Annalisa Stradini

difficile dire quando ho iniziato a scrivere, perché prima della prima elementare già raccontavo favole a mio nonno per farlo addormentare. Comunque mi presento: il mio nome è scritto qui sopra e non è uno pseudonimo. Sono nata e vivo a Pesaro, ridente città appena sotto Rimini (ma è nelle Marche) che nessuno conosce. Ho studiato al liceo classico e ora sono iscritta ( o parcheggiata!!!) all'università e anche qui, naturalmente, ho scelto Lettere Moderne, a Urbino. Oltre alla letteratura e all'arte in genere, coltivo ormai da sedici anni anche un'altra passione: lo scoutismo, che mi ha permesso di vivere intense emozioni e di vedere luoghi stupendi, tutto materiale che riverso costantemente nei miei racconti e poesie. Ho partecipato a vari concorsi e ho raccolto varie cantonate e qualche soddisfazione. Quest'anno ho ripreso in mano la penna dopo sei anni abbondanti di silenzio, grazie ad incontri veramente speciali. Per finire vorrei ringraziare, qui, pubblicamente, le mie due accanite fans: mia madre e la mia migliore amica Giovanna, che mi hanno sempre letto ( o sopportato?!…) e sostenuto. Il mio indirizzo e-mail è clats@tin.it

Reddini Painting

Seduti sul tetto di Johnny. Questa sera ci siamo spartiti il mondo. Marco si è preso le PAROLE, perché lui è poeta e le ama più di ogni altra cosa. Johnny ha scelto la terra e suoi animali, le piante e le montagne. Io ho preso le acque e il cielo. Il blu del cielo, come Yves Klein. Abbiamo fatto proprio come Yves e i suoi amici. Vento che sollevava in aria le ciocche dei capelli, leggeri, e non avevo neppure un fazzoletto per soffiarmi il naso, e le lacrime rare. Così tanto ero emozionato, stasera, mentre dalla soffitta di Johnny svolazzava fino a noi, nelle sue note calde, la dolce voce e la chitarra acquea di Dean Chester, il mio eroe, il chitarrista e l'uomo che vorrei essere, e che forse non sarò mai. Questa sera sono tornato a casa ridendo come un pazzo per le performances di Johnny sul tetto della vicina di casa, mentre Marco gridava a gran voce le sue massime inventate sul momento o desunte dall'agenda filosofica che redige lui stesso. Com'ero felice, sdraiato a pancia all'aria, con la mano destra sul cuore e la sinistra a firmare il mio cielo. In quel momento quasi non pensavo a Clara. La notte è bellissima. Ho preso una tela quadrata, quaranta per quaranta, tutte le tonalità del rosso e i ritagli più significativi della mia cartella " Dean Chester". Il pennello 7 a spatola e ho tracciato quella prima linea lunga e grossa, tagliando in due la tela in orizzontale e in verticale la stessa cosa e trasversalmente dall'angolo sinistro in basso all'angolo destro in alto e viceversa. Ho riempito lo spazio bianco con i suoi e i miei miti. Pennello zero e colore nero. Firma. Ho ritoccato tutti i rossi rendendo una gradazione progressiva e Dean lambiva il mio cuore e le mie orecchie di un rock scampanato alternato al suo funk proverbiale.
Dovevamo partire, il 26 giugno, con gli zaini stracolmi di oggetti essenziali e il mio quadro tra i bagagli a mano. Sul treno per Bologna cantavamo Battisti nello scompartimento affollato. Seduto sul mio zaino blu cercavo di insinuare le prime note di Sister's Room ma quei due s'erano alleati per non concedermi Dean: " già ti accompagniamo in questa pazzia, e non dovremmo." Marco masticava rumorosamente il suo panino al prosciutto e formaggio guardando due ragazze carine sedute proprio davanti a noi. Il treno passa per le campagne padane, i grandi spazi verdi, l'odore di torta di vacca e quello dei maiali nelle stalle.
Il rumore del treno in corsa. Ma nel mio grande cervello, ampio come un'aula di conservatorio e altrettanto patetico, e solo un po' più metafisico, suonano i violini e abbaia la voce di un cantante poeta dalla penna disarmante e sincera. Il treno corre ancora verso Bologna. 12 e 27 in stazione. Johnny dice che ha fame. Il suo stomaco intrattiene cupi discorsi solitari. Ma non tardano ad unirsi al suo lungo monologo il mio stomaco e quello di Marco. Ci fermiamo in un bar piuttosto piccolo e affollato. Ordiniamo tre panini con cotoletta e insalata. Mangiamo e beviamo sempre le stesse cose, quando siamo in giro insieme. Ci rende più fratelli, come bambini seduti al tavolo su cui la stessa madre ha messo il piatto da lei cucinato quel giorno. Camminiamo sotto i portici per sgranchirci e digerire mentre Marco scatta le sue foto. Johnny e io cerchiamo di acchiappare una farfalla…è già estate! Un'orsa mi siede di fianco, sulla navetta…il mio sogno di qualche notte prima. Sembra un dejavu, ma continuo a pensare all'arrivo in aeroporto…e a Clara, amica di noi tutti. E' stata la mia ragazza delle superiori, è stata la migliore amica di Johnny dalle elementari a oggi e lo sarà ancora a lungo, penso. Le loro menti sono due linee che s'intersecano e/o corrono parallele con gli stessi tempi esatti. Io me ne accorgo e sono geloso. Penso a tutto questo mentre il nostro aereo sorvola un oceano immenso, tutto bianco perché c'è nebbia e io osservo un mare più alto di quello reale, un mare di ossigeno, azoto e gas vari, che ci avvolge come una placenta. Nelle mie orecchie c'è Dean. E' in questo momento, adesso, proprio adesso, che sento per la prima volta che sono stupido, incredibilmente stupido. In piedi davanti ad un cancello di due metri e dieci miliardi di allarmi antifurto getto un quadro, magari legato ben bene all'ombrello di Mary Poppins. Non sono ancora tanto suo amico da tirargli un mio quadro in giardino -magari in piscina!!!- e vederlo sorridere di gratitudine. Immagino Los Angeles. Credo che ogni viaggio vero debba essere - prima e dopo e durante - anche sognato. Io ti sogno, California, e non sono né il primo né l'ultimo, né l'unico. Marco si sveglia e vuole mostrarci la foto della sua vespa. Io faccio finta di essere interessato mentre Johnny continua a dormire…non so più perché sono venuto fin qui. Lo dico a Marco, perché non ho più difese. Lui sorride e dice che ci stiamo facendo un bel viaggio. Per fortuna c'è Marco che sdrammatizza e guarda più in là. Ho il quadro sulla testa. Nell'apposito ripiano. Non l'ho mai perso di vista. Dovrò portarmelo dietro per tutte le strade di Los Angeles? Scendiamo al Lax. 30 km ancora da L.A. Recuperiamo gli zaini. E' notte. Informazioni allo sportello turistico. Prenderemo uno Shutthle che ci porterà in albergo. Questa notte ci trattiamo da re, ma da domani tiriamo la cinghia. Il pulmino ci porta al buio su strade grandi e deserte. Nei sedili davanti ai nostri sono seduti due italiani. Una coppia. Scambiamo quattro chiacchiere durante il viaggio e scendiamo insieme. LOS ANGELES: Mentre Marco si fa una doccia e il mio turno è l'ultimo, metto su un DeanChesterParty. Io e Johnny siamo due modesti ballerini, che roteano sui tavoli e si strusciano sui muri. Tanto non ci sono parole per descrivere la musica. Qui suonano i grandi. Qui sono nati i nostri eroi. Dove un Dean Chester ventenne saltava avvinghiato al microfono, vent'anni fa. Ed ora ho questo quadro e sono seduto sulla più scomoda poltrona di tutta Los Angeles. E sono qui per un motivo davvero idiota e mi vergogno di me stesso. Ma sono qui per un bel viaggio, è vero, ed ora è il mio turno per la doccia. Nelle strade affollate affondiamo il nostro istinto di selvaggi cercatori di tracce. Siamo tre avventurieri a caccia di coyotes. Percorriamo aride strade sotto un sole malato, e mi dicono che era peggio, molto peggio, dieci anni fa. Raggiungiamo Hollywood Boulevard e vogliamo vedere tutto. Voliamo alla Walk of Fame e c'è da perdere la testa. Tre ragazzi impazziti che cercano i loro miti. Molti sono così noti, altri no. Non importa. Sono tre km di storia, anche questi. Più di duemilacinquecento stelle di bronzo sotto i miei piedi. Ce ne andiamo al Mann's Chinese Theater e confrontiamo mani e piedi coi nostri. E' incredibile come si possa passare tanto tempo a confrontare mani e piedi. Passano auto rombanti e io mi chiedo chi sei. Un tu armonico. Qui di notte passeggia Vivi. Una città senza denti, ingoia tutto. Che sole, il mare ci aspetta nel pomeriggio, ma io ti chiedo chi sei. Ti ama chi percorre ogni giorno le tue strade, ma ti chiudi al mio passaggio. Sono qui con un quadro sotto il braccio. Scruto ogni macchina per cercare Nick Belane e la Signora Morte. In effetti sei la jungla di cui tutti dicono che è una città. Mi ritiro dentro i Paramount Studios che propongono una visita sui set a 15 dollari. Siamo feticisti in vacanza. Fammi sentire il vibrante, caldo mondo di Dean!!! Ma non posso dirti come, comunque troviamo un posto in cui dormire, non lì a Hollywood, naturalmente. Ho ancora un quadro sotto il braccio, quaranta per quaranta. Troviamo una piccola pensione a Little Tokio e ci infiliamo per pochi dollari per le prossime tre notti. Ci vuole poco a girare Los Angeles. Per oggi rinunciamo al tuffo serale nell' oceano. Gireremo Little Tokio stasera e domani tutta spiaggia. Ci siamo arrivati, qui a Little Tokio, per caso. Avendo prenotato per telefono e un po' a caso, come solo noi tre sprovveduti avremmo potuto fare, ci eravamo incamminati dopo un veloce pranzetto a base di pane strano e salse strane ( più qualcosa che stranamente si chiamava prosciutto ma non lo era), percorrendo lunghi boulevards interminabili dall'orizzonte immutabile come grandi set hollywoodiani. La città senza denti tutto ingoia. Sono seduto davanti all'oceano. Poche parole per dire come ho passato una notte ad L.A. Con un quadro sotto il braccio, consumando i boulevards. Sono passato sette volte davanti al cancello di Dean. Sette volte ho alzato il braccio per lanciare il quadro oltre due metri di cancello automatico intriso d'incantesimi. Se vi aspettate una descrizione sistematica della California comprate una guida turistica. Io vi dico cosa passa attraverso i miei piedi, e i miei sensi. Alle cinque i primi raggi di sole. Ho sentito il suo labrador nel prato, dietro il cancello, vicino a me. Ma l'illusione non cade, si trasforma. Un ragazzo percorre i boulevards. E' l'alba. Canticchia una canzone di Dean Chester. I suoi occhi sono stelle e i suoi sogni danno vita a nuovi sogni, nel primo sole di L.A.