Marta
Sulis
vivo nella provincia di Roma. La lettera che vi mando fa parte in realtà di un romanzo che sto scrivendo (per ora sono circa 130 pg), una sorta di saga familiare un po' stravagante. Il nome Sibilla l'ho scelto come omaggio a Sibilla Aleramo, scrittrice che mi ha molto ispirato. |
LA TV MAGICA "Hai visto ieri pomeriggio
l'ultimo episodio delle Winners?" disse Ania a Giorgi. "sono
andate a fare shopping per le vie del centro della loro megacity e
poi, a casa di Orchidea, hanno passato il pomeriggio a provarsi gli
abiti nuovi e a scambiarseli. Che figo! Poi Iris è andata dal
coiffeur e si è fatta fare i capelli azzurro cielo con delle
ciocche fucsia ed è diventata la più bella delle Winners!"
LA
RADIO DI SOFIA Era
la fine di settembre. Le colline che circondavano la casa di Matilde,
rotonde, comode, si tingevano qua e là di rosso formando delle zone
d’ombra sul verde smeraldo predominante. L’afa e l’arsura delle
piante era oramai un ricordo benchè fresco. La nuova casa era finalmente
pronta. Dopo il frenetico lavoro di tutto luglio ed agosto, con l’aiuto
di tutti si era giunti alla fine dell’opera. Mentre gli operai si
occupavano di ripulire l’appartamento dai residui di calcinacci e
quant’altro, Matilde si dedicò all’oneroso compito di preparare gli
scatoloni. Non immaginava di essere riuscita ad accumulare così tante
cose in una casa tanto piccola come la loro. In ogni angolo, nel fondo di
ogni cassetto, sopra ogni ripiano di tutti i mobili c’erano stipate una
quantità infinita di oggetti, di paccottiglia, di documenti; brandelli di
storia personale, di affetti perduti, di avventure dimenticate e riposte
proprio come quegli stessi oggetti. Anche un accendino rotto, piuttosto
che un pettine sdentato, raccontava un momento importante della sua vita o
di una persona che le era rimasta nel cuore. Per questo motivo Matilde
difficilmente si distaccava da qualunque oggetto: anche il più inutile od
insignificante, se vecchio, aveva una storia da raccontare e quindi un
valore intrinseco. Stava
svuotando un cassetto del suo comodino quando le finirono fra le mani le
fotografie di una manifestazione sulla pace di quando lei aveva sette otto
anni. Stretta nel suo montgomery verde, con il faccino soddisfatto ed
interrogativo allo stesso tempo, un cartello con su scritto “noi bimbi
vogliamo la pace” al collo, fissava l’obbiettivo nelle mani della sua
mamma. Si sedette sul suo talamo nuziale e le sfogliò una per una. I
ricordi le riaffiorarono nella mente come una cascata fresca e dirompente.
Andava
a scuola in un paese vicino a quello dove abitavano, dalle suore. Nel suo
paese la scuola pubblica aveva le porte che cadevano ed i soffitti che
crollavano una volta al mese. Sofia accompagnava, con la sua fatiscente
cinquecento, le figlie a scuola tutti i giorni e tutti i pomeriggi le
andava a prendere. Cosa facesse la madre in quelle ore di solitudine
Matilde non se lo era mai chiesto e non se lo chiese mai, se non molti
anni più tardi, ormai adulta. Quando Eugenia e Matilde tornavano da
scuola Sofia entrava in cucina, accendeva la radio e preparava loro la
merenda. Ma la radio di Sofia non dava solo musica: parlava di terrorismo,
di non-violenza, di femminismo, di antinucleare, di diritti civili, di
fame nel mondo, di caccia e diritti degli animali, di coscienza civica e
civile, di obiezione di coscienza e di diritto all’aborto. Così, mentre
Eugenia beveva le sue infinite tazzone di latte, suo unico alimento fino
ai suoi dieci anni, e Matilde sgranocchiava gli adorati panini
preparatigli dalla mamma, ascoltavano le notizie dal mondo. Era difficile
che non capissero gli argomenti di cui si parlava perchè venivano sempre
affrontati in modo semplice e comprensibile. Se poi qualche argomento non
era troppo chiaro c’era sempre la mamma pronta a dare le spiegazioni
necessarie. Erano anni frenetici in cui la politica era vissuta
attivamente, con profondo senso di responsabilità da tutta la generazione
di ex sessantottini e di neo settantasettini. Erano gli anni settanta. In
casa non c’era il telefono, troppo costoso per le povere finanze della
famiglia, e Matilde non capì mai come fece Sofia a creare e mantenere un
contatto con le organizzazioni extraparlamentari dell’epoca. Un
pomeriggio Sofia andò a prendere le figlie con un muso lungo fino a
terra. Era tesa, cupa, in completa agitazione. Non era la mamma che
Eugenia e Matilde conoscevano, sempre allegra e giocherellona. Eugenia le
chiese:”mamma cosa ti è successo? Non ti senti tanto bene?” Sofia
guardò amorevolmente le figlie, poi voltò lo sguardo oltre il parabrezza
dell’automobile, nel vuoto, tirò un sospiro profondo e girandosi di
nuovo verso le due bambine:” Oggi ragazze è successa una cosa molto
brutta. Sapete la radio che ascolta spesso la mamma? Ecco oggi sono
entrati dei delinquenti, hanno picchiato le donne che vi stavano
lavorando, hanno svuotato delle taniche di benzina in terra ed hanno
appiccato il fuoco... con quelle donne dentro!” “Perchè l’hanno
fatto mamma? Chi sono queste persone cattive?” “Vedi tesoro, ci sono
persone che hanno paura del potere che hanno le parole e, siccome non
sanno difendersi o rispondere con le stesse armi, le parole dico, usano la
forza per zittire gli altri.. comunque per fortuna sono corsi subito a
salvarle perchè erano ancora in onda! Altrimenti sarebbe successo lo
stesso che a quelle povere operaie di quella fabbrica per cui ora si
festeggia l’otto marzo nel mondo.” “Cosa è successo? Quali operaie
mamma?” chiese allarmata Matilde. “tanti e tanti anni fa c’erano
delle operaie che lavoravano in una fabbrica in condizioni disumane. Un
giorno per protestare si chiusero dentro e scioperarono. Per tutta
risposta il padrone dette fuoco alla fabbrica con loro dentro, amore mio.
Morirono tutte. È per non dimenticare eroine come quelle che si festeggia
oggi l’otto marzo.” “Ecco perchè si chiama festa della donna!”
esordì allegramente Eugenia. “Certo tesoro” le rispose la madre.
Quella fu forse la prima volta che Matilde sentì la parola –sciopero- e
ne conobbe il significato. La tristezza in qualche modo si era allontanata
e, almeno per quel giorno, tutto proseguì come sempre. Qualche
tempo più tardi però accadde di nuovo. Sembrava un pomeriggio come gli
altri, Matilde ed Eugenia giocavano e litigavano nella loro stanza,
correndo ogni tanto in cucina da Sofia a chiedere viveri, acqua o
semplicemente coccole. Al contrario del solito Sofia dedicava loro sempre
meno attenzioni, distratta da ciò che la radio diceva: “Aspetta amore,
un momento solo...shh... fammi sentire...” dalla scatola nera sulla
credenza con l’antenna d’acciaio: “ Pronto? ....Compagni siamo
pronti a fare da intermediari con la Democrazia Cristiana.... fate le
vostre richieste... le trattative, si... ma come sta Moro? Mangia?... ah,
avete un comunicato?... un momento ... non so se possiamo leggerlo in
diretta ...aspetta... non attaccare...” Doveva essere successo qualcosa
di veramente grosso pensava Matilde scrutando il volto corrucciato ed
attento della madre. “Mamma chi è Moro?” “è un deputato della
democrazia cristiana che è stato rapito. La radio sta cercando di farlo
liberare” “E ci riescono mamma?” “Amore non si sa, per il momento
parlano, ma bisogna vedere se entrambi le parti, rapitori e colleghi di
partito di Moro, si mettono d’accordo.” “Ho capito.” Matilde tornò
a giocare con la sorella. In realtà la preoccupazione più grande della
ragazzina era lo stato d’animo della madre che si rifletteva nella sua
anima. A quell’età la sua interiorità acerba non le permetteva di
possedere stati d’animo molto indipendenti; viveva di riflesso quelli
della persona affettivamente a lei più vicina. Se la mamma era tormentata
Matilde viveva i tormenti della mamma come se fossero stati i suoi, senza
comprenderne le ragioni, semplicemente subendo le ansie e le tristezze,
assimilando il fluido angoscioso, patendolo, senza possedere le armi per
smontarlo o farlo proprio. Trascorsero i giorni e la radio continuava a
trasmettere notizie sulle trattative impossibili fra i brigatisti ed il
governo, e le estenuanti ricerche del prigioniero. Una frase rimbombava
nella testa di Matilde in quei giorni di fuoco:”Nessuna trattativa. Lo
stato non tratta con i fuori legge.” “mamma, questo significa che Moro
morirà?” “Credo di si, tesoro.” “Ma è una cosa terribile!”
insorse la bambina. “è vero, gioia, ma gli interessi politici,
personali ed economici per queste persone sono più forti dell’amore e
del rispetto per la vita altrui.” La
famiglia di Matilde ed Eugenia abitava in un paese alle porte capitale e,
considerate le difficoltà economiche, raramente capitava di andare in
città. Eppure in uno di quei giorni Sofia con le sue due figlie andò a
trovare una sua vecchia zia, Ginger, ormai malata e vecchia, che viveva in
una delle più belle zone del capoluogo. Le bimbe festanti montarono in
auto felici ed elettrizzate dalla passeggiata fuori dalla routine. Una
volta raggiunta la città però notarono un traffico frenetico di volanti
della polizia ed ambulanze a sirene spiegate, poliziotti e carabinieri,
con i fucili spianati ad altezza d’uomo, ad ogni angolo della strada, ed
i volti dei passanti timorosi e tristi. Sembrava quasi di vivere in uno
stato di polizia.
Una volta scesa dall’automobile Sofia strinse le figlie a se,
guardandosi intorno guardinga, le prese forte per mano e si diresse
velocemente verso il
portone del palazzo in cui abitava Ginger. “mamma cosa
succede?” chiesero le ragazzine. “Hanno trovato il cadavere di
Moro...” rispose con voce rassegnata. “Vuol dire che è morto,
mamma?” “Purtroppo si, Eugenia. Non sono riusciti a trovare un accordo
...”. Poi, quasi fra sé e sé “... forse non hanno voluto, l’hanno
ammazzato...”. “Ma se è morto perché c’è tanta polizia in
giro?” “Credo perché stanno cercando i colpevoli, ma molti di loro
sono solo dei ragazzini armati e mamma ha paura che a qualcuno,
spaventato, scappi un colpo d’arma da fuoco per sbaglio. Quindi datemi
la mano forte forte e non lasciatela fino a che non saremo nel portone.
Capito?” “Si, mamma” risposero in coro le figlie alquanto
intimorite. Il
corpo di Aldo Moro era stato ritrovato in via Delle Botteghe Oscure nel
portabagagli di un’autovettura parcheggiata. Fu l’inizio degli anni di
piombo, di un periodo oscuro fatto di legge Cossiga e dei suoi morti, di
giovani poliziotti maledetti e martoriati dai sensi di colpa, di morti
ammazzati, di manifestazioni e di rose offerte alle forze dell’ordine in
segno di pace, di attentati e posti di blocco, di brigate rosse e
terrorismo nero; di stazioni ferroviarie saltate, piazze intere saltate,
rapimenti, grandi stragi e grandi segreti di stato; di strane connivenze
fra mafia e terrorismo e di grandi lotte di piazza, di sindacati e la
nascita di forze extraparlamentari. Matilde imparò il significato delle
parole
lacrimogeno,
carica delle forze dell’ordine,
poliziotto infiltrato,
rivolta studentesca, referendum, brigatista, terrorista,
anticlericale, femminismo, suffraggette (come se fosse un vocabolo
solamente plurale!), aborto, divorzio, cellulare, tazzebau, ciclostile,
volantino, megafono e tante altre ancora. Sofia canticchiava in casa, fra
una faccenda domestica e l’altra, canzoncine e filastrocche
politicizzate, e la radio mandava i motivi di De Andrè, Gaber e Guccini e
qualche aria popolare. Raramente
parteciparono alle innumerevoli manifestazioni di piazza del periodo, ma
in quelle occasioni tutti e quattro (incluso il padre adottivo) si
munivano di cartelli che inventavano e realizzavano insieme,
dall’acquisto dei cartoncini alla formulazione delle frasi da scriverci
sopra. Alla fine dell’opera le due bambine erano sempre sicure di aver
scritto sui loro cartelli ciò che loro stesse credevano più giusto. Due
soltanto erano i motivi ammissibili per partecipare ad una manifestazione
con le bimbe: la pace ed il nucleare, ai quali, qualche anno più tardi se
ne aggiunse un terzo: la caccia. Trascorso
qualche anno dalla morte di Aldo Moro la radio di Sofia non aveva mai
smesso di trasmettere nonostante i continui allarmi in tal senso per
mancanza di fondi. Matilde aveva ormai quasi dodici anni. Le molestie del
padre erano già iniziate, ma la sua freschezza di bambina era ancora
intatta. Amava giocare
con la sorella e gli altri bambini nel cortile di casa con la
bicicletta, con la corda, a raccogliere i pinoli ed a tutti quei giochi
oramai ritenuti antichi dai moderni fanciulli. Era iniziata l’estate e
la scuola era finita da qualche giorno. Accaldata ed affamata era salita
in casa con Eugenia per il pranzo, richiamata dalla voce suadente della
madre. Dopo essersi sciacquate le mani in bagno, lasciando come di
consueto un lago per terra,
le due sorelle corsero a sedersi a tavola. La radio di Sofia quel
giorno parlava di fame nel mondo. Raccontava che c’erano milioni di
bambini che stavano morendo di fame in luoghi lontani
mentre nei paesi ricchi come il loro la gente buttava il mangiare.
Matilde ed Eugenia questo lo sapevano già perchè a casa non si poteva
mai lasciare niente nel piatto proprio perchè ci sono bambini che muoiono
di fame. Ma sentirlo alla radio così chiaramente, spiegato nei dettagli
geografici e sociali, rendeva tutto molto più reale. Non si trattava di
un trucco della mamma per farle mangiare, era proprio vero! La cosa
peggiore era che i politici non facevano niente per aiutare quella povera
gente. Mandavano una minima parte di aiuti sotto forma di cibo, ma nulla
per renderli autonomi ed indipendenti, capaci di bastare a loro stessi con
il loro proprio lavoro. Questo diceva la radio di Sofia. Mille e trecento
sindaci di tutto il paese si erano riuniti per proporre una legge al
parlamento che desse gli strumenti a quelle popolazioni di camminare con
le proprie gambe, di imparare mestieri e fornirgli attrezzature e mezzi
necessari a questo scopo. Per ottenere l’approvazione di questa legge
molte persone avevano iniziato uno sciopero della fame. Ogni scioperante
aveva scritto una
lettera ad un parlamentare richiamandolo al proprio senso civile ed
alla propria responsabilità politica. A Matilde parve un’idea
grandiosa. “mamma anch’io voglio fare lo sciopero della fame!” “ma
tu sei troppo piccola tesoro! Non puoi!” rispose Sofia sorridendo a metà
fra lo stupore e la soddisfazione che sua figlia avesse già una così
forte coscienza sociale. “Mamma
tanto io ho già deciso. Se tu non vuoi dirglielo pazienza... ma se tu mi
metterai davanti la minestra io non la mangerò lo stesso. Credo che se tu
non glielo dirai il mio sforzo sarà inutile. Tanto vale che gli telefoni
e gli dici che anch’io faccio lo sciopero della fame!” Eh già, da
qualche mese infatti a casa di Sofia era comparso il telefono. Matilde
dovette aspettare la sera che la mamma ne parlasse con il padre adottivo
per divenire ufficialmente una scioperante della fame. L’indomani
mattina Matilde, con la mamma, telefonò alla radio e comunicò la sua
scelta, poi scrisse la sua letterina alla parlamentare che le avevano
affidato, la imbustò e la spedì prontamente. Il pomeriggio seguente (poi
dicono che le poste non funzionano!) squillò il telefono. Matilde era
nella sua camera a giocare con la sorella. Sentì Sofia che rispondeva e
poi i suoi passi verso la loro stanza. “Matilde è per te è la deputata
a cui hai scritto che vuole parlarti. Temo che non creda che hai dodici
anni..” sorrise. “pronto?.... si?... noo! Ho veramente dodici anni!
Certo che ho scelto da sola! Mamma non voleva ma io le ho detto che non
avrei mangiato comunque!... va bene, domani? Da lei in parlamento? Si,
d’accordo le passo la mamma.”
Si
sentiva d’un tratto importante, trattata come una perla rara per aver
fatto qualcosa di assolutamente naturale. Erano gli altri che non facevano
il proprio dovere! Il giorno seguente si recò in parlamento con Sofia,
incontrò la deputata incredula e tanti altri suoi colleghi che tentarono
di farla desistere, ma fu tutto inutile. Scese le scale del palazzo e
percorse il grande spiazzale antistante dove l’attendeva Sofia. Le corse
incontro e si chiusero in un forte abbraccio. Matilde aveva scoperto che lì
dentro si faceva una politica diversa da quella che conosceva lei fatta di
principi e valori, di sacrifici e di senso del dovere. In quelle stanze si
giocava a convincere il prossimo più di ogni altra cosa. Si
sorprese scoprendo che si poteva stare bene anche senza mangiare. Certo un
po’ di languorino ogni tanto veniva su ma era sufficiente mettersi a
giocare per dimenticarsene e non sentirlo più. La sua “missione” era
più importante di quello stupido stimolo a mangiare. Era come se il suo
compito la rendesse più distante dal suo corpo e la responsabilità del
ruolo che si era scelta la rendesse immune da ogni atto prettamente
terreno. Certo quei cappuccini non le andavano proprio giù: il latte non
lo beveva da anni e tutto quello zucchero che la mamma le metteva dentro
li rendevano melensi fino al vomito. Li tracannava velocemente e poi
correva a lavarsi i denti per cancellare subito quel sapore terribile e
respingere i conati irrefrenabili. Era
il terzo giorno di digiuno. Il pomeriggio aveva portato con se una brezza
gentile che sollevava l’afa e raccoglieva i profumi degli orti vicini.
Matilde era china sulla terra battuta a schiacciare pinoli con i suoi
compagni di giochi. Senza
pensare ne aperse uno sfogliò il frutto dalla pellicola che lo avvolgeva
e lo mise in bocca. Un urlo tremendo le sgorgò dalle viscere, un sobbalzo
e corse più veloce che poteva su per le scale di casa dalla madre.
“mamma!” dopo una lunga e colpevole pausa “Ho mangiato!” “Cosa
tesoro?” “Ho mangiato un pinolo! Mi ero dimenticata! E adesso?
Non vale più lo sciopero della fame?” Sofia rise ed abbracciò
la figlia dallo sguardo terrorizzato per non aver mantenuto la sua parola.
“Non preoccuparti, non sarà un pinolo a vanificare i tuoi sforzi. Vai a
giocare e non mangiarne più.” Rincuorata dalle parole materne Matilde
ritornò a giocare. La
radio di Sofia in quei giorni parlò di Matilde, della sua giovane età e
della sua precoce maturità, gratificando il suo profondo amor proprio. Qualche
anno più tardi ci fu il trasloco in città di tutta la famiglia e, nella
nuova casa, la radio di Sofia non arrivò mai, soppiantata definitivamente
dalla tv e da una vita decisamente più borghese.
Sibilla Roma, 11 agosto 2002 Amore mio, prima che tu nascessi non avevo idea del bene che ti avrei voluto e della difficoltà che avrei incontrato a pensare ad altro oltre alla tua serenità ed al tuo benessere. Sei bellissima. Intelligente. Ogni volta che mi guardi e mi sorridi mi si squarcia il petto d’amore. Ogni tua scoperta, ogni cosa che impari è per me motivo di enorme orgoglio e soddisfazione. Avrei voluto per te un mondo migliore: che banalità! Spero di poterti essere vicina, così come lo sono ora, per tutta la vita. Ti auguro di incontrare un giorno un uomo come tuo padre che ti sappia amare e capire come lui ha fatto con me. Che sappia prenderti per quello che sei, che metta in luce i tuoi pregi che saranno innumerevoli e nasconda agli altri i tuoi difetti (ne avrai!), ma nella vostra intimità sappia accettarli ed amarli. Ti auguro di vivere con ironia tutto ciò che la vita ti proporrà nel bene e nel male perché, tesoro mio, l’IRONIA è l’arma più potente con cui possiamo combattere la sofferenza e le incomprensioni. Non lasciarti mai chiudere in gabbia anche se a volte sarà dorata ed affascinante, non farti ingannare: la Libertà è un bene prezioso per cui vale la pena combattere e sacrificarsi. Usa sempre la tua testa anche se sarà più faticoso ed a volte crederai di non farcela. Se questo ti farà sentire diversa dagli altri sappi che in quei momenti sarai diversa perchè migliore.. Viviamo purtroppo in un mondo in cui è “consigliata” l’omologazione e chiunque la sfugga, usando la propria mente liberamente, viene additato come diverso e pericoloso. Il potere della mente in effetti è straordinario e può permetterti di compiere grandi cose e di realizzare grandi sogni. La cultura è l’elemento fondamentale per ottenere la libertà. Senza la conoscenza non hai strumenti per avere coscienza del presente e capirne i suoi meccanismi. La cultura ti permette di essere allo stesso livello con chiunque. Ti permette di usare il linguaggio dei potenti con i potenti, quello degli umili con gli umili, quello colto con gli intellettuali. Ti permette, insomma, di capire ed essere capita. Più sarà grande la tua cultura e più sarà universale la tua lingua. Potrai poi riconoscere più facilmente r inganni e celate restrizioni. Inoltre potrai a tua volta imparare l’arte dell’umiltà che è strettamente legata alla conoscenza: più ne avrai più sarai umile. I consigli è facile trovarli, ma i buoni consigli sono davvero pochi e vengono sempre da chi ti vuole bene. La vita, amore mio, non è giusta e lo scoprirai vivendo. L’importante è che tu ne sia consapevole e non ti aspetti che il destino faccia giustizia per te. Qualunque cosa tu decida di fare nella vita dedicaci anima e corpo e vedrai che riuscirai. Quando ti troverai in difficoltà, quando ti sembrerà di non riuscire a trovare una soluzione, quando ti sentirai confusa, intrappolata sul fondo del bicchiere prova a seguire questo consiglio: Sali sulla cima della collina e guarda il panorama che si stende sotto di te. Vedrai ogni cosa più piccola ed incastonata fra le altre. Vedrai qual è il posto giusto per ognuna di loro. Anche il tuo problema sarà li a farsi guardare con occhi diversi. Ti accorgerai che, visto dall’alto, ti sarà più facile ridimensionarlo e ricollocarlo nella giusta posizione per poi affrontarlo nel modo migliore. Se imparerai ad utilizzare questo stratagemma anche per le cose più banali saprai dare la giusta importanza alle cose della vita. La discriminazione è una gran brutta parola, tesoro mio. In qualunque sua espressione, qualunque sia il suo oggetto è la forma più subdola della debolezza umana. A volte si nasconde dietro a belle parole ed a intenti apparentemente nobili, ma non lasciarti mai ingannare.. spesso i primi fautori sono loro stessi degli emarginati ed usano questo atteggiamento per sentirsi appartenenti al “clan”dei vincenti. Ricorda: chiunque, anche il peggior essere vivente, ha gli stessi diritti di chiunque altro. Ci saranno momenti in cui mi odierai, in cui vorrai scappare lontano da me e da tuo padre e momenti in cui te ne vergognerai. Non preoccuparti: nel nostro ruolo è previsto comprenderli ed accettarli amorevolmente. Accetta con ottimismo ogni novità e cerca in ognuna il lato positivo, anche se non tutte le nuove sono buone nuove. E’ importante credere, avere buone aspettative, perché ciò accada. Se sarai pessimista le brutture della vita ti verranno incontro. Se saprai trovare il buono che ogni cosa nasconde sarai sulla buona strada della saggezza. Così funzionano anche le persone: se saprai trovare in ciascuno almeno una qualità ciascuno ti regalerà il buono che ha in sé. Mille altre cose vorrei dirti, ma non saranno mai abbastanza. Non ho molto da insegnarti amore mio, ma tutto ciò che ho imparato vivendo cercherò di trasmetterlo con l’amore infinito che ho per te. Questo vuole solo essere un piccolo promemoria sugli insegnamenti principali che vorrei darti e che, quando non ci sarò più, potrai sfogliare tutte le volte che vorrai chiedermi un consiglio .
Con un mondo di bene La Tua Mamma |