Quzo un nome, una città intorno, venti anni addosso, un'università frequentata
con più interrogativi che traguardi, qualche amico o pseudotale, parecchi libri inalati,
diverse strade sperimentate poi perse o abbandonate o svendute o "bombardate",
nessun reddito e tanta roba che mi fuoriesce dal cervello, che ne valga la pena o no. Fine
dell'autoritratto. |
SENZA
TITOLO Samuel solleva il culo dal letto.
Routine sterile. È il suo turno. Riparti e avrai l'impressione di non essere fermo.
Impressioni. Bastano. A molti. Solleva il culo dal letto Samuel, si infradicia la faccia,
si veste e cade fuori dal portone. Rumina il marciapiede, procede coi sintomi del solito
quotidiano scolo al cervello, e come ogni cazzo di giorno riprende a guardare i pendolari
che lo circondano in attesa del treno. Tritolo interpersonale. Guerra spenta. Non sa
giocarci granché. Ci stagna. È infetto d'umanità fin nel midollo Samuel, fin negli
oggetti che annettono cancrena al corpo: dal giornale alla ventiquattrore all'orologio
all'alito-tutto pus da ingranaggio. Era andato a letto di buon umore ieri notte, diceva di
sentirsi come seduto su una sedia elettrica che aveva deciso di ascoltarlo, o avvolto
attorno a un siero letale che se la giocavano, avrebbe pure potuto drogarlo. Mentre ora è
fuori dal tempo. È senza tempo. Il ronzio di un moscone sottovuoto: nella propria mente
continua a farneticare le visioni dei suoi mille e più occhi e rimane a cibarsi dello
sterco del mondo in attesa d'essere deglutito dalla catena biologicocivile-ma dice di
poter ancora volare, senza tempo e senza cielo. Si muove dalla parete del treno per
compiere quello che definisce uno dei suoi doveri autonomi, una delle piccole gabbie
scalcianti in cui i voli si accontentano di se stessi: percorre due metri di corridoio del
treno, entra nel cesso e chiude a chiave; sfila di tasca un indelebile, scrive il titolo
della prima pagine dei due giornali più letti del paese e sotto questi incide: io posso
volare senza tempo e senza cielo, mentre tu continui a stare là, rimani su te stesso, dai
il tuo voto a sfarzose poltrone sorde, eleggi chi ha già deciso per te. Non è che ti
vendi, perché sei già loro proprietà-quello che fai in realtà è molto più complesso
e sotterraneo: dai loro il potere di gestire il tuo potenziale umano, e questo-beh, te lo
domando: quanto ti fa sentire leggero?
Poi guarda lo specchio, si ride in faccia, fa un paio di smorfie, si gira verso la porta
ed esce trovando tutto sommato comico il fatto che la realtà non ha controprove. Ci sono
un paio di pischelli fuori dal cesso, zainetto in spalla e compiti fatti. Discutono del
perché gli fa schifo l'occupazione liceale con annesse cause e giustificazioni. Dice uno:
io non entro e basta, a me non mi frega che agli altri vada bene quello che faccio. Beh
piccolo, pensa Samuel, direi che è così solo perché ne hai altri ancora che ti dicono
cosa esattamente devi fare; perché vedi, dice ancora Sam rimanendo muto perché tanto non
fa differenze, perché tanto ci parliamo per convincere l'altro e se non ci riesce diventa
pura autodifesa e compartimenti stagno che giocano a mosca cieca, perciò rimane muto Sam,
ma dentro di sé gli dice Vedi ragazzo, per come la vedo io non sei libero in casa tua
[qualcuno ti telefonerà per farti un'offerta che ti dica chi sei cosavuoi e
dicosahaibisogno, oppure sarà l'ABACUS per sapere come la pensi, per saperti fottere
millimetricamente]. Non sei libero a lavoro [qualcuno considera il lavoro una condizione
imprescindibile dell'esistenza. Argomentazione valida, forse anche condivisibile, ma ora
come ora il tuo lavoro è una condizione imprescindibile solo per l'esaltata esistenza
faraonica di qualcun altro e questo peso lo senti non è vero!? Questo peso lo avverti fin
nei polmoni, fin nel midollo cazzo
]. Non sei libero a scuola [sbarre applicate alla
fronte, sei una giovane recluta piccolo]. Non sei libero per strada [occhi bionici, pareti
che parlano, vetrine seducenti, e i passanti con cui condividi i marciapiede paiono
ologrammi che peraltro detesti]. Non sei libero mentre compri da mangiare [in un bel
supermercato cazzo, ricovero spontaneo in una di queste cangianti cliniche del consumo;
benvenuto nell'arcobaleno della tua bava, qui ti stai costituendo]. Non sei libero al
telefono [esistono precise parole chiave che ti sconsiglio di pronunciare
]. Non sei
libero in rete [non "navighi", sei un feto che nuota nella tazza del cesso più
controllata che esista]. Non sei libero in un mezzo di trasporto , non sei libero
nell'orologio che hai al polso, non sei libero nei libri dimmerda che leggi, non sei
libero neanche in un cesso pubblico, non sei libero dentro, non hai una sola cazzo di
sinapsi indipendente o nascosta
.. .
.. . .
ma si sente stupido Samuel, non ci vuole un cazzo a rimpinzare di dubbio un
idiota benestante di minorenne senza nemmeno farsi ascoltare. Lo stupro vero sarebbe
prenderlo gentilmente sottobraccio e portarlo a spasso per la città, fargli fare una di
quelle giratine che Samuel fa spesso, passando nei vicoli del centro, nelle sale d'attesa,
nei ghetti, nei viali di circonvallazione-regalargli un cazzo d'altro mondo impossibile,
fargli leccare la vista da certi pezzi dello strato malato che costeggia i palazzi e
svolta gli angoli cercando di non farsi notare, lo strato che comunque percorre queste
vie, l'esercito multiforme dei disperati d'ogni estrazione, razza o incuria. Sarebbe il
caso di non prepararlo neppure a digerire roba del genere no, buttarcelo in mezzo e basta.
Fottila piccolo, è la sorella invivibile della tua realtà. Dirgli che non è la solita
ricerca scientifico-demografica, che assolutamente non è il solito censimento
dell'inadeguato. Dirgli che piuttosto siamo davanti a quella specie di elenco
sub-antropologico di tutti i famelici bistrattati del cazzo, il sub-plus della civiltà
postmoderna: strabici e travelli, epilettici-c'è una ragazza sdraiata sul marciapiede,
vomita liquame biancastro e rimane immobile inteccherita, solo un tremolio spastico la
smuove, e lo sbirro mentecatto di turno che le tamburella sulle sue ginocchia con la punta
della scarpa destra, Scusi signorina si sente male? (
. .. . . .
..
.)-sordomuti e ubriaconi, impiegati nel settore noia, i senzatetto che
dialogano con l'immondizia, sedie a rotelle che vendono biglietti per la lotteria,
viaggiatori di frodo, librai periferici all'impero costretti a mettere lungo l'unto della
loro stupida vetrina tutto l'insieme della redditizia sottocultura Fallaci Tamaro Feltri
Vespa Grisham Rutelli Sgarbi & Affini-l'elenco mezzo sbattuto degli inquilini sotto
sfratto, degli indesiderabili, dei non condivisibili, plotoni di frattaglie che dalla loro
hanno solo la retorica di chi li disprezza al culmine. Siamo all'elenco che non ha
prototipi basilari, che non rientra in canoni di definizione o recupero sociale, i
bastardelli di cui la Madonna non ha detto nulla a nessuno, gli invalidi di pace, debiti
viventi. E sarebbe il caso di fare in modo che l'adolescente conformemente anticonformista
si domandasse se ha una cassa toracica sufficiente per tutto questo. Ma poi Samuel sente
il treno incagliarsi lungo le banchine, la rivede lui stesso 'sta merda di città, e
finisce a chiedersi se lui sarebbe sufficiente per parlare di ciò che vede, di questi
volti senza rimedio, gli unici non in cerca di giustificazioni. Si domanda tombe nuvole
unghie salari e calvizie, si domanda e non focalizza le ossa tritate che precedono il
punto interrogativo, si domanda quel che resta ma soprattutto si domanda chi cazzo è lui
per permettersi di soffrire e chi cazzo è lui per impedirsi di farlo. Non sta in questo
la vita. Si però vita un cazzo! Vita è una parola retorica, introduce frasari a vanvera,
scontatezza condensata, armature da beota e mega-parlottio sull'indescrivibile. Se
rispetti la vita le neghi gli ausiliari: la vita non ha né è, la vita semplicemente non
esiste. E se anche il mio personaggio pensa alla vita io schiaccio le sue meningi e
reprimo le sue debolezze. Gli lascio soltanto le fughe, e la bile. Perciò lo vedo
scendere dal treno. Posare la ventiquattrore su di una panchina. Posarci sopra la giacca.
Ripiegare e depositare anche il giornale. Si guarda intorno. Ascolta il blaterame del
corpi indirizzati che lo sorpassano. Inspira. Pensa che non è il caso di stargli vicino.
Pensa anche che ha da fare. Stamattina violentiamo un altro contesto. Stamattina basta.
Questa è una di quelle mattine che un ministro definirebbe
"pretestuose"-perché davvero Samuel ha una fame addosso che è meglio, molto
meglio se lo lasciano passare. Nessun omissis stamattina, di quelle mattine che non si
possono deglutire. Gli hanno manipolato il respiro questa mattina. Gli hanno monitorato il
metabolismo. Vigilano, Loro. Danno per scontata la validità di se stessi. Spacciano
verità indiscutibili. Cazzo! ma siamo ancora in Italia? Un paese che c'è da domandarsi
perché sia emerso dalle acque, per quale ragione..
.
. .. aspira melma,
senza filtro, senza allucinazioni-solo pura realtà attualità società. Lo immolano
all'altare del dio Uomo oggi. Prende a scatramare concetti e tralascia le possibilità di
rifugio, rimane nudo in campo scoperto sotto tiro incrociato, emotivamente iperesposto, ed
è solo perché lo vuole, solo perché le montagne siedono sul vertice e i fiumi
straripano e le tombe implodono e le fogne gorgheggiano e cos'altro avrebbe per andarsene
da qui? ..
Si sono giustificati per la sua presenza, si sono perdonati
l'un l'altro stamattina, si sono assolti per il suo odio e la sua rabbia, vestiti da causa
effetto difesa accusa giudici ed epilogo hanno sperperato i suoi moventi, hanno
ripristinato la normalità, si sono detti bravo fingendo di detestarsi e ci hanno ancora
allattato. Sono gli stessi. Siamo gli stessi. Solito luogo e ossigeno scaduto prezzato
tassato.
Dico: qualcuno per caso vede ancora la sua identità consapevole e responsabile? Vi
garantisco che la offrirebbe volentieri ai cecchini che paga con le sue tasse. Perciò
schizza di mente ad un qualche altro giorno in cui un gruppo intero di persone si era
sforzato di capirlo e lui pur di non aprirsi aveva litigato con tutti, li aveva mandati
affanculo pur di non darsi a loro. E lei, cazzo. Lei lo aveva stretto quasi con violenza,
lo aveva trascinato via: Non puoi, gli aveva detto, Non puoi fare degli altri te stesso,
non hai il diritto di dire sempre cosa compone il tuo filtro, come sono le cose viste dal
tuo stomaco-non puoi chiedere ai conviventi del caso di trascinare i tuoi pesi
A guardarti, ascoltarti, le aveva risposto lui
.Sento dentro il bisogno di piangere,
vorrei trovare il modo di farti del male, cacciarti
Beh, sono sicura che mi sopravvivresti, come sono sicura che mi rimpiangeresti.Dammi pure
tutta la tua rabbia ma non usarmi per giustificarti.
E tu non usare me per cambiarmi
.ora non ti allontanare però, rimani
.fai in
modo di non lasciare spazio ai miei stati d'animo. Non li controllo, cambiano prima di
definirsi, mi sfuggono, si muovono verso gli altri prima ancora di essersi mostrati a me.
Non gli interesso mica: combattono per lo spazio intermedio fra me e chiunque mi parli.
Rimani qui piccola, non ho che te come porta
.
Incastona questo pezzo nel suo campo visivo Samuel, cerca di occupare aree azzerate con
significati rimovibili. Riempie i punti ciechi dei propri polmoni e testicoli. E si tiene
vicino la sagoma stronza di ciò che vorremmo essere, noi che ci sentiamo estranei, si
tiene dietro al culo l'ombra di come vorremmo essere fatti, noialtri che siamo problemi
sotto sfratto o probabili condanne agli arresti emozionali-con queste fughe in utopia,
seghe mentali e posti ipotetici dove nasconderti per tagliuzzarti la carne e calmare la
nevrosi. Samuel sorride a questa sagoma e muove i primi passi. Lascia la roba sulla
panchina. La dona all'ufficio oggetti smarriti. Ha da trovare altro. È arte, dice a se
stesso. È arte il modo in cui puoi ucciderti e partorirti come altro in meno di un'ora.
Di fatto ci stiamo guardando in faccia, tu io Samuel e chiunque altro. La poesia ce l'hai
qui perché la poesia dovrebbe essere l'esperienza d'arte emotiva di chi non può tornare
indietro a raccontarla-la caverna di Platone messa al centro di Auschwitz o nella casa
più accogliente di Hiroschima. Ci sei dentro. Non bussi, né suoni il campanello, sei
già dentro a questo fuori. Disimpara. Vaga e perditi. Non tornare. Demolisci. Crepa
rinasci crepa rinasci crepa rinasci periodico. Tu non vali più della tua morte ma la vali
tutta. Leggi le pagine dei più grandi e ridine. Tu non esisti. Sei cellula di un corpo
vasto. Sei parte di un tutto. Tu non sei, tu servi. Agisci di conseguenza e agisci contro.
Sei un cazzo di guerrigliero di Les e solchi le pene del catalogo senza soffermatici a
lungo dato quanto c'è da fare. E che nessuno tocchi la tua utopia adesso, nessuno la
sfiori porcoddio! Un Samuel qualunque non sta affatto bene, non è affatto calmo, e ora
come ora gira per le strade della tua città
. . ..
.
.. . . .
CARTA DA CULO
Foglio e matita qui te li concedono, se fai il bravo. Ad esempio se
non ti lamenti non provochi i secondini non fai troppe richieste e non urli quando ti
sodomizzano. In tutti questi sensi che significano mutismo io faccio il bravo. Non m'era
mai riuscito prima di entrare qua dentro, educativo il carcere vero?
Non so perché m'è presa voglia di scrivere. Diciamo che sa di vita, ti da
quest'illusione, che non è poco per uno che sta qua dentro, rimosso dalla realtà puttana
che per anni m'ha imposto certi prezzi e poi ha dato ad un paio di chiavi il ruolo del
commercialista che viene per saldare i conti. Sono stato una merce del caso, mentre ora
proprio il caso, l'ipotesi d'un qualcosa che avviene, è tutto ciò che mi manca se penso
ai prossimi anni, e soprattutto ai prossimi giorni. C'è già un sacco di gente che ha
scritto dal e sul carcere. Certi sono gente di merda, detenuti famosi con amici famosi. Te
lo descrivono il carcere, ma lo fanno con la voce di chi in un certo modo esiste anche
fuori. Io no. Io sto qua e qua mi esaurisco. Come la vedi?
Te lo ripeto: scrivo come riesumazione. M'immagino queste pagine nelle mani d'un
borghesuccio benestante benpensante con famiglia, tv via cavo, giardino e garage, mi creo
questo prototipo come destinatario perché rappresenta quella fascia di gente che il
carcere non lo vedrà mai, ed è la stessa fottuta gente che ringrazia le galere perché
ripuliscono i palchi della Società Civile, lasciano lindi gli abiti di autori e registi,
e donano serenità all'ingordigia di vuoto di tutte le possibili platee postmoderne. Non
so se riesci a seguirmi lettore del cazzo, personalmente io c'ho fatto pratica: sono già
parecchi giorni che mi seguo dalla branda al muro al cesso alla branda. Piano piano ti
abituerai a me. Conto sul fatto che tu possa tenermi compagnia
Da bambino mi piaceva catturare una grossa quantità d'insetti, ne
raccattavo di tutte le specie. Più eterogeneo era il mio zoo, più significato ci
trovavo. Una cavalletta, qualche scarafaggio e poi formiche coccinelle lombrichi lumache.
Li rinchiudevo tutti in un coccino che avevo trovato nella "cucina giocattolo"
di un'aula del mio asilo. A quel punto tenevo la mano pronta a bloccare eventuali
tentativi di fuga e osservavo cosa accadeva. Di solito gli insetti pensavano solo al modo
per uscire. Nient'altro. Alcuni si fermavano presto, altri neanche cominciavano e altri
non smettevano mai di cercare vie d'evasione. Sostanzialmente speravo che le varie
microscopiche etnie dessero inizio ad una specie di battaglia, mi prefiguravo quasi degli
schieramenti coscienti con tanto di alleanze, aspettavo che la ballata avesse inizio e
sceglievo un insetto per cui tifare. Ma non succedeva mai un cazzo, soltanto che dovevo
andarmene a casa e che gli insetti tornavano nel giardino dell'asilo. L'unica volta in cui
sono riuscito a scatenare conflitto è stato quando c'ho buttato dentro una lucertola. La
piccolina ha dominato la scena, e una volta sazia se n'è andata. No piccolo, non sto
imbastendo l'ennesima metafora fra umanità e insetti, ne abbiamo pieni i coglioni. E poi
non ti metto nella massa, sarebbe troppo comodo: uno dei tanti che. No signore. Tu non sei
una di quelle microcavie, tu sei il bambino. Non ti torna? Pensaci: ogni cazzo di giorno
giochi indirettamente, e garantisci continuità di pulizia educazione ripartizioni e
immagine entro i confini dell'asilo mondo.
Qua dentro le lucertole sono armate sai, e se sgarri irrompono attraverso le grate come un
fluido acido e pensi che è l'ultima cazzo di cosa che vedrai. Ma non è così
Devo ammettere che sostanzialmente del carcere non so ancora
niente. E' davvero da poco che ci sono. E no perdio!, non ti fotte perché ci sono finito,
non ti lascio pulire la tua coscienza integrata giudicando me. Qui sono io che istituisco
i processi e ne stabilisco tempi e modalità. Da questo nonluogo muto che è la galera il
sottoscritto viene a dirti il tuo tempo e non ti chiede pareri. Ricominciamo: dicevo che
non so un cazzo del carcere. Sono qua dentro da troppo poco tempo. A parte la routine
d'entrata con ispezioni, interrogatorio, telefonata dell'avvocato d'ufficio, prelievo
d'effetti personali, pulizia e dotazione di vestiario da carcerato tutto il resto devo
ancora scoprirlo. La prima cosa che mastichi è il fatto che sei solo. Ti capita un
compagno di cella ma gli pesa già di stare qua dentro, figurati quanta voglia ha
d'interagire con te e prendersi pure la consapevolezza del tuo peso detenuto. Io e il mio
coinquilino dialoghiamo poco per non dilatare il cancro dell'essere qui. Però ci
sorridiamo ogni mattina, e dice di potermi procurare un po' di cose se ne ho bisogno. È
senegalese. Un bel muso nero finito dentro per spaccio. È una delle protesi rescisse di
un ciclo continuo che porta gli immigrati clandestini dalle bidonville africane
direttamente alle galere italiane, funziona più o meno così: nasci nella morte scappi
rischiando di morire finisci a stare in condizioni che ti senti morire e allora cominci a
spacciare morte finché non ti beccano e ti ritrovi sepolto in una morte travestita. Non
so come hanno fatto a beccarlo, non gli hanno neanche chiesto di collaborare. È un pesce
piccolo, mica se ne possono preoccupare, lo smollano qui e festa chiusa. Sai, la
magistratura di sorveglianza ha stabilito che ogni telefonata a casa di questo fratello
nero va registrata e controllata, inoltre nella cella qua accanto ci sta un italiano
condannato per lo stesso reato che si farà metà degli anni del senegalese. Interessante
no?! Bene, aggiungici che, qualunque cosa faccia qua dentro, una volta uscito non avrà
modo di ottenere il permesso di soggiorno, le leggi italiane non prevedono provvedimenti
in proposito. E mi sorride ogni mattina cazzo, mi sorride.. . . .. .
.. .. .
ecco: lui è uno davvero capace di non fare rumore dentro a una prigione, ed è
anche uno dei pochi soggetti di contatto fra razza bianca e volti neri. Vedete, cari
cittadini onesti: là fuori, nel vostro zoo premeditato sottocontrollo si instaurano
ghetti spontanei senza che neanche ve ne accorgiate: nella mia città di merda s'è
formato un ghetto negro in meno di due anni. In pieno centro. Quattro o cinque strade, con
annesse contrade e piazzette, che hanno visto spuntare parrucchiere nere, discount
africani e roba simile. Questi fratelli scuri si spostano comunque nelle vostre sfarzose
vie di merda a vendere la loro roba contraffatta, vengono davanti ai supermercati o nelle
ampie strade centrali chiuse al traffico solo perché colme di vetrine. Vi vendono la loro
roba e su ordine indotto dallo stato di cose tornano nella loro gabbia suburbana. La gente
della mia city se n'è accorta a rilento che in quelle strade stava spuntando un tuorlo di
storie negre e allora si sono visti spuntare i titoloni sui giornali locali, si è letto
di petizioni e lamentele e sai che è successo: due volanti fisse ai confini del
microghetto. Non basta che i neri si isolino, sono anche sorvegliati. Con conseguente
soddisfazione della sterile stupida laida Quiete Pubblica. Ora ti spiego come funziona qui
e nel passaggio da voi al nostro simpatico alloggio. Non ti sembrerà possibile ma ti
garantisco che i ghetti permangono. Ce li abbiamo nella testa, caro il mio soggetto
libero. Siamo il vostro specchio oscurato. Qua dentro trovi separatismi umanoidi che
rispondono alle vostre stesse categorie sociali: fra razze, per ceto, contro i
sieropositivi, contro froci e trans e avanti con la lista degli ospiti diversificati. Sia
chiaro: per il sistema siamo tutti immondizia, non esistono distinzioni concrete istituite
dal direttore, non in questo carcere almeno (anche se in altri usa), ma le varie etnie o
condizioni si coalizzano, creano degli spazi definiti precisi e chiaramente chiusi, come
le sbarre che ho davanti. Mentre i vuoti che s'instaurano fra detenuti di diversa
provenienza o condizione sono aperti spaziosi e stupidi proprio come le cosce di tua
figlia quando non stai in casa.
Il mio coinquilino nero (bando ai nomi, qui sei al massimo il tuo odore e più ancora il
poco che possiedi) è uno che ci ficca la testa nelle cosce infantili aperte fra una razza
e l'altra, fra detenuti distanti. Mi fa comodo, so che i senegalesi non mi verranno mai a
dare addosso. Ma non ho certezze per gli altri africani, perché fra loro si odiano.
Cazzo, l'umanità intera a stabilire quale razza è superiore alle altre, mentre pochi
stronzi di razze frammiste compongono le sinfonie assassine dei vari summit vertici e
parlamenti dominandoci tutti. C'è da uscirne pazzo con tutto il tempo che ho per pensare.
Vorrei sfogare violenza repressa e respiro incatenato su ognuno di questi secondini di
merda ma poi mi fracasserebbero il cranio e ti verrebbero a raccontare che mi sono ucciso
sbattendolo contro al muro. L'ennesimo detenuto suicida, routine da statistica: la tua
semplicità, la tua ignoranza, il tuo disinteresse che generano fatti ultimi nelle vite di
qualcun altro tipo me, che stavo sul tuo stesso autobus fino a qualche settimana fa. E non
pare possibile, ne sono sicuro. Ma su quell'autobus ci puoi ancora trovare parecchi di
quei ragazzini che sono convinti di non finirci mai qua dentro. Di quelli che hanno appena
cominciato a baloccarsi d'illegalità e passano davanti alle carceri, le indicano, e fanno
agli amici "Io là dentro non ci finirò mai". Piccoli coglioni con le palle che
te non avrai mai. Meravigliosi bambini che vanno al frontale con quanto gli hai offerto, o
meglio con quanto gli hai tolto. Sia chiaro: non sto istigando alla delinquenza, cerco
solo di rimuovere la pelle statica con cui avete rivestito le vostre considerazioni. La
maggior parte dei detenuti sono effettivamente pezzi di merda, bastardelli della strada
che ti odiano a prescindere. Quello che ti sfugge però è che altrettanti assassini
siedono nel tuo fottuto parlamento democratico, e ci si siedono quasi tutti i più grandi
ladri. Tu fai ripulire le strade da me, e lasci al me amplificato pieni poteri decisionali
sulla tua esistenza. È comico. Mi diverte, dico davvero. Fine della politica comunque,
non è il teatrino dei potenti che m'ha sbattuto qui, sei te
Chiedo scusa all'intento rieducativo dell'istituzione
penitenziaria. Chiedo scusa per non aver imparato a incassare i ruoli che qualcun altro
c'ha stabilito addosso. Parlo del fatto che ho aggredito un secondino. Gl'ho piantato le
mani sulla faccia affondando le dita in quella maschera autoritaria patetica ignobile, con
le manette che continuavano a segarmi i polsi, parevo una mosca che va ravanando in uno
stronzo fumante. Ma non sono sazio. Non avrei dovuto, dicono. Ma ho perso il controllo.
Quando succede a voi là fuori magari è la volta che finite qua dentro, ma quando succede
a uno che qua dentro ci sta già? Come la vedi? Verso quali altre gabbie ti fanno migrare?
Dove vanno a insabbiarti? Dicono che lo sbirro ha il setto nasale in pappa. Cazzo è
venuto lui a provocarmi. Il coglione in divisa s'è messo a prendere per il culo il mio
reato. Mi ha sputato poi, e spintonato. Continuando a ridere di quello che avevo fatto.
Dio! È tutto quello che mi resta il mio fottuto reato. Le persone che avevo fuori mi
hanno disconosciuto, queste pagine le userò come carta da culo e per tutto il resto
beh-immagini ricordi gesti rumori, tutto confuso ormai, messo da parte in una busta che
tengono all'entrata insieme ai miei effetti personali, sommerso annichilito mutilato
dall'asfissia psicologica di questo alloggio infame. E questo stronzo d'un tutore
dell'ordine carcerario viene a deridere il mio reato. Mi sputa addosso, ride di quello che
ho fatto e del perché l'ho fatto, ma chi è questo tizio per ridersela di una cosa
simile? Chi cazzo è? Stavo nel poco tempo squallido in cui posso vedere il cielo e posso
fare camminate più lunghe di due metri e questa merda d'ominide in divisa viene a
ridersela sulla ragione per cui sono finito nella sua stessa casa di vite rinchiuse. Testa
di cazzo statuale, gran bastardo legalizzato-gl'ho spaccato il setto? Magari gl'ho
chiarito cosa significa inalare aria spezzata. Per me è quotidianità sancita dalle
istituzioni.
Sono finito dritto dal direttore. Deportato immediato verso il cranio dominante. Giovane
il direttore, sorprendentemente giovane
Buongiorno, m'ha detto
. .
. sono rimasto in silenzio. Paura, lettore dei miei coglioni, pura caga.
Buongiorno cosa? mi domando, buongiorno cosa porcoddio?! I convenevoli nell'aria di
traverso fra due fottuti ruoli gerarchici in un posto che è il buco del culo della
società civile-buongiorno perché? Ora sono io a ridere
.
Non ti hanno insegnato la buona educazione, Signor
.?
e ometto il mio nome, ovvio; e ometto pure il suo, diciamo che è il direttore TaldeiTali,
tanto ci sta pure lui in questo nonluogo, in questa discarica di materia umana, perciò è
privo di nome proprio come noialtri. Governa un covo di identità sottochiave, la sua è
l'identità azzerata madre, nulla più
.Sai, prosegue, Il ragazzo che hai colpito
ecco, sta in ospedale, col naso
rotto.
E io sto in galera. Torna no!?
Dicono che l'hai colpito senza motivo
Prendeva per il culo. Derideva la ragione per cui sono finito qui, il mio reato.
Vedi Signor
, tu sei un detenuto politico. Pensaci bene: un detenuto politico ha una
caratterizzazione tutta particolare agli occhi d'un secondino. È difficile che uno dei
miei uomini si metta a prendere per il culo un serial killer, un camorrista o che ne so
uno stupratore, un rapinatore e quant'altro. Certo li offendono questi, li trattano male,
li tengono a freno e sotto controllo, ma nella loro mente non elaborano la voglia di
prenderli per il culo, tu invece li diverti
.
Assì?
Sì, perché secondo le loro logiche tu sei dentro per una causa assurda e hai fatto cose
inconcepibili per seguire dei progetti che a loro paiono probabilmente semplici idiozie.
Ne parla come se lei ne avesse una diversa considerazione
Difatti io non sono un secondino
Devo dedurne che trova condivisibile ciò che ho fatto?
Piano! Evitiamo stronzate! tono autoritario ora, sta bene attento a non sporcarsi il boss
legale
Io non condivido proprio niente. dice E non è affar mio, o meglio del mio mestiere, pormi
simili problemi. Io qui detengo persone, non reati. La conoscenza dei reati serve per
capire le persone, ma queste rimangono tali. Chiaro che questo implica molte cose, ma ne
esclude molte altre, come ad esempio pormi il problema di condividere o meno certe
"cause criminose". Dico solo che a differenza dei miei uomini a me non viene da
prenderti per il culo, ho semplicemente una diversa prospettiva.
Già, immagino.
Diciamo che non reputo idioti i tuoi obiettivi, diciamo che piuttosto li reputo surreali
È solo un sinonimo intellettualistico.
No, ti assicuro che non è così. Ti dirò, sono anche propenso a considerare soggetti
interessanti e dotati di degna intelligenza quelli che commettono reati per perseguire
obiettivi come i tuoi. Simili prese di coscienza e conseguenti autoesposizioni al rischio
sono proprie di intelligenze superiori alla media, almeno in molti casi s'intende
Sono lusingato
Ma tu non sei finito qui dentro per i tuoi scopi. No, tu sei finito qui per i mezzi che
hai usato. Credo che questo tu lo sappia
Ero mosso da una logica personale
.
diciamo che bisogna colpire la realtà per scardinarla e dare spazio a quella che
lei definisce la surrealtà
Non so. Pensaci: hai colpito la realtà ed eccoti rinchiuso al di fuori di essa
.
E ti dirò di più: il fatto di poco fa, l'aggressione intendo, dimostra la sostanziale
inutilità del carcere per com'è strutturato e impostato. Seguimi: tu colpisci la realtà
commettendo un reato grave, vieni processato e condannato, recluso all'esterno della
realtà per impedirti di nuocerle ancora, per garantirne la sicurezza. Sei qui da qualche
settimana ormai, la prima lezione che avresti dovuto imparare è che con le realtà
avverse conviene interagire anche se magari in chiave critica, o quantomeno merita
combattere secondo le regole dei più per poter ottenere dei cambiamenti. Questa lezione
invece non la impari. Stai rinchiuso in questa realtà esterna e aggredisci un
sorvegliante. Conseguenza: finisci in isolamento, ossia in una zona recondita e distaccata
della realtà esterna stessa
Curioso
, faccio
Cosa?
Che il direttore d'una patria galera metta in discussione l'utilità di un'istituzione
come il carcere
.
Trovi?
Perché ne è a capo allora?
Non ti ho concesso di fare domande. E comunque le vie che ho percorso e le scelte che mi
sono trovato a fare non riguardano questo dialogo
Chiaro. Perché dare spiegazioni
noi siamo obbligati ma voi no. Voi governate il
penitenziario, e questo lo chiamate Ordine
Veramente preferisco "stato di cose"
Non cambierete mai l'impostazione delle carceri perché per farlo dovreste riconvertire i
cervelli di burocrati e magistrati, sbirri e politici-no, rimarrà sempre tutto com'è
oggi, punto.
Ecco, la trovo anch'io una differenza fra di noi: che io posso disprezzare e punire i tuoi
mezzi ma non posso permettermi di giudicarti superficialmente come persona mentre tu
invece lo fai, il ruolo che ricopro ti permette di farlo
.
Il problema di quelli come te è che pensate di tralasciare la massa e sovvertire l'Ordine
da soli, o con sparute elitè radicali
Il problema di altri invece è che con la scusa dell'ovvia immobilità delle masse evitano
proprio di porsi la questione
Forse abbiamo un difetto in comune: questo nostro mondo
Non saprei. Magari è cambiato in queste settimane. Perché non me lo dice lei che può
ancora vederlo
.
Ti assicuro che da qualche tempo non gli do molta attenzione
. e a questo punto ha
dato l'ordine di portarmi via.
In isolamento? hanno chiesto i secondini
No, per il momento no.
Ehi un momento, ho urlato, Se ora non finisco in isolamento gli altri detenuti penseranno
che c'è stato un qualche accordo, che ho venduto qualcuno o che le farò da
infiltrato
. Ed è la fine quando implori l'isolamento, merda è davvero la fine.
Renditene conto lettore da salotto bene
D'accordo, fa il direttore, Come preferisci
È superfluo dire che lei accetterà la versione dei fatti data dai suoi uomini, giusto?!
Vedremo
comunque sia credo che un setto nasale rotto sia una punizione sufficiente..
Io invece credo che appena il suo uomo rientrerà in servizio verrà a farmela scontare.
Questo non è un mio problema, m'ha risposto, Le relazioni umane fra te e le altre persone
che stanno qua dentro sono un problema tuo, non mio. Sta a te garantirti il culo qua
dentro. Non sono la mamma di nessuno. Puoi andare
Situazione chiarissima quella. L'atto ultimo: il ristabilimento delle parti dei ruoli
delle scale gerarchiche. E poi l'isolamento. E il pestaggio di rito, manganelli come
terapia e insegnamento. Avevo aggredito uno dei loro, era bene che capissi di non farlo
più. Inoltre la "mamma" aveva dato un via libera indiretto e al tempo stesso le
scimmie dell'ordine non l'avevano mai vista dare tanto spazio alle argomentazioni d'un
detenuto. Poche settimane. Mi sto ambientando
Tremavo quando sono tornato in cella. E questa follia d'uomo d'un senegalese coinquilino
m'ha tenuto stretto per ore, mi ha cullato paterno e caldo finché non ho smesso di
rantolare. Non ha neppure provato a farmi il culo, mi ha solo chiesto se mi andava, gl'ho
detto di no e fine. Strani insetti i criminali. Stridenti sinfonie d'assurdo questi umani
sbarrati. Mentre per strada rimangono fiumane di niente davvero poco lontane da atti
criminali, interi eserciti d'assassini stupratori maniaci manipolatori schiavisti
sovversivi protettori-dammi retta: ogni passante di ogni strada di ogni città è un
criminale in potenza, siamo tutti omicidi abusi ruberie stragi lucro sfruttamento cazzo
tutti, dal primo all'ultimo. E ogni giudizio istituzionale non è altro che il coito
alieno di una qualche alta sfera. Noi, voi, tutti fottuti satelliti armati e impietosi di
questa fica deforme che è la società. La differenza è che noi siamo rinchiusi in questa
specie di utero artificiale d'una madre che non ci vuole, un utero programmato
esclusivamente per abortire. Dico: gli unici crimini di cui non comprendo la carica
iperumana sono quelli del potere. Ma il potere è assassino per costruzione, è un dato di
fatto storico. Mentre noi siamo i suoi puniti, messi qui come embrioni morti. Prendi
Marcus come esempio. Sì, Marcus. Lui ce l'ha un nome perché tanto non vi risultava
esistere neanche nella realtà legale perciò la sua identità scissa è tutto ciò che
gli rimane. Marcus: eroinomane, da anni. Giovane, ma non so l'età precisa. È dentro
perché a forza di calci pugni sprangate pugni sprangate calci calci sprangate sprangate
pugni sprangate sprangate sprangate ha chiuso la vita al marito della madre, e l'ha fatto
davanti agli occhi impotenti di lei. Non lo lasciava esistere quel patrigno di merda, lo
ossessionava nel dirgli quanto schifo gli faceva e cosa avrebbe dovuto essere invece del
Marcus che era. E poi ospedali psichiatri medici esperti, tutti clisteri esistenziali
forniti dal cervellone del patrigno. Ecco, Marcus è un embrione morto. Ci creperà qua
dentro, lo sanno tutti, ma nessuno se ne sbatte. Mi piace osservarlo, un'allegoria
umanoide dalla faccia scavata, con due occhi penetranti come bisturi. Dipingeva da
ragazzino. Poi è arrivata l'ero. Per un po' dosi e creatività hanno convissuto e
collaborato, poi la droga s'è presa tutto. Per quanto ne so potrebbe pure essere
sieropositivo ma non posso dirlo con certezza. Non so neanche se ha fatto lo screening
all'entrata. A me neanche l'hanno proposto, ma io sono un fottuto terrorista, non sto qui
per pulizia, ci sto per sicurezza, se non sei un eversivo drogato non ti fanno problemi
d'analisi. Comunque, a parte l'incognita HIV, a Marcus va tutto sommato bene qua dentro:
è sotto terapia metadonica e ogni tanto ottiene trattamenti alternativi alla detenzione.
I suoi colleghi di vena dalla faccia maghrebina invece hanno marchiata addosso la fottuta
targa di clandestini: niente famiglia, né residenza, né inscrizione alla sanità
pubblica e quindi niente metadone, sono la schiera secondaria colma delle morti che
rimarranno sconosciute.
Guardo Marcus mentre penso all'articolo 27 della Costituzione, hai presente: "la pena
detentiva deve tendere alla rieducazione del condannato". Porcoddio gente, ma sai
quanto gliene fotte a Marcus di essere rieducato?! Sai quanto può significare stare
decenni qua dentro e uscire rieducato?! No cazzo, basta. Non ho più voglia di scrivere
tutto questo disagio destinato a nessuno. Chiudo i contatti. Non ho neppure qualche
conclusione altisonante con cui rimuovermi. Niente lezioni da queste parti. Va così. E mi
spiace per voi gente onesta ma posso garantirvi che le galere non guariranno la storia.
Mai. La merda degli umani non è contenibile. Né in una zona residenziale né in un
codice a barre né in un marcio alveare di celle sbarre e cortili sorvegliati. Fine.
Buonanotte brava gente, buonanotte
STATO D'AGITAZIONE
Ieri sono uscito di casa verso ora di cena, non ricordo per andare
dove. Ho in memoria tre itinerari diversi di quanto ho fatto ventiquattro ore prima di
adesso: un grottesco CenonediFamiglia; una festa/cena squatter utopistico-libertaria al
Pettirosso; un biancastro corridoio di ProntoSoccorso. Eppure era soltanto ieri,
ventiquattro tacche orarie, perdio-ho perso ogni capacità di focalizzare date o fatti
sullo stesso frame, è tutta una sequenza unica, te la spiego quando accade e scorre
simile alla massa umanoide suburbana di una qualunque mattina: uno spento fiume
intraurbano pulsante e fetido come un pene preso da una sifilide programmatica logica
legittima. Nella mia radicale caccia ai soggetti perdo memoria breve, scribacchio soltanto
contenuti alterati che si aggiungono alla routine, a volte osservare l'oggi mi estranea da
me stesso. Di questo passo finisco come voi, a credere a cottimo nella mia condizione, a
cercare combinazioni che mi rinchiudano mi giustifichino mi nascondano. Le uniche
soluzioni relazionali che sono mai riuscito a trovare rientrano in insiemi di dislessia
misantropia mascheramenti e sono esposte in mostre d'incompiuto. Però allarghiamo la
cerchia dei chiamati in causa e fammi capire: che cazzo te ne fai d'uno scrittore? Che te
ne viene da un invasato che smerda fogliacci casuali e trasforma in gioco macabro l'aria
storica che condividete? Qual è il tuo guadagno? Sono autoreferenziali gli scrittori,
sfogano caos antimateria sensibilità panico in solismi d'urto e destrutturano quello che
la società ha messo in piedi per te, fanno vacillare le tue essenze strumentali, perché
amarli? La loro arte è un vomito di contatti e vite per sentito dire oltre a passanti
sguardi personaggi odori e galassie schizoidi finché non si ritrovano senza più un cazzo
da dire e trovano eclissi dove magari neanche pensavano. Guardali, questi grandi creatori
d'omicidio: si smarriscono nella massa, barcollano su un marciapiede fissando le persone,
scavando nei cappotti alla ricerca malata d'una storia e finché non la trovano insistono
a riesumare la schiera produttiva delle nostre città depresse. Passo così intere
giornate. Non vi mollo. Mai. Tutti i cazzo di giorni vi denudo e implodo nel tutto
brulicante della Macchina, ma dico perché mai dovreste amarmi perdio perché se non sono
altro che una 8mm ipotetica incastonata nelle vostre espressioni, perché volermi fra di
voi? Non fossi chi sono reprimerei quelli come me, rastrellerei le strade, farei piazza
pulita. Gli scrittori non sono altro che dei bambini stragisti, finché non passa uno
stormo di lettori. A quel punto diventano merce. Ed è il paradosso che c'incula. Il
miglio sterile di questi avvoltoi del tempo. C'è davvero un qualcosa di cronico che non
va, mi sento come spezzato. Immerso in voi. Quando stringo la mano a qualcuno arrivo a
sospettare di me stesso: forse non è veramente per conoscere quel qualcuno, ma per
annoverare un'altra faccia nel mio carniere di interazioni non concluse. Di fatto sono
abituato a travi e zampe sulla nuca mentre cerco di emergere scattosamente, invece resto
come in un vestito di cemento in cui posso solo respirare quando qualcuno mi porta due
dita sotto al mento e mi solleva il capo. Poi però rimane la violenza di ogni incontro, e
quella dei corpi vaganti qua attorno, questo fluido precario, moccio postmoderno fiaccato
nel midollo-urtarlo e riconoscerne le facce, passanti pendolari saltuari casuali regolari,
riconoscerli ogni giorno questi sconosciuti. Ieri sera. O una qualunque cazzo di altra
sera in cui tu ed io non ci siamo incontrati, o più probabilmente ci siamo guardati male
e schivati. Sera: non una sola, non una in particolare. E non riesco neanche a
centralizzare un luogo unico o un tempo o una persona o un fatto. Una fottuta sera in cui
ogni cosa e chiunque cade su se stesso e non pare possibile evitare le parole o gli
atteggiamenti o le circostanze. Il tutto frana attraverso un pavimento dissimulato e le
personalità più composite cercano un rimessaggio o il proprio vento. La roba umana si
rovescia su di sé con l'aria d'essere incapace di lasciare traccia, mantenendo comunque
il peso del dominio planetario con la sua fame stupida, la leggerezza della sua storia, la
sua morbosa efficienza e la sua stanca prontezza, oltre a déi sogni glissati fiere
contenitori segni contraffazioni presenzialismi premeditazione voti e così via, a vogate
nel liquame di cui derido avi e progenie, un'orgia esaurita cazzo, un bloboide
ironicamente simile ad un Pollicino autistico. Ritrovate sempre casa voialtri.
Pettirosso: nome proprio di casa occupata da una decina di ragazzi,
non so se possa avere importanza dirne nomi e caratteristiche, non lo farò comunque. La
casa è in un ambiente di pura campagna, è un vecchio casolare con tanto di stalla
soffitta e cantina. Ci si arriva da una stradina buia, in salita, col verde più cupo che
ti sta attorno. Ci arrivammo verso le dieci io e Tomas, per ora di cena. In principio fu
il più pesante gelo interpersonale: eravamo poco conosciuti dai presenti, e in un
ambiente come quello conoscerti poco equivale ad inquadrarti come potenziale nemico o
comunque a diffidare di te. Ti salutano a denti stretti quelli che non t'hanno mai visto o
t'hanno visto poche volte, fondamentalmente non hanno idea di quali siano le strade che ti
hanno portato lì ma avvertono a pelle che la cosa non gli piace poi tanto.
E neanche mi ricordo come c'ero finito al ProntoSoccorso. Mi
ricordo solamente che stavo seduto su un pancale d'un corridoio accanto a Sal, e non so
come, ci siamo ritrovati a parlare dei nostri cazzo di morti, quelli che pesano nell'umore
di anni, quelli che segnano i tuoi significati. Era crepato suo nonno da poche settimane.
Per me era mio padre, mi diceva Sal, Perché mio padre in realtà è un cazzone, una fava
d'uomo, è mio nonno che mi ha fatto da padre.
La cosa più raccapricciante di un CenoneFamigliare è l'ovazione
corale nel momento in cui arriva la roba da mangiare e la tavolata si impasta nell'odore
dei manicaretti rabberciati in vario modo dalle solite massaie metastoriche. Ho sempre
avuto il sospetto che queste ovazioni generali fossero più che altro un ringraziamento
verso il cibo in quanto tale, l'arma che ti impegna la bocca e riempie il vuoto precedente
in cui una cazzata tirava le altre e i discorsi andavano putrefacendosi.
Le cene del Pettirosso sono le tipiche cene dei compagni: poco,
scondito, cattivo, ma va benissimo lo stesso. Ce ne fottevamo un po' tutti della cena.
Più che altro erano gli oceani di vino che ottenevano attenzione. Ero ubriaco per le
dieci. Tomas non saprei dire con esattezza, forse partì più tardi ma di certo mi
raggiunse; lui riattivò spesso le sinapsi con uso prolungato di THC, usciva e rientrava
continuamente dalla mia stessa condizione. Me lo vedo ancora che vaga in giro per la
stalla/salotto chiedendo THC e la gente che lo guarda incredula
Ma sì dài, il THC
. .
. ..fumo!
Ah, ho capito! rispondevano gli altri Tomas s'era addirittura presentato alla maturità
con una tesi sull'argomento droga, si era impratichito a livello teoretico, usava il
linguaggio tecnico appropriato, un chiaro esempio di come usare strumenti e sistematiche
scolastico-istituzionali per trattare materiali di proprio illegale interesse.
Ci ritrovammo a discutere per eterni nanosecondi del fatto che l'alcool inibisce le
sinapsi mentre il THC le attiva-però da ubriaco friggi nella tua schizoagitazione mentre
col fumo in corpo stai cotto vegetale smontato interiormente
La differenza però è tutta mentale, sosteneva lui: da ubriaco ti dimeni con le cervella
annebbiate, coll'effetto fumo vegeti ma coi neuroni voli. Fine della teoria.
La cena riunione ritrovo allucinazione collettiva da nepotismo
demente è un balletto parossisticamente grottesco-con tutti che ridono e manco sanno di
cosa. Quanto ho mangiato ieri sera? Quanto ho avuto la forza di masticare? Quanto ho
sudato guardandomi attorno?
A mio nonno gli hanno fatto uno schifo di intervento, proseguiva
Sal, Pensa che dopo il primo intervento ha avuto un'emorragia interna passati un paio di
giorni.
Sai la cosa più bella che ho mai sentito dire su di te Dani? mi
fece l'ubriaco Tom
Dimmi.. . .
.
. .
Lui è uno che legge libri che io non posso neanche sfiorare
Sapevo chi l'aveva detta. Mi colpì. Ci volle mezz'ora perché le mie orecchie digerissero
un peso simile. Le altre mezz'ore le devastai con Tomas a ballare e urlare davanti ad un
caminetto decrepito con l'aria di chi in fondo se ne sbatte-poi siamo barcollanti bestie
da zero memoria breve che scendono in strada verso le una o le due o che ne so e la strada
di puro buio ci accoglie, nostra perdio!
A parte che è squallida la scena: seduti a quel tavolo a
discorrere del meno e del meno. La cosa più deprimente però è il fatto che le
individualità dei presenti sono come costipate: si parla solo in funzione di qualche
interlocutore e in arie momentanee. E nessuno sembra stare lì per un suo motivo, a un
certo punto le persone quasi scompaiono se le osservi attentamente, si trova solo un unico
ammasso di filamenti collegati fra di sé che si tirano e lasciano a vicenda, un'orchestra
corporea organica blaterante. E in quest'immagine costituita mi ritrovo immobile, cercando
in ogni modo di rimanere zitto, giusto per inghiottirne il meno possibile di quelle
vomitate di lineamenti pasti risa e assecondamenti parentali.
Beh, nel ruolo di padre neanche il mio se l'è cavata granché,
dissi a Sal.
Mi fermai qui però. Evitai di dirgli che ero figlio d'un depresso cronico abitante di
stati subalcolici, evitai di raccontare che mio padre era malato di nervi e che per anni
è entrato e uscito da tetre cliniche di recupero psicosomatico, gliele risparmiai 'ste
cose a Sal-l'ho fatto perché non mi andava di condividerle con lui e perché in quel
momento era la sua storia a stare al centro, la sua era la più recente, era del suo morto
che si sentiva ancora il tanfo, il mio era andato da un pezzo, il mio ero un ricordo
inappropriato, seppellito nel terriccio e negli ieri del mio stomaco pensante.
Allora Dani, che ci racconti? Il CenoneFamigliare mi si rivolse
quando meno me lo aspettavo, mi inondò di botto, e ne bevvi litrate di quella diarrea
genealogica
So che sei stato a Genova
Sì, ci sono stato e respiravo panico da differenza a quella tavolata
Siamo rimasti in strada per ore io e Tomas. Una boccia di vino in
due. A muoverci sull'asfalto nero notturno come menestrelli squinternati. Da soli. Brezza
buia, parole disperse, stato alterato e fari delle macchine che sfrecciavano rare da
quelle parti. Ore intere trascorse a recitare noi stessi sul palco pubblico di una statale
di notte.
Personalmente aspettavo le macchine. Quando le vedevo arrivare mi appostavo nel mezzo
delle due corsie colla bottiglia in mano e rimanevo lì quasi fino all'ultimo, cogli
automobilisti del cazzo che non capivano cos'era quell'ombra in mezzo alla carreggiata,
rallentavano fino sventrarmi coi fari e mi schizzavano accanto. A quel punto prendevo a
rincorrere la macchina, urlando con tutta l'alterazione che avevo in corpo. Reggevo scatti
ubriachi fradici di decine di metri finché le auto non sparivano dietro curve buie.
L'avevo visto fare ad un cane lungo un viale di Atene, mesi prima.
Figurati che a mio nonno hanno fatto l'autopsia e poi l'hanno messo
in esposizione nella bara che era già mezzo putrefatto, violaceo, consumato. Alla gente
faceva quasi schifo guardarlo.
Ma è morto per colpa dell'intervento sbagliato? Chiesi
No, non per quello. Anche se gli avevano reciso un casino di filamenti dei polmoni. Pensa
che quando l'hanno riaperto gli hanno trovato il cuore a destra. L'intervento era durato
otto ore, il primario è arrivato dopo tre ore dall'inizio. S'è preso un cappuccino con
calma lo stronzo! E ci avevo pure parlato il giorno prima: non si preoccupi, m'aveva
detto, lo opero io di persona suo nonno.
Sal stava male mentre ne parlava. Io non riuscivo a togliermi da dentro la fronte
l'immagine di quella carne marcia esposta a cui tutti i parenti si avvicinavano in
piangente processione.
Per l'esposizione, riprese lui, Gli hanno voluto rimettere lo smoking del matrimonio. Ma
mio nonno cazzo! perdio sono passati un sacco d'anni, era ingrassato, gli stava tutto a
forza, con un bel po' di buzzetta mencia di fuori, era squallidissimo.. . .
.
E il BlackBloc? Il BloccoNero eh? Com'erano?
Grottesco e morboso, come ogni raduno di branco famigliare, un mostro unicellulare, un
rituale che sgocciola dalla tv e dalle settimane lavorative fin nei bidè per l'ora d'aria
chiamati FineSettimana.
Sono dei grandi ¹ no, non l'ho detto: sarei di colpo divenuto troppo vero, quasi
autarchico, sarei emerso dalla squacquerella del rito e l'avrei contaminata d'incertezza
Sono un po' esagitati.. .
. .. la buttai là
Eh! Un po' tanto esagitati! Ho visto certe scene in tv! gozzai il settimo bicchiere di
rosso in mezz'ora.
Ti farei sentire poi il discorso del prete al funerale, continuava
Sal, 'Sta faccia dimmerda
.il fatto è che mio nonno non era credente, ma sua madre,
mia bisnonna, lo è di brutto-tra l'altro pensa: ho visto lei piangere che era vissuta
fino a veder morire il figlio. Cazzo ma mio nonno aveva cinquantasei anni, era giovane
porcamadonna! Ché poi c'ho mia nonna che di anni ne ha cinquanta e basta, e pure lei ha
il cancro addosso, ha già fatto un casino d'operazioni.
Anche mio padre aveva poco più di cinquant'anni . . ..
..
Ecco. Ah già, lui è morto qui vero? In questo ospedale
..
Sì, l'ho lasciato alla fine di quel corridoio qualche anno fa, l'ultima volta che l'ho
visto.. .
andavo anche di fretta. . . . . .
..
.e insomma ti dicevo: il prete ha fatto discorsi del tipo d'altronde chi non crede
viene chiamato prima, il signore lo porta prima a sé per permettergli di redimersi
presto, chi non crede incontra prima Dio
.no dico, ti rendi conto?!
Ti assicuro Tom, gli facevo, In questo preciso istante, in questo
momento senza tempo, in questo frangente infranto, noi due, e dico proprio noi due siamo
pienamente fuori dal loro impero di cartapesta. Siamo corpi estranei, virus del cazzo! e
non basta avere sogni, neanche credere nei miracoli, bisogna avere la facciatosta di
pretendere. Mi capisci Tommi? Pretendere, capisci?
Pretendere, ripeteva lui fra sé
. Certo che ti capisco.
E da questo momento, anzi in questo momento io pretendo!
Anch'io cazzo, io pure pretendo!
Così per ore. Di allucinazione in allucinazione. Di macchina in macchina. Di corsa in
corsa. Frasari violenti, due personaggi d'ego che spaventano i rettilinei dei passanti
Ma tu non sapevi che doveva morire?
No, risposi a Sal
Neanch'io. È questo che ti trascini dietro: io con mio nonno c'avevo preso il caffè dopo
pranzo, e poche ore dopo lui era morto.
In realtà io mio padre l'ho visto consumarsi su una sedia a rotelle, ma non immaginavo
che stesse morendo
Ecco, fece ancora lui, Figurati che io c'ero stato tranquillamente insieme poche ore
prima, senza il minimo problema. È proprio questo che ti pesa nella memoria, che non
l'hai potuto salutare, non ce l'hai fatta a dirgli addio solo perché perlamiseria non
t'immaginavi di doverlo fare
Le facce gorgogliano nei piatti e ne emergono sbavando dappertutto
un discorsame fluido e rancido bacato da rituale insipido, con accenti di piagnisteo
quando prendono la parola i vecchi o fasi di saggezza da servi quando prendono parola i
"giovani", quelli che si sentono abbastanza recenti da capirti ma abbastanza
stagionati da saperne quanto basta più di te-la specie di mollusco partitico che proprio
non reggo e che non capisce un cazzo insomma.
E queste marionette sinistre travestite da convitati interagiscono tirandosi i fili l'un
l'altra in un giochetto di dipendenze blande e scarne e inutili, ché poi
LaBambinaE'CadutaDalSeggiolone mentre tutti quanti continuano a BlaBlaBla e nessuno che se
la incula, ma lei mica piange, no: gioca d'orecchie con la melma che si solleva sulla
tavolata per poi schiantarsi al suolo con tutta la sua friabile immotivatezza. Ehi! Gente!
Perdio LaBambinaE'CadutaDalSeggiolone! Qualcuno ha parlato e AhAhAh perché il copione non
prevede troppe deviazioni e ora il copione prevede di ridere senza manco sapere di cosa e
quindi non c'è nessuna bambina nessun seggiolone e qui niente può accadere, tutto è
perfettamente appiccicottato e ogni valanga è autoreferenziale, sì sì sì, siamo
brodaglia ciotola cucchiaio e gola
La notte in zona Pettirosso è immobile, non la si tocca, domina.
Tomas e io siamo rimasti ore sul nostro palco asfaltato a recitare e pretendere-dopo un
tot di ore ho cominciato a lasciare la bottiglia semivuota di rosso sulle strisce tra le
corsie e a giocarci sopra da equilibrista non mi ricordo nemmeno come. Una volta finita
l'ho tirata contro il nostro ipotetico pubblico e l'ho sentita scomporsi in applausi di
vetro e pioggia disintegrata ferendo le facce in platea. In un istante mi sono ritrovato
sul tettuccio d'una macchina parcheggiata sul lato della statale, saltatoci sopra di
scatto, a urlare qualche verità che forse solo un pubblico disgregato potrebbe aver
conservato. E Tom che mi faceva
Dài oh! scendi cazzo! la stai ammaccando!
E ci passava sopra i palmi delle mani come su una pelle viva e calda
No che non l'ho ammaccata, ho risposto scendendo e mettendomi anch'io a palparla-per
questa premura idiota persi due fari vivi enormi, lanciati a centotrenta verso di noi
Tom cazzodellamiseria porcoddio mi stai facendo perdere duelli e contatti con le tue
stronzate da ragazzo parzialmente civile
E così avanti ancora, notte ferma e unica scastonata dal cielo, un paramecio volante e
armato attorno alle nostre teste in fibrillazione.
Credo davvero d'essermi avvicinato a capire cosa devi aver provato
quando è morto tuo padre.
Annuivo. Ma io ero legato alla morte di mio padre già da quando m'aveva visto nascere.
Per quindici anni ho ingoiato la sua violenza depressa moribonda che lo rendeva sempre
più perduto zittito defunto sotterraneo, salvo forse. Non vengano a comprendere me gli
altri, non sanno di cosa cazzo parlano
Tutti quelli che arrivavano in strada ci chiedevano dove era il
Pettirosso e dopo aver ricevuto indicazioni barcollanti e più o meno chiare ci lasciavano
alla nostra rappresentazione, salivano fino al casolare e dicevano in giro che giù in
strada c'erano due scoppiati ubriachi fradici che berciavano e sbattevano bottiglie e uno
rincorreva le macchine in corsa e non si capiva di cosa cazzo stavano ragionando.
Quando vennero Emma e Ariele a raccattarci erano circa le due e mezzo. Ci sdraiammo noi
quattro nel bosco, dialogammo qualche minuto ma io non reggevo più: avevo un improvviso
vitale bisogno di silenzio, di caldo, di riposo: lo stomaco mi saliva prepotentemente alla
trachea, i muscoli mi si contraevano e la merda più sciolta mi ribolliva in corpo
chiedendomi d'evacuare.
Mi allontanai dagli altri tre e collassai distante metri profondi. Rimasi sdraiato
nell'erba fradicia che mi faceva suo come un manto, come l'abbraccio d'una madre nuda
congelata che mi ripara dal freddo riuscendo soltanto a trasmettermi il suo.
Vennero a raccattarmi poco dopo. Mi trascinai fino al letto e finii per sdraiarmi sul
pavimento, con solo un isolante logoro sotto il respiro affannoso del torace e un
saccoapelo mal messo sulle scapole tremanti ¹ paradimensioni alterne, venti caldi addosso
ma tremo di brutto, apro un occhio per constatare che ci sto ancora e poi torno dove non
so. Brividi, scosse d'agitazione, poi ancora caldo-ogni tanto qualcuno ti richiama fra di
loro, ti chiede come stai e non s'aspetta risposta. Stavo lì. Abbandonatomi e devastato.
Tranquillo e conciato dimmerda. Esaurito. Neanche mi aspettavo di ritrovare il sole
qualche ora dopo, neanche lo prendevo in considerazione come possibile il mattino, l'avevo
rimosso.
Il Cenone fangoso implode all'esplodere di stomachi e vesciche. La
festa si strugge nei deretani, nei rutti, con qualche pseudorisata che ancora si sforza di
fare da collante. Coi bambini piccoli che lottano contro la loro stessa stanchezza
continuando a gironzolare esausti attorno agli adulti rincretiniti.
Batte la mezzanotte dei linfociti: tutti i personaggi in cerca di ruolo genealogico si
salutano come dopo una guerra, nell'aria rimane inciso un qualcosa come "è andata,
ce l'abbiamo fatta".
Al momento degli ultimi abbracci il mio piede destro sta sul pavimento come fosse già
sull'acceleratore, perché questo parcheggio mencio ripittato aberrante sta defluendo con
troppa calma apparente per i miei gusti.
Sono fra i primi ad abbandonare la composizione grottesca della serata-ma che cos'è la
famiglia? Quale malsana gabbia di intese indotte è 'sta cazzo di famiglia? Chi erano
tutte quelle persone?
L'ultima cosa che ricordo dell'ospedale è la faccia di quel
panzerotto di guardia che ci ha squadrati mentre uscivamo. Quel coglione d'un poveraccio
che in cambio del pane passa una nottata a fare il cane ringhiante in un ospedale del
centro in mezzo a disperati barboni tossici tentati suicidi fratturati spezzetati
maciullati infermiere cogli zoccoli dottori nevrastenici radiologi assonnati luci della
notte e pulviscolo d'alba-deve essere una bella storia di merda ogni sua notte, magari coi
figli che da qualche altra parte divertono il suo sacrificio e la moglie che tiene fra le
cosce l'arnese di uno che ha il sabato sera libero. Un po' mi fa schifo la guardia, un po'
pena, su tutto non giudico nessuno come irreversibile. Tengo sempre presente che il fatto
che ciò che scrivo abbia significato per me non implica che debba averne per qualcun
altro. Fra maree di valori presunti puoi inquadrarmi come colui che cammina da solo in
più parti, gnostico camaleonte drogato di periferie isteriche d'argilla umanica. Il punto
è quanto ci sei: sei vivo per necessità di demolizione e non c'è tempo per la tana e
non c'è sangue a sufficienza per il letargo e non ci sono abbastanza vite per la pace.
Non va altrimenti. Fine. |