Enrico Meloni due volte laureato (una in lettere, l'altra presso la scuola speciale per
archivisti e bibliotecari). Mi occupo di insegnamento nelle scuole superiori e di
biblioteche. Amo la natura, gli animali, andare in bici, correre. |
NAGHIB
- Buttala via! Non ora, quando siamo dentro la macchia. In mezzo alla melma. Stanno dietro di noi! Cristo! mica si muovono con i cammelli, come dalle tue parti! Seguimi, beduino, nel boschetto! Cammina, beduino, corri! Dio cane! Non hai capito ancora?! Deve sparire! *** La mattina è volata via nell'aria umida di quel novembre che s'è appena lasciato alle spalle una perturbazione siberiana; aria gelida che non concede speranze a chi resta senza un alloggio sicuro e senza soldi in tasca. Naghib ha lasciato da qualche mese il caldo torrido della sua Alessandra d'Egitto. Rimasto senza famiglia, ha scelto neanche sedicenne d'imbarcarsi clandestino e di raggiungere l'Italia, senza averne alcuna cognizione geografica e tantomeno storica o culturale. Al massimo conosce qualche immagine di calciatore, o qualche sogno patinato di scaltri pubblicitari. In questi giorni di freddo polare, l'imberbe s'è ritrovato solo per la strada; esiliato anche dalle grevi e soffocanti tane della Stazione Termini per sfuggire alle mire prepotenti di un maghrebino sudicio e tarchiato, che s'imponeva nel meandro sotterraneo dove Naghib ha sperato di raccogliere quattro soldi di ristoro. Vagò solo per le strade deserte nelle sue logore nike bucate sulla punta, jeans sdruciti e giacca a vento giallo-verde chiazzata di tracce del mondo. Cercava d'ingannare la morsa del gelo, col fuoco di qualche sigaretta strappata col suo incerto e umile italiano ai radi passanti. Neanche gli occhi di una ragazza a cui pensare, quando stanco e affamato si accasciava davanti a un portone, appena riparato dalle raffiche di tramontana. Finché una di quelle sere la cicca non gli è stata offerta da Greno, un siciliano di appena un anno più grande, fuori di casa perché in rotta con la famiglia, anche lui in cerca di fortuna. Si sono rifugiati in una rimessa abbandonata, e lì è passata la notte tra confidenze e fumo. Greno aveva anche una mezza bottiglia di cognac e tre o quattro confezioni da dieci brioche, procurate chissà in quale rocambolesca incursione negli scompartimenti di un ipermercato. Attraverso i suoi racconti in un italiano smozzicato ma comprensibile, a Naghib pareva quasi d'aver ritrovato il caotico calore della sua metropoli e il cielo azzurro e i minareti e il mare sempre accogliente. L'altro lo ascoltava aiutandolo e a volte sghignazzando, quando le parole venivano a mancargli o erano pronunciate male. Poi ha parlato Greno. Discorsi più concreti: vuole uscire dalla "merda" in cui gli tocca vivere. Ha fra le mani ha un modo rapido ed efficace per cominciare. A breve. Due o tre giorni al massimo. E lui potrà saldare le rate del suo scooter, e per l'Egiziano scarpe nuove, mangiare decente e almeno tre o quattro mesi di alloggio sicuro, da dividere con altri immigrati. - ... E' un lavoretto facile. Facile e pulito. Adesso però sono stanco: è ora di dormire. *** L'alba non è ancora arrivata e si presume che le nuvole e l'umidità non lasceranno trapelare le sue luci. Due adolescenti salgono su uno scooter mezzi addormentai e s'avventurano verso la profonda periferia della metropoli. Dopo una mezz'ora raggiungono una via male asfaltata fra inestetiche palazzine di tre piani, ultimo baluardo prima della campagna; accanto un boschetto; non lontano l'aeroporto brulicante di mondanità. Si fermano dinanzi a una vecchia quercia nel mezzo di uno slargo; cominciano ad aspettare. Non si sa a che ora arriveranno, con il pacco di microprocessori dell'ultima generazione provenienti direttamente da Seattle, senza neppure una sosta per il visto della dogana. Devono prendere la roba e portarla di corsa al grossista di hardware che li ha incaricati, ai corrieri nella station wagon nera dovranno consegnare una busta colma di bigliettoni. Facile no. Pulito e senza rischi. Sono già trascorse un paio d'ore; dell'auto scura nessuna traccia. I due cominciano a spazientirsi. Qualcuno, un anziano, sembra, si è dato ad osservarli da una finestra. L'arabo se ne accorge, vorrebbe andarsene, non riesce a stare fermo. L'altro lo invita a calmarsi, bruscamente, è teso anche lui. Poi gli offre un'altra sigaretta. Nell'accenderla si percepisce un tremore nelle mani, sulla bocca. Un auto accosta accanto alla quercia, è scura, molto lunga. Un uomo abbassa il finestrino e richiama la loro attenzione, mostra un oggetto metallico; è il segno convenzionale. Il ragazzo italiano si fa avanti, ora è in faccia all'uomo nella station wagon, che alza una valigetta metallica. Può vedere il suo volto scavato e i gravi occhiali scuri che gli coprono metà della faccia. Il ragazzo tira fuori la busta e ottiene la massiccia ventiquattrore, dal finestrino. L'auto riparte a razzo. Il motore era rimasto acceso. Si percepisce il vago sibilo di una sirena, in lontananza. Si sta avvicinando. Il ragazzo passa la borsa al compagno che l'afferra interdetto, non capisce cosa sta accadendo. E' imbambolato, in preda al panico, senza rendersene conto. - Avanti! Tienila stretta! Non dormire, muoviti! Di corsa al motorino! Il nordafricano cerca di ubbidire, si fa forza, si muove di scatto, e a un passo dal motoveicolo lo urta con la borsa facendolo cadere nella melma. - Testa di cazzo! Guarda che hai fatto, beduino di merda! Senza mollare i microprocessori, l'arabo, solleva lo scooter dal manubrio, ma questo, sporco di fango viscido, gli sfugge di mano e cade un'altra volta. - Sta fermo, idiota! Faccio da me. Buoni solo a guidare i cammelli... - Grida l'italiano mentre le sirene si fanno sempre più vicine e la macchina della polizia appare sul rettilineo della strada dissestata. Il ragazzo bianco sta mettendo in moto. - Salta dietro, beduino! che aspetti!? L'arabo obbedisce. L'auto è a poche decine di metri. Se riescono ad entrare nel sentiero dentro al bosco hanno ancora buone possibilità di seminare gli sbirri. Il motorino non risponde ai comandi, non dà segni di volersi accendere. Forse cadendo è successo qualcosa, si è staccato qualche contatto, chi può dirlo. Prova e riprova, niente da fare. La pantera si ferma a pochi passi da loro. - Scendi idiota! Scappiamo! Di corsa nel boschetto! L'Arabo lo segue, non ci sono alternative ormai. Fossero rimasti tranquilli avrebbero potuto anche farla franca, ma tutta quella gazzarra ha insospettito gli sbirri che stanno scendendo dalla pantera. Possono scamparla solo perdendosi nella macchia fitta e parzialmente spoglia. Il ragazzo continua a tenere in mano la valigetta, l'altro lo sprona con durezza a disfarsene, a gettarla nella melma. Almeno se li prendono sono senza corpo del reato e, poi, il peso, l'ingombro, rallenta la fuga. Sotto un cielo plumbeo e coperto da rami tentacolari, i due affondano i piedi nel fango. - FERMI O SPARO! DOVE CREDETE DI SCAPPARE, CORNUTI!... FERMI SUBITO E NON VI SUCCEDERÀ NIENTE! Sordi al richiamo dell'autorità. Corrono ancora più forte, in barba alla melma e alla pula. Tanto non possono sparare davvero, c'è una legge che lo vieta. Mica sono armati loro due, e tantomeno li stanno minacciando. A questo punto si odono due deflagrazioni. Greno accelera l'andatura, già speedygonzalesca, per quanto possibile, gli anfibi affondano nel fango denso e i quadricipiti soffrono nel sollevarli per la falcata successiva. Il sibilo di una revolverata ad un palmo dalle gambe. E grida secco al compare che è scivolato nella melma: - Alzati, beduino! Buttala via e scappa! Ma l'altro non lo segue, resta fermo nel fango. Ora raccoglie lentamente la valigetta che da un lato riporta lo squarcio di una pallottola. Il suo corpo è illeso. E rivolto a Greno, che ormai è inghiottito nella rete di cespugli, grida con rabbia: - No è beduino! Mio nome Naghib! |