Adriano Sorbello

attore, autore di testi radiofonici e speaker su Rkc di Bologna, laureando D.a.m.s., scrittore sperimentale alla ricerca di un suo stile.

IRAQ FUNESTA

l'incubo è incominciato quel giorno che ero ragazzo ancora facevo il 4° ginnasio e stavano per concludersi le vacanze natalizie per quell'anno. era il 1991. andai con un mio amico, che sarebbe diventato un militare, a mare con la mia bicicletta. non c'era nessuno a mare soltanto nuvoloni neri che venivano da oriente e coprivano tutto il cielo. ad un certo punto la ruota della mia bicicletta scoppiò facendo un gran baccano. c'erano due km prima che giungessi a casa, e non potevo tornarmene impennando visto che la ruota di dietro era ancora buona, non potevo perché non mi sentivo bene avevo un certo dolore ai reni, e per questo me la feci a piedi con quella pesantissima bici. non mancai nemmeno il temporale che nel frattempo scoppiò mentre mi trovavo a metà strada. quando tornai a casa feci una doccia e mentre mi asciugavo mi accorsi che avevo quei brufoli rossi dappertutto: il mio amico pre-militare mi aveva contagiato la varicella. non ero scontento mi aspettavano dieci giorni di febbre leggera, al massimo un po' di prurito, alito guasto e soprattutto niente scuola. il primo giorno di decorso della malattia accesi il televisore, mi aspettavano i programmi del mattino della azienda finivest, ero in vestaglia e non c'era altro da fare per un adolescente come me che guardarsi ralfsupermaxieroe, e l'uomo da sei milioni di dollari, o hazard o stusky e hutc. Quei telefilm mi facevano sempre venire la nausea. non era propriamente quello che avrei voluto vedere nei giorni in cui non andavo a scuola. in quei giorni infatti avrei desiderato viaggiare, e per quanto piccoli fossero stati i miei viaggi, mi auguravo di fare sempre delle liete scoperte, principalmente ragazze, sì, scoprire ragazze e poi, sempre durante il mattino, portarmele a fare l'amore nelle chiese, negli alberghetti di campagna, proprio mentre trasmettevano la donna bionica, mentre tutti stavano sui banchi di scuola con la sagoma dei professori ben impressa negli occhi assonnati, mentre tutto il mondo era impegnato nel frenetico ambaradam del lavoro consumo spendi tempo e vattenaffan.. erano i desideri di un tredicenne in piena età puberale che ancora non aveva nemmeno seriamente baciato una ragazza. dovevo ancora scoprire l'amore, l'avrei scoperto qua e là durante tutto quel decennio, ma sicuramente non quel mattino che ero costretto a starmene quarantenato a casa, in vestaglia di lana fintoscozzese, con lo stomaco rammollito da the con fette biscottate. quel mattino avrei scoperto l'inizio dell'incubo delle generazioni. volete sapere qual'è l'incubo di ogni generazione, almeno fino alla mia: è quello di essere l'ultima generazione. volete sapere qual'è l'incubo maggiore per chi ancora deve scoprire le cose belle della vita... tipo amore sesso, carezze, promiscuità : quello che arrivi una guerra e tutti ci spazzi via prima di poter fare queste cose.
per me si apriva un'età di aspettative bellissime su tutto ciò che avrebbero scoperto i miei sensi, l'iniziazione all'amore per i sensi senza mai pentimento: la giovinezza. ma c'era il pericolo dietro l'angolo, propriamente come c'è il meraviglioso. c'è anche il terribile che sono due aspetti della stessa cosa: taumazein dicevano i greci per dire meraviglioso, ma anche terribile se non ricordo male. è un po' come il sostantivo traum che in tedesco significa sogno, ma la sua stessa radice da noi significa trauma, cosa che è destinata a rimanere impressa. mentre quindi stavo guardando una delle cagate mattutine della finivest compare una cosa che non avevo visto mai, si interrompe la trasmissione di punto in bianco e compare la faccia mai vista per me di emilio fedo bella e sbarbata, con un finto alone di preoccupazione incerato in volto, che si vedeva infatti che gli sbavavano gli occhietti perché per primo tra tutti i notiziari il suo stava per annunciare che era incominciato il bombardamento in Iraq. quella faccia di cazzo di emilio fedo e la guerra del golfo occupano nel mio cervello lo stesso spazio traumatico. cominciava bene il primo anno degli anni novanta, c'era una guerra che per quanto ancora i potessi saperne di storia poteva sfociare in un conflitto mondiale. e mi vedevo sto giornalista che a stento dissimulava d'essere eccitatissimo perché insieme a quella guerra cominciava più o meno senza autorizzazione il suo tg.
nei giorni successivi telefonai ai miei compagni di scuola per informarmi su cosa avessero fatto a scuola. Niente. mi dissero, Sto fatto che c'è la guerra ci procura un sacco di svacco sia perché ogni mattina hanno organizzato delle manifestazioni pacifiste a cui partecipavano tutte le scuole, sia perché nelle ore che rimangono per l'insegnamento la nostra professoressa attivista di democrazia proletaria faceva delle interminabili lezioni di storia contemporanea sugli americani e sul fatto che ci avessero rotto i coglioni col fatto che erano i più strapotenti e nel mondo facessero quello che volevano conquistandosi il petrolio e tutte le cazzate che sono sicuro conoscertete meglio di me. Lì per lì chiudendo la telefonata pensai - che sfiga proprio ora che sto a casa devono succedere 'ste cose, era meglio che non mi venisse la varicella perché così ero fuori a manifestare, non tanto perché nutrivo già a quell'età un forte sentimento pacifista, ma perché magari alle manifestazioni avrei incontrato qualche ragazza e me la sarei portata dietro l'angolo a farle... erano solo pensieri che mi passavano così per la testa. quel desiderio mi è rimasto impresso così tanto che a certe manifestazioni successive anni dopo contro le varie finanziarie ecc.. ecc.. mi è veramente accaduto di mettermi insieme a delle ragazze. i miei compagni di classe erano gasati per sto fatto che con quella guerra stavano saltando giorni e giorni di scuola. anche io mi sarei gasato? siccome ero a casa con la febbre e le pustole a me infondo chi me lo diceva che mi dovevo gasare. fu così che avvertii un certo senso di disgusto in questa cosa che la gente si gasava sulle disgrazie altrui in modi più o meno indiretti. faceva proprio schifo quella cosa. magari i miei compagni si gasavano pensando anche a me, poro sfigatello, che mi facevo venire la varicella proprio in un periodo in cui a scuola non c'era niente da fare, e poi alle manifestazioni tutti contenti d'avere evitato compiti in classe e interrogazioni grazie all'incontro con certe contingenze storiche che fanno saltare la monotonia del quotidiano scolastico e bla, bla, bla. che merda!

Fesla

…. Forse allora sto delirando... un fallimento, un fallimento totale...
Alzati, vestiti... io tremo nel vederti, mi tocchi il respiro come una corda molle... sei chiusa in me non apri petali... non sorgi... presto guardalo... il motivo della tua esistenza guardalo! altrimenti sei persa, sarà persa subito questa giornata... svegliarsi e rientrare nel sogno 1 ... il sogno 1 è quello che non ne viene mai nulla di definitivo, anzi il niente sarebbe meglio certe volte... livello 1 il succedere... giornata, aria cibo caffè e dentifricio morbo sui fazzoletti silenzio concentrazione nera sui fatti che vengono, quelle cose che devono succedere per forza effetti a cause, che la notte ovunque ognuno viva, sogno o mondo che sia, la speranza che dà il possibile è in qualche modo accesa e acceca talvolta più di un sole ardente.
Alzati forza con tutta la forza che il giorno trascina nelle gambe, raggiungi quel po' di vita non giocata che credi di avere, prima che il pensiero voli tra la pioggia e si inzuppi di pesantezza. Saltaci sopra a questi quattro eventi che ti ronzano ancora intorno... e per di più sei bella sei ancora giovane. Giovane…
…Triiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin.
Si alzò e andò a rispondere al telefono che era in corridoio.
- Siiii?
- Salve. Famiglia Folest?
- La famiglia Folest non sono io... io però sono uno scrittore fallito.
- Ah siiiii? Va bene...
- Come va bene? Ho sentito bene?
- Si, si, va bene mi...
- Lei dice che va bene. Ma io le dico che non è cosi, non è che va così tanto bene, non va un cazzo bene! Ma che ci sarà mai da scrivere? Guardi, io me lo domando giorno e notte. Non ci dormo, che ci sarà, che ci sarà? Poi alla fine penso che non c'è niente da scrivere. Sì, sì glielo dico io, non legga più niente: il mondo è un cesso, è un macello ingiusto!...
- Mi dispiace ... ma…
- ... Sì, lo so, forse poi, qualcosa, in un fondo profondo, c'è, ci sarà, oltre l'orrore, la dolcezza, qualcosa, e posso essere io che non mi interesso di scriverlo, o di vederlo, certo! Ma è qui che mi incazzo. Mi incazzo forte sa, che devo avere sempre sta fissazione, pesante, di scrivere e scrivere, ma non ci ho nemmeno uno sputo di spunto originale da…
- Minchia!
- Poi ci sono altre di quelle volte che mi viene da bestemmiare.
- Be… bestemmiare?
- Si, ché magari sono lì che sto scrivendo, che qualcosa si sta scrivendo da sola, che figurati se io so scrivere qualcosa, e mi viene da bestemmiare.
- Perché?
- Non lo so, vediamo, che può essere, forse perché suona il telefono?
- Ah no no no no no no, appunto... mi scusi, io volevo dire che... si che mi va, pure benissimo, quello che fa lei, ma appunto... io...
- Sbagliato numero?
- Esatto! Si cioè... certo ... insomma...
- Perché mi trattiene ancora?
- No, io non sto trattenendo nessuno... la sua voce è familiare...
- Mmh…
- Si vabbè… assomiglia a quella di quello che cerco al tuo numero...
- Perché ha smesso di darmi del lei? Ha detto tuo e non suo.
- Sarà perché non volevo fare l'equivoco? Una licenza ecco.
- Sarà, continui pure a darmi del tu, sfrutti la sua licenziosità. Che numero ha fatto?
- Si ... il tuo numero non è?…
Cerca il foglietto non lo trova, le è caduto.
- Non è che ce lo ricordiamo tanto bene!… Bella familiarità ci ha lei col numero amico!
- E no, è perché l' ha cambiato di recente…
- Comunque, è il 393937?
- Si, si ho sbagliato.
- Anche lei però ha una voce familiare, e anche bella, calda, di caffè dolce che accarezza la gola.
- Eh si... non esageriamo adesso! Comunque, mi posso spiegare... io pensavo che tu fossi la voce familiare che stava scherzando.
- Sono passati trenta secondi. Siamo già per forza due voci familiari, e non mi sembra che il mio tono fosse affatto quello solito e serio che si usa nelle telefonate non familiari. Quindi, e ti darò del tu nel dirtelo, sono io quello che cercavi, stavo scherzando.
- Certo, si, si. Caspita, ma tu sei scrittore.
- Si, e perché mi cercavi, mi hai letto?
- No. Ti serve piuttosto un tritacarne bovina con sterilizzatore antispongiformico e lettore dvd compreso?
- E scusa, che se ne fa uno del lettore dvd mentre sterilizza la carne?
- No, il lettore dvd è compreso nel prezzo, 3590000 iva inclusa. Non ti interessa?
- No, mi interessa. Si, certo che non potrà mancarmi lo sterilizzatore strizza carne in casa. Ma tu hai una voce bellissima, che li per li, penso me lo devo togliere sto dubbio, non può essere, dico, non può essere che una voce così bella sia di una persona sciatta, una cozza, una vacca pazza, o cicciona, racchia pure, tutta sudata e assunta appunto perché ci ha questa sua voce un po' fringuellona, un po' flautata, che ti sussurra al telefono quanto costa il lusso di mangiare carne senza morbo. Ma sai cosa ?
- Cosa?
- Non mi stai sulle palle.
- E' bella la mia voce, vero? Sai, credo di essere anche molto carina.
- Ecco bellezza, che tipo sei?
- Ma, ho due belle gambe, di quelle che hai voglia di stringere, non ti fermeresti mai di stringere e mollare e stringere, e poi il resto, lì le mani ti ispirano a tal punto, ma cosi tanto, che ti sembra di modellare tutto l'universo; mai però potresti fare la stessa cosa ai miei seni che sono delicati, e io ci tengo a loro, sono due cuccioli bellissimi, io gli amanti me li scelgo in base a come trattano le mie tette, se riescono ad avere quel pizzico di fantasia giusta a non vederle come il manubrio di una Kawasaki o la pappa di un cobra che pappa...
- Due cuccioli, va bene di pastore maremmano, o sanbernardo? Due belle sanbernarde...
- Vanno benissimo anche due bastardini, se proprio non ci hai la fantasia di uno scrittore.
- Me ne compro due, due trita carne va bene?
- Il dvd è sempre uno solo.
- Si certo, io me li compro, però noi due ci scontriamo da qualche parte no?
- Ci vediamo?
- Tra mezz'ora, una al massimo, ti va bene? Ammesso che sei una di qui.
- Si, si. Ma tu me ne compri due hai detto?
- Si, te li compro.
- Ma io non posso fare quello che mi hai detto, non ti conosco.
- Perché, Signorina, perché io sono Maldo, lei come si chiama?
- Fesla rispose e accarezzò la copertina del libro di Maldo.
- Che nome, bellezza!
- Ah, non è merito mio... i miei genitori erano hyppies cervellotici e chissà dove l' hanno scovato.
- Anche i miei... mi stai simpatica, sei del mio calibro, ci vediamo tra un'ora, allora.
- Dove?
- Hai presente quella pensilina dell'autobus che sta alla terza traversa di rotonda Gobetti dove c'è un piccolo parco in erbetta con la scultura di mezza nave dentro?
- Si.
- Ci vediamo lì .
Fesla prese il libro di Maldo in mano, se lo era letto due volte, e non pensava proprio, come invece pensavano critica e pubblico, che quella fosse l'opera di un triviale volgare e violento incivile macchia carte. In lui c'era come una dolcezza che a lei aveva ispirato un senso di serenità, o almeno qualcosa che si presentò come serenità in un giorno ben fatto di febbraio, quando già la primavera versava i suoi odori nel vento, odori di posti dove essa avveniva e che per qualche foro nelle pressioni che inglobano le stagioni nei continenti, era scappata per trovare soggiorno vacanziero dal cugino inverno in Italia. Anzi, quel giorno le erano scappati dei sorrisi alla lettura dei capitoli finali di quel suo romanzo, come se le parole la solleticassero nei fianchi, nell'addome, sul collo e, come da tempo non le succedeva, le scariche di serotonina nel sue cervello si moltiplicarono a tal punto che alla fine credette che solo lui, da un po' di tempo a quella parte, l'avesse compresa come un intimo fratello e avesse ridestato quella voglia di vivere, pensieri profondi, che stanno in un libro che riesce a portarti la sua libertà.
Certe disgrazie, nei ricordi pesano per troppo tempo. E lei che era stata veramente sfortunata per quasi un anno intero era divenuta intrattabile. Le sembrava di non sopportare più nessuno allora, nemmeno i suoi più stretti familiari. Ma ora la gioia era tornata, come una follia, come la follia di quel libro. Per questo gli aveva telefonato ma, prima di comporre il numero, si chiese cosa stesse cercando in lui, che cosa avrebbe potuto pretendere da colui che la gioia su ogni tristezza aveva vivamente liberato in quelle righe.
Si disse, ad uno come lui si può dare solo amore, e fu come se dentro di sé si premesse appena un piccolo tasto, ma non solo nella testa, qualsiasi parte del suo corpo andava bene, anche quelle meno poetiche o intellettuali, e da lì usci una specie di innamoramento istantaneo.
Quanto al corpo, non mentì: erano veramente quelli gli attributi che la natura le aveva fornito: bella la fasciatura di muscoli che circonda le perfette spalle, smussa i bei disegni di uno scheletro leggero proporzionato e longilineo - avrebbe potuto aggiungere al commento. Tutto questo si rovinerà, disse fra sé, presto e prima di quanto possa aspettarmi. Pensò ai decadimenti che la vita impone, alla crudeltà che ci viene mostrata nel vederci sfiorire, giorno dopo giorno, e poi di colpo… Ma lo fece come se avesse superato di gran balzo non anche la tristezza, ma la rassegnazione a quella realtà. Scorgeva adesso, in quel giorno di improvvise follie, ispirate da una bella serata, come una specie di scherzo che stava sotto alla vita, pessimo scherzo, vero, ma una cosa da gran risate che ci elevano da ogni pesantezza del mondo.

Preso un vestito primaverile, la giornata lo permetteva ancora, sganciò il reggiseno, guardò i suoi seni e si mise a ridere, erano belli si, ma lui avrebbe potuto fare quel che voleva, tutto quello che gli avrebbero ispirato, anche il manubrio-Kavasachi, se proprio..., tanto comunque, anche se fosse stato invadente il contatto corporeo con quel suo sconosciuto autore, era certa che prima o poi egli avrebbe saputo come intrecciare quella violenza alla dolcezza, sentimenti che potevano essere coniugati.
Uscì nel corridoio verso il bagno e chiamò la madre, che in qualche punto della casa doveva essere ritirata in un nebuloso silenzio di cordoglio. Chiamava, perché un aiuto in bagno glielo dovevano dare, almeno a sollevarsi dalla sedia a rotelle e, dopo doccia e toletta, a risedersi. Lei non sapeva ancora farlo da sola.