Valentina Mmaka autrice di narrativa, poesia, teatro e narrativa per l'infanzia.
E' membro di numerose società letterarie: Karen Blixen, South African Literary Society,
Club degli Autori, La Voce - Autori Italiani in Sud Africa , Sereseki Art Unite.
La sua prima raccolta di racconti si intitola I colori del silenzio (Ed J.g. Cape Town,
1996).
La sua prima raccolta di poesie L'Ottava nota (Edizioni Prospettiva, Roma 2002) prefato da
Màrcia Theòphilo con introduzione di Gabriella Gianfelici e nota critica di Roberto
Pazzi.
La sua prima favola per l'infanzia, Il mondo a colori della famiglia BwanaVal (Ed.
Contatto, Lerici 2002) prefata da Barbara Palombelli, parla di multiculturalità. Di essa
sta preparando l'adattamento teatrale. Il libro è stato presentato al Salone del libro di
Torino (2002).
Autrice di testi teatrali tra cui si ricorda la pièce Io
Donna
Immigrata messa
in scena in Sud Africa e in Kenya.
Scrive testi didattici sulle tribù africane.
Partecipa a conferenze e convegni in qualità di relatrice sui temi della
multiculturalità, sulla letteratura africana e sulla scrittura.
Partecipa a letture di poesia con musica.
Partecipa al Festival Internazionale di Poesia di Genova portando le sue poesie
sull'Africa sia nell'originale Kiswahili che in Italiano (24 giugno 2002).
Vive tra l'Italia e l'Africa. |
I colori
del silenzio La sinfonia blu
arpeggia al ritmo giallo della spuma marina.
La voce azzurra rimbalza sull'immoto formicolio di atomi spinti dalla corrente muta.
Il canto viola delle allodole trapassa le note bianche della brezza di primo mattino. E un
cicaleccio rubino scuote le foglie dei rami grassi di nuova vita.
Ad ogni suono corrispondeva un colore.
Aveva deciso quel suo pentagramma cromatico di recente, quando aveva deciso di sentire.
Nessuno al di fuori del suo mondo poteva capire il sentimento di estraneità che la
possedeva senza quel delicato senso che fa percepire la voce di ogni cosa.
Quell'intima percezione era diventata motivo del suo pellegrinaggio tra le regioni dei
suoi sensi.
Entrando nello studio di Clara si restava travolti da un forte
odore di trementina. I colori appena asciugati sulla tela formavano la crosta di
quell'aroma grasso e sensuale che trafiggeva le narici dei visitatori più inesperti o di
quelli occasionali.
I tubetti dei colori erano sapientemente disposti in una solida valigetta di legno a
scomparti; le cerniere erano arrugginite, segno che in più di un'occasione la pioggia
l'aveva colta di sorpresa in un prato, sulla riva del mare o in una piazza barocca mentre
faceva i suoi studi sulle prospettive. Clara non aveva mai pensato a cambiarle,
raccontavano le tappe della sua vita artistica, il suo inarrestabile girovagare in luoghi
e città sempre diverse alla scoperta di quei sentieri del suo corpo da rendere visibili
sulla tela.
Da quando era rimasta mutila nell'udito, riconosceva il bisogno di segni tangibili che a
poco a poco compensassero la sua deficienza sonora.
Alla parete destra, su tre mensole ben allineate, i pennelli spuntavano da lunghi
barattoli di vetro come tanti bouquet di fiori dallo stelo rigido: i pennelli piatti per
gli sfondi e i grandi tratti e quelli sottili a punta per le linee di precisione.
Ai muri tavole di legno alte fino al soffitto, indossavano il peso di migliaia di libri,
perlopiù di pittura e di poesia.
Le tende, al sapore di gelsomino, col movimento riflesso del vento caldo dell'estate,
sfogliavano le pagine dei libri posati sul divano, dimenticati sul tappeto o su un
tavolino, lasciati aperti casualmente o con l'intenzione segreta di tornarci per
ritrovarsi, in un momento di fugace smarrimento. La carta aromatizzata dai vapori aciduli
dell'acquaragia, inghiottiva le parole d'inchiostro nero come un fluido inebriante di
magici incantamenti.
Quello di Clara era un disordine discreto, come se dovesse lasciare ad ogni suo passo una
traccia di sé. "Le tracce di Clara", avrebbe potuto dipingere un
quadro su questo.
Suonarono alla porta. Clara, avvertita da una spia luminosa posta in tutte le stanze della
casa, si pulì le mani e con calma risolutezza andò ad aprire.
- La posta, signora Clara.
- Grazie Arturo, a domani. Con un cenno distratto del capo congedò il portiere
e richiusa la porta sciolse i capelli sempre trattenuti in una lunga treccia color
cioccolato.
Un profumo di frutta allertò i suoi sensi e le dita lunghe e ben curate si soffermarono
curiose su di una busta gialla.
Mia casa Clara,
scrivo la mia voce perché solo tu ne conosci il vero suono. Da queste lontane latitudini
stringo forte la penna per guidare il timone dei miei pensieri che come un veliero corre
in fuga verso il tuo volto aperto e sorridente.
So che sei seduta sulla poltrona a fiori sotto la finestra, so che i tuoi piedi soffici,
soffrenti alle scarpe, sfiorano gli angoli appuntiti dei libri che ami lasciare in sospeso
per paura di fermare l'emozione che ti coglie di sorpresa ogni volta.
Ho finito di comporre la mia musica, l'opulenza di questi tramonti, di questa vegetazione,
di questi sorrisi scolpiti sui volti di questa umanità creola, mi ha sussurrato le note
che cercavo da tempo per questa mia opera. Vorrei poterti mandare un nastro inciso
ma sto copiando la partitura, così potrai leggerla.
La tua voce del silenzio
Amedeo.
Amedeo le scriveva ogni settimana dal suo isolamento artistico in
terre calde, che durava ormai da sei mesi.
Clara non aveva mai sentito la sua voce e neanche le sue composizioni. Sì, lui era un
musicista e lo aveva conosciuto ad un concerto di musica classica. Quella sera Clara era
ospite di Luisa e Giacomo, nella terza fila della platea. Amedeo suonava Smetana: La
Moldava. Vi era andata ogni venerdì sera per sei settimane consecutive. Con il tempo
e l'esercizio aveva studiato i movimenti delle mani sui tasti del pianoforte e sapeva
riconoscere i moti di quell'immenso fiume ceco che riecheggiava con i suoi infiniti umori,
sotto le mani ampie e nodose di Amedeo.
Le sue lettere dissimulavano ben più di una dichiarazione d'amore, i modi contenuti e
modulati rendevano il suo corteggiamento agli occhi di Clara ben più poetico e seducente,
sebbene
Era seduta davanti al cavalletto in legno di noce, in quel
pomeriggio di agosto l'afa aveva già avvolto i tetti della città di una foschia opaca.
Quella sospensione accennata da Amedeo nella sua ultima lettera, le tornava alla mente con
insistenza. In passato avevano parlato a lungo della sordità di Clara, e non era mai
accaduto che Amedeo facesse riferimento ad essa con toni di biasimo o come se volesse
trovare una soluzione al suo insolvibile problema. Perché farla sentire in colpa? Perché
proprio ora?
Il pennello piatto intanto mescolava i colori su una tavoletta rettangolare ricavata da
una vecchia sedia, quando sotto i suoi occhi un vortice di minute striature colorate
volteggiavano a spirale guidate dalla sua mano. In quel susseguirsi inarrestabile di
cerchi concentrici, un'intuizione leggera e acuta come il pungiglione di una vespa, le
trapassò le tempie.
- Riconoscere i suoni con i colori! Forse è possibile, se
se solo io
.
Scostò i
capelli dalla fronte e corse in camera a rifarsi la treccia. Doveva sentirsi in ordine.
Questa volta non guardò al colore del nastro da abbinare al suo caffettano di seta
marrone, prese un elastico qualsiasi e lo strinse forte attorno alle tre punte finali.
A ridosso della sua scoperta, Clara cominciò a tirare fuori tutti i suoi quadri dalla
soffitta, con gesti decisi li sparse per la casa, appoggiati ai muri del corridoio, alle
sedie della stanza da letto, in cucina, nella veranda. Voleva inebriarsi di quella
sovrappopolazione di colori che in anni di profonde trasformazioni interiori, aveva
mescolato, cambiato, cancellato.
- Ho bisogno del mio tè verde! Aveva esclamato alzando il sopracciglio sinistro
in un ampio arco come se in esso volesse imbrigliare tutta la sua eccitazione e
prolungarla nel tempo.
Davanti al fumo aromatico del tè speziato ai chiodi di garofano, passava in rassegna i
suoi dipinti: "Il mantello", "L'isola delle rane",
"La penna nello stagno", "Isolamento", "Amplitudine".
Quando li aveva dipinti? Dove erano nate tutte quelle figure? Quali emozioni le avevano
generate? Come aveva scelto i colori?
Sì, i colori di Clara. Non usava mai i colori assoluti, né si limitava a mischiare due
tonalità per ricavarne una terza. Le piaceva inventare. Inventare i colori. ' Che cosa è
la sfumatura se non quella personalissima percezione delle cose!' Lo aveva scritto sul suo
quaderno lilla vent'anni prima, quando aveva cominciato a dipingere.
Clara ascoltava i suoi stati interiori e l'occhio e la mano, guidati dalla mente, creavano
le combinazioni di cromie adatte a rappresentarli. Le linee , i contorni, le forme erano
importanti per lei, ma non quanto il colore che le riempiva.
Dipingendo le venivano in mente le melodie ascoltate nella sua infanzia, prima di perdere
del tutto l'udito. Erano suoni ben precisi che solo la memoria sa rievocare dove il senso
muore. La voce baritona senza accento di suo padre che recitava poesie; le filastrocche di
nonna Adelaide; i solfeggi di Duilio, suo fratello studente di conservatorio; le rane
dello stagno; i notturni di Chopin.
Quei ricordi la fecero trasalire, sempre sollecitata da quell'acuto
pungiglione che pungolava ora sull'una ora sull'altra tempia, a tempi alternati.
- Se la musica è ritmo, lo è anche la pittura! I colori vanno scelti, disposti con
cura, mescolati, creati per dare sembianze ai sensi. Certo, è così:
pittura=colore=ritmo.
E' allora che Clara cominciò a compilare un pentagramma cromatico per dare un colore ai
suoni, una voce visibile a ciò che l'orecchio sordo non può udire.
Appeso al muro, un cartoncino color lavanda, c'era scritto: "La poesia, voce del
silenzio. La pittura, voce dei suoni."
Nel tracciare quei segni sulla superficie ruvida, la china le aveva macchiato il volto
spargendosi in tante lentiggini nere che mettevano ancora più in risalto la sua pelle
sottile, velata di minuscoli capillari appena visibili in quelle due isole rosa pallido
che spuntavano sulle gote.
Aveva deciso di non scrivere ad Amedeo di quella sua scoperta, di quell'invenzione dal
sapore fanciullesco, come quando si crede di aver scoperto qualcosa che agli altri nemmeno
s'immaginano. E forse nel caso di Clara era così.
Avrebbe aspettato il suo rientro, liberato la parete di sud-est del suo studio e dipinto
la scala cromatica con le rappresentazioni delle voci che tessevano le trame dei suoi
ricordi sonori.
L'idea di dare visibilità alla sua scoperta, l'invenzione che l'avrebbe tratta in salvo
dal buio del suono, era diventata martellante. La sua mente si era ridotta ad un groviglio
di matasse senza capo fino a quando cominciò a dar vita alla sua creatura.
Notti insonni la tenevano sveglia, con le mani attaccate alla parete di sud-est e i
pennelli affogati nel colore e nelle trementina, il loro pelo perdeva ogni giorno
compattezza e ciò rendeva nervosa Clara che decise di cambiarli. Poco dopo anche quelli
nuovi produssero lo stesso effetto deformante sulla parete: contorni imprecisi, solchi.
- Di che colore è la voce del mare? Il mare suona una musica verde
no, no il
mare ha un suono bianco, o forse il candore non si addice a quegli abissi oscuri e
misteriosi, ma potrebbe svelare un moto di allegria subdola, gialla come l'inganno!
I pori del viso di Clara si erano dilatati, gocce di sudore piovevano dal suo lungo collo
roseo fasciato da una lunga sciarpa di seta viola. Le sue maji si muovevano a ritmo sempre
più frenetico, come per stare al passo con i suoi pensieri che le sfuggivano da sotto le
tempie.
- E il canto degli uccelli? E l'ululato di un cane che si specchia nella grossa
mela appesa al cielo? E le foglie che cadono spazzate dal vento? E la voce dell'amore?
Quella voce Clara non l'aveva mai udita, non sapeva il suono di quelle sillabe a-mo-re.
Bastava vederle scritte su un foglio di carta? Bastava leggerle negli occhi di Amedeo?
Bastava svelarle da un gesto? Clara avrebbe voluto sentirne il suono, una volta soltanto
magari.
Di che colore sono tutte queste voci? La mano saliva e scendeva sulla parete come un ratto
impazzito. Il respiro rotolava nel petto come un masso sospinto da un uragano.
- E il peso di un corpo che cade nel lago senza un'idea precisa, che suono ha?
Clara si lasciò cadere a terra, stanca, immersa ne suo lago di sudore muto, il pennello
largo in bilico oscillava sulla punta delle dita. Le palpebre richiuse sugli occhi, la
treccia scomposta incorniciava il suo ovale disperso tra lo scompiglio dei capelli
leggermente ondulati.
Tra lo sgabello e la valigetta dei colori appoggiata a terra la lettera di Amedeo
macchiata di unto. Questa volta il grasso corposo della resina oleosa, aveva inghiottito
l'inchiostro della stilografica lasciando appena la presenza di qualche lettera sfumata.
La pioggia canta turchese sul letto di rami spezzati. Il tuono
grigio accende torce nel bosco di sera: occhiuto mistero. E quando il gracidare arancione
delle rane scompare nel letto denso di uno stagno e il sole ritrae i suoi raggi, un
frusciare cristallino di foglie appassite echeggia notturno nei cuori tinti di malinconia. |