Michela Il mio libro ? Mah ! E chi lo sa ! Continuo a scrivere e a scrivere ma il
mio libro non c'è ancora. D'altra parte, se ci fosse non sarebbe più il mio sogno nel
cassetto ! Scrivo perchè mi fa stare bene. Ci sono giorni nei quali scrivo liscioliscio,
facilefacile e mi sembra di avere un'infinità di parole da liberare. Altri nei quali i
miei pensieri non riescono ad uscire dal labirinto che ho nel cuore. Sono
"un'insegnante per caso" e un'anima in subbuglio da sempre. Vivo a Verona, ho
trentadue anni. |
Le mele
sbucciate A lungo aveva vagabondato
prima di arrivare al bosco. Amava calpestare le foglie, lo faceva sempre durante la sua
meravigliosa infanzia.
Il passo stanco di chi non ha speranza, lo sguardo assorto nei suoi sogni infranti. Tra le
mani un gomitolo di lana da riavvolgere e da ingarbugliare ossessivamente. Un gesto
meccanico diventato l'unico modo per sentirsi vivo: quel filo morbido e ininterrotto era
il custode dei ricordi, ormai lontani, di un uomo inaridito e spezzato nell'intimo.
Quattro donne avevano segnato la sua vita. Quattro donne, quattro cicatrici.
La prima gli aveva dato la vita. La seconda gli aveva riempito la vita. Alla terza aveva
dato la vita. La quarta gli aveva sconvolto la vita.
Bella e soffocante la prima, dolce e decisa la seconda, spiritosa e chiacchierona la
terza, fragile e troppo giovane la quarta.
Le aveva volute tutte, a nessuna avrebbe rinunciato
se avesse potuto. Ma non aveva
potuto. La vita si era divertita a giocare con lui e gli aveva regalato inaspettatamente
la terza. E poco dopo, altrettanto inaspettatamente e con una violenza dilaniante, gli
aveva tolto la prima. Poi gli aveva messo sulla strada la quarta e, nel frattempo, la
seconda gli era sembrata improvvisamente lontana.
La sua era stata una vita facile e serena, senza preoccupazioni. Era stato un bambino
viziato, amato e soffocato da una mamma ingombrante. E lui era cresciuto mangiando tanto e
poi, quando era più grande, aveva bevuto tanto. I soldi non gli erano mai mancati, eppure
non aveva mai faticato per averli. Si era convinto che quella fosse la vita: mangiare
tanto, bere tanto, spendere tanto e sentirsi coccolati sempre. Non riusciva a stare da
solo, mai, anche se la sua infanzia era stata solitaria: non c'era un fratello a riempire
i suoi pomeriggi ma c'era sempre la mamma.
Una domenica, per caso, l'aveva conosciuta e quell'incontro aveva lasciato il segno. Gli
stessi ideali, la stessa passione nel fare le cose, la stessa testardaggine e, in più,
una dolcezza mai assaporata prima.
Si erano sposati e il loro sembrava un matrimonio perfetto, inattaccabile, per sempre. La
porta della loro casa era sempre aperta a tutti, era naturale che ci fossero amici per una
cena o per una partita a poker. Lui era un cuoco provetto e cucinare era diventato il suo
personalissimo modo di coccolare gli altri. Dopo cena, faceva spesso una cosa strana:
mentre gli amici chiacchieravano attorno al tavolo, lui in silenzio sbucciava mele e le
distribuiva a tutti. "Piccole coccole" diceva.
Con questa donna, la seconda, vide passare stagioni, con lei aprì meravigliose uova di
cioccolato, accese piccole luci sull'albero di Natale e provò gioie inimmaginabili come
in quel giorno di luglio quando scoprì che stava per diventare padre. Furono lacrime
quella volta, lacrime di gioia.
La terza donna era arrivata e gli aveva regalato emozioni nuove. Era ancora piccolissima
ma parlava, parlava e sapeva già dire "nonna" quando la nonna tragicamente
morì.
"Non può essere vero" si ripeteva "tornerà, tornerà presto", ma non
era mai tornata. E lui si era sentito, giorno dopo giorno, sempre più fragile e
sradicato. Quel dolore lacerante aveva annebbiato la sua anima, lo aveva fatto diventare
un altro.
Anche quella sera aveva sbucciato delle mele, come molte altre volte. Ma quella sera c'era
quella giovane donna, la quarta, e lui non era più la stessa persona.
Fu amore a prima vista, da quel momento non riuscì più a pensare a nient'altro: non
lavorava più, le scriveva lunghe lettere. Nella sua mente sua moglie divenne noiosa,
assillante, insopportabile. Nel suo cuore l'altra: bella, intrigante, entusiasta.
Tutto era accaduto così d'improvviso che lo aveva travolto e frantumato. Si sentiva un
puzzle da riordinare, non capiva più e non gli interessava capire. Viveva di emozioni e
di sensazioni e, a poco a poco, aveva perso la percezione della realtà.
La realtà gli sembrava solo un incubo dal quale risvegliarsi con sollievo. E allora era
meglio vivere sognando e cancellare i ricordi.
Purtroppo il sogno durò poco, presto fu costretto a guardarsi allo specchio e quello fu
il momento più difficile della sua vita. Ci voleva coraggio per riordinare tutto, per
scavare nell'anima, per essere uomo. Lui scelse di andarsene.
Quattro donne, quattro cicatrici. La prima non c'era più, la seconda non lo voleva più,
la terza faticava un po' a chiamarlo papà, la quarta era stata solo un bel sogno.
Era solo. Terribilmente e tragicamente solo e la solitudine era da sempre la sua acerrima
nemica. Aveva buttato all'aria tutta la sua vita perché la quotidianità gli era sembrata
insostenibile, il presente troppo faticoso. E così aveva bruciato il passato per
rincorrere un futuro effimero. Un futuro che inevitabilmente era diventato una
quotidianità insostenibile, un presente faticoso.
Era rimasto un bimbo, ma nessuno gli indicava più la strada.
Un autunno bellissimo quell'anno. Foglie di mille colori danzavano nel vento. Un sole
tiepido e luminoso accompagnava la danza.
LA CINA
Scendo la scaletta dell'aereo. Respiro l'aria, calda calda.
Finalmente sono a Beijing.
Passano pochi minuti e una forte sensazione di impotenza si impadronisce di mente e cuore.
Tutto sembra immediatamente complicato e indecifrabile.
"Ho studiato la lingua e la storia e la filosofia e l'arte cinesi. In Italia tutti mi
considerano cinese nell'anima. E allora perché mi sento terribilmente a disagio? Perché
ho un nodo che mi stringe la gola ?".
Sono questi i pensieri che mi frullano in testa, mentre un taxi sgangherato mi accompagna
nel cuore di quella che sarà la mia città, la mia casa, nei prossimi mesi: Pechino.
La Cina è un Paese magico e confuso. Un Paese sospeso tra passato e futuro proprio come
un acrobata è sospeso nel vuoto. Un Paese che deve scegliere: che fare? Mettere nel
cassetto le proprie radici e seguire il richiamo dell'Occidente, il Paese dei Balocchi.
Oppure tenere nel cassetto il sogno occidentale e non rinunciare, a nessun costo, al
testimone che si è trovato tra le mani: un'eredità pesante frutto di un glorioso
passato.
I cinesi sono un popolo fiero, dignitoso e sempre in movimento.
Le strade sono affollatissime, di giorno e di notte. I cinesi passano i loro giorni sulla
strada. Lì si muovono, mangiano, giocano, dormono, lavoricchiano. Nessuno chiede
l'elemosina, tutti si inventano qualcosa da fare.
C'è la via dei barbieri dove bastano pochi minuti, pochissimi yuan e un po' di spirito di
adattamento per sistemare i capelli. Una sedia arrugginita, un telo rosa, un pettine e una
forbice sono gli unici (ma ne servirebbero altri ?) attrezzi del mestiere.
Qualcuno vende banane, libretti rossi o pettini già usati nell'attesa paziente di un
cliente. Qualcun altro aggiusta biciclette o lustra le scarpe. C'è anche chi si
improvvisa massaggiatore o indovino. Tutti lungo la strada.
La Cina ti conquista giorno dopo giorno, ora dopo ora. La sensazione di essere un pesce
fuor d'acqua scivola via, poco a poco, e lascia il posto alla serenità.
Gli anziani e i loro sguardi profondi come il mare, l'appassionante corso di Taijiquan,
l'euforia del girovagare per mercatini stracolmi di oggetti indescrivibili, la lunga
camminata sulla Grande Muraglia per cercare tracce del passato tra le rovine. E poi le
patate dolci, arancioni e bollenti, gustate per la strada, le mele caramellate, i jaozi e
i baozi ripieni di chissàchecosa, le difficili regole del majong rubate con gli occhi ad
abili giocatori, le gabbiette di legno per gli uccellini, gli affollatissimi mezzi di
trasporto, i parchi verdi e i templi silenziosi, i campanelli delle biciclette.
Ah ! Nemmeno il tempo di prendere fiato.
E i bimbi. Occhi scuri spalancati, capelli rigorosamente corvini e ritti, guance rosse
rosse. I vestitini sempre troppo larghi o troppo stretti, di mille colori. Sono
dolcissimi, ridono tanto, giocano nei parchi, sotto gli occhi orgogliosi e attenti di
mamma e papà, e s'arrabbiano pure. Ma c'è qualcosa di strano in loro. Quasi sapessero
che essere bimbi è un privilegio.
Due genitori tutti per loro. Due genitori che sanno di avere un tesoro.
E i fratellini? E le sorelline? Non ci sono.
I bimbi cinesi oggi sono tutti figli unici. Logica e inevitabile conseguenza della
spietata politica di controllo demografico. Una politica che razionalmente, statistiche
alla mano, sembra essere l'unica via d'uscita per un Paese decisamente sovraffollato. Una
politica che umanamente, no, non si può accettare.
Non bisogna nascondere che sono necessari una buona dose di spirito di adattamento e una
mente elastica. La Cina mette alla prova intraprendenti viaggiatori e sconvolge equilibri
che si credevano consolidati.
A qualsiasi richiesta formulata, un qualsiasi impiegato, di un qualsiasi ufficio pubblico,
risponde sempre e comunque "no, non è possibile". Per ottenere qualcosa bisogna
tornare una, due, tre volte.
Può accadere di entrare in banca e di trovare l'impiegato allo sportello intento a
lavorare a maglia. Oppure può succedere di chiedere dei francobolli in un ufficio postale
e di sentirsi rispondere sgarbatamente che i francobolli sono finiti anche se vedi, oltre
il vetro, francobolli di ogni sorta.
Mettersi in coda è un'abitudine che non rientra nella quotidianità cinese. Per varcare
la soglia del famoso zoo di Pechino o per prendere la metropolitana è molto utile avere
qualche nozione di lotta libera.
Salire su un treno per uno straniero è un'impresa. Il semplice acquisto dei biglietti
richiede pazienza, nervi saldi e tempo. Ci sono treni con i sedili morbidi e treni con i
sedili duri. Riuscire a salire su un treno con i sedili duri è un'esperienza quasi
impossibile per chi non ha gli occhi a mandorla.
Un ultimo sguardo prima di ripartire.
Piazza Tian An Men senza fine come il mare e sempre deserta nonostante la presenza
continua di moltissime persone. Grandi e piccini a giocare, con colorati aquiloni a forma
di drago, sotto lo sguardo severo delle guardie dell'esercito cinese.
Giovani soldati, fieri e tristi, rinchiusi nell'inamidata uniforme verde che impedisce
loro ogni movimento spontaneo.
La stessa piazza, qualche tempo prima, occupata dai carri armati. Mi sembra di vederli
arrivare da laggiù.
Ricordi lontani che non svaniranno. Una parentesi tatuata nell'anima che mi ha insegnato
la pazienza. Oggi sono una persona serena. Una parte del merito va, senza dubbio, al Paese
di Mezzo. |