Fausto Cerulli

faccio l'avvocato tra orvieto e roma, ho difeso i compagni delle B.R. e di Prima Linea, e qualcuno del processo del 7 aprile. mi occupo dei detenuti che vengono picchiati per motivi ovviamente di ordine interno, collaboro a diversi giornali on line. ho solo un grosso peccato da farmi perdonare, ho scritto quasi un anno su Libero di Feltri, invitato dallo stesso Feltri, ed ho avuto il privilegio di scrivere roba di estrema sinistra su un giornale di destra; quando mi hanno chiesto di cambiare una virgola di un articolo, ho mandato affanculo Feltri e Libero. attualmente sono indagato per associazione sovversiva solo perché ho difeso alcuni compagni indagati per associazione sovversiva: i miei assistiti sono stati prosciolti, io no. sono stato legale del Manifesto insieme a Rocco Ventre ed a Paolo Angelo Sodani. il resto è resto.

Quando difendevamo insieme i brigatisti

Quando difendevamo insieme i brigatisti. Torna alla ribalta l'avv. Baccioli, un avvocato assai diverso dagli avvocati dello strillo istituzionale, quelli che difendono
le cause a peso d'oro, e fanno diventare d'oro, come Mida, le cause che toccano. Baccioli, oggi, difende la brigatista del trenino, e non poteva essere diversamente. Gli avvocati con il pedigree, quelli con ottocento segretarie e quattro autisti, non si sporcano le mani con i brigatisti, meglio i mafiosi assassini per denaro e per potere potere; meglio le congiunte di qualche boss della politica, che mette al mondo un figlio per celebrare l'assassinio di un altro figlio, meglio le parricide con lo psichiatra di scorta. Si guadagna meglio, si va da Costanzo, si tratta con la stampa l'intervista a peso d'oro, e magari si conquista una cattedra universitaria nelle facoltà del diritto stortignaccolo.
Baccioli appartiene a un'altra razza di avvocati, la razza in via di estinzione che crede che un avvocato debba difendere anche l'indifendibile, fare la parte dell'antitesi, per principio, contro la tesi accusatoria,nella speranza che la giustizia sia capace di fare
una sintesi. Ho conosciuto Baccioli al primo processo alle Br, nell'aula bunker del Foro Italico: le gabbie piene zeppe dello zoo brigatista, quattro guardie per ogni brigatista, e i giornalisti che ienavano e sciacallavano come si usava allora. In
quella atmosfera di linciaggio, Baccioli si alzò ad esprimere un concetto elementare
e profondo, un concetto che altri aveva sollevato in processi politici. Veniva in mente il processo di Norimberga, il processo a Rosa Luxembourg ed agli spartachisti, i processi agli anarchici. Il concetto era ed è che se un gruppo decide di lottare contro il potere istituzionale in quanto tale, non può essere sottoposto a processo da questo potere: i vinti non possono essere giudicati dai vincitori, perché manca la terzietà del giudice, il giudice essendo una emanazione del potere che ha vinto. Baccioli, con
un linguaggio pacato e tranquillo, gettò lo scompiglio nell'aula bunker; e tutti si
chiesero chi fosse questo Baccioli che si poneva fuori dalle regole del gioco, e parlava dei brigatisti come dei componenti di un esercito in guerra e ricordava
princìpi elementari del diritto penale internazionale. Non chiedeva l'impunità per i suoi assisititi, chiedeva soltanto che a giudicarli fosse un Tribunale internazionale, di cui non facessero parte magistrati per forza di cose prevenuti, colleghi ed amici
di altri magistrati morti in quella guerra che allora era guerra, e come tale considerata da tutti.
Baccioli: chi è costui, si chiesero tutti quella mattina, e si affannarono a ricostruire la biografia di questo avvocato non più giovane, che non faceva parte del Gotha dell'Avvocatura Italiana, che non aveva nessuna cattedra universitaria da cui NON fare lezione, ricavandone solo nome e prestigio, come gli Avvocati Avvocati di questa Italia in cui anche la madonna, in una preghiera a larga diffusione, viene chiamata Advocata Nostra.
Accadde allora che gli Avvocati di grido prendessero le debite distanze dall'eretico
Baccioli, e lo lasciassero solo con la sua tesi difensiva che era la sola ad avere una
qualche statura giuridica in quel guazzabuglio di pentiti illustri, di ministeri che
si costituivano parte civile, di mori morti ammazzati due o tre volte. Baccioli, ovviamente, corse il rischio di essere incriminato. Succede, agli avvocati che credono in quello che dicono e che dicono cose in cui non sta bene, secondo il buon senso comune cattocomunista ( che non è, paradossalmente, roba recente, ma roba di secoli di controriforma), non sta bene neppure pensare, figurarsi dirle e dirle in un aula di giustizia piena di riflettori, e di giornalisti pagati un tanto a ingiuria e un tanto
a richiesta di giustizia sommaria.
Baccioli scampò all'incriminazione: ma la sua tesi non scampò alla giustizia che rivendicava, contro Baccioli e contro il diritto delle genti, di farsi giustizia da sola.
Baccioli scomparve dalle cronache giudiziarie; ma ogni volta che un brigatista
veniva arrestato, a meno che non fosse il figlio di qualche ministro o il nipote
di qualche deputato, nominava difensore di fiducia Baccioli; dove la fiducia
voleva dire soprattutto sfiducia nella giustizia in cui giudici ed avvocati difensori
ed esponenti della pubblica accusa si danno le pacche sulle spalle e vanno a cena
insieme.
Conobbi Baccioli per caso, in qualche pausa di quei processi interminabili ed inutili, in cui tutto era stato deciso, bene o male. Parlavamo molto, io che ero alle prime armi ( accidenti, mi scappa sempre qualche termine barricadiero) e lui che aveva fatto per anni ed anni l'avvocato di provincia nella maremma grossetana, ed era nato pure a Manciano, e non si occupava di politica spoliticata; era un comunista all'antica, di quelli che la tessera gliela tolgono per indegnità politica solo perché si ostinano a ragionare con il proprio cervello comunista, più o meno come faceva quell'eretico di Lenin.
Ogni tanto ci incontravamo la mattina presto alla stazione di Orvieto: a lui piaceva
passare tre o quattro giorni ad Orvieto, forse gli piace ancora, e la mattina prendeva il primo treno, quello dei pendolari, con la sua borsa gonfia di carte che non servivano a nulla, perché la giustizia ha sempre più carte di tutti gli avvocati messi insieme.
Non disdegnava un cicchetto di brandy, in quelle mattine di troppa nebbia; e gli
si scaldava il sangue già caldo di toscano. E mi parlava dei suoi assistiti brigatisti, e non faceva lo snob a chiamarli compagni. Poi ci siamo persi di vista.
Adesso leggo di nuovo il suo nome, e riconosco il suo puntiglio; lo riconosco quando tutta la stampa scrive che la brigatista della domenica si è riconosciuta colpevole dell'omincidio Biagi; e lui, il Baccioli di sempre, precisa che la brigatista ha solo dichiarato che quell'omicidio, se davvero lo hanno commesso suoi compagni di buona o malafede, lei è costretto a metterlo nel suo bagaglio.
Baccioli, mentre si celebrano giustamente i funerali di Stato in nome di uno stato
a zigzag, starà giocando a briscola in qualche bar di Grosseto: dalle parti della
Stazione, così fa presto a partire quando lo chiama il prossimo brigatista senza
spalle coperte. A briscola, sembra, è un maestro: anche se non ha mai l'asso della
fama nella manica stretta della sua personale giustizia giusta.
Un avvocato che sarebbe piaciuto a Montanelli, e non dovrebbe dispiacere a Feltri.