Juan
Lucas Belmonte come ha
scritto Garcia Marquez: "Vivere per raccontarla". Vivo e posso
raccontare. Allora lo faccio. Che importa poi se invento perchè a me
sarebbe piaciuto così? |
Amici
I lampioni disegnavano cerchi gialli sull'asfalto
bagnato, i riflessi illuminavano due ragazzi accovacciati sui gradini di un
portone del loro condomino. Il giubbotto e i jeans strappati di Andrea non
lo riparavano dall'umidità, stringeva le spalle nascondendo le mani tra le
cosce, la barba lunga di tre giorni, la schiena appoggiata al marmo freddo,
guardava Marco negli occhi: <<Ti sembra possibile? Così senza
spiegazione?>>.
Era ormai notte fonda, Marco guardò l'orologio, erano le quattro, ormai
parlavano da due ore, ma non poteva abbandonare l'amico solo col suo dolore:
ascoltare è uno dei doveri dell'amicizia.
<<Vabbè non fare così! Magari sta vivendo un momento particolare e
ha bisogno di stare un po' sola.>>
<<Si, sola. Sola con chi?>>
<<Ma non deve per forza esserci qualcun altro! Ti ripeto magari ha
bisogno di capire cosa vuole davvero dalla sua vita. Se veramente ha quello
che vuole!>>
<<Cazzo che amico meraviglioso che ho! E cosa voleva di più? Non le
ho fatto mancare mai niente e la tenevo sopra un piedistallo! Una
dea!>>
<<Infatti capirà di avere sbagliato, e questo momento le
passerà!>>
<<No. È che non se lo meritava. Tutto quello che ho fatto per lei non
lo meritava e non lo merita nemmeno ora!>>
Gli occhi arrossati di Andrea si chiusero lentamente e la sua testa si
chinò tristemente tra le ginocchia,
<<E che cazzo! Mica è l'unica ragazza al mondo! E che è!>>
Andrea lanciò uno sguardo assassino e ironico al suo amico,
<<E poi ti ho detto che tornerà indietro: stava troppo bene con te.
Si vedeva benissimo! >>
<<Ma sai che mi stai dicendo le stesse cose di quando ti sei lasciato
con Vanessa? Identiche! Ma te le sei registrate e ora me le
riproponi?>>
<<Senti se devi rompere le palle allora ti lascio da solo e
vaffanculo!>>
<<Oh! Vedi che quello incazzato sono io mica tu; quindi zitto e
subisci le mie paranoie!>>.
Silenzio.
<<Quella stronza non si merita nemmeno un lacrima!>>
Andrea rituffò il viso tra le ginocchia e ricominciò a spogliare il suo
cuore amareggiato dai sospetti, seguendo con le dita le venature del marmo
come il filo del destino,
<<E poi secondo me tra lei e quel tipo lì, Emilio, è già successo
qualcosa. Non mi avrebbe lasciato se non fosse successo niente. Invece
siccome ha la coscienza sporca, e non se la sente di guardarmi in faccia, mi
comunica per telefono che vuole "pensare perché non capisce bene cosa
prova davvero". Ma vaffanculo, lei e la stronza che è!>>
<<Ma chi ti dice che prova qualcosa per questo Emilio? Per me ti stai
facendo troppi film in testa!>>.
Andrea posò i suoi occhi verdi e glaciali, con un gesto di sfida, su quelli
caldi e rassicuranti dell'amico,
<<Cazzate! Certe cose si capiscono!>>
<<Se vabbè! Se sei convinto di una cosa, certo che tutti gli indizi
ti combaciano.>>
Andrea respirò pesantemente nel silenzio, poi rilanciò nuovamente la sfida
all'amico, occhi negli occhi, avevano sempre parlato sinceramente
<<Le ultime volte che siamo stati insieme, capisci che vuol dire
insieme no?, ecco si comportava in modo diverso, faceva delle cose che non
aveva mai fatto, delle cose nuove, con una certa esperienza, almeno
sembrava. E secondo te da chi le aveva imparate?>>
<<Ma dai! Eri tu prevenuto e allora vedevi ombre che non
c'erano!>>
<<Si ombre, vedevo figure reali!>>
<<E poi senti quello che dici? Forse stai capendo il motivo e la
spiegazione che cercavi! C'era qualcosa che non andava bene. Infatti tu eri
più attento anche alle leggere sfumature dei suoi atteggiamenti, e le
sottolineavi e le memorizzavi.>>
Andrea rimase zitto un minuto a riflettere sull'ultima affermazione
dell'amico accarezzandosi la barba. Era proprio vero, nell'ultimo mese tutto
quello che faceva Teresa, rappresentava per lui un'incognita, quindi
ripassava più volte in testa le sue parole, i suoi movimenti, i suoi
sguardi per carpire i motivi della loro apparente crisi.
<<Andiamoci a prendere una birra qui di fronte che almeno mi tolgo la
sete. Stiamo parlando da due ore!>>
Tornarono sui gradini dopo alcuni minuti,
<<Che poi sono stato davvero un coglione! Lei sempre più di me,
però! Perché secondo me quello fa il playboy. E ci riesce bene! Ho saputo
che ogni tanto, anche se ha moglie e figlio, qualcuna se la fa
tranquillamente. Il bastardo! E la sua tecnica è quella della banderuola:
ti da sempre ragione e ti fa sembrare che tutto quello che dici è giusto e
intelligente, che la pensa sempre come te e che avete le stesse idee,
pensieri, hobby e tutti altre cazzate del genere. E io, come un pesce
all'amo, sono pure andato a chiedergli consigli su come comportarmi con
Teresa. Ma ti rendi conto che coglione?>>
<<Ma perché sei andato proprio da lui?>>
<<Semplice. Teresa diceva che erano sulla stessa lunghezza d'onda, che
era un amico perfetto, che la comprendeva immediatamente! Andavo a chiedere
al lupo come badare alle pecore! Ma si può essere più
rincoglioniti?>>
<<Dai tutti sbagliano! E poi non potevi sospettare niente! Sempre se
è come dici tu!>>.
Continuarono a parlare fin a quando il sole fece capolino tra i resti
sfilacciati delle nuvole, spargendole di cremisi e viola nello sfondo blu e
azzurro del cielo ormai limpido.
Andrea trascorse quei giorni arrancando tra università e amici, ingoiando
il dolore, e facendo finta che la vita continua, dopo tutto! Conobbe altre
persone, cambiò giro di amici, a volte cambiò pure città.
Marco tornò alla sua attività di sceneggiatore, e all'occorrenza regista e
attore. Gli mancavano solo la messa in scena degli spettacoli e i
finanziamenti per vedere realizzati i suoi sogni. In fondo non gli mancava
molto.
Due settimane dopo l'alba vissuta insieme, Marco e Andrea uscirono insieme,
entrarono nel loro solito pub, i soliti vecchi amici di sempre, la sicurezza
di una serata tranquilla e divertente.
<<Sai Andrea, dopo quella nottata insieme, ricordando il tuo stato
d'animo e le tue sofferenze, mi è venuta da scrivere una canzone.>>
<<Pure cantautore? E bravo! E sulle disgrazie degli altri!>>
Marco rimase un secondo inebetito dall'acida risposta dell'amico,
<<Uè stavo scherzando! Che ti sei incazzato? Dai! Era per farti
arrabbiare! Davvero hai scritto una canzone per me?>>
<<No, per tua sorella!>>
Risero assieme, e Marco andò a prendere due birre, tornò al tavolino con
due boccali di rossa alla spina, si sedette sul suo sgabello,
<<Te lo volevo dire perché, sai, in fondo ti appartiene!>>
<<Giusto! Vediamo? Ce l'hai qui?>>
<<No, purtroppo no!>>
<<E quando la posso vedere, e sopratutto sentire?>>
<<Beh facciamo così, ora te la scrivo. Aspetta che vado a cercare un
pezzo di carta e una penna.>>.
Si alzò si diresse verso il bancone, parlò con Sandro, il barista, pochi
secondi e tornò con un foglietto di block notes e una penna rossa
<<Questo è ciò che di meglio ho potuto reperire!>>
<<E da quando importa la forma. È il contenuto quello che
conta!>>.
Marco impiegò alcuni minuti ad articolare la sua grafia barocca
sull'instabile tavolino del pub, poi consegnò il foglietto ad Andrea, che
lesse avidamente le righe d'inchiostro rosso:
Sorride il sole sulla città
ma in fondo al cuore t'importa poco,
t'accarezzi la barba …
fosse stata con te dovresti tagliarla
se n'è andata dalla tua vita
come una rondine in cerca di altro clima.
Ogni amico ha il suo "mi dispiace"
qualcuno dice "ah le donne, le donne"
altri ti consigliano di non pensarci, di guardare avanti
ma piovono ricordi
e tu non hai che un misero ombrello bucato!
L'amore finito fa male
e di certo non serve il sale
di lacrime versate
per guarire le ferite …
e la notte non passa mai
pensi sempre di più a lei
alle tue colpe, ai suoi sbagli
mentre soffochi sbadigli
e poi pensi "Dio … ti sembra onesto"
e pensi ancora "Dio … che cos'è giusto"
e pensi … piangendo.
Andrea lesse due volte il foglio consegnatogli
dall'amico, poi lo ripiegò in quattro e lo ripose nel portafoglio. Prese il
boccale, lo alzò in aria, guardò Marco negli occhi,
<<Ai veri amici!>> e trangugiò un lungo sorso di birra, subito
imitato dall'altro. Era sicuro che Marco fosse un vero amico e questa altro
non era che un'ennesima conferma. Ma nonostante i diversi tentativi Andrea
non riuscì mai ad ascoltare la musica di quella canzone.
Trascorsero altri mesi. Andrea continuò i suoi studi rimettendosi in
carreggiata con gli esami, vivendo sempre meglio la sua condizione da
single. Almeno fin quando non incontrò Rebecca, mora, alta, capelli corti e
occhi orientali. Intelligente e simpatica. Una svolta nella sua vita. Nella
tasca portamonete del suo portafoglio, un foglietto di block notes ripiegato
in quattro, teneva compagnia alla sua moneta portafortuna.
Marco era immerso nella prove della sua commedia, mattina e pomeriggio, la
messa in scena era stata fissata il ventisei ottobre. Mancavano ancora due
mesi, ma il primo impegno vero davanti ad un pubblico era un appuntamento da
non sbagliare. E poi era un triplice debutto: attore, regista e
sceneggiatore. Aveva voluto fortemente quello spettacolo, e c'era chi aveva
scommesso sul suo talento, non poteva deluderli.
<<Pronto? Ciao Marco, dimmi … ah si? E quando? … si credo di si,
anzi sicuro! Allora il ventisei alle ventuno, al teatro Orioli. Ci sarò,
fammi avere due biglietti che domani passo a prenderli. Ciao a
domani!>>.
Andrea e Rebecca entrarono negli spogliatoi del teatro,
<<Ehi allora in bocca al lupo!>>
<<Si in bocca la lupo>>
<<E no! Qui si dice "merda">>
<<Ok! Allora "MERDA">>, gridarono in coro i due.
Andrea e Marco si scambiarono una stretta di mano e si diedero appuntamento
dopo lo spettacolo al solito pub, avrebbero brindato al successo della
commedia, Rebecca sarebbe andata a casa prima visto che l'indomani aveva da
studiare molto.
La storia era carina, raccontava di tre ragazzi che abitavano nella stessa
casa, erano diversi con interessi diversi, e conoscevano la stessa ragazza
descrivendola diversamente ma innamorandosene ugualmente.
Marco interpretava un artista di piano bar, il primo ad innamorarsi della
ragazza.
<<È una commedia davvero carina>> sussurrò Rebecca, <<E
poi loro sono tutti bravi>>,
<<Già. Guarda, ora Marco canterà, vedi il pianoforte? Mi ha detto
che suonerà e canterà una canzone.>> rispose sempre sussurrando
Andrea.
Sul palcoscenico Marco si sedette al piano e intonò delle note semplici,
iniziò a cantare, le parole della canzone sembravano conosciute, ma Andrea
non ricordava né l'autore né il cantante, poi d'improvviso un bagliore nei
bui ricordi della mente: "un misero ombrello bucato". Cazzo la
canzone, la sua canzone, quella che non era mai riuscito ad ascoltare.
Piccole gocce di sudore gli scesero lungo la schiena, si sentì come un
bambino sorpreso con le mani nel barattolo della marmellata, con la paura
che tutti potessero riconoscerlo e additarlo. Riuscendo nello stesso tempo a
godersi la musica e le parole della canzone, risvegliando ricordi tristi e
sepolti, emozionandosi per la doppia sorpresa.
<<Sei un gran porco! Me lo potevi dire no? Mi hai fatto sudare
freddo!>>
<<E che piacere c'era? Non è stato più bello così!>>
<<Eeh, bellissimo, però magari me la sentivo con più calma essendo
stato avvertito, che dici?>>
<<E si però vuoi mettere la faccia che avrai fatto nel momento in cui
hai capito cosa stavi ascoltando? Impagabile!>>
<<Basta sei uno stronzo! Deciso e confermato!>>.
Bevvero una birra assieme al resto della compagnia teatrale e trascorsero
una allegra serata tra brindisi e prese in giro ai vari errori di scena
degli attori.
Molti anni sono passati da quella sera e da quella notte. I due amici si
vedono ormai raramente. Marco vive a Roma, fa il regista. Andrea è
dirigente di una società di informatica a Milano. Sotto la luce gialla dei
lampioni, davanti al portone di casa sua, Andrea scava dalla tasca del
cappotto il portafoglio, apre il portamonete, dietro la sua moneta
portafortuna fa capolino un foglio ingiallito, ripiegato in quattro.
Sorride, prende il cellulare: <<Pronto, Marco?>>.
Scirocco
Il video citofono è uno degli strumenti che mette
più in imbarazzo l'essere umano. È come essere davanti ad una telecamera
televisiva: non si sa mai che faccia fare. Poi, appena pigi sul pulsante,
dopo diversi minuti passati a cercare il cognome, scatta un sistema di
allarme da Banca d'Italia: una luce ti illumina direttamente la retina con
una potenza inaudita, saranno duecento watt; il secondo atto è eseguito
dall'obiettivo della telecamera, che si allunga verso i tuoi occhi
socchiusi, mentre ti stai allontanando per sfuggire a quella tortura
meccanica. Davanti ai video citofono ho assistito alle migliori performance
di clown involontari. Trascorsi pochi secondi, durante i quali cerchi di
recuperare un minimo di serietà, ti risponde una voce, che al novanta per
cento delle volte non riconosci (tutto compreso nell' offerta video citofono
più kit per camuffare la voce).Cerchi allora nel repertorio delle tue
espressioni quella che più si avvicina ad un misto tra James Dean e Marlon
Brando, e invece ti viene fuori Jerry Lewis mischiato con Totò. Ti senti
osservato come un bradipo allo zoo e con la stessa lentezza pronunci le
parole che ti sei preparato nell'attesa.
Questo è il trattato tecnologico-filosofico che ho imbastito durante il
percorso fino a casa di Rebecca.
Al capitolo due del trattato "Il mio nemico video citofono",
Rebecca, per fortuna la riconosco, mi risponde
<<Ciao. Scendo tra un minuto.>>.
Nel nero della telecamera immagino il suo sorriso chiaro, mi poggio al
cofano della mia auto, sotto il sole primaverile delle dodici, e aspetto che
scenda. Il portone si apre con uno scatto metallico, i vetri a specchio,
ombreggiati dagli alberi delle aiuole, non mi hanno rivelato la sua presenza
prima di quel sottile rumore. Mi volto e lo splendore della sua pelle
diafana mia acceca, il suo sorriso, identico a quello che mi ero immaginato
poco prima, mi paralizza, mi viene incontro, mi abbraccia (che profumo di
vaniglia),
<<Ciao! Da quanto tempo non ci vedevamo! Come stai?>>,
<<Bene. Anche tu, vedo! Sei splendida!>>,
<<Dai, finiscila di scherzare!>>,
un lieve rossore le colora gli zigomi, leggermente puntellati da piccole
lentiggini chiare. È davvero incredibile! Non mi aspettavo che mi entrasse
così dentro. Le lettere che ci eravamo scambiati presagivano un certo
feeling, ma la sua presenza è un lampo azzurro nel mio cuore giallo.
Posteggio vicino al lungomare sopra la Marina, le chiome verdi degli alberi
un metro più in basso, gonfiate dal vento di scirocco che soffia teso sui
nostri visi sorridenti, creano il miraggio di volare.
<<Sono felice che ci siamo rivisti e mi dispiace davvero molto di
ripartire proprio quando tu arrivi. Sono proprio sfigato.>>
<<Non preoccuparti, ci rivedremo presto no?>>
<<Beh, si più o meno! Scendiamo?>>
<<Ok!>>.
Seguiamo il perimetro della Fonte, poi incontriamo sulla nostra sinistra la
spiaggia con i sette scogli, delimitata dalle ringhiere barocche, e infine
oltrepassiamo gli alberi secolari del giardino, che ricamano sorprendenti
giochi d'ombra. Nella stradina che porta alla banchina del porto la prendo a
braccetto, lei sbatte le sue lunghe ciglia spolverate di azzurro, mi lancia
uno sguardo di sfida e di contemporaneo incoraggiamento, io ne avevo proprio
bisogno per capire almeno un po' le sue intenzioni. Per il momento sembra
contenta di vedermi e di parlarmi, di starmi vicina.
Sul mare il vento è ancora più forte, increspa l'acqua del grande porto
naturale disseminando la rugosa superficie azzurra di piccoli sbuffi
bianchi, sollevando schizzi d'acqua che mi rinfrescano il viso. Un soffio
ruffiano si insinua dentro il suo giubbotto jeans, e affonda nel suo corpo
gonfiando la maglietta, intravedo seni bianchi racchiusi nel reggiseno nero,
seguo il loro sinuoso ondulare con gli occhi coperti dagli occhiali da sole.
Risalgo poi il suo collo morbido, le sue labbra rosa, il suo nasino
all'insù, i suoi occhi orientali che mi guardano, "Zac!
Beccato!".
Guardo dietro lei,
<<Ehi guarda lì! Libri! Andiamo a vedere?>>,
<<Si, andiamo!>>, e accenna un mezzo sorriso facendomi capire di
essere stato appena condannato a due avemaria e tre paternoster per pensieri
impuri.
<<Guarda qui, "La civiltà Etrusca". Prima o poi devo
comprare un libro sugli etruschi. Dovevano essere un popolo molto
interessante.>>
<<Si, lo credo pure io. E questi? Pirandello, Baudelaire, Kafka,
addirittura. C'è proprio di tutto!>>.
Lei compra un libro di poesie di Neruda, poi continuiamo a passare in
rassegna i libri della bancarella. Andiamo sotto gli alberi che poco prima
avevamo sorvolato, torniamo sulla banchina, gli spruzzi salati ci inondano
di profumo, il vento ci rinfresca la pelle, il cuore mi riscalda il petto,
<<Ci sediamo su quella panchina?>>
<<Si!>> le rispondo, felice della possibilità di starle più
vicino.
Ci sediamo su una panchina di marmo, coperta da scritte e geroglifici
lasciati da tutti i ragazzi che hanno marinato la scuola negli ultimi anni.
Uno accanto all'altro, ma non mi piace, è difficile vederla in viso, e
perdermi nei suoi occhi. Cambio posizione, ma non c'è nessun miglioramento
apprezzabile.
<<Ti vuoi mettere da quest'altra parte?>>, mi chiede cercando di
risolvere il mio problema logistico,
<<Si, così il vento non ti arriva direttamente.>> ,
mento spudoratamente.
La situazione è solo invertita, non è cambiato niente. Allora decido,
<<Mettiamoci così, in modo che ci difendiamo dal vento>>,e ci
sistemiamo seduti a cavalcioni della panchina, le sue cosce sulle mie cosce,
viso contro viso, intrecciati a guardarci.
<<Leggiamo una poesia?>>, mi chiede svegliandomi dal cuscino dei
suoi occhi,
<<Si. Leggi tu, che sei più brava!>>.
La sua voce persa nel profumo del mare sembra quella di una Sirena, e io,
Ulisse, legato dalle sue gambe al marmo, ascolto, impotente, il suono
melodioso uscire dalla sua bocca, stordirmi con le parole del Poeta.
Il vento le scompiglia i capelli, portandole dei ciuffi ribelli sulle
guance, glieli scosto con le dita, per permetterle di continuare a leggere,
le accarezzo con il dorso della mano la pelle morbida sotto gli zigomi. Le
sue ciglia sono da dichiarare come arma impropria! Il vento, forse mio
complice, insiste imperterrito, non riusciamo a tenere gli occhi aperti,
allora mi avvicino mettendo le mani a coppa ai lati delle tempie, sono di
fronte al suo viso, ci possiamo guardare negli occhi. Sono caldi e profondi,
come la sua anima, è proprio vero che sono uno specchio. Le guardo le
labbra invitanti, lei mette gli occhi sui miei, un dito sulle mie labbra,
glielo bacio, lei se lo porta sulle sue e ricambia il mio lieve bacio
riportando l'indice sulla mia bocca. Mi sposto, mi avvicino, una morbidezza
sconfinata e inimmaginabile mi pervade tutti i sensi. La vorrei mangiare,
sembra una caramella gommosa, al gusto di mandarino. Dolce e un po' aspra,
tenera e un po' umida, sogno e un po' realtà.
Riapro gli occhi ed è ancora lì. Mi guarda serena e scintillante, mentre
il vento le copre il viso con un ciuffo scompigliato, che non fa altro che
aumentare il suo inconsapevole fascino.
<<È da tanto tempo che immaginavo questo momento>>,
è l'unica frase scontata che riesco a tirare fuori da un cassetto del mio
cervello ormai partito per altri mondi, per altre galassie, e tornato
improvvisamente sulla terra, ma solo per dire quelle stupide parole!
Lei mi sorprende poggiandosi con la fronte sulla mia spalla,
<<Anch'io!>>. |