Gabriele
Caponi
ho 17 anni, sono nato il 13/12/85 a Empoli (FI), frequento il Liceo scientifico “Il Pontormo”. Se dovessi parlare di me, potrei dire che faccio palestra 3 volte a settimana, se possibile anche nuoto, gioco a pallone e mi diverto insieme agli amici. Insomma, le solite cose. Vi mando questo racconto, sperando in una pubblicazione sul vostro sito, con il quale ho vinto il 1° Premio, con medaglia d’oro e pubblicazione, nel concorso letterario nazionale “2° Premio di poesia e narrativa” indetto dalla rivista letteraria e artistica “Omero” – magna graecia, nella sezione giovani. Qualunque suggerimento, critica è ben accetto. |
Il suo unico amico
Si sentì un urlo, poi più niente. L'uomo guardava il cadavere irrigidito della vittima che era caduto su alcuni rifiuti del sudicio vicolo. Indossava degli stracci, aveva la barba folta e le unghie molto lunghe. Segno che era molto tempo che non si curava un pò. "Probabilmente ho solo aiutato questo poveretto. Non dovrà più patire. Il mio amico sarà contento". Non provava nè rimorso, nè soddisfazione, solo un senso di pace interiore. Non era molto intelligente, ma finora se l'era cavata egregiamente dormendo nella roulotte scassata che aveva trovato in stato di abbandono vicino al bosco (ormai era la sua casa) e vivendo della pietà dei paesani e di piccoli lavoretti. Per esempio un giorno il signor Smith, che viveva da solo in una piccola fattoria vicino alla "sua" roulotte, l'unico che lo salutava sempre e che considerava il suo unico amico, decise di fargli visita. Smith gli raccontò che doveva svolgere un incarico importante e aveva bisogno di un uomo di cui fidarsi. "Ti aiuterò io"-gli rispose Joe. "Bene. Allora ti aspetto stasera all'una davanti alla gioielleria. Non ti puoi sbagliare, è l'unica in paese. Ci tengo, eh?!". "Non preoccuparti. Sono tuo amico". I due si salutarono e Joe rientrò felice nella roulotte, contento di poter aiutare il suo unico amico. Non si preoccupò nemmeno di chiedergli quale fosse il lavoro e perché dovesse andare in paese ad un'ora così tarda, ma per Smith questo e altro. Era l'unico che lo salutava e che lo andava a trovare. Era un suo amico. Così la sera indossò un giacchetto e uscì. Per le vie del paese non c'era nessuno. Trovò Smith seduto su un marciapiede davanti alla gioielleria. Teneva in mano una valigia e sembrava piuttosto eccitato. "Bene. Finalmente. Ora possiamo iniziare il lavoro. Devi solo guardare a destra e a sinistra e dirmi se arriva qualcuno". Joe si mise in mezzo alla strada e fece come il signor Smith gli aveva detto: guardava a destra e a sinistra. Nessuno in vista. Tutte le finestre e le porte delle case vicine erano sbarrate. Intanto il suo amico aprì la borsa e ne trasse fuori uno strano oggetto al quale non seppe attribuire una funzione. Smith incastrò il piede di porco sotto la saracinesca della gioielleria e, usandolo come leva, la tirò su con un rumore sordo ma piuttosto forte. Doveva fare in fretta. Prese dalla borsa un rozzo grimaldello e dopo pochi minuti entrò nel piccolo negozio. La cassa era vuota, ma i piccolo gioielli che l'orefice metteva sotto vetro ormai da molti anni erano sempre lì. Questi era dovuto partire per un viaggio di pochi giorni; ma evidentemente non si aspettava che qualcuno provasse a rubarli, in un paesino di mille anime dove tutti conoscevano tutti e dove tutti si facevano gli affari degli altri. Ma Smith non si era mai sentito parte di quella comunità, soprattutto dato che veniva evitato per le sue amicizie poco raccomandabili e per i suoi loschi affari. Aveva deciso che era meglio cambiare aria, lasciare quel paese di vecchi, e quei pochi gioielli sarebbero bastati per andarsene finalmente via da quel luogo. "Joe, vieni, presto! Aiutami a mettere i gioielli nella borsa. ". Joe, che non aveva visto nessuno in giro, entrò nella gioielleria, ma non capì cosa stesse facendo il signor Smith. Ma egli si era già preparato la risposta. "Il signor Reagan prima di partire mi ha chiesto di spostargli i gioielli - mentì - e di tenerli finché non sarà tornato: si fida di me. Sai, c'è sempre brutta gente in gito". "Si" - gli fece eco Joe. "Ma si è scordato di darmi le chiavi del negozio, quindi, ma... stai attento!". Mentre parlavano, Joe aveva fatto cadere in terra alcuni gioielli. "Comunque, come ti stavo dicendo, ho dovuto aprirlo con mezzi di fortuna. Ora andiamo". Avevano riempito finché era possibile la borsa e uscirono dal negozio a passo svelto. Il discorso di Smith aveva fatto sparire completamente ogni dubbio, anche se Joe non ne aveva mai avuto nessuno. Si fidava ciecamente di lui. Tagliarono attraverso un vicolo e dopo poco si ritrovarono vicino al piccolo bosco, davanti alla roulotte. "Joe, ti ringrazio, sei un vero amico. Tieni questo biglietto da cento. Te lo sei guadagnato. Posso chiederti un'ultima cosa? Potresti tenermi questa borsa per qualche giorno? Ho da sbrigare alcuni affari e non posso sorvegliarla continuamente". Joe non poteva negare un favore al suo unico amico, e acconsentì. "Bene. Tienila sempre dentro la tua... casa e non dirlo a nessuno, altrimenti potrebbero rubartela". Si salutarono e Smith si avviò verso la fattoria sorridendo: il suo piano stava procedendo nel migliore dei modi. Il giorno dopo, la notizia del furto si sparse per tutto il paese. Joe naturalmente non capì bene la situazione e continuò a ciondolare per le stradine del paese come faceva ogni giorno, per vedere se qualche anima buona gli offriva un lavoretto o qualcosa da mangiare. Salvo tornare ogni tanto a controllare se la borsa era ancora nella roulotte. Decise di andare dal panettiere. In fondo lì c'erano tante cose buone da mangiare e il panettiere gliele dava sempre a un prezzo inferiore rispetto agli altri clienti, anche se Joe non capiva perché riservava questo trattamento di favore solo a lui. Lo sceriffo del paese, un omaccione panciuto al quale non importava molto tutelare gli interessi dei paesani, non trovò nella gioielleria indizi importanti che riuscissero a smascherare il colpevole, anche se sospettò subito del signor Smith. Alcuni in paese pensarono che potesse trattarsi di un forestiero, ma la maggior parte scaricò la colpa su Smith, perché se il colpevole fosse venuto da fuori, non avrebbe potuto sapere che l'orefice era partito proprio in quei giorni. E poi la gioielleria era piuttosto piccola e pochi stranieri venivano a fare acquisti lì. I paesani erano gente tranquilla e rispettabile e, dato che Smith era la persona più violenta e meno raccomandabile del paese, fu da subito il principale sospettato. Lo sceriffo andò alla sua fattoria, accompagnato da un uomo che era il suo opposto: smilzo e scattante, ma poco furbo. Oltre ad essere vice-sceriffo, era anche la guardia della piccola prigione del paese, non che avesse mai sbattuto uno dentro. Anche se non aveva un mandato ufficiale, Smith permise al commissario di perlustrare la casa, per fargli capire che non aveva niente da nascondere, ma quest'ultimo non trovò nulla di particolare. Prima di andarsene disse a Smith, che sghignazzava un pò troppo per i suoi gusti: "Ti tengo d'occhio. Non provare a lasciare il paese finché non te l'avrò detto io". Naturalmente lo sceriffo non si preoccupò minimamente di parlare con Joe, che era l'unico vicino di Smith, o di perlustrargli la roulotte, poiché era conosciuto in tutto il paese come un uomo poco intelligente, ma buono, e non aveva mai fatto del male a nessuno. Anche perché la sua scarsa intelligenza non glielo permetteva. Ma il commissario ricevette la visita non del tutto sgradita di un testimone del furto, un vagabondo che quella notte aveva visto di lontano due uomini uscire dalla gioielleria. Di uno si ricordava che era piuttosto basso e corpulento, l'altro lo aveva visto a malapena. Per il commissario la descrizione, per quanto fosse sommaria, si adattava perfettamente a Smith. Ma non poteva sbatterlo dentro soltanto con la testimonianza di un vagabondo, che quella notte si era ritrovato a giro per il paese ubriaco. Gli disse soltanto di rimanere nei dintorni e di tenersi pronto per testimoniare in un eventuale processo, anche se sapeva con certezza che non avrebbe mai trovato le prove della colpevolezza di Smith. Il vice-sceriffo, che non era molto sveglio, parlò del testimone all'amico panettiere, il quale ne parlò alla moglie, e questa lo disse alle amiche, finché non lo seppe tutto il paese. Ormai tutti sospettavano di Smith. Joe una mattina ricevette davanti alla roulotte per l'ultima volta il suo amico. "Joe, devo dirti una cosa". La notizia che un testimone lo avesse visto non lo faceva stare tranquillo. Non poteva lasciare il paese per il divieto del commissario, e non poteva portare i gioielli a casa, i paesani erano troppo sospettosi e tutti spiavano da lontano ogni sua mossa, convinti che un giorno o l'altro una sua azione o un suo gesto l'avrebbero tradito. Ma non poteva continuare questa messinscena. Aveva dei debiti da pagare a della gente che non si sarebbe fatta scrupoli a farlo fuori in caso di un mancato pagamento. Doveva pagarli ad ogni costo. Ne andava della sua vita. I gioielli erano l'unica soluzione. Aveva pensato a come uscire fuori da quella situazione, e così... "Joe, ecco, non so come dirtelo. Dopo che siamo usciti dalla gioielleria (te lo ricordi?), un tizio ci ha visto. Il giorno dopo mi ha contattato e mi ha detto di dargli tutti i gioielli, e di non chiamare lo sceriffo, altrimenti...ecco non posso dirtelo". Fece una faccia terrorizzata. Era sempre stato bravo a fingere. "Cosa?". "Se non faccio quello che mi ha detto, mi ucciderà!". "No, ti difenderò io, non ti farà nulla". "Davvero, Joe? Sono commosso. Ma lui mi ha detto che di te non gliene importa nulla - continuò a mentire - Potresti essere in pericolo se tu mi aiutassi". "Io sono tuo amico. Farò di tutto per aiutarti". Smith aveva ottenuto la prova assoluta della fedeltà di Joe. Era quello che voleva. Mancava solo l'ultima parte del suo piano. Sapeva per esperienza che non bisogna lasciare in giro testimoni scomodi. "Forse qualcosa puoi fare". Gli bisbigliò qualcosa nell'orecchio. "Lo faresti per me?". "Per te questo e altro". Ormai era una frase che gli capitava di dire spesso da un pò di tempo. Per Smith avrebbe fatto qualsiasi cosa. Senza di lui, la sua vita sarebbe stata un vuoto assoluto, senza che nessuno gli volesse davvero bene. Certo, molte persone in paese gli davano da mangiare gratis per compassione, ma non poteva dire che erano vere amiche. Smith era l'unico che lo trattava come un suo pari, l'unico che non gli facesse pesare il fatto che era dotato di poca intelligenza rispetto agli altri. "Grazie. Stai attento, però. Ora devo andare. Ciao, amico". Era molto tempo che aveva progettato quel piano. Era stato facile rendersi amico Joe: aveva solo dovuto salutarlo quando lo vedeva, parlargli ogni tanto, farlo sentire al pari delle altre persone e alla fine Joe era diventato un suo fedele alleato. Ma tutti questi mesi di amicizia erano serviti per compiere un'azione malvagia. Smith era felice. Joe avrebbe completato l'ultima parte del piano, e lui l'avrebbe fatta franca. Trovare il testimone fu facile. Era rimasto in paese, come gli aveva detto il commissario, e si trovava in un sudicio vicolo, intento a cercare tra i rifiuti qualche oggetto ancora utilizzabile da poter rivendere a pochi soldi al mercatino dell'usato che si svolgeva ogni anno in una cittadina vicina. Il vagabondo non degnò l'uomo di uno sguardo; ma, anche se era giorno, Joe tirò fuori dalla giacca un coltello da cucina che gli aveva prestato una anziana signora, alla quale aveva detto che ne aveva bisogno per tagliare alcuni polli (da solo? Figuriamoci), e si avventò sul malcapitato. Lo colpì alla spalla con grande forza, poi con un altro fendente gli squarciò il ventre. "Così non potrai far del male al mio amico". Il vagabondo urlò per qualche secondo, incapace di muoversi, prima che il coltello gli entrasse nel collo. Le sue urla attirarono la gente che passava lì vicino. Lo sceriffo fu chiamato d'urgenza e quando arrivò e vide il cadavere immerso in una pozza di sangue, in mezzo ai rifiuti, respinse un conato di vomito. Non era abituato a certe scene. Per la verità non era mai successo nulla di particolare in paese e niente lo aveva preparato a quello che stava vedendo. Ma ciò che più lo sorprese fu di vedere quel pazzo di Joe immobile davanti alla vittima. In mano aveva ancora il coltello insanguinato. Ora capì finalmente chi era la seconda persona che il vagabondo non era riuscito a riconoscere. Joe non era turbato, nè aveva rimorsi. Lo sceriffo lo portò nella prigione del paese, una piccola stanza circondata da sbarre. Joe non oppose la minima resistenza, anche se non capiva bene perché lo sceriffo ce l'avesse con lui: in fondo aveva fatto solo un favore al suo migliore, e unico, amico. Che il signor Smith fosse un poco di buono e che lo avesse sempre usato per i suoi scopi malvagi non gli era mai passato per la testa. Fu interrogato, ma era meglio fare domande a un muro. Dall'interrogatorio non si riuscì a capire nè il movente dell'assassino, nè se Joe avesse preso parte alla rapina (anche se lo sceriffo dopo quello che era successo lo credeva), inoltre il nome di Smith non fu mai nominato. Così alla fine il caso fu lasciato insoluto. Joe non fu condannato al carcere, perché fu dichiarato che al momento dell'omicidio non era in possesso delle proprie facoltà mentali, e fu spedito al più vicino manicomio. I suoi compaesani ancora non capivano perché lo avesse fatto, nonostante avesse meno intelligenza rispetto agli altri non aveva mai commesso brutte azioni, si era sempre comportato da bravo ragazzo. Due settimane dopo l'omicidio del vagabondo Smith aveva venduto casa e terra e se ne era andato, ormai era libero dalle accuse, anche se i paesani sospettavano che avesse usato Joe per la rapina e per eliminare lo scomodo testimone. Avevano ragione, ma il problema era che non avevano le prove. Così di Smith non si sa più nulla. Joe, invece, si trova ancora nel manicomio. Sta ancora aspettando che il signor Smith lo venga a trovare come faceva prima. Non poteva lasciarlo lì dentro. Certo, i dottori si prendono cura di lui, non gli fanno mancare nulla. Ma solo il signor Smith è suo amico. Il suo unico amico. |