Roberto Molle

sono uno come tanti, segni particolari zero. Amo la musica e il "suono" delle parole.

ottantottomegahertz

Arrivammo a Gemini che era ormai buio, Davide ed io sul mio fantic e Lucio da solo sul mini-chic con il giradischi tra le gambe. Imboccammo via fontana, a quell'ora completamente deserta; dall'alto i lampioni a campana, cullati dal vento, creavano curiosi giochi d'ombra; la strada senza macchine parcheggiate ai bordi prendeva le sembianze di un serpentone, una sinusoide perfetta, un'ondulazione che costringeva le case costruite ai suoi margini a curvare proprio dove cadeva una porta e rientrare nel bel mezzo di un giardino. Non so perché, ma quella strada, quelle costruzioni, per me, hanno sempre rappresentato un vecchio borgo medioevale, un po' malandato forse, ma da paragonare addirittura a certi rioni di Sarnano dove medioevale, a dir la verità, sembra anche l'aria che si respira.
Lasciammo i motorini appoggiati al muro della parte posteriore della chiesa, da lì si accedeva alla sacrestia e tramite una scala interna si poteva arrivare fin su alla terrazza; fuori c'era un monolocale che fungeva da ripostiglio, internamente i muri non erano rivestiti e anche il pavimento lasciava a desiderare, o meglio vi erano delle chianche di tufo ben allineate che rappresentavano il solaio esterno della sacrestia. Qualche tempo dopo quel ripostiglio sarebbe diventato lo studio di trasmissione di una radio… non di una radio qualunque, ma quello di radio Gemini, la radio libera più a basso budget che possa comparire in un improbabile elenco di emittenti via etere.
Ci guardammo intorno, non c'era nessuno neanche nella piazzetta prospiciente la chiesa, dove troneggiava un tipico monumento ai caduti in classico marmo travertino rappresentante una costruzione a forma di campanile, con sopra i nomi di alcuni soldati morti durante la seconda guerra mondiale, ormai quasi illeggibili e con qualche lettera mancante o sbiadita; ai quattro lati del monumento erano situati dei finti siluri e al centro si distinguevano ancora benissimo gli ancoraggi e le staffe che per qualche tempo avevano tenuto bloccata una vecchia carcassa di mitragliatrice, prima che qualcuno la trafugasse, probabilmente sarà andata a finire in qualche collezione di residuati bellici. Facemmo in fretta le scale che dall'interno della sacrestia portavano fuori alla terrazza superiore della chiesa, si vedeva poco, l'illuminazione era scarsa e all'estremità delle scale sopra di noi, su una piccola mensola era piazzato il trasmettitore, così piccolo che ci poteva stare anche in un pacchetto di sigarette.
L'idea era venuta a Davide, appassionato da sempre di elettronica, lo spunto lo aveva avuto da una rivista, il montaggio di questo trasmettitore era relativamente semplice da realizzare, il costo abbordabile: diecimila lire del 1977. In realtà il raggio di copertura dichiarato dalla rivista, in trasmissione era poco più di cento metri, ma noi contavamo di allungarlo a un paio di chilometri mediante un antennino ground-plane da radioamatore. Così dal minuscolo trasmettitore partiva un cavo che arrivava all'antenna, montata su un traliccio di circa sei metri. Non fosse per la forma particolare del ground-plane che gli conferiva una certa fierezza, l'aspetto era di una semplice antenna tivvù. Eravamo orgogliosi di quell'apparato semiserio che si stagliava verso il cielo arrossato in una notte di fine settembre, così ci fermammo qualche minuto a guardare verso l'alto e a discutere della frequenza; ci era sorto un interrogativo non da poco, se nella pratica l'oscillatore avesse tenuto o se si fosse divertito a mandarla a spasso per tutta la banda FM, ci tenevamo a quegli ottantottomegahertz!

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Le nuvole si muovevano lentamente e di tanto in tanto filtrava la luce della luna, che dava risalto al traliccio, ai tiranti e alla sagoma di Lucio che a causa della poca illuminazione, faticava a raccordare il connettore del cavo all'antennino, io cercavo di aiutare Davide con una torcia, illuminando il trasmettitore, mentre lui con uno spartano microcacciavite di precisione cercava di tarare la frequenza tramite una vitina montata sul circuito; dapprima imprecò dopo che si accorse di aver schiacciato un geco con le dita, convinto che fosse un pezzo di plastica depositatosi sulla basetta del trasmettitore, poi con nonchalance mi fece notare che non avevamo abbastanza cavo da farlo arrivare fin dentro lo studio (si faceva per dire…studio!). Mi precipitai giù, presi il giradischi, la radio e il primo elleppì che mi capitò sotto gli occhi, si trattava di sotto il segno dei pesci di Antonello Venditti. Rifeci le scale e passai il giradischi a Davide che lo sistemò sul limitare della porticina che dava fuori, Lucio raccolse la radio, pronto a cercare la frequenza e io sistemai il disco sul piatto poi in religioso silenzio, come in una specie di rito preparatorio ci sistemammo in cerchio mentre Davide lasciò cadere la puntina sui solchi dell'elleppì.
Dopo qualche secondo dalla radio venne fuori la voce di Venditti: Sara svegliati è primavera/…è stato solo amore se nel banco non c'entri più/…il tuo bambino se ci credi nascerà…Ci guardammo un attimo poi la nostra attenzione fu attirata dagli scoppi e dalle luci dei fuochi d'artificio che provenivano da Ugento, da lassù era un bell'effetto, Venditti passò a cantare bomba o non bomba ma noi eravamo felici lo stesso.
Il giorno dopo si fecero dei giri di ricognizione, Lucio guidava il minichic e Davide con la radio, cercavano di appurare la copertura del segnale sul territorio, in studio io selezionavo la musica da mandare on air, feci girare sul piatto quasi tutta la discografia dei Genesis, era bellissimo, potevo ascoltare i miei dischi preferiti insieme con chiunque si fosse sintonizzato sulla nostra frequenza. Mi faceva piacere poter contribuire ad allargare gli orizzonti musicali di altri ragazzi, insomma mi sentivo una specie di mister fantasy di la da venire. A ridimensionare i miei propositi ci pensò Lucio al ritorno dal girotest, era incazzato perché, invece di mandare in onda musica italiana (cchessò: i pooh, pupo, o al massimo i collage…) r-i-c-o-n-o-s-c-i-b-i-l-e! mandavo questi gruppi stranieri strani….. (no comment). A raffreddare tutti ci pensò Davide che con poche, chiare e inequivocabili parole ci fece capire che il problema non era il tipo di musica trasmessa ma che con quel trasmettitore non ci si andava lontano; in alcuni isolati il segnale di ricezione era debole, insomma il paese non era coperto interamente, vi erano delle zone d'ombra.
Nacque comunque radio Gemini e ci fu addirittura un palinsesto, io curavo e conducevo tre programmi, uno sui cantautori uno sul rock e un altro che era una specie di retrospettiva storico-musicale degli ultimi dieci anni di allora 1968-1978.
Poi arrivò la pubblicità che in qualche modo contribuì ad una selezione naturale delle radio libere, per sopravvivere bisognava accettare compromessi spesso umilianti del tipo: interrompere hey hey, my my, di Neil Young per mandare la pubblicità del fruttivendolo all'angolo.
Radio Gemini finì di trasmettere l'estate del 1980, io andai a lavorare in Svizzera per qualche mese, con Lucio finì li, aveva altre mete. Davide pensò ad una pausa, magari avremmo ripreso al mio ritorno a settembre prima della scuola.
Non ci fu un dopo, avevamo una concezione troppo romantica della cosa per riprendere con gli intermezzi pubblicitari.
Rimangono da qualche parte qualche centinaio di 45 giri ammuffiti, un vecchio giradischi che dopo qualche ora di funzionamento cominciava stancamente a vibrare distorcendo il suono, tanti cartoni di uova usati come insonorizzatori sulle pareti e una vecchia radio a valvole, presa in riparazione e usata come spia da studio e che alla fine delle trasmissioni, la notte, dal suo altoparlante mandava fuori i suoni di incontri ravvicinati del terzo tipo, poco fantasiosa sigla di chiusura. Rimangono chilometri di ricordi arrotolati nelle nostre teste, e rimane il volto di Patty Smith che dalla copertina di Frederick ci guardava con un piccione in mano.

 

PIOVEVA FORTE

PROLOGO

Pioveva da molte ore e non aveva nessuna voglia di mettersi in viaggio, ma il suo turno era finito alle due del pomeriggio. Non gli piaceva guidare con la pioggia, aveva sperato che smettesse di piovere per quell'ora, ma continuava a piovere.
Fantasticò un momento prima di uscire, guardando l'effetto dell'acqua sulle finestre, piccoli dardi liquidi che si lasciavano esplodere sui vetri. Fu interrotto dal suono delle campane e da un brusio di voci che a poco a poco si trasformarono in lamenti, lontani, indefiniti.
- Che strano effetto fa la stanchezza - pensò, scendendo le scale.
Un vento gelido di tramontana spazzava ad intermittenza le foglie rinsecchite di un vecchio salice. Salì in macchina percorrendo il solito tragitto, prese una scorciatoia per non attraversare altre città. In un quarto d'ora sarebbe arrivato a casa. Lungo la strada, le solite figure, i vecchi ruderi di case, le eterne muraglie di pietra, gli alberi spogli, illuminati di tanto in tanto dai lampi. Il cartello stradale indicava che imboccando lo svincolo a destra si arrivava a Porreto. Senza rendersi conto, svoltò sbagliando strada. Non si meravigliò più di tanto, sono quelle cose che spesso si fanno per induzione, automaticamente, quando si è sovrapensiero e i ricordi lo avevano riportato a qualche ora prima, in sala rianimazione, un uomo gli era morto tra le braccia. - Pazienza vorrà dire che ci metterò qualche minuto in più…- Pensò cercando di concentrarsi sulla strada.
Continuava a piovere e i tergicristalli scandivano il tempo come un metronomo. Un lampo più violento illuminò la periferia della città, e gli sembrò di vedere una figura immobile all'angolo della strada, accese i fari per vedere meglio. Era una ragazza, e li sotto la pioggia sembrava non curarsi di quello che succedeva intorno. Marco accostò al ciglio della strada, fermò la macchina e aprì lo sportello, una folata gelida di vento misto ad acqua lo investì, guardò la ragazza, e i suoi grandi occhi neri. Lei lo fissò per un attimo, un attimo eterno, di dolcezza infinita.
Aveva un impermeabile raccolto sul braccio sinistro, - "Puoi darmi un passaggio fino a Vaure… mio padre mi ha dimenticato qui…" disse con voce flebile, quasi un lamento, uguale al suono della Pioggia. Marco la fece salire e mentre lei chiudeva lo sportello, alzò gli occhi guardando oltre il vetro, accorgendosi di due statue ricurve che sovrastavano un edificio, guardò meglio oltre il cancello, centinaia di fiammelle brillavano, si trovava vicino ad un cimitero. La ragazzina si girò e lasciò cadere sul sedile posteriore l'impermeabile. Marco fu preso dall'impulso di fargli qualche domanda, del tipo : come mai suo padre l'aveva "dimenticata" li? Perché con quel tempaccio non indossava l'impermeabile?…. E poi lui non doveva andare a Vaure. Stava per parlare, ma lei lo anticipò: - Ti dirò dove fermarti…-
La Macchina ripartì, prendendo per la campagna. Il cielo aveva attimi di convulsione, fulmini giganteschi lo trafiggevano, l'effetto che ne risultava era come se un grande drappo nero fosse spruzzato continuamente con colori fosforescenti. Marco pensò che era meglio accompagnarla, a quel punto gli interessava solo arrivare al più presto a casa, dimenticando lei e i suoi misteri. Continuava a piovere, aumentò il ritmo dei tergicristalli che oramai non riuscivano quasi più a ripulire il vetro, di lì a poco, le prime case gli si piantarono davanti. Sempre con voce flebile la ragazza diede indicazioni dove la avrebbe potuta lasciare. Arrivarono in una strada stretta senza uscita dove c'era una casa bianca con le persiane di legno, la ragazzina scese, non disse nulla e sparì dentro la casa. Marco si sentì sollevato, ebbe la sensazione di aver portato a termine una missione. " … ma quale missione?" sbuffò, sentendosi ridicolo.



EPILOGO

Scese dalla macchina e si accorse che aveva smesso di piovere, accarezzò Cheyenne e guardò l'arcobaleno che si stagliava alto nel cielo. Entrando in casa si frugò nelle tasche
Cercando il cellulare, non trovandolo ridiscese le scale, ritrovandosi in garage quindi si diresse alla macchina. Aprendo lo sportello, allungo' il braccio all'interno e con la mano toccò qualcosa di morbido, senza guardare, si girò, l'impermeabile era lì, la ragazzina lo aveva dimenticato. - Non credo che gli importasse molto di quest'impermeabile! - pensò.
Aveva ripreso a piovere, ormai fuori era buio. Marco si staccò dal computer, per tutto il tempo non era riuscito a togliersi dalla testa quel volto pallido e quella voce. Un tarlo s'insinuò tra i suoi pensieri, provocandogli una forte emozione che in poco tempo si tramutò in angoscia, disagio, senso di colpa. Riuscì a calmarsi pensando che in fondo non gli costava niente se il giorno dopo fosse ritornato in quella strada senza uscita e avrebbe suonato a quella casa. Avrebbe consegnato l'impermeabile e magari avrebbe rivisto la ragazza, pensò anche di doversi scusare, in realtà aveva semplicemente voglia di rivederla.
IL giorno dopo suonò al campanello, sul braccio aveva l'impermeabile, gli aprì una donna, aveva grandi occhi di ghiaccio, lo guardò, - cosa desidera? - Disse. Lui turbato da quegli occhi, si sforzò di parlare: - …ieri ho dato un passaggio a sua figlia… mi sono accorto solo questa mattina che aveva dimenticato l'impermeabile in macchina… così l'ho riportato, volevo sapere come sta? Spero bene… ieri era fradicia e non l'indossava… sinceramente non capisco come… - La donna si accascio' tra le braccia di Marco e per poco non finirono entrambi per terra, - signora.. signora che le è successo, sono un medico! - La prese in braccio, con una spalla aprì la porta socchiusa, e si diresse verso un divano, la adagiò e guardandola si rese conto che la donna si stava riprendendo. Lei prendendogli dalle mani l'impermeabile, lo strinse al petto e scoppiò a piangere, Marco non capiva, cominciava a maledire il suo buonsenso e voleva andarsene senza chiedere altro, quando lei lo guardò e con una voce più dolce da quella con cui lo aveva accolto, disse: - Grazie per avermi portato l'impermeabile di mia figlia… - Lo fissò qualche istante prima di continuare: -…quest'impermeabile come l'ha avuto? Lo indossava un anno fa…quando… - Le lacrime ricominciarono a rigargli il viso e Marco non riusciva a rendersi conto che senso avesse tutto quello che stava accadendo. La donna riprese a parlare: - Lei ha affermato che ha dato un passaggio a mia figlia… ma com'è possibile? Mia figlia è morta un anno fa, …un incidente… lei aveva appena oltrepassato il cancello del cimitero e una macchina è arrivata, quando… l'impermeabile era un regalo di qualche giorno prima, non fece in tempo ad indossarlo… -