Tuo zio ?"
"Ciao eh"
"Ciao piccola"
"Lo zio è nel retro"
Oltrepassai la piccola tenda che divideva il negozio da un'altra stanza più stretta della
prima, ma più lunga, rivestita completamente da una libreria ricca di volumi di tutte le
dimensioni e rilegature, ma soprattutto di pezzi d'antiquariato di valore inestimabile.
Tiresia era seduto su una vecchia poltrona
"Guarda chi si vede" mi disse e scoppiò in una rumorosa e scomposta risata
"Salve vecchio" andai a sedermi vicino a lui
"Sono tutto orecchie" mi disse e sghignazzò facendo uno strano rumore, come un
frullino su una tavola di marmo, o magari è il frullino su una tavola di marmo che fa il
rumore di Tiresia
ma il punto non è e non era questo
"Vecchio ho bisogno del tuo aiuto
Conosci un certo professor Dubois ?"
Lo conosceva e lo stimava. Sembra che questo professore fosse un eminente figura della
scienza e della cultura
Tiresia si alzò e muovendosi con sicurezza nel suo ambiente arrivò ad uno scaffale da
dove tirò fuori un piccolo libro, quindi tornò a sedersi.
"Un grosso studioso Pierre Dubois, scienziato, inventore, filosofo e gran giocatore
di ping pong."
Mi porse un libricino verde. Era un piccolo saggio del professor Dubois dal titolo.
"Etica ed Estetica. E' solo un caso che facciano rima ? "
"Io lo conobbi" continuò Tiresia continuando a muoversi fra i suoi libri
"
alla presentazione di un suo libro, era
era
" si fermò
davanti ad uno scaffale e tirò fuori un altro volume
"eccolo
un interessantissimo trattato di semantica" tornò verso di me
porgendomi anche l'altro libro
" ...in cui dimostra dialetticamente l'utilità del linguaggio verbale nelle
conversazioni telefoniche."
"Sai a cosa stava lavorando prima che sparisse ?" gli chiesi mentre sfogliavo il
trattato del professor Dubois
"Non sapevo fosse sparito"
"Volatilizzato" chiusi il volume e fissai il vecchio che tacque, probabilmente
sapeva dove potesse essere il professore, evitai di parlare anch'io per non disturbarlo.
Passò circa un quarto d'ora prima che parlasse di nuovo
"Posso sapere a che pensi ?" mi chiese in un sussurro
"Io a niente perché ?" risposi stupito
"Non lo so stai zitto"
"Pensavo stessi pensando tu"
"Pensavi stessi pensando io ? Ma io non pensavo affatto, pensavo invece che fossi tu
che stavi pensando, ma tu pensa
comunque non pensiamoci più
aspetta, ora che mi
ci fai pensare
come ho fatto a non pensarci prima, c'è una cosa a cui avrei dovuto
pensare
si, potrebbe
forse"
"A cosa pensi ?"
Tiresia si alzò e cominciò a muoversi per la stanza tutto agitato. Era incredibile come
evitasse ogni cosa e sempre all'ultimo momento
"Una volta mi portò nel suo laboratorio e mi mostrò, o almeno questa era la sua
intenzione, la sua ultima invenzione; si trattava di uno specchio che rifletteva il
desiderio e non la realtà
"Spiegati meglio"
"Non so magari ti specchiavi e ti vedevi più alto e più snello, oppure eri in
pigiama e ti riflettevi in smoking
ti mostrava come volevi vederti e non come
realmente eri e questo valeva anche per le persone che avevi intorno e per gli
oggetti"
"Ma a che serve uno specchio del genere ?"
Tiresia si adagiò sullo schienale della sua poltrona, fece una pausa riflessiva
"E' quello che provai a dirgli io, ma ricordo s'infuriò terribilmente. Mi accusò di
essere un pragmatico e un funzionalista, e che non riuscivo a vedere al di là del mio
naso
"Prima non eri così" mi disse "da quando hai perso la vista, sei diventato
cieco".
La verità è che dopo che fu buttato fuori da tutte le università non è stato più lo
stesso e il limite di tutte le sue ultime invenzioni è stato sempre l'utilità
" Perché ?"
"Perché inventa cose che non servono a niente, come il cacciavite con il manico di
spugna"
"Perché lo hanno buttato fuori dalle università ? "
"Non ha mai voluto dirmelo" si tirò su "credo che si sia trattato di una
terribile ingiustizia
non vedo altrimenti perché
e già come potrei
vedere
" si sbellicò dalle risate, mentre con una mano si teneva la pancia; di
nuovo il frullino sul marmo. Capii che per ora la mia conversazione con Tiresia era
finita, uscii.
Rimasi un po' a parlare con Mirò. C'era qualcosa nel sorriso di quella piccola ninfetta
che mi scuoteva lo stomaco e non solo. La invitai a cena per la sera dopo, lei rifiutò,
ma riuscì a vendermi un trattato sulla vulcanizzazione delle gomme.
Tornai al mio ufficio e verificai se c'erano messaggi in segreteria. Niente.
Passai il tempo che mi separava dall'oscurità sfogliando il librò che Mirò mi aveva
venduto
c'era una parte in cui si dimostrava come il processo di vulcanizzazione
fosse adottato anche da alcune industrie dolciarie, resistetti per poco, poi caddi
addormentato.
Mi svegliai di soprassalto, colpito al cervello da uno squillo, che il sole era sparito
già da un po'. Avevo avuto un incubo: ero a letto con una donna bellissima e stavamo
facendo del sesso sfrenato, la luce della luna filtrava attraverso le persiane illuminando
i nostri corpi nudi, lei era sopra di me sudata che gridava, io ero sotto di lei sudato
che gridavo, accanto a noi c'era un tizio tutto sudato che gridava, all'improvviso la
donna si ferma ritta su di me, mi guarda e mi fa:
- Non ti ho già visto da qualche parte ?
In quel momento lo squillo. Risposi al telefono era mio padre
" Oh !" dissi
"Come va ?" mi chiese
"Stavo appunto
" lasciai cadere
"A che punto sei ?"
"Ci sentiamo due volte nello stesso giorno dopo sei anni, non hai paura di uno shock
anafilattico ?"
"Sai una cosa, è una fortuna che tu non faccia del cabaret"
"Ancora nessuna novità
risentiamoci più in là" Tagliai corto
"No ascolta" mi bloccò lui "Voglio che lasci perdere"
"Come ?"
" Si molla tutto"
"Che succede ?"
"Niente, ma la cosa sta diventando pericolosa
io non sono mai stato un buon
padre, ma non vorrei mettere a repentaglio la tua vita, c'è qualcuno che
cosa? Ehi,
ma
no! No! AAHHH!!
"Pa', ma che ?
Pa' -
Cosa stava succedendo ? E quel grido ? Prima di riagganciare mi parve di udire uno
stralcio di conversazione dall'altra parte della cornetta
"Beh, come è andata ?"
"Credo che l'abbia bevuta"
"Davvero ?"
"Se lo conosco, si"
Ma un discorso simile non aveva alcun senso, quindi supposi si trattasse di un
interferenza
Tornai al laboratorio del professor Dubois, sotto un cielo senza stelle, con una luna che
galleggiava nell'oscurità e che con il suo unico occhio non mi perse mai di vista. I suoi
raggi erano su di me quando sbucai nel cortiletto e proiettandosi sul muro creavano strani
giochi d'ombra: il coniglio, l'aquila, il serpente e ancora quella figura nera e
allungata
era da quando ero sceso dalla macchina che ce l'avevo alle spalle, l'avevo
notata subito, ma non l'avevo dato a vedere. E' un trucchetto che ho imparato facendo
questo mestiere, se scorgi con la coda dell'occhio che ti stanno pedinando, per evitare
che l'inseguitore capisca che è stato scoperto, distogli velocemente lo sguardo e puntalo
a terra, cammina con un piede davanti all'altro, punta contro tacco, le mani in tasca e
comincia a fischiettare.
Tornando a quella sera, la presenza della mia ombra dietro me era più rassicurante che
altro, quindi non ci badai e tirai fuori il necesseire per scassinare la porta del
laboratorio, ma non fu necessario, era accostata. Forse la mia ricerca era giunta a
termine.
Entrai lentamente e scesi i tre gradini che colmavano il dislivello tra il piano esterno e
quello interno. Di fronte a me una cantina; un tavolo di legno grezzo, sulla sinistra,
l'attraversava tutta per la lunghezza. Sul tavolo un groviglio di tubicini e alambicchi,
alla fine di quella ragnatela di vetro un cesto di frutta. Poggiato contro la parete di
fondo una consolle enorme con tasti, manopole, lucette e lancette. Continuando a ruotare
con lo sguardo s'incrociava un grosso specchio coperto con un panno di velluto viola, mi
avvicinai e tirai via di colpo il panno.
Nello specchio c'ero io in abiti settecenteschi, con un parruccone e una giacca rossa con
maniche e colletto merlettato, il viso era incipriato, la cantina era diventata una stanza
lussuosa, con broccati e tendaggi, e due splendide colonnine con putti alle mie spalle, mi
voltai e ero di nuovo nella cantina, vestito con il mio impermeabile.
Lo specchio di cui parlava Tiresia, chiusi gli occhi, mi voltai di nuovo di fronte allo
specchio e li riaprii. Questa volta ero in alta uniforme da ufficiale della marina, e alle
mie spalle il ponte di una nave
come invenzione non serviva a niente, ma era comunque
divertente.
Improvvisamente mi accorsi che riflessa nello specchio, c'era una bellissima donna, tutta
nuda, che mi puntava una pistola
solo la pistola senza nient'altro addosso
era
là, nuda e pericolosa
bella
la pistola puntata nella mia direzione, i capezzoli
anche
la pelle era chiara, i fianchi si restringevano per poi riallargarsi dolcemente
nella splendida forma dei glutei, il braccio teso guidava lo sguardo verso la pistola, il
ventre piatto guidava lo sguardo verso
forse è il caso di recuperare il controllo.
"Smetti di pensare quello che stai pensando" mi intimò
"Non so se
" improvvisamente indossava un completino intimo: calze
autoreggenti, mutandine e reggiseno di pizzo nero
Si avvicinò facendo toccare la bocca della pistola contro la mia nuca
"Smettila"
Ora era vestita con una tutina di pelle nera, aderentissima, aperta sui tre punti
cardinali
"Se non la finisci sparo"
"Ci sto provando, sto pensando a tutt'altro" le dissi
Era un infermiera con autoreggenti bianche e divisa cortissima e scollata
Mi venne davanti, prese il panno e coprì di nuovo lo specchio.
"Ecco così non devi sforzarti"
Poco prima che arrivasse lei mi stavo chiedendo a cosa servisse quello specchio
"Finalmente l'avete trovato il laboratorio"
"Non è stato poi così difficile"
"Infatti vi aspettavo molto prima"
"Ti prego dammi del tu"
"E' inutile che fai lo spiritoso, dov'è il resto della tua banda"
"Credo che ti stia sbagliando" feci per avvicinarmi
"Fermo là" mi fece segno con l'arma
"So bene per chi lavori"
"Ascolta, risolvo subito l'equivoco presentandomi, sono un investigatore privato e
sono stato incaricato di trovare il professor Dubois, ora se gentilmente mi spieghi chi
sei "
"Melissa Dubois, la figlia del professor Dubois"
Nel frattempo, a molti chilometri di distanza, in un quartiere di Istambul, in un
appartamento affacciato sul Bosforo, un uomo stava spiegando alla moglie di tre anni più
giovane di lui come si forma un buco nero.
La figlia di Dubois, quella creatura cosi eccitante e peccaminosa era la figlia dello
scienziato scomparso.
"Chi mi assicura che non lavori per loro"
"Loro chi ?"
"Quelli che hanno rapito mio padre"
Andai a sedermi sul tavolo
"Che fai ?"
"Vado a sedermi sul tavolo appunto
Chi sarebbero queste persone che hanno rapito
tuo padre?"
Lei mi fissò negli occhi nella speranza di capire se poteva o meno fidarsi di me, il suo
sguardo mi penetrò con la sua innocenza e la sua vulnerabilità, mi avvicinai per offrire
protezione a quell'angelo.
"Non lo farei" mi avvertì infilandomi la canna della pistola in una narice
"Gli uomini di Don Ciccio 'o stuorto
sai di chi sto parlando"
Sapevo di chi parlava, avevo un dossier su di lui lungo chilometri: Don Ciccio 'o stuorto,
una delle figure più sanguinarie della storia della mafia. Il suo nome era in realtà
Frank Ulrich nato quarantatre anni prima nei sobborghi di Graz in Austria, ma da fin da
piccolo aveva deciso che sarebbe diventato un picciotto, come Sonny de "Il
Padrino", presto, però, si era reso conto che non sarebbe stato facile per un
giovane ragazzotto biondo, con accento tedesco, ascendere alle alte sfere di una famiglia
mafiosa, decise quindi di tingersi i capelli di nero, cambiò il suo nome in Ciccio 'o
stuorto e prese a dire, ogni tre o quattro frasi, "nun è ovecro kuajò ?".
"Perché credi che dietro la sparizione di tuo padre ci sia Don Ciccio 'o
stuorto?"
"Perché ho trovato questa"
Mi porse un foglio
" Era per terra "
Chiunque avesse preso il professore lavorava per Don Ciccio quella che avevo in mano era
la sua carta intestata.
Avevo già visto quella carta in un indagine dove trovammo sul luogo di una strage diverse
ritenute d'acconto che L'Organizzazione aveva rilasciato ad alcuni scagnozzi per
prestazione straordinaria.
"Capisco" le restituii il foglio
"Se non lavori per loro per chi lavori ?"
"Il mio segreto professionale m'imporrebbe di non rivelare il nome del mio cliente,
ma sono stato sciolto dall'incarico poco prima di venire qua, quindi posso dirtelo. Sono
stato assunto da mio padre che non vedevo da anni, per rintracciare tuo padre
carino
no ?"
"Si conoscevano ?"
"Questo dovresti dirmelo tu"
"Anch'io non vedevo mio padre da un po', mi ha mandato una lettera dicendomi di
venirlo a trovare"
"Una lettera ? E perché non una telefonata ?"
"E' la stessa cosa che mi sono chiesta, ho provato a chiamarlo, ma non rispondeva
nessuno, quindi sono partita. Arrivata qua, ho trovato varie cose sue, tra cui quello
strano specchio, ma di mio padre neanche l'ombra"
"Vorrei chiederti una cosa"
"Cosa ?"
Capii che stava cominciando a fidarsi di me, perché estrasse la canna della pistola dalla
mia narice
Mi massaggiai un po' il naso, la guardai riconoscente e le chiesi se sapeva qualcosa della
faccenda dell'Università
Quando suo padre era ormai diventato una personalità in quasi tutti i campi del sapere,
poco dopo aver pubblicato il suo saggio ontologico: "Io esisto e ho molti amici che
possono testimoniarlo", tradotto in sedici lingue, cioè quando ormai il suo nome era
entrato negli annali della scienza, accadde l'irreparabile. Ad una conferenza a Londra
espose una sua personale tesi in cui sosteneva che la lingua araba come la conosciamo noi
europei in realtà non esiste, è solo un insieme di versi gutturali e casuali che i
popoli arabi usano quando ci siamo noi nei paraggi, ma non appena ci allontaniamo
riprendono ad usare la loro vera lingua che è molto più comprensibile. Era sua
intenzione dimostrare tale tesi travestendosi da arabo e avvicinandosi ad un gruppetto di
loro emettendo versi a caso del tipo gralbbuarstgrr, ablaglablà grhhhrgbla, se uno di
loro gli avesse risposto era fatta.
Dubois non trovò alleati a sostegno di questa tesi, anzi fu allontanato in malo modo da
tutte le università e non gli fu più permesso di ritornarci neppure per riprendersi
l'ombrello che aveva dimenticato. Questo fu un duro colpo per lui, si ritirò dai clamori
della vita pubblica e per un anno andò a vivere con la figlia, fece poi ritorno a casa e
riprese le sue ricerche, questa volta indirizzate verso non si sa bene cosa
"E' possibile che non ci sia neanche un indizio sul lavoro di tuo padre ?"
Seguimi mi ordinò e si diresse verso una porticina che non avevo notato e che si trovava
alla destra dell'entrata. Superammo la piccola porta e ci trovammo in un'altra stanzetta
più angusta, con un tavolinetto su cui erano poggiati, sparsi in modo disordinato, degli
appunti. Nel punto d'incontro tra le due pareti c'era una cabina telefonica di quelle
pubbliche.
"Non dovrebbe stare qua questa" scherzai dando un colpetto alla cabina, con uno
strano suono la porta si apri; dentro era una comunissima cabina, ma il telefono era molto
particolare, aveva una tastiera con lettere e numeri, e un display piuttosto grande, era
più simile ad un computer che ad un telefono.
"Volevo mostrarti questo" si avvicinò con in mano un piccolo quadernetto, per
niente stupita dall'apertura della cabina, forse aveva già avuto modo di vederla
"Non sembri per niente stupita dall'apertura della cabina"
"Ho già avuto modo di vederla".
Presi il quadernino fra le mani e cominciai a sfogliarlo, era scritto con una grafia
ordinata e datato giornalmente
14 ottobre
Forse ce l' ho fatta. Il mondo intero dovrà riconoscere che sono un genio, sarò
riammesso nelle università e potrò riprendermi l'ombrello.
Ho inventato qualcosa di straordinario, ma al contempo di terrificante, posso confidare
nell' uomo e nella sua morale ? Mi trovo al bivio in cui da sempre si è trovata la
scienza, rivelare al mondo la mia invenzione e sperare che ne venga fatto l'uso migliore o
distruggerla
15 ottobre
Dopo averci dormito su, mi sono reso conto, che è mio dovere rivelarla al mondo intero,
perché già gli appartiene
chi sono io per arrogarmi il diritto di valutare se
l'uomo è pronto o meno a riceverla.
16 ottobre
Oggi sperimenterò la mia invenzione.
Ore 10.00- Sono pronto. Ho chiuso il mio laboratorio per evitare intrusioni. Oggi
viaggerò nel tempo
Ore 10.30 - Ho regolato il timer in modo che mi porti indietro nel tempo di 35 minuti e
come luogo di destinazione ho scelto la stanza attigua a quella in cui si svolgerà
l'esperimento.
Ore 15.30 - L'esperimento è andato bene
quasi bene. Sono tornato indietro nell'ora e
nel luogo programmati, ma sono rimasto chiuso fuori dal laboratorio ed ho dovuto forzare
la porta.
17 ottobre
Si ! Si! Si! Ce l' ho fatta. Che ho mai inventato ?! Ho vinto spazio e tempo! O il
contrario ? O svelato uno dei misteri più antichi. Si viaggerà nel tempo oltre che nello
spazio
finalmente scopriremo se lo spazio nel tempo non sia in realtà sempre lo
stesso spazio o se quello spazio non sia in realtà ripetuto nel tempo in infiniti spazi.
Infiniti spazi in infinite realtà lungo un tempo infinito per infinite percezioni della
realtà
comunque non trovo più il caffè.
18 ottobre
Sono amareggiato, anzi profondamente disorientato
ho fatto un altro viaggio
La
mia invenzione funziona. Funziona! Funziona!
Oggi è il giorno più importante dopo quello in cui Prometeo regalò il fuoco all'
uomo
ma se questa scoperta cadesse nelle mani sbagliate ? Devo mantenere il più
assoluto riserbo. Ma tu guarda che sfiga, faccio la scoperta più importante dopo il fuoco
e non posso dirlo a nessuno
25 ottobre
Questa notte non ho chiuso occhio
Ho violato la Natura? Ho stuprato mia Madre. Ho
avuto la pretesa di dominarla? Certo
proviamo a guardare la cosa da un altro punto di
vista, pensavo
io appartengo alla Natura, sono suo figlio al pari di
di
di
un terremoto che per quanto terrificante sia è comunque naturale e nessuno si sogna di
andare da un terremoto ha dirgli che con il suo comportamento ha violentato la Madre
Natura
fa parte della mia natura risponderebbe o non risponderebbe affatto e io ? Io
ho fatto una cosa che è nella mia natura, per il fatto stesso che sono stato in grado di
farla
ho quindi fatto un cosa che la Natura stessa mi ha permesso di fare
e
allora che vuole ?
26 ottobre
Anche questa notte non ho dormito. Sono dilaniato dal Dubbio. Rivelare la mia scoperta e
far fare all'umanità un passo avanti e se quel passo fosse verso un terribile
baratro
ho il futuro dell'umanità nelle mie mani
certo se lo sapesse il mio
professore di matematica
bussano alla porta, chi sar
cazzo!
Gli appunti del professore s'interrompevano in quel punto e non
c'era altro, rimasi a sfogliarli
- S'interrompono così
e non c'è altro ?"
Chiusi il diario e mi voltai a guardare la ragazza nella cabina. Aveva uno sguardo strano,
indecifrabile, nel caso avessi dovuto comunque decifrarlo, avrei detto spaventata. Mi
voltai di nuovo e dietro di noi c'era mio padre che ci puntava una pistola.
" Tranquilla è mio padre " sorrisi alla ragazza, rassicurante.
Poco dopo.
Mio padre finì di legarci ben stretti poi sempre puntandoci la pistola si allontanò.
" Magari sta scherzando
" cercai di ironizzare con lei
" Mi dispiace figliolo, ma di fronte ad una scoperta simile e ai soldi che potrei
farci, i legami familiari tendono un po' ad allentarsi, mi capisci vero ?
Si accomodò sul tavolo di fronte a noi, pronto a rivelarci perché un intrallazzatore e
ladruncolo come lui s'interessava alla scoperta del professore
"Vi starete chiedendo come mai un intrallazzatore e ladruncolo come me s'interessi
tanto alla scoperta del professore.
In realtà è stato un caso, ero venuto da lui per vendergli una serie completa della
Bibbia in musicassetta, con adesivi dei momenti più importanti
non è male, c'è
questa con L'arca dell'alleanza che è particolarmente bella
"
Si avvicinò e ci mostrò una figurina adesiva che rappresentava l'Arca
"
lei che mi dice signorina ? Consideri poi che le figurine sono solo un
optional, il prodotto che vengo a mostrarle è tutto per intero il Libro dei Libri, senza
però l'impegno di leggerlo. Mettiamo il caso lei sia impegnata nelle faccende domestiche,
che so, lavare
"Papà, non credo ci possa interessare in questo momento fare un acquisto
"Mai smettere di crederci ragazzo, ricordalo" e accompagnò la frase con un
occhiolino.
Tornò al tavolo, puntò di nuovo l'arma nella nostra direzione.
" Insomma finisco qua e il vecchio, mentre chiacchieriamo mi parla della sua
scoperta. Io faccio finta di niente e gli chiedo se posso tornare per fare una
dimostrazione delle musicassette, magari gli faccio sentire un pezzo della Genesi
quello voleva regalare la sua invenzione all' umanità: gli appartiene diceva, ma io
penso, se l'umanità ne ha fatto a meno per tutto questo tempo si vede che non è
indispensabile, non credi, è quindi corretto dire che non è una necessità, ma un
superfluo, e il superfluo ha un prezzo, dico bene figliolo ?
Gli ideali sono belli, e
gli idealisti simpatici, ma dopo il carosello si va a letto, non è vero figliolo e tocca
a noi adulti fare le cose serie
" Quindi l'hai fatto sparire tu il professore ?
" Mi stupisci ragazzo, se sapessi dov'è il professore avrei ingaggiato te ? Mi pare
quindi d'intuire che neppure la fanciulla sappia dov'è
e io come faccio a far
funzionare quel trabiccolo ? Però se non ce l'avete voi e io non ce l'ho
In quel momento si udì un rumore come di un vaso colmo di shampo che si rovesci su un
terreno ghiaioso in pieno equatore e poi una voce che diceva:
" Foi azpettatemi kvi e statefe akkuorte, io entro kon il mio amiko profezzore. Nun
è ovecro kuajò ?
" Cazzo!" esclamò mio padre, quindi si diresse verso una stanzetta, lasciandoci
lì legati come un sol corpo
in un altro momento la cosa non mi sarebbe dispiaciuta
affatto.
" Io mi nascondo, voi fate finta di niente
In quel momento entrarono il professor Dubois imbavagliato, tirato per la collottola da
Don Ciccio 'o stuorto.
Io e la ragazza provammo a fare i vaghi più che ci fosse possibile, ma loro comunque ci
notarono.
" AH! Koza appiamo kuà ?
" Papà" esclamò la ragazza
"Mhmm! Mhmm! Mhmm!" rispose il professor Dubois tentando di divincolarsi da
quella presa, ma Don Ciccio lo trattenne.
"Kiane, kiane. Quanta freta. E cozi questa è la tua piccirilla ya
potrai
ezzere fiera ti tuo patre, ha fatto uno scoperta uno, ke aiuterà tutta umanità tutta, ma
prima ankora me, Nun è ovecro kuajò ?"
In tutte questo tempo io non ero rimasto con le mani in mano, avevo verificato i
nodi
gli anni negli scout non sono mai buttati
è lì che ho imparato a
sciogliere qualsiasi tipo di nodo e gli accordi di "Wish you were here"
Don Ciccio si fece avanti con il professor che guardava nella nostra direzione con sguardo
stranamente enigmatico, Probabilmente pensava io fossi il compagno della figlia
certo a prima vista posso non sembrare un buon partito, poi così legato, ma in
realtà non è che le cose mi andassero poi così male. Ero arrivato a buon punto anche
con il fondo pensionistico e in più un mio amico aveva fatto un buon investimento per
conto mio, si trattava di lanciare sul mercato una serie di fumetti hard tratti dall'
"Ulisse" di Joyce.
"Ora il profezzore ci farà vedere kome funziona la zua macchinina zua
"Ecco bravo, sono curioso anch'io di saperlo" sottolineò mio padre uscendo allo
scoperto con la pistola in pugno
"E kest' mo ki kazz'è ?" esclamo Don Ciccio sorpreso.
" Uno che è interessato quanto te al pulman per il passato, e ha intenzione di farlo
pagare caro il biglietto.
Squillò il telefono
Ero riuscito a sciogliere i nodi
Ero quasi riuscito a sciogliere i nodi
" Tu non zai ki zong'io" gli intimò Don Ciccio
" Un tedesco che cerca di parlare napoletano, mi sembra" lo sfottè mio padre
La cosa fece inkkazzare non poco Don Ciccio
" Prutte pastardo. Ie ti faccio sputare 'o zangue ! Nun è ovecro kuajò
Sciolti.Mi alzai e tirai fuori la rivoltella che portavo alla caviglia. L'ho imparato dai
film, ma ragazzi se serve !
Secondo squillò del telefono
" Mi dispiace ragazzi, ma qui nessuno farà pagare un bel niente. Se credete sarà il
nonnetto ha decidere cosa farci della sua cabina truccata. Nun è ovecro kuajò ?
o
al massimo la figlia," dissi indicando l'angelica fanciulla
" Mhmm! Mhmm! Mhmm!" intervenne il professore
" Ma si può sapere che vuole " chiese irritato mio padre
" Vuole dirvi che non sono sua figlia" disse la ragazza tirando fuori un
pistolone da non so neanch'io dove.
" E ha ragione. Mi chiamo Shannon e mi dispiace dirvi che il problema sullo scopo di
quell'aggeggio non c'è. Serve alla nostra causa e lo useremo noi per conquistare la
libertà e scacciare l'imperialista. Sarà il pugnale di Bruto contro il tiranno.
Mi girai e puntai l'arma contro di lei
"Io se fossi in te non ci proverei, non mi stai neanche simpatico"
E io che credevo di aver fatto colpo.
" Neanche tu a me"
Ci girammo tutti e dietro di noi c'era Mirò con un fucile a pompa
" Ciao tesoro"
"Mirò che ci fai qui ? " puntai l'arma verso Mirò
" Ti ho seguito e mi sembra di aver fatto bene. Vieni qui amore e dammi una mano ha
tenerli sott'occhio."
Devo dire che la bambina mi sorprese
mi apparve come una chimera un coraggio da leone
su un corpo da ninfa
Terzo squillo del telefono e parte la segreteria
Feci per andare verso Mirò, girandomi per tenere sotto tiro l'allegro gruppo.
Una delle regole degli antichi samurai: "Non girare mai le spalle ad un nemico"
Arrivo da lei quando da sotto una pila di fogli spunta un cinese con una mitraglietta
d'assalto
"Mi dispiace per tutti signoli. Ma qui se c'è qulcuno che poltelà via quel tleciclo
salò io
Puntai la pistola sul cinese
"
anche l'olganizzazione pel cui lavolo io è intelessata a questa scopelta e
lei signolina è entlata in qualcosa più glande
non lidete" si girò tenendo
tutti sotto tiro
"
più glande di lei. Pelò un po mi dispiace dovelvi fale fuoli tutti." e
chiuse la frase sghignazzando
"Fermi tutti" gridò un megafono da fuori
Rivolsi l'arma verso l'invisibile sorgente di quella voce tonante
" E' la polizia, siete circondati, quindi uscite con le mani in alto
Finì il messaggio della segreteria e si senti una voce alla cornetta
"Nessuno di voi avrà quel catafalco
Il professore che nel frattempo era riuscito a togliersi la benda proruppe
" Una macchina del tempo! E' una cazzo di macchina del tempo e non un treciclo o un
pullman! Una piccola e semplice macchina del tempo"
"
quello che è" continuò la voce dalla segreteria
" comunque i discorsi stanno a zero. La cosa del tempo è nostra
"
"L' ho vista prima io" gridò mio padre
La tensione cresceva e io non sapevo più contro chi puntare la pistola
" Nooo!" gridò la bella rivoluzionaria e prese a sparare contro la segreteria
Qualcuno sparò contro di lei, rovinando quel corpo da favola
QualcunAltro sparò contro Qualcuno aprendogli un foro nel petto grosso come un doblone
QualcunAltroAncora sparò contro QualcunAltro riducendogli la faccia ad un paesaggio
Io mi sentii tirare mentre decidevo se sparare a QualcunAltroAncora o prendere già di
mira QualcunAltroAncoraAncora.
Mirò, mi trascinò nella cabina e la chiuse.
Un colpo sfiorò il vetro e io mi buttai per proteggere la mia piccola. Inavvertitamente o
io o lei spingemmo qualcosa in quella doccia volante. Per un attimo ebbi modo di leggere
il display:
Indietro di 5 secondi
Poi accadde qualcosa. Ci fu una luce e poi mi sentìì come quando da piccoli vi
prendevano e vi lanciavano con forza contro un muro. Poi il buio.
Eravamo nella cabina, lei abbracciata a me, lo sguardo nello sguardo, un colpo sfiorò il
vetro e io mi buttai per proteggerla urtai o urtò un tasto e poco prima di una forte luce
ebbi modo di leggere sul display:
Indietro di 5 secondi
Il mio corpo fu centrifugato, mi ritrovai nella cabina, Mirò avvinghiata a me con
disperazione, i nostri occhi s'incrociarono lanciandosi promesse, un colpo sfiorò il
vetro, nel tentativo di schermarla mi tuffai sul telefono e ebbi modo di leggere sul
display:
Indietro di 5 secondi
Una luce. Nessun suono. Il terremoto. I nostri corpi avvinghiati. I nostri sguardi fusi in
un solo pensiero
saremmo stati insieme per l'eternità. |