Luca Gricinella

Ecco l'autore di Tony Ciarratano, breve romanzo inedito in cui parte della vita di uno dei migliori attori italo-americani della storia del cinema, occupa poca carta. Scritto con la consulenza speciale di Joe Pesci, il romanzo (?) è consigliato a tutti gli appassionati di musica e cinema che non hanno molta confidenza con una corretta pronuncia anglosassone. Qui si pubblica (forse) un racconto che non ha niente da spartire con la storia del noto attore, ma le mani che hanno battuto sui tasti sono le stesse.

INCRISI

Quattro del mattino, sotto casa. Dalla finestra del bagno, unica luce nel buio, riusciva a vedere: urlavano, lei più disperata, lui sembrava respingerla. La distrazione di un attimo ed eccoli a terra, poche macchine passavano, li sfioravano. Quando i toni cominciarono a placarsi, s'incamminarono, ma lui non la voleva.

"Possibile che dopo tre giorni e venti ore ancora pensi a quella telefonata?! È finita! L'ho capito io prima di te; tu devi produrre idee nuove, basta coi sentimentalismi sterili!"
Giacomo aveva ragione, soprattutto dopo l'ultima telefonata, in cui avevo sentito la freddezza improvvisa di Anna, come se anche lei avesse maturato l'idea, di cui ammetto la mia originalità, di una nostra separazione. Ero stanco, cercavo nuove strade, ma un timore vigliacco non mi lasciava apparire certo neanche stavolta. Ok, cominciavo a tornare in sintonia coi programmi di scrittura del computer, cassaforte espugnabile delle mie idee, ma non si trattava ancora di una svolta. Ricorrere all'auto-racconto? Mettere su carta episodi della mia vita col rischio di non riuscire a mascherarli a dovere?
Perché no? Un'occasione da sfruttare, in parte proprio perché la storia con Anna era giunta, forse affrettatamente ma senza alternative, ai titoli di coda. Dovevo raccontare delle sue tragiche disavventure infantili? No, se no mi sarei sentito in dovere di espormi anch'io e certe sofferenze me le volevo tenere strette. Potevo soffermarmi sul periodo del soggiorno a Ginevra, ma dopo qualche ora in cui cercavo rimedi utili a risolvere i miei problemi con le date, ecco il telefono. Non era Anna, e nemmeno un'altra per sfortuna, ma un sondaggista dalla voce acidula: "Gradisce qualche domanda sul latte?"
"Sì, ma dopo il caffè, attenda un minuto in linea". Lo lasciai in vana attesa per dieci minuti, così nessun altro mi avrebbe rotto le palle mentre cercavo di ricordare se ero stato insieme con Anna tre o quattro anni. Misi davvero sul fuoco una caffettiera. Mi stavo convincendo di un tre anni e mezzo quando dalla cornetta sentii arrivare un attutito ma chiaro "vaffanculo!"... un sondaggista in meno, probabilmente lo avrebbero licenziato, ma un ragazzo che messo alla prova aveva dimostrato un carattere da pescatore sulla via del fallimento, forse la sua prossima (dis)occupazione.
"Quando la pagina t'aspetta, non presentarti; la scrittura vive sulle visite a sorpresa." Questa frase del mio maestro Paolo Ciurani, campeggia sulla schermata iniziale del vecchio computer che uso come riposante macchina da scrivere. Aperto il programma di scrittura fissai la pagina bianca, accennai un sorriso ruffiano ma subito capii che m'aspettava, anzi ero pure in ritardo. Era bastato occuparla con "Fra me e Anna ormai è finita" per capire che non era un momento propizio.

"Devi dormire di più! E poi non si può mangiare così poco, stai dimagrendo."
"Sì, sì."
Possibile che tutte le mamme conoscono questo stesso disco? Nessuna che azzarda un "Non dormire più di tre ore così vedi se magari riesci a scrivere qualcosa da vendere, ehm... disoccupato del cazzo! Voglio vedere se fra un po' non ti do più neanche da mangiare?! Brutto stronzo!" Questo è il tono che di solito usa Giacomo per stimolarmi a creare quando mi vede in crisi selvaggia, ma se davvero lo usasse mia madre forse ora potrei davvero aspirare al Pulitzer, oppure l'avrei già mandata seriamente a fanculo. Invece Anna quando mi vedeva in crisi ne approfittava subito per toccarmi dappertutto e, se non mi dava fastidio, finivamo a letto (raro). La dovevo chiamare? Oppure dovevo chiamare Chiara, ex compagna di liceo che non vedevo da dieci anni ma con cui da sempre mi sentivo in intima sintonia? Niente, optai per la radio, anche perché cominciavo ad avere una scarsa considerazione per la masturbazione pomeridiana; troppo soggetta a rischi quali: ti citofona il postino che deve consegnare un pacco, ti telefona l'amico noioso che parla al rallentatore, il dirimpettaio s'affaccia, tu non hai tirato le tende, ed ecco lo sguardo imbarazzato prossimo alla crisi che si scontra con lo stupore divertito.
Cosa stava facendo Anna in quel momento? Probabilmente dormiva, erano le quattro e trentadue. E Giacomo? Stava leggendo il mio racconto sull'italo-americano che crede di fare l'attore ma in realtà è l'eterno protagonista di un film inedito? Probabile, ma lui non avrebbe colto nessun riferimento al mondo del cinema... avevo riempito le pagine di citazioni più o meno nascoste! "Prontooo"
"Ma pronto a fare cosa? A scrivere queste stronzate?! Qui o mi scrivi nei dettagli la storia con Anna oppure continuerai ad arrancare. Sei un cazzo di scrittore o no?!"
"Giacomo sono le undici, mi sono addormentato da tre ore..."
"Allora alzati, accendi il computer, cancella la frase di Ciurani, e scrivi delle stronzate senza citazioni nascoste, con una storia d'amore realistica, un lui, una lei e se vuoi un altro."
"Sì, un altro stronzo come te."
"Oh, modera le parole, a' coso."
Ecco, non sopportavo quando mi diceva "a' coso", lo trovavo l'insulto più divertente per un osservatore neutro ma il più offensivo nei confronti di uno scrittore, per giunta in crisi. Piccole convinzioni maniacali personali.
L'avvertimento di Ciurani m'aspettava, ma stavolta ero pronto e deciso.

"Anna ed io ci siamo lasciati", "Io e Anna abbiamo deciso che è finita", "La fine della nostra relazione ci era chiara a entrambi da tempo" (Ma da quanto tempo?!), "Non potevamo continuare così, e così...", "Troppo tardi per ricominciare, troppo presto per dimenticare, forse anche Anna la pensa così..." (Ancora 'sto cazzo di così!), "Anna nuda e sola nel suo letto, così la volevo pensare quel pomeriggio..." I pantaloni sbottonati mi consigliavano che era giunto il momento per rivedere certe posizioni sulle attività pomeridiane; già, quanto è vero quel "mai dire mai"!
Il vuoto di memoria, scordare il passato, staccare con le vicende già vissute... non ci sono mai riuscito, ho sempre avuto una buona memoria, a volte ottima. Però una volta, a pensarci bene, qualcosa è successo: avevo diciassette anni, i due occasionali compari di quella sera invece quattro o cinque più di me; le bottiglie di vodka erano due e ce le bevemmo in poco più di un'ora. I primi segnali strani ho cominciato ad averli in macchina: mi sputavo sui pantaloni e asciugavo con le mani. Poi il delirio a quel centro sociale, dove tra le altre cose scambiai un joystick di un videogame per un posacenere; e poi l'amico non ubriaco che mi carica in moto per trasportarmi a casa e qui cominciano i ricordi a sprazzi e infine il vuoto, l'unico vero buco buio della mia memoria. Lascio la parola a mio fratello: "Niente, erano circa le due, no, e mi ricordo che faceva davvero caldo. Dormivo, ma ho sentito come un forte rumore e ho capito che eri tu. Sì, insomma m'hai svegliato... facevi davvero parecchio rumore, no, allora ho subito capito che avevi bevuto un sacco; quando ti sei messo a letto, ho visto che ti sei addormentato di colpo, così ho sperato che avessi in qualche modo assorbito tutto l'alcool. Poi a ben guardare, sì, dormivi, ma avevi gli occhi semi aperti, e a un certo punto hai iniziato a vomitare davvero di tutto... voglio dire, non ho mangiato pasta per più di un mese!" I primi ricordi riaffiorano dopo almeno un'ora quando mi risvegliai nel letto di mio fratello e vidi che il materasso del mio letto non esisteva più: "Che è successo?" Sentivo che nel mio organismo circolava il malessere, faticavo a parlare, stavo a pezzi. "Niente, niente, dormi..."
Per dimenticare Anna dovevo forse cominciare a bere due bottiglie di vodka al giorno? Staccare col passato vuol dire ubriacarsi a ripetizione? No, non ce la avrei mai fatta, poi ormai vivevo da solo e la vodka non riesco più a berla in linea di massima, soprattutto quella al melone. Spensi il computer, iniziai a leggere un libro, dopo tre pagine passai a un articolo, a metà mi sdrai sul divano, poi accesi la televisione e infine erano le sette di sera, avevo già fame e feci la solita visita alla mamma. "Hai scritto oggi?"
"No, non ho fatto un cazzo."
"Come non hai fatto un cazzo?" Come se quelle parole l'avessero offesa.
"Sì, non riesco a fare un cazzo dal mattino alla sera." E via con la solita discussione.
"Anna l'hai sentita?" Questo era troppo. La calma (o la stanchezza?) mi aiutò.
"No... ora vado però, grazie della cena."
"Dove vai?"
"Devo scrivere."
Un sorriso poco convinto e via per una strada già percorsa mille volte, la solita. Il diversivo fu qualche passo fino al distributore di sigarette e poi la scoperta che avevo in tasca le chiavi della machina. Faceva caldo, feci un giro per le vie semi deserte di Milano. Sigaretta e sguardo scrutatore: qualche bella ragazza costretta a prostituirsi, qualche brutta faccia alla guida di quei fuoristrada di cattivo gusto, un odore disgustoso (ero nei pressi di un McDonald's), un paio di bar coi pensionati che giocavano a biliardo e via, di nuovo a casa di fronte al computer.
Ma se Ciurani fosse ancora vivo cosa mi avrebbe detto? Ormai non avevo più un soldo, addirittura, convinto da qualche film, stavo prendendo in considerazione l'idea di andare da una puttana per sfogarmi a parole, e non solo forse. Se non partorivo il racconto nuovo perdevo l'opportunità di finire in quell'antologia di giovani scrittori (ma poi perché giovani? Il più giovane ha 30 anni... vabbè, siamo in Italia, non vado oltre).

Prigioniero della sintesi, così potrei riassumere la condizione che ha spesso limitato (anche agevolato, ma giusto un paio di volte) la mia propensione alla scrittura. Perché ricamare? Ho sempre preferito studiare il termine, scavare a fondo per trovare quello più efficace, investigare nel vocabolario della lingua italiana, ma anche in quello fondamentale di italiano/francese - francese/italiano, inglese/italiano - italiano/inglese e infine, perché no, sfogliare un confusionario dizionario ragionato dei sinonimi e dei contrari. Così eccomi a rileggere i miei racconti e imbattermi nel dub o addirittura nel divertissement. Giocare seriamente con le sfumature della parola, lasciare al lettore la libertà di cogliere dietro a un aggettivo un mondo intero o un piatto anonimato. Piazzare la frase sul confine tra banalità, semplicità e profondità. Sono anche arrivato a compilare un archivio di titoli, formule che in principio funzionano solo per accostamento di termini, ma pronte a essere liberamente sviluppate appena quegli stessi termini prendono vita nella mia fantasia. Ok, forse mi sopravvaluto ma in ogni caso, convinto della bontà della sintesi, dovrei forse biasimarmi?
Con Anna ho sempre dovuto calibrare le parole, prendere la mira; lei ha sempre cercato rifugio in quello che dicevo, ma soprattutto in come lo dicevo, nei termini che usavo. Un appiglio per ribattere, a volte con una forza insicura e spiazzante, lo trovava, non sempre, ma lo trovava. Certo, capitavano anche le volte che arrancava, inevitabilmente azzardava delle conclusioni sconclusionate. Quando parlo lascio da parte la sintesi, tendo a ribadire i concetti per assicurarmi che l'ascoltatore comprenda tutto; naturalmente a volte esagero e c'è chi si offende, irrita, innervosisce. Beh, ma il fatto è che Anna continuava a non chiamare, mentre io volevo delle risposte: come qualsiasi strada prima o poi è solcata da una macchina, aspettavo con fiducia il passaggio di queste parole che colmassero i vuoti creati dai dubbi sorti nell'ultimo periodo.

"Prontoo"
"Lo so, sono le dieci, ti sei addormentato da due ore, ma a me non me ne frega un cazzo! Finito 'sto cazzo di racconto?!"
"Guarda, Giacomo, pensavo..." Ruvido mal di gola mattutino con scoreggia che vede il filo del traguardo: come facevo a pensare?
"Pensavi, pensavi, no! Voglio sentire "guarda Giacomo, scrivevo" e non "guarda Giacomo, pensavo", ok?!"
"Ma come si fa a scrivere un racconto in cui parlo di una storia che è ancora in sospeso?"
"In sospeso?! Ma è finita, cazzo! Lo vuoi capire, o no?! Inizi a mettermi i nervi, adesso ti mando lì una persona, e vediamo se non trovi la fine."
"Chi mi mandi?"
"La figlia di mia sorella, 22 anni, viso alla francese, fisico da giovane tedesca, carnagione olivastra da salentina e single! Ha visto una tua foto, ha letto un tuo racconto, ieri ha lanciato lì un "sembra un tipo interessante" e allora te la faccio conoscere. A volte la parola fine la mette l'inizio di una nuova corsa! Ciao!"
Bicchiere d'acqua, doccia, cambio lenzuola, lavaggio approfondito denti e occultamento vecchio numero di Playboy lasciato sul tavolino vicino allo stereo. Le occhiaie? Impossibile attenuarle. Dovevo farmi trovare nell'atto di scrivere e quando arrivava dirle "scusa un attimo, chiudo la frase e arrivo", oppure con un giornale tipo Intervista in mano? In mancanza di risposte, piazzare un vinile sul piatto mi sembrava una buona mossa. Ecco il citofono e il telefono farsi vivi all'unisono e sovrapporsi alla musica. Mentre sotto casa un camion strombazzava, probabilmente perché qualcuno ne intralciava il cammino, ero smarrito, spiazzato, indeciso sul da farsi. Lo scatto che attivò la segreteria mi spronò ad aprire il portone senza chiedere "chi è" al citofono, una voce femminile sorta nei pressi del telefono intanto ripeteva a oltranza "pronto ci sei?"... oddio, Anna, proprio ora... il campanello di casa cominciava a essere premuto con ostinazione. Appena aprii la porta ecco Anna lì di fronte a me, entrambi senza parole, fino a quando la pausa tra la prima e la seconda canzone coincise con un altro "pronto ci sei?" seguito da "Zio Giacomo mi ha detto di passare, ok, però sappi che non sono una che ci sta così, al buio, la prima volta, senza conoscere... però forse dipende più da te, un bacio, a presto". Non feci in tempo a voltarmi per capire come stoppare la segreteria che Anna era scomparsa. Quasi sradicata la presa del telefono avevo solo due opportunità: alzare finalmente la cornetta e sperare i una linea rimasta miracolosamente in piedi per agevolarmi un amplesso psichedelico, o rincorrere Anna; affacciandomi alla finestra mi accorsi che Anna stava salendo sulla macchina, nel frattempo dalla segreteria era partito il ritmico tùtùtùtùtù...

Se l'isolamento era già un po' mio, ora toccava alla solitudine, meno luce rispetto al recente passato, ma anche meno biancore sulla pagina. Sì, ho scritto.