Federico S.

ho 43 anni, e ogni tanto scrivo.

IL CAPITANO SOTTOTRACCIA

"AAA assassino di talento della Guardia Civil sotto Franco, specialista in eliminazioni dei GAL, killer attualmente a disposizione presso il Ministero dell'Interno, offresi".
Vorrei mettere un annuncio come questo sul Pais per scuotere questa routine immobile che mi corrode la mente e cancella i ricordi. Ma non posso, ho fatto del grigio anonimato una religione, del silenzio assoluto una seconda natura, del non-essere la mia esistenza.
Sono il Capitano Sottotraccia, un viso tondo di cui è difficile ricordare i lineamenti, un corpo informe che si confonde con mille, due occhi marroni che passano inosservati anche se ti seguono per settimane. Uno che non lascia tracce, appunto, e di questa invisibilità ho fatto tesoro per avvicinarmi non visto a uomini con una croce nera sul loro nome, e allontanarmi poi silenzioso dal loro cadavere. Ne ho ammazzati tanti, attivisti di partito e sindacalisti, giornalisti e cospiratori galiziani, generali dell'esercito e terroristi dell'ETA, vecchi camerati oramai scomodi e giovani socialisti troppo avidi.
E' un pezzo che sono in questo ufficio polveroso in una traversa di Calle Abascal, un telefono muto e una pistola nera che da qualche tempo tengo sotto il cappello poggiato sulla scrivania scrostata.
Aspetto paziente uno squillo, una voce con una leggera cadenza sudamericana che mi ripeta due volte un nome e un indirizzo, poi il click della linea che cade. E di nuovo bocca secca, sudore gelido, e testicoli schiacciati nello scroto che si ritira. Il sapore metallico della paura, dell'eccitazione, che si fa risentire. Torno a fare ciò che so fare.
Oramai sono mesi (o forse anni?) che nessuno chiama. Ogni tanto mi avvicino al piccolo lavandino di questa stanza squallida e orino, poi bevo un sorso d'acqua. Raramente mi masturbo, veloce e senza piacere, per alleviare una tensione dolorosa che ho dentro e che non so decifrare. Non riesco più a ricordare i volti dei morti, non ho più volti di vivi da ricordare. Poi mi siedo e aspetto.
Sono quasi le tre, uscirò come al soliti per una birra, formaggio e olive, ma stavolta lascio la pistola sul tavolo. Due occhi marroni che passano inosservati mi seguono da settimane.