Sara Burchielli Scrivo da quando mi è presa una passione incontrollabile per i concorsi
letterari sul web ai quali invio i miei scritti generalmente oltre la data di chiusura.
Ora che mi sto avvicinando ai 35 anni ho pensato di provare strade meno stressanti ed
inviare un vecchio racconto ad un non-concorso letterario. |
La piscina
- Non ci credo. Insomma lo hai fatto davvero? -
- Sì, l'ho fatto, l'ho fatto. Ed è stato proprio bello. Mi sento anche un po' cretina
però è stata una sensazione
- Chiara non trovava le parole; stava lì seduta alla
sua scrivania e guardava il suo collega che non si decideva ad entrare nel suo cubicolo di
ufficio e che continuava a ripeterle la stessa domanda.
- Non ci posso credere. Te? Dai, mi stai prendendo in giro.
Erano solo le otto e un quarto di un lunedì mattina. Filippo aveva in mano i due
bicchierini di plastica fumanti di caffè.
- Allora, vuoi entrare o vuoi far freddare quel caffè che già caldo lo sai che non mi
piace un granché. - Chiara e Filippo erano sempre i primi ad arrivare, e di solito per
una buona mezzora erano le uniche persone ad aggirarsi per i corridoi della Webcoop, la
ditta di software che li aveva assunti entrambi appena laureati. Ma a quel tempo ancora
non si conoscevano e invece lì la mattina presto tra un caffè della macchinetta ed uno
sbadiglio avevano fatto un po' amicizia; non che si vedessero fuori dall'ufficio, non era
mai successo, però sul lavoro si cercavano abbastanza e qualcuno già spettegolava sul
loro rapporto.
- Quando venerdì mi hai detto delle tue intenzioni ero davvero convinto che tu stessi
scherzando, che tu mi prendessi in giro. Pensavo che mi volessi solo scioccare un po' come
fai sempre: la moderna milanese che prende in giro lo sprovveduto sardo. Infatti continuo
a non crederti. Dai Chiara, smettila di prendermi in giro. -
- No Filippo, l'ho fatto. L'ho fatto davvero. Scusa ma alla Polaroid non avevo proprio
pensato; mi dovrai credere sulla parola. -
Chiara stava morendo dal ridere, la faccia di Filippo era quella tipica di quando gli
raccontava cosa aveva fatto il sabato sera. Non che lei facesse chissà che cosa, ma
Milano è grande, può offrire tanto soprattutto quando uno c'è nato e cresciuto e se la
gira con facilità. E poi Filippo. Bastava guardarlo. Jeans, maglione azzurro a girocollo
con sotto camicia. Faceva ancora la vita dello studente anche se era laureato da due anni,
di quelli che hanno pochi soldi e al massimo vanno al cinema, però sempre di mercoledì
sera quando costa meno.
Tutto era cominciato quando un giorno Chiara aveva trovato nella cassetta della posta
l'invito a partecipare alla riunione del Comitato Milano - Voglia di Respirare che si
sarebbe tenuta il sabato successivo presso il Complesso Polisportivo Marchesi. La lettera
l'apostrofava chiaramente come 'Cara Socia', ma lei non si ricordava affatto di far parte
di quel comitato. Probabilmente durante qualche festa sociale organizzata da qualche
circolo lei aveva firmato chissà quale petizione e automaticamente era diventata socia
del Comitato in questione. Di quel comitato come di tanti altri, ma lei non ne aveva mai
preso in considerazione nessuno. Tanto sono sempre solo chiacchiere. Stava per cestinare
il foglio di avviso quando fece caso al luogo della riunione: il Complesso polisportivo
Marchesi. All'improvviso davanti ai suoi occhi cominciò il filmino in super otto della
sua infanzia e quasi inconsciamente prese forma la decisione: a questa riunione non
sarebbe mancata e cerchiò di rosso quel giorno sul calendario appeso in cucina.
Tutto per scherzo naturalmente; ma poi quell'idea bizzarra che da quel momento cominciò a
ballargli in testa la raccontò a Filippo durante una delle loro sedute mattutine. Solo a
quel punto cominciò a crederci davvero ed il giorno fatidico si ritrovò come in trance
ad aspettare l'ora giusta per presentarsi alla riunione del comitato di cui non si
ricordava più neanche il nome presso il Complesso Polisportivo Marchesi. Naturalmente era
pronta prima del tempo. Seduta sul divano con lo zainetto ai piedi ripassava mentalmente
la lista delle cose che aveva deciso di portarsi sperando di non essersi scordata niente.
Una volta ripassata la lista guardava l'orologio e poi ricominciava con la lista. Era
nervosa; nervosa proprio allo stesso modo di quando era piccola e doveva recarsi al
Complesso Polisportivo per una gara. Anche allora si sedeva sul divano aspettando che la
mamma la chiamasse per andare. Ricordati tesoro che non ci devi andare per forza; la frase
che le diceva la madre a quel tempo era perfetta anche per questa situazione.
Riuscì comunque a fare tardi ed entrò nell'aula a riunione già iniziata. Tutti si
girarono per guardarla. Proprio quello che lei avrebbe preferito evitare. L'aula era
affollata. Probabilmente c'erano decisioni importanti da prendere. Posti a sedere non ce
n'erano più e lei rimase in piedi vicino alla porta. Provò a seguire le varie
argomentazioni ma era troppo distratta e alla prima occasione in cui la discussione si
fece più accesa, sicura di non essere notata sgattaiolò fuori dalla porta. Il sole del
tardo pomeriggio ancora filtrava dalle finestre. Senza pensarci due volte si infilò nel
corridoio che collegava il blocco delle aule con quello delle palestre. Aumentò il passo.
Non voleva essere sorpresa da qualche bidella che in un impeto di efficienza faceva un
giro di controllo. Arrivò alla porta. Già sentiva l'odore del cloro. Impugnò la
maniglia e dopo una breve esitazione la girò. Era aperta. Miracolo, perché Chiara non
aveva pensato a nessun piano alternativo nel caso che la porte fosse chiusa. Il caldo e
l'odore di cloro la inondò appena mise piede nell'atrio. Era abbastanza buio, nell'atrio
non c'erano finestre. L'unica fonte di luce proveniva dalle scale; ci si diresse e
arrivata in cima il caldo e il cloro erano ancora più forti che lei si sentì quasi
mancare. Chiuse gli occhi un attimo. Poi li riaprì: tutto era rimasto tale e quale,
almeno a prima vista. La piccola gradinata sulla destra, i tre grossi gradini neri coperti
di linoleum dai quali i genitori incitavano i figli, doveva essere stata rifatta di
recente, non si vedevano i segni di usura ma il colore era rimasto lo stesso. La fila di
attaccapanni gialli, vuoti naturalmente, lungo le due pareti opposte. La grande vetrata
sul lato opposto delle gradinate; guardò fuori, una volta oltre il campo sportivo si
vedevano solo campi coltivati, ora c'erano palazzi. Il cielo stava già diventando scuro.
Il suo sguardo si posò sulle mattonelle bianche, perfettamente lucide e asciutte, e
quelle azzurre che circondavano il bordo; cercò quella incrinata vicino alla scaletta ma
era stata sostituita. Non le sembrava possibile come tutto fosse rimasto identico, ma le
faceva piacere. Poi c'era quello specchio d'acqua, immutato.
A quel punto scattò il piano A, l'unico: si tolse i vestiti e le scarpe, sotto già
indossava il costume olimpionico, rosso; indossò la cuffia, rossa, e gli occhialini. Si
diresse al blocco numero tre, quello centrale, quello dell'atleta favorita, salì, si
sistemò gli occhialini, fece un profondo respiro allargando le braccia, poi pochi secondi
di concentrazione e via.
Il tuffo.
L'acqua era calda intorno al suo corpo proprio come se l'era immaginata. Riemerse a metà
della vasca e contò le bracciate che le ci vollero ad arrivare al lato opposto. Capriola
perfetta e poi a rana fino a tornare al blocco numero tre. Riprese fiato aggrappandosi al
bordo e tirando su le ginocchia.
Uscì dalla scaletta e dallo zaino tirò fuori l'accappatoio. In cinque minuti era
vestita. Lentamente tornò indietro sui suoi passi. Nell'aula non c'era più nessuno, la
riunione era finita.
- Ti ho pensato sai alla fine della seconda vasca mentre riprendevo fiato, - disse Chiara
dopo aver raccontato l'avventura a Filippo che la guardava muto.
- Ah sì?
- Sì. Mi sono ricordata che tu una volta mi hai detto che non sai nuotare. Oh che sardo
sei?
Chiara scoppio a ridere. Anche Filippo. Lui avrebbe voluto avere ancora un po' di tempo
per accertarsi che lei non lo stesse prendendo in giro come al solito, che quella
marachella, come la chiamava lei, l'avesse davvero fatta; avrebbe voluto avere ancora solo
cinque minuti per immaginarsela col costume rosso olimpionico la cuffia e gli occhialini,
ma gli uffici improvvisamente avevano preso vita. I bicchierini di plastica erano vuoti
sulla scrivania. I suoi colleghi passando gli davano il buongiorno. Il lavoro lo
aspettava. Anche il capo era arrivato e Filippo non ebbe altra scelta che tornare nel suo
ufficio. |