Marcello
Nicodemo
Mi chiamo Marcello Nicodemo e vivo a Montesilvano (PE), dove insegno
Lettere e lingua Inglese in una scuola privata. Ho trentasei anni e sono
un ex giocatore di basket. Tra le altre cose, una decina di anni fa, ho
aperto e gestito per qualche anno un jazz club nella mia città natale,
Chieti. Avendo finito il mio terzo romanzo, circa un anno fa, ho deciso
che ero stanco di aspettare che qualcuno mi "desse il permesso"
di far arrivare al pubblico i miei libri. Così, ho preso il coraggio a
due mani, e un bel po' di risparmi, e invece di darli a qualche editore a
pagamento ho fatto stampare il mio primo libro "Di lì a poco sarebbe
piovuto", aperto un conto corrente postale e messo su un sito web (www.marcellonicodemo.it).
Da allora non mi sono mai fermato e dovunque abbia degli amici o
conoscenti organizzo delle vivaci presentazioni-spettacolo. Finora ne ho
fatte una quindicina, da Matera a Torino, da Napoli a Milano...Ormai ci
sono diverse centinaia dei miei libri in giro per l'Italia, e ciò mi dà
quantomeno la fondata speranza (anche per le numerose email che i lettori
mi hanno mandato e le numerose visite al sito) che pian piano sto creando
un'iniziale platea di lettori per le mie storie. |
PORTA A PORTA
Ero arrivato a Firenze il quattro di marzo, con in tasca un milione e
cinquecentomila lire, e le prime quattrocento se l'era subito prese il
barista che mi subaffittava una stanza nel suo appartamento polveroso. Non
era male come sistemazione, anche se le pareti erano talmente vecchie e
annerite dal tempo e dall'incuria, che finivi sempre per sentirti una
leggera patina di polvere sulla lingua e la gola secca.
Il secondo giorno, mentre lo osservavo che in ginocchio nel bagno passava
dell'acido muriatico nella vasca e smadonnava, avvolto dai vapori puzzolenti
del prodotto che aveva versato generosamente, gli ho chiesto "Ma
perché non provi a dare una rinfrescata ai muri ? Se la casa è sempre
così sporca è perché cade polvere continuamente."
"Mai !" mi ha risposto. "Quella gran bagasciona della padrona
di casa non mi ridarebbe mai i soldi della vernice !"
Così, giorno dopo giorno, ho capito perché c'era un pentolino da latte
dietro il water, a raccogliere una perdita, e in bagno mancava il benchè
minimo attrezzo per appendere gli asciugamani. Ho capito anche perchè il
citofono non funzionava, non esistevano lampadari né abat-jour,
l'attaccapanni all'ingresso era costituito da due grucce attaccate al tubo
della vecchia stufa a gas in disuso...
Ero in centro però, e di stare comodo non m'era mai importato nulla. Pulito
sì però, e per quanto potevo, cercavo di prendere ogni precauzione per non
lasciarmi travolgere dallo sporco, come ricoprire le pareti della mia camera
con qualsiasi manifesto mi capitasse di procurarmi e corazzare il cesso con
abbondanti strati di carta igienica sulla tavoletta, prima di ogni seduta.
Avevo due romanzi nel cassetto e uno spirito guerriero che avanzava, lo
sentivo, verso le luminose intermittenze di qualche verità. Potevo mai
preoccuparmi delle ristrettezze in cui mi dibattevo ? Sì, me ne
preoccupavo. Con la stessa intermittenza con la quale il mio spirito si
librava nelle alte sfere di mondi ideali, la mia parte più istintiva si
angustiava per il fatto che i miei risparmi sarebbero presto finiti, e se
non avessi trovato il modo di procurarmi un reddito, le cose si sarebbero
messe male. Avrei potuto tornare nella mia città, a casa dei miei genitori.
Ma al pensiero avvertivo una sensazione dolciastra di disistima nei miei
confronti, forse perché il giorno prima di partire, un po' teatralmente, li
avevo investiti con queste parole.
"Non ne posso più della vostra noia borghese, del vostro atteggiamento
da mìtili, chiusi nel loro guscio pur di non sporcarsi le mani. La vostra
paura del vuoto è paralizzante, contagiosa, e le comodità che il sistema
consumistico vi offre sono la zavorra che vi ha sempre impedito di arrivare
a guardare un po' più in alto. Io ho deciso di andarmene via. Vado ad
affrontarlo il vuoto. E combatterò finchè la vita non mi darà del tu e
comincerà a svelarmi i suoi segreti."
Mia madre aveva sollevato gli occhi dall'articolo che stava leggendo su
"Chi", tra le cui colonne campeggiava una foto della
gengivosissima ex presidentessa della camera mano nella mano col suo giovane
marito, e lo aveva rivolto interrogativa verso mio padre. Mio padre, seduto
al tavolo della cucina a escogitare, come ogni sabato, il modo migliore di
distribuire la sua tripla e due doppie sulla schedina, era leggermente
arrossito e, con la sua voce roca, mi aveva quasi sussurrato "Fa' le
valige e togliti al più presto dalle palle, imbecille."
Il lunedì compravo "La Pulce", il martedì "Il
Mercatino", il giovedì "Mercatutto", il venerdì "Affarissimo",
ma quasi tutte le offerte di lavoro riguardavano vendite porta a porta, o
negozio per negozio o, per chi era già un po' più su e aveva esperienza,
si trattava di ambite posizioni di BUYER, PRODUCT MANAGER, AREA MANAGER,
PROMOTER, VISUAL MERCHANDISER e che il diavolo se li portasse tutti quanti
se per un laureato in Lettere Moderne, con spiccata propensione per le
lingue e una creatività senza limiti, non c'era nulla di meglio che cercare
di vendere robaccia a cittadini diffidenti in pantofole.
Ma un giorno, dopo una settimana che leggevo annunci e l'ultimo libro di
Mario Fortunato, alternando la lettura a oziose passeggiate tra Ponte
Vecchio e Piazza del Duomo, in cui cercavo di tradurre quello che si
dicevano tra loro i turisti e gli studenti americani che mi passavano
vicino, ho trovato un annuncio con un'offerta di lavoro che mi è sembrata
interessante.
Non stava su nessuno dei giornalini specializzati che acquistavo in edicola.
Era su un foglietto verde affisso ad un vecchio portone di via S. Gallo e
conteneva, stampati col computer, un occhio dalla pupilla penetrante e
questa scritta Sei giovane, sensibile, in grado di penetrare l'animo di chi
ti sta intorno ? Se la risposta è sì, sali al quarto piano, abbiamo un
lavoro interessante per te.
Mi sono guardato nella vetrina di un fornaio per vedere se ero presentabile
e ho domato un paio di ciocche ribelli, riflesso tra rosette e frittelle di
riso. Ho dato una stirata con le mani al pullover che indossavo e sono
entrato nel portone, che ho trovato già aperto.
Al quarto ed ultimo piano c'era una sola porta con campanello e una
targhetta d'ottone diceva NOVAMENS-Dr De Pisis. Ho bussato subito, e ho
sbagliato, perché quando un signore imponente dai lunghi capelli bianchi mi
ha aperto, non avevo nemmeno il fiato per parlare. Così ho fatto
confusamente capire a quel tipo che ero lì per l'annuncio sul portone e
sono rimasto zitto finchè, dopo avermi a lungo scrutato, non mi ha fatto
cenno di seguirlo per il corridoio.
Siamo arrivati in uno studio molto grande, con bellissime librerie di legno
scuro piene di volumi in edizioni lussuose. Quel signore si è seduto dietro
una scrivania in noce completamente sgombra e ha continuato a fissarmi. Se
uno ha presente Franco Mussida, il chitarrista della P.F.M., se lo può
figurare preciso com'era. Era uguale !
"Allora..." ha cominciato, "Io sono il Dottor De Pisis,
psicologo. E lei ?"
"Mi chiamo Mauro, Mauro Maris. Sono laureato in Lettere Moderne e..."
"Non le ho chiesto se è laureato in qualcosa. Per il lavoro che mi
serve ho bisogno di una persona intelligente, e capace di dialogare con gli
altri."
"Di cosa si tratta ?"
"Diciamo che si tratta di una ricerca scientifica sul campo. Sono
convinto di aver scoperto una tecnica di analisi innovativa, che può
risolvere i problemi di moltissime persone. Anche di persone normalissime,
non malate di mente, che potrebbero liberarsi di tutti quei cortocircuiti,
di tutti quei buchi neri dell'inconscio che le portano ad avere dei
comportamenti autodistruttivi, e perciò ad assicurarsi un'esistenza
infelice o comunque insoddisfacente."
"Fiuuu ! E' roba interessante, ma il mio lavoro in cosa consisterebbe
?"
"Semplice comunicazione. Lei dovrebbe illustrare il nuovo metodo da me
messo a punto, chiaramente in modo sommario, a tutte le persone che le
sembra possano averne bisogno, e dovrebbe lasciar loro un mio biglietto da
visita."
"Tutto qui ?"
"Sì."
"E dove dovrei reperire queste persone ?"
"Dove le pare. Diciamo in centro città più che altro, senza stare ad
allontanarsi troppo."
"Porta a porta ?"
"Porta a porta."
"Veramente...Mi ero ripromesso di non accettare lavori porta a
porta."
"Signor Mauro, anzi, Mauro (non ti dispiace se ti do del tu, vero ?),
non devi mica vendere nulla. Devi solo presentarti con gentilezza e parlare
per qualche minuto. E poi lasciare il biglietto da visita."
"E di quanto sarebbe la retribuzione ?"
"Diciamo che per ogni persona da te contattata che verrà nel mio
studio percepirai un premio di ventimila lire, più un fisso di seicentomila
al mese. Va bene ? Puoi gestirti tu il lavoro e gli orari come meglio
credi."
"Ma... Lo stipendio andrebbe anche bene...E anche quest'autonomia che
mi offre mi piace abbastanza. Il fatto è che non credo di essere adatto per
un lavoro porta a porta. Sono timido. Mi sbatterebbero tutti la porta in
faccia entro dieci secondi."
"Non devi preoccuparti per questo. Questo aspetto non rappresenterà un
problema, perché ti ho preparato una sorta di vademecum che ti fornirà un
metodo infallibile per farti accogliere bene ed ascoltare da chiunque.
Ricordati che sono uno psicologo."
Sono rimasto per qualche secondo in silenzio. Guardavo gli occhi neri
sfavillanti di De Pisis che mi inquadravano con un'espressione di attesa ma
anche di sicurezza, di imperiosità in un certo senso.
"Va bene !" ho detto, "Per me va bene."
De Pisis ha sorriso. Ha aperto un cassetto della scrivania e ne ha tirato
fuori una scatola di velluto nero poco più grande di un pacchetto di
sigarette, e un piccolo libretto di poche pagine dalla copertina
plastificata.
"Qui dentro ci sono i biglietti da visita," ha detto dando dei
colpetti sulla scatola, "mentre questo" e ha indicato il libretto,
"è il tuo Vademecum. Mi raccomando di seguirlo alla lettera. Non devi
inventare nulla, non devi improvvisare nulla. Devi soltanto fare e dire
esattamente ciò che è indicato nel Vademecum."
"Va bene, come vuole."
Si è alzato. Mi ha allungato la mano da stringere e ha aggiunto,
"Un'altra raccomandazione... Tu capisci che questo modo di contattare i
pazienti non è proprio canonico per uno psichiatra... Per cui ti sarei
grato se volessi osservare la massima discrezione possibile su questo lavoro
con amici e conoscenti."
"Certo. Capisco."
"Allora, prendi le tue cose e puoi cominciare domani stesso. Noi ci
vediamo tra qualche giorno. E stasera studia bene il vademecum, mi
raccomando."
Ci siamo sorrisi di nuovo e sono uscito. Mi sembrava in gamba il dottore, e
mi sembrava davvero il tipo in grado di scoprire qualcosa di nuovo in campo
scientifico.
Per le scale e mentre tornavo verso casa ho fatto qualche conto. Se gli
avessi procurato soltanto due pazienti al giorno, avrei guadagnato una cifra
superiore al milione e mezzo mensile. Ma come avrei fatto a sapere quanti
sarebbero andati allo studio ? Era un rapporto sulla fiducia evidentemente.
Ma sì, mi sono detto, mi ispira fiducia il De Pisis, con la sua aria da
scienziato pazzo. E poi seicentomila sono assicurate, male che va. Per il
resto staremo a vedere, dopotutto, se mi darò da fare, potrei anche
lavorare soltanto mezza giornata.
Quella sera nella mia camera, circondato dai visi ormai familiari di
Batistuta, di un altro giocatore della Fiorentina di cui non ricordo il
nome, di Sergio Caputo live in una discoteca di Marina di Grosseto ed altri,
compreso quello di una tettona in un poster di stile decisamente
camionistico, ho studiato con attenzione il vademecum sul libretto
plastificato.
Era diviso in cinque fasi, una pagina per ognuna di esse. Le fasi erano : 1
l'Approccio ; 2 il Sondaggio ; 3 la Transizione ; 4 la presentazione ; 5 la
Conclusione.
La fase dell'approccio diceva tra l'altro : Lo scopo di questa fase è farsi
accettare. Bisogna avere un aspetto curato, rilassato e sorridente, e avere
con sé una cartellina con dei fogli su cui appuntare le risposte date dalla
persona intervistata alle domande del sondaggio.
Quindi, la seconda pagina riportava la lista delle domande da fare, con
varie opzioni per andare avanti a seconda delle risposte fornite man mano
dall'intervistato.
La fase di transizione aveva come scopo quello di riuscire ad entrare in
casa. Una volta dentro seguivano la Presentazione e la Conclusione.
Tutto sembrava facile a sentire il vademecum, ma avevo come il presentimento
che dalle maglie di quella tattica escogitata secondo principi di alta
psicologia potesse pur sempre sfuggire qualche comportamento imprevisto,
davanti al quale mi sarei trovato spiazzato. Era il ricordo di De Pisis a
tranquillizzarmi un po'. Il tono sicuro e quasi divertito con cui mi aveva
detto "Ricordati che sono uno psicologo."
Una volta sicuro di aver memorizzato a dovere le cinque fasi ho guardato
l'orologio e s'erano fatte le undici e un quarto. Sono sceso alla cabina
telefonica all'angolo e ho telefonato a Katia, la mia ragazza, per salutarla
prima di andare a dormire.
Se devo dire proprio la verità, cosa che ci tengo a fare sempre,
soprattutto con me stesso e quando scrivo, che poi è uguale, da quando ero
partito la nostalgia di Katia non m'aveva affatto straziato. Anzi, la
lontananza me la faceva inquadrare, mi sembrava, con un'inedita e impietosa
lucidità. Non solo paragonavo le sue tette quasi inesistenti con quelle
delle spavalde studentesse che incontravo a torme la mattina lungo via S.
Gallo. Ma avvertivo anche una certa placida, inerte aridità interiore
manifestarsi nei suoi occhi verdi cerchiati dagli occhiali, se me li
immaginavo così, a distanza. Non sto dicendo che Katia non è intelligente,
per carità. Figurarsi che ciò che mi ha sempre attratto in lei, fin dal
secondo liceo quando ci siamo messi insieme, è stata proprio la sua
avidità insaziabile di cultura. A scuola era la prima della classe, ma i
suoi interessi già da allora spaziavano molto al di là delle materie
scolastiche. Si intende di astrologia ed esoterismo, di yoga e di alpinismo,
e ha letto romanzi di scrittori americani, inglesi e anche orientali di cui
confesso di non riuscire a ricordare nemmeno i nomi. Eppure, se posso dirlo,
a osservarla a freddo da qui, direi che è una persona superficiale. Tutte
le sue letture, le sue ricerche, non sono altro che hobby intellettuali,
farciture debordanti da una piccola tartina sciapa. Quello che mi sembra le
manchi, a lei come a tutti gli intellettualoni del suo tipo, è un motivo,
una ragione scatenante e insopprimibile da cui scaturisca il movimento. E'
come se giocassero a costruirsi pezzo per pezzo un'identità. Ogni dieci,
venti libri che aggiungono al loro bagaglio, si sentono un po' più sicuri,
ma io so che solo su delle vere macerie si può costruire qualcosa, solo nel
vuoto autentico si può provare a volare. E so anche che una volta che ci si
è provato davvero non c'è nient'altro che conti nella vita, se non
continuare a buttarsi da cime sempre più alte, col rischio che comporta.
Ecco, mi sembra che Katia non abbia minimamente intenzione di buttarsi mai
da nessunissima parte. Ciò che vorrebbe in fondo, è acquistare abbastanza
potere da dominare la vita stando ferma al suo posto, dura e incrollabile e
fredda come un macigno.
Il mattino dopo ho aspettato con un po' d'ansia che si facessero le
dieci, in modo da non correre il rischio di buttare la gente giù dal letto,
e sono sceso in strada per iniziare il mio lavoro.
Mi sono diretto verso piazza del Duomo e dopo un po' ho voltato in una
traversa di via de' Ginori . Al primo palazzo che mi sono trovato davanti ho
bussato ad uno dei pulsanti superiori del citofono.
Com'era indicato sul vademecum per farmi aprire il portone, alla voce che mi
ha chiesto chi fosse ho risposto, con un po' di scetticismo,
"Incaricato statistiche, mi apre ?"
La voce è rimasta zitta per qualche secondo, poi s'è sentito lo scatto del
portone che si apriva.
Sono salito a piedi fino all'ultimo piano, quindi ho bussato al campanello
della stessa persona che mi aveva aperto, quello con scritto Toseddu. Ho
sentito ciabattare all'interno dell'appartamento, finchè la porta s'è
aperta e mi è comparso davanti un vecchio in vestaglia coi capelli corti
bianchissimi e la faccia plissettata.
Mi ha fissato con occhi spiritati da cavia di laboratorio impazzita e io,
col cuore a tremila battiti/minuto, l'ho guardato implorante e ho attaccato
la mia parte.
"Buongiorno, mi chiamo Maris e sto facendo un sondaggio di carattere
scientifico tra la popolazione."
"Che razza di sondaggio è ?" ha detto il vecchio, che aveva un
marcato accento sardo, con una tale grinta che ho avuto la tentazione di
chiedere scusa per il disturbo e girare subito i tacchi.
"E' un sondaggio psicologico, per misurare il livello di realizzazione
personale dei cittadini."
"E a lei cosa gliene frega se i cittadini sono realizzati o no ?"
Mi sarei messo a piangere, e invece ho cercato di riprendere fiato e ho
insistito, ricordando cosa prescriveva il vademecum in casi come questi.
"Signore, non sia così diffidente. Lo scopo della mia visita non è
quello di venderle qualcosa, ma solo di farle qualche domanda."
"Ma quale domanda e domanda, io li conosco quelli come lei. Con la
scusa delle domande incastrate le persone ingenue e gli fate comprare
enciclopedie che costano milioni, o quei diavolo di aspirapolvere."
Fare subito la prima domanda, diceva il libretto.
"Si sente spesso affaticato, senza nessun motivo ?" ho chiesto con
tono mellifluo.
"E' lei che mi ha affaticato. Vada a rompere le scatole da un'altra
parte !"
Il vecchio sardo mi ha sbattuto la porta in faccia e ho sentito uno
scricchiolìo interno provenire dal mio amor proprio.
Avrei dovuto suonare all'appartamento a fianco, ma l'immagine del vecchio
che mi seguiva dallo spioncino e che magari usciva di nuovo ad allearsi col
dirimpettaio per cacciarmi meglio mi ha atterrito, così sono sceso
direttamente al piano di sotto.
"Buongiorno signora, mi chiamo Maris e sto facendo un sondaggio di
carattere scientifico tra la popolazione."
"Mi dispiace ma sto uscendo."
"Si tratta solo di cinque minuti."
"Non ho neanche un minuto, sono già in ritardo." Slam !
Di fianco c'era una cicciona sui quaranta, coi capelli rossi lunghissimi
e una veste da camera molto succinta, che lasciava intravedere delle zizze
bovine.
"Buongiorno signora, mi chiamo Maris e sto facendo un sondaggio di
carattere scientifico tra la popolazione."
"Certo, dimmi tutto bel fanciullo."
"Si sente spesso affaticata, senza nessun motivo ?"
"Mai. Anzi, mi sento sempre piena di energia, piena di fuoco. Capisci
cosa intendo ?"
Ho segnato con un certo imbarazzo la sua risposta sul foglio che avevo
davanti, in corrispondenza del numero civico, dell'interno del palazzo e del
cognome scritto sotto il campanello.
"Ha problemi ad articolare i suoi pensieri in modo chiaro ?"
"No. Non credo, almeno."
"Si sente nervosa ogni tanto, senza alcuna ragione ?"
"No."
"Ha dolori inspiegabili ?"
"No."
"Trova difficile emozionarsi in relazione a cose e persone ?"
"Ah no ! Sono molto emotiva io. Pensa che qualsiasi telefilm che
finisca un po' male, non so, tipo che lui e lei si lasciano o che lui muore
in un incidente stradale, mi metto a piangere come una fontana."
"Capisco..."
"Per dirti la verità, anche ora sono un po' emozionata." Ha
respirato profondamente, facendo straripare le tette sotto la stoffa
sottile. "Sai, non capita spesso che un bel ragazzo così giovane bussi
quando sono da sola in casa..."
Mancava solo l'ultima domanda, quella che fa "Le capita di provare
acuti stati d'ansia, senza sapere il perché ?", ma a quel punto era
chiaro che quella aveva intenzione di farmelo lei un "sondaggio",
quindi ho fatto finta di concludere la stesura del resoconto nella
cartellina e ho rapidamente levato le tende.
Nel palazzo seguente, dopo che una colf filippina mi aveva pregato di
andarmene brandendo minacciosamente il bastone del Mocio Vileda, sono
riuscito finalmente a lasciare il mio primo biglietto da visita.
Si trattava di un uomo sui trent'anni dall'aria svanita e con gli occhiali.
Ha risposto affermativamente a diverse domande del questionario, allora sono
passato alla fase della transizione.
"Questo sondaggio è stato approntato da un pool di psicoterapeuti di
fama mondiale, che stanno mettendo a punto un metodo per aiutare chiunque ne
abbia bisogno a superare le barriere inconsce che lo separano da una vita
piena e felice. Dove mi posso appoggiare per spiegarle come funziona ?"
AVANZARE diceva il vademecum, e ho fatto con insospettabile prepotenza un
passettino verso l'interno dell'appartamento.
"Prego, accomodati pure qui in tinello" ha detto l'uomo.
Mi sono sistemato in modo che lui, per starmi di fronte, desse le spalle
alla porta, come raccomandato dal libretto, e ho tirato fuori la scatola dei
bigliettini da visita.
Come prescritto, ho aperto la scatola e l'ho girata verso di lui.
"Se noi paragoniamo il funzionamento della nostra mente ad una collana
di perle," ho spiegato, "abbiamo le perle che sono i pensieri, i
ricordi, e il filo che costituisce la ragione, quella facoltà che ci
permette di effettuare il collegamento tra le perle e quindi di operare in
modo praticamente infallibile, risolvendo qualsiasi problema la vita ci
presenta."
"Sì" ha detto il mio interlocutore, e a guardarlo bene non mi
sembrava proprio quello che si dice un tipo sveglio.
"Il fatto è che spesso, senza che noi ce ne accorgiamo, il filo è
strappato in alcuni punti e i pensieri vagano scollegati nella nostra mente,
impedendoci di agire in modo razionale, di risolvere i problemi, di avere
quindi una vita felice. E questo avviene per cause esterne, per
condizionamenti dell'ambiente, per esperienze dolorose che hanno creato dei
black out nel nostro circuito razionale."
"Sì" ha detto ancora , ma dall'espressione che aveva dubitavo che
stesse davvero capendo. Sono passato quindi direttamente alla fase della
Conclusione.
"Se lei fosse interessato a sottoporsi ad una seduta di prova di questo
nuovo tipo di analisi, può telefonare a questo numero e chiedere un
appuntamento."
"Sì."
Gli ho consegnato un bigliettino e sono passato al piano inferiore.
"Buongiorno signore, mi chiamo Maris e sto facendo un sondaggio di
carattere scientifico fra la popolazione."
"Marje? Vien, vien purr. T' va nù caffè"
Il vecchietto, che non superava il metro e quaranta, parlava uno strano
idioma ma era amabile e mi ha fatto subito entrare, senza che nemmeno
iniziassi a fargli le domande.
Mi ha portato in un salottino umile ma molto ordinato e mi ha detto "Còmdate,
còmdate. T vad a preparrà lu caffè."
Mentre aspettavo seduto sul divano, ho visto una testa bianca sbucare da
dietro una porta socchiusa. Era a mezz'altezza e mi guardava con curiosità.
"Buongiorno" ho detto, ma non ha risposto nulla. Ho pensato che
doveva trattarsi di una persona su una sedia a rotelle.
Il vecchietto è tornato e si è seduto sul divano, a fianco a me.
"Dimm tutt Marje..." ha detto, e mi ha sorriso come un naufrago
che non vedesse un essere umano da mesi.
Ho spiegato che dovevo illustrargli una nuova metodologia psichiatrica che
avrebbe potuto cambiargli la vita e ho attaccato con la presentazione,
mentre la testa che sbucava da quella porta continuava a fissarmi.
Quando ho finito, mi sono permesso di chiedere "Ha capito in cosa
consiste il metodo ?"
Il vecchietto mi ha sorriso con lo sguardo assente e ha detto "Aspett,
che vat a prent lu caffè."
Quando è tornato ero di fronte ad una donna seduta su una sedia a rotelle
che a suo modo mi sorrideva. Aveva le gambe ridotte a due manici di scopa e
metà del viso immobile come una maschera di gesso.
"Buongiorno" le avevo detto di nuovo quando avevo visto che si
avvicinava, ma lei aveva soltanto emesso una specie di mugolio.
Io e il vecchietto abbiamo preso il caffè in silenzio. Ci guardavamo e ci
sorridevamo tutti e tre a vicenda, la donna con una contrazione che le
rendeva il viso sbilenco.
Alla fine ho detto che gli lasciavo un bigliettino per andare a provare il
metodo, ma non ero affatto convinto che la sua vita potesse in qualche modo
migliorare e, per dirla tutta, mi sono sentito un cane nel darglielo,
perché ci mancava solo che il De Pisis gli spillasse dei soldi a quei
poveracci.
Di situazioni tristi se ne vedevano di mattina, visto che le persone
attive uscivano e le case erano piene di vecchi, di malati e di disadattati
di ogni genere.
La più triste di tutte però mi è capitata il quarto giorno che lavoravo,
in un grosso condomino di Viale Lavagnini.
Come ho suonato il campanello al piano, mi ha aperto una giovane donna in
lacrime e sono stato investito da una sinfonia di urla e grida di pianto.
"Venga," mi ha detto la donna, "la stavamo aspettando."
Non ho fatto in tempo a spiegarle che doveva esserci un equivoco che già mi
aveva portato in tinello, dove un'altra donna anziana si disperava sul
pavimento, accanto ad un uomo, presumibilmente il marito, riverso col cranio
fracassato.
Il pavimento vicino all'uomo era un lago di sangue e dallo squarcio della
testa usciva una sostanza gelatinosa.
Ho sentito mancarmi l'aria e ho cominciato a vedere giallo.
"Mi posso sedere per favore ?" sono riuscito appena a dire, un
attimo prima di svenire.
Una volta sulla sedia mi sono pian piano ripreso e ho sorseggiato l'acqua
che la donna giovane mi ha portato.
"Cos'è successo ?" ho domandato.
"Mio padre stava mettendo un chiodo alla parete ed è caduto dalla
scala. E' morto sul colpo. Ha battuto la testa e dopo qualche secondo già
non respirava più."
"Io ... Non credo che stavate aspettando me... Io dovevo fare un
coso...Un sondaggio."
"Ah ! Allora lei non è il medico legale ?"
"No. Scusate l'intrusione..."
"Niente, è colpa mia che l'ho trascinata dentro. Mi scusi lei."
Mi sono alzato e a mala pena mi reggevo in piedi. Mi sono diretto come un
fantasma verso la porta d'ingresso, mentre il pianto della vedova s'era
fatto più sommesso ma continuava irrefrenabile.
"Mi dispiace per il sondaggio," è riuscita a dire la donna
giovane, "sarà per un'altra volta."
Insomma, porta dopo porta, avevo bussato a quella della morte e mi ero fatto
prendere di sorpresa. E' che non l'avevo mai vista così da vicino, e faceva
proprio una brutta impressione.
Di giorno in giorno, la mia dimestichezza con quel tipo di lavoro
aumentava e meccanizzavo una tecnica sempre migliore per rendermi
convincente. Facevo tesoro degli errori commessi e oliavo continuamente il
meccanismo già molto efficace offerto dal vademecum.
La mia percentuale di bigliettini consegnati rispetto alle persone
intervistate aumentava in modo costante, dandomi la certezza di stare
compiendo dei progressi.
Il dottor De Pisis ha mostrato subito di essere soddisfatto di me e dopo una
sola settimana di lavoro mi ha convocato nel suo studio per pagarmi i primi
premi maturati.
Mi ha accolto con calore e gli si leggeva in faccia che era contento di
vedermi.
"Caro Mauro, accomodati," mi ha detto, facendomi segno di sedere
di fronte alla sua scrivania enorme.
"Allora, hai visto che andare porta a porta era più facile di quanto
potesse sembrare ?"
"Bhè, è comunque dura, ma devo dire che il suo metodo funziona molto
bene."
"Dì un po', lo sai quanto hai guadagnato di premi soltanto nella prima
settimana ?"
"No. Non ho proprio idea."
"Ventimila per trentadue... Fa un po' tu..."
"Fanno seicentosessantamila. Ma com'è possibile ? Io ho lasciato
trentadue bigliettini in totale ! Sono venuti tutti !"
"Tutti ." Ha detto De Pisis e ha tirato fuori da un cassetto delle
mazzette di banconote. Ha sfilato sei pezzi da centomila e il resto che mi
doveva, e me li ha messi davanti sulla scrivania.
Nel salutarmi, sulla porta, mi ha dato una pacca sulla spalla e mi ha detto
"Datti da fare più che puoi, amico mio. Il tempo è denaro !"
Quella sera sono rimasto abbastanza confuso, preso da una vasta gamma di
pensieri e di sentimenti contrastanti. Ero stupito ma anche compiaciuto,
decisamente contento per le facili prospettive di guadagno che vedevo
all'orizzonte, ma anche assillato da una vena di sotterranea e indistinta
preoccupazione. Comunque, per festeggiare mi sono concesso una cenetta in
una trattoria e poi ho telefonato, senza la solita fretta per limitare gli
scatti, a Katia e anche a mia madre.
Al telefono mio padre, che era di buon umore, ha voluto parlarmi anche lui.
"Allora, ti sei trovato un lavoro ?" Mi ha chiesto.
"Sì, e guadagno anche molto bene."
"Quanto ?"
"Se continua così, oltre tre milioni al mese."
"Sicuramente ti sei fatto coinvolgere da qualche truffatore. Sei il
solito coglione !"
Era sempre il solito ignorante. Gli ho sbattuto il telefono in faccia.
Ero confuso, e a testimoniarlo posso citare un episodio che mi è
accaduto proprio il giorno seguente.
Stavo facendo i campanelli di un palazzo sul lungarno abbastanza elegante in
cui, per poter salire, avevo prima dovuto sondare il portiere e lasciargli
un bigliettino. All'ultimo piano ho bussato ad un appartamento che portava
Prof. Arlini inciso sulla targhetta d'ottone.
Mi ha aperto un signore sui cinquanta in jeans e camicia bianca, giovanile
anche nel taglio dei capelli lunghi e vaporosi.
"Buongiorno, mi chiamo Maris e sto facendo un sondaggio di carattere
scientifico tra la popolazione."
"Mi dica...Di che si tratta ?" Mi ha detto con grande
signorilità.
"E' un sondaggio di carattere psicologico, per misurare il grado di
realizzazione personale dei cittadini."
"Ma io mi sento assolutamente realizzato. E lei ?"
"Io ? Bhè, diciamo...Sì, cioè...Abbastanza. Il fatto è che
bisognerebbe prima stabilire cosa si intende per realizzazione
personale..."
"Giusto ! E lei lo ha stabilito, per quanto la riguarda ?"
"Vede... Io sono una persona un po' particolare...almeno credo..."
"Ma venga dentro, si accomodi. Questa conversazione è molto
interessante."
Sono entrato e l'ho seguito fino ad uno studio-salotto di una bellezza da
levare il fiato, in cui un'intera parete era costituita da una lunga vetrata
sul fiume. Degli splendidi tappeti ricoprivano il parquet scuro, c'erano
quadri antichi e anche una statua di marmo nero che riproduceva il Perseo di
Benvenuto Cellini.
Mi ha fatto accomodare e mi ha chiesto. "Lei crede che avere dei dubbi
sulle cose sia un indice di scarsa realizzazione personale ?"
"No, al contrario, credo che i dubbi siano il sale della vita !"
"E io concordo con lei. Ma il fatto di avere dei dubbi porta
necessariamente ad una mancanza di risolutezza e quindi, spessissimo, anche
ad una inadeguatezza nei confronti della vita pratica."
"Certo, è proprio il mio caso direi."
"Eppure lei va in giro a interrogare gli altri sul loro grado di
realizzazione."
Mi sono sentito disarmato, e anche un po' preso in giro. Ho cercato una
risposta che potesse rimettermi in linea di galleggiamento, ma lui mi ha
preceduto.
"Ma una volta appurato il grado di soddisfazione della gente, qual'è
il passo successivo ?"
"Devo spiegare il funzionamento di un nuovo metodo di analisi
psicoterapeutica. Se noi facciamo finta di avere una collana di
perle..." Gli ho spiegato ciò che avevo imparato a memoria dal
vademecum.
"Ho capito, ma questo pool di psicologi come farebbe, in pratica, a
ricucire gli strappi del filo ?"
"Mediante una nuova tecnica di analisi, denominata TRANSFER BOOMERANG,
che riattiva le parti inutilizzate della mente, che prima erano causa di
pensieri incoerenti."
"...E quindi di dubbi !"
La conversazione è andata avanti per una buona mezz'ora e il mio ospite
s'è dimostrato di un'intelligenza e di una sensibilità fuori
dell'ordinario. Ha fatto emergere tutta l'inquietudine che mi portavo dentro
da sempre e anche le perplessità sul lavoro che svolgevo.
Alla fine ero completamente alla sua mercè. Mi ha detto che anche lui era
uno psicologo e che insegnava all'università La Sapienza, a Roma.
"Scusami ora, ma ho del lavoro arretrato da esaminare. Comunque, quando
hai tempo, puoi venire nel mio studio, così cercheremo di togliere un po'
di confusione dalla tua testa." Ha preso un bigliettino da visita su
uno scrittoio e me l'ha allungato.
Un paio di giorni dopo m'è capitata una cosa che racconto con un certo
imbarazzo, ma l'ho detto, quando scrivo potreste pure minacciarmi di morte
che non mi convincereste a non dire tutta la verità...
Ad un campanello di via San Zanobi mi ha aperto una creatura di una tale
perfezione nelle proprie fattezze, di una tale dolcezza nei modi e calma
intelligenza nello sguardo, che quando mi ha fatto entrare ho perfino
dimenticato di presentargli il metodo del De Pisis. Ho visto che stava
leggendo "Due di due" di De Carlo in edizione economica e sono
stato preso dall'entusiasmo. Ho raccontato che avevo fatto la mia tesi di
laurea sui suoi libri e che lo avevo anche conosciuto. Ha detto che era uno
dei suoi scrittori preferiti, ma che preferiva Tondelli, perché lo sentiva
più vicino in qualche modo. Ci siamo scambiati le nostre opinioni sugli
scrittori italiani contemporanei e si lamentava che i programmi
dell'università non li contemplassero. Entrambi non capivamo l'accanimento
dei critici nei confronti della Tamaro, che comunque ritenevamo una
scrittrice vera. Ci piaceva Culicchia, anche se eravamo d'accordo sul fatto
che non avesse ancora scritto delle cose all'altezza del suo potenziale,
mentre su Del Giudice ha detto, dando forma di parole precise ad alcune
sensazioni che avevo avuto leggendolo, "A parte 'Staccando l'ombra da
terra ', trovo che raffini troppo ciò che vuole dire, riducendolo fino ai
minimi termini e facendolo arrivare ormai freddo sulla carta."
A casa ho ripensato a queste parole, a come pescavano meravigliosamente in
profondità.
Ma ho pensato a lungo anche ai tratti perfetti del suo viso,
all'espressività un po' infantile della sua risata, alla luminosità
conturbante dei suoi capelli biondi e della sua pelle chiara e liscia.
Mi dicevo che avrebbe potuto essere una specie di angelo, una creatura
asessuata che incarnasse l'idea che avevo sempre avuto della perfezione. Ma
alla fine dovevo sempre ammettere che Claudio era inequivocabilmente un
uomo.
Cosa mi stava succedendo allora ? Ero passato all'altra sponda tutto d'un
tratto ?
Ho cercato di andare a ritroso nella memoria e di cercare segnali di
un'omosessualità latente nel passato, ma a parte qualche gioco di lotta un
po' troppo insistito con un compagno della squadra di pallavolo, non ho
trovato nulla di significativo.
Eppure dal quel giorno sono andato a trovare Claudio ogni volta che potevo,
e quando ci lasciavamo, non riuscivo a togliermelo dalla mente. Neanche di
notte, quando facevo dei sogni erotici così abilmente dissimulati dalla mia
mente, che avrei costituito un caso sicuramente interessante per De Pisis.
Inutile dire che, mentre mi accadevano queste cose inaudite, Katia è
rapidamente scomparsa dai miei pensieri, senza lasciare nessuna traccia
evidente.
Alla fine della seconda settimana De Pisis ha fatto i suoi conteggi e mi
ha allungato settecentoventimila lire sul tavolo. Le ho prese con il
retro-pensiero che avrei dovuto chiedere qualche spiegazione, ma la mia
mente era talmente pervasa dalla presenza continua di Claudio che non
m'interessava più nulla di certi dettagli.
Quella sera, elettrizzato dal profumo della primavera ormai nell'aria, gli
ho telefonato da una cabina in centro e l'ho invitato a venire a cena in un
ristorante.
E' rimasto perplesso e la cosa mi ha fatto un male incredibile, visto che mi
aspettavo che accettasse subito con entusiasmo. Dopo aver pensato per
qualche istante, mi ha detto "Mauro, sei molto gentile come sempre, ma
credo di non poter venire."
"Che peccato..." ho detto, e mi sono spuntate quasi le lacrime
agli occhi. "Forse non avrei dovuto dirtelo così all'improvviso... Hai
già preso un altro impegno ?"
"Sì. Sai, di sera forse è meglio che non ci vediamo. Un giorno poi ti
spiegherò."
"Buon divertimento allora. Posso passare la mattina, quando mi trovo in
zona ?"
"Certo, come no ?"
"Ciao."
"Ciao Mauro, buona serata anche a te."
Ho riagganciato il telefono e ho sentito che la mia vita non valeva niente.
Niente i miei libri, la mia ricerca, niente il mio viso mediterraneo e il
mio corpo abbastanza armonioso, niente i soldi che riuscivo a guadagnare e
che all'inizio mi avevano fatto sentire euforico. Ho vagato per le vie
eleganti del centro in un tramonto di incredibile bellezza, tra turisti
spensierati e fiorentini ricchi che facevano shopping, ma nulla era in grado
di scalfire la cappa di malinconia che m'era calata addosso.
Quando il martedì mattina sono andato a trovare Claudio mi ha detto, con
un velo di dispiacere nei bellissimi occhi azzurri, che non potevamo più
vederci così spesso. Mi ha confidato di essere innamorato di un ragazzo che
si chiamava Samuele e lavorava in una fabbrica di materassi. Ha detto che
stavano insieme da tre anni e che lo aveva conosciuto per mezzo di suo
cugino, che giocava nella stessa squadra di rugby.
"Mi dispiace Mauro, ma forse è meglio che non ci vediamo più così di
frequente. Non vorrei che Samuele si ingelosisse."
Gli ho detto "Capisco. Comunque, non dovrebbe preoccuparsi di me. Io
non sono omosessuale."
Claudio ha sorriso, con una punta d'ironia m'è sembrato.
L'ho presa male, ma molto male. Giravo per la città come uno zombi
triste e incattivito e sfogavo tutta la mia rabbia sul lavoro. Ero diventato
una specie di panzer consegna-bigliettini, che una volta entratovi in casa
vi avrebbe puntato un coltello alla gola pur di raggiungere il suo scopo.
Per il resto non leggevo, non scrivevo e non pensavo neanche più, perché
qualsiasi pensiero articolato veniva disturbato prima o poi da qualche
immagine di Claudio, con effetti oscillanti tra il dolcissimo e il
dolorosissimo.
Alla fine del primo mese di lavoro, De Pisis mi ha convocato per andare a
prendere lo stipendio, comprensivo del fisso più i premi maturati
nell'ultima settimana. Ma quel pomeriggio ero così talmente ipocondriaco
che non c'è l'ho nemmeno fatta ad alzarmi dal divano puzzolente del
tinello, e ho continuato a guardare cartoni animati e talk show e Emili Fede
officianti, scolandomi una bottiglia di Lambrusco, finchè non sono passato
dal torpore al sonno profondo.
Ho deciso di andare a prendere i soldi la mattina dopo, nella speranza di
trovare il dottore allo studio.
Il portone era aperto e sono salito lentamente su per le scale, con la testa
ancora pesante per la sbronza della sera precedente.
Avevo già poggiato il dito sul campanello, quando ho notato che la porta
era stata chiusa male, senza far riagganciare completamente la serratura.
Ho esitato un attimo, senza sapere il perché, poi ho spinto piano il
battente e sono entrato.
Quando sono arrivato vicino alla stanza del dottore, l'ho sentito che diceva
qualcosa in un tono fermo. Sono rimasto in piedi fuori alla porta chiusa e,
dopo qualche istante di silenzio, la voce di De Pisis ha detto "La
stavo aspettando signor Cutrelli, perché so che lei ha un negozio molto ben
avviato in via Dei Calzaioli e quindi deve avere un bel mucchio di soldi in
banca."
"Veramente, negli ultimi tempi abbiamo messo molto nei fondi comuni
d'investimento. Sa, con la borsa che in questo periodo tira così
bene..."
"Certo, ha fatto benissimo. Ma ce l'ha una decina di milioni sui suoi
conti da potermi portare, vero ?"
"Sì, dottore."
"Padrone, mi chiami pure padrone."
Il sangue mi s'è praticamente ghiacciato all'istante in tutto il corpo. Con
un velo di sudore freddo sulla fronte mi sono chinato e ho guardato nel buco
della serratura.
De Pisis era seduto alla scrivania e di fronte a lui c'era un signore sulla
sessantina, al quale avevo lasciato un biglietto qualche giorno prima.
"Sì padrone," ha detto, "mi scusi."
"Bravo Cutrelli."
"Sa cosa deve fare Cutrelli ? Domani stesso vada in banca e si procuri
dieci milioni in contanti, così quando è sicuro che nessuno possa
insospettirsi e venirle appresso, me li porta qui in studio."
"Sì, padrone."
"A che ora crede di poter venire ? Sa, qui c'è sempre un viavai di
gente..."
"Alle otto, dopo la chiusura."
Ho notato che davanti agli occhi del paziente De Pisis aveva sistemato una
scatola come quella in cui io tenevo i biglietti da visita e che, a
guardarla dalla mia angolazione, emetteva strane luminescenze.
"Cutrelli, le ordino di non parlare di questo con nessuno e se qualche
familiare dovesse far caso al prelievo, inventi una scusa plausibile. Ora
puo' andare. Faccia fino a domani la sua vita normale, senza compiere alcun
gesto inconsueto."
"Sì padrone. A domani."
"A domani," ha ripetuto De Pisis, mentre in punta di piedi già
stavo avvicinandomi alla porta d'ingresso. Ho chiuso delicatamente e sono
volato giù veloce e silenzioso come un gatto.
Che razza di delinquente ! E io che mi sono fidato come un coglione ! Aveva
ragione mio padre, sono proprio un coglione !
Ero in preda al panico più totale. Avevo l'impulso di fermarmi al primo
telefono che incontravo e chiamare immediatamente la polizia. Qualcosa mi
frenava però, perché non riuscivo a distinguere in che misura, ma De Pisis
mi aveva incastrato, e avrei dovuto dimostrare che fino a quel punto non ero
stato suo complice.
Frastornato e atterrito da tutta questa battaglia interna, sono arrivato a
casa che mi sembrava di impazzire, tanto che ho ripetutamente tentato di
aprire il portone con le chiavi di casa dei miei genitori.
In camera ho subito preso dalla mia valigetta la scatola di velluto coi
biglietti da visita. L'ho aperta ed ho osservato da vicino, come non avevo
mai fatto prima, il simbolo della NOVAMENS riprodotto dietro il coperchio
sollevato. Nella pupilla scura di quell' occhio stilizzato, dopo qualche
secondo, ha cominciato a manifestarsi un leggero baluginìo.
L'ho toccata con un dito e ho sentito sotto il polpastrello che aveva la
consistenza di un minerale molto duro. Ma mentre facevo queste istintive
considerazioni, ho avvertito un certo strano torpore impadronirsi
rapidamente dei miei sensi.
Ho chiuso la scatola di scatto, e in pochi secondi quella strana sensazione
è svanita.
Sono rimasto in casa tutto il pomeriggio e tutta la sera, a rimuginare sul
letto, ora sopraffatto dal terrore che mi provocava quanto era accaduto, ora
in grado di tracciare con una certa freddezza il quadro della situazione.
Quella notte è stata la più lunga della mia vita.
Com'era normale non ho chiuso occhio, ma quello è stato il minimo. La
situazione che s'era creata, più tutte le novità intervenute nell'ultimo
mese, si sono infilate come un affilato coltello sotto il tessuto già un
po' logoro delle mie certezze. Erano le quattro del mattino, ed ero andato
in cucina a versarmi un succo d'arancia, quando ho realizzato che quel
tessuto, faticosamente ottenuto con tanti anni di sincerità, era stato
completamente lacerato. E che quelle lacerazioni mi mettevano di fronte a
una nuova vita, come se fossi un'altra persona ancora sconosciuta a me
stesso.
Il giorno dopo non sono andato alla polizia ma ho aspettato che si
facessero le undici, prendendo cappuccini in diversi bar del centro, finchè
non ho trovato il coraggio di telefonare a Claudio.
Gli ho detto che non avevo niente da leggere in quei giorni e che, se non
aveva nulla in contrario, avrei fatto un salto da lui per prendere un paio
di romanzi in prestito.
"Vieni pure Mauro, te li presto volentieri," mi ha detto.
In casa sua, dopo qualche chiacchiera preliminare, ho tirato fuori la
scatola di velluto e gli ho detto "Guarda un po' che strano disegno
c'è in questa scatola che ho trovato."
Claudio ha osservato con attenzione l'occhio di De Pisis , e qualche minuto
dopo si era già convinto di amarmi alla follia, e di dovere per questo
lasciare quello stupido rugbista.
Abbiamo anche fatto l'amore quella mattina , e devo dire che non avrei mai
immaginato che potesse essere così piacevole, così naturalmente bello,
senza nessuna di tutte quelle varie implicazioni che un etero convinto, come
me fino ad un mese prima, crede debbano esserci perchè un ragazzo ami un
altro ragazzo.
Ora io e Claudio stiamo insieme da quasi due mesi, anche se preferiamo,
preferisco, tenere la cosa riservata.
Ogni tanto sono tormentato da rimorsi. Mi capita di vergognarmi di spendere
i soldi che De Pisis mi dà settimanalmente, e di fare gesti che prima o poi
potrebbero anche tradirmi. Come l'altro giorno, che ho dato duecentomila
lire a un mendicante.
Ma la cosa che mi fa più soffrire, è il male che ho fatto a Claudio, e
anche il fatto che, per quanto cerchi di convincermi del contrario, il suo
amore è solo frutto di un imbroglio, di un incantesimo astuto, dovuto alla
scoperta delle proprietà ipnotiche di quella pietra da parte di De Pisis.
So già che un giorno metterò le cose a posto, per quanto sarà possibile,
e rinuncerò a questo paradiso in terra, con tutte le conseguenze del caso.
Ma ogni volta rimando quel giorno ad un prossimo, nebuloso punto nel futuro.
Lo so che stai pensando molto male di me, lettore ipocrita e moralista,
eppure lascivamente divertito, e ti capisco. Ma ho un paio di domande da
porti. Diciamo che si tratta di un sondaggio stile "Il gioco della
verità".
Se ti capitasse di avere per le mani l'occhio del De Pisis, ma pure, fa' tu,
una lampada di Aladino o una bacchetta magica d'un qualche tipo, non faresti
qualcosa di "diverso" anche tu ?
Quanto sarebbe diverso il tuo comportamento da quello attuale, se nessuno
avesse il potere di punirti o la possibilità di additarti alla pubblica
esecrazione ?
"Se Dio non esiste, tutto è permesso." Non mi ricordo chi l'ha
detto, ma il fatto è che io sono laico un bel po', e non è mica facile da
gestirsi la Libertà.
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