Luigi Milani

è nato a Roma il 27 dicembre 1963. Una laurea in Giurisprudenza nel congelatore, si mantiene facendo il consulente informatico e l'assistente per una piccola società cinematografica della capitale. Ha scritto, negli anni '95-98, diversi articoli per le riviste M Macintosh Magazine e Virtual, occupandosi dapprima di tecnologia e Internet, e poi di recensioni letterarie in genere. In seguito, con la scoperta di certa letteratura contemporanea - Don De Lillo, Philip Roth, Raymond Carver - ha gradualmente spostato i suoi interessi verso la narrativa. Ha scritto una raccolta di racconti, che si augura di veder pubblicati presto. Nel frattempo, è alle prese con il suo primo romanzo, una storia complessa, ambientata in America e in Inghilterra.

Pioggia

Mio padre ci ha proposto di cenare tutti assieme, in quel paesino di montagna dov'è nata mia madre. Accettiamo l'invito, che altro possiamo fare, in questo posto dimenticato da Dio?
Nel punto in cui la Statale si trasforma in una stretta strada di montagna, scorgiamo la sua macchina. Abbiamo poca benzina, così Giorgia ed io parcheggiamo lungo la strada. Proseguiremo con l'auto dei miei.
Fare il tragitto con loro non è una bella prospettiva, ma ecco cosa succede, a risparmiare sui soldi del carburante. Dovremo sorbirci il vecchio, allegria.
"Vedete quella casa là?" esordisce, nel solito tono roboante. "Ci abitava una donna che fu l'amante del parroco di allora."
"Ah!" rispondo, scalando le marce. Un cartello segnala che la pendenza è prossima al diciotto per cento, la macchina l'ha capito già.
"Il marito della donna a un certo punto se ne accorse, però. Qualcuno aveva parlato, chi lo sa. Così, un giorno, alle quattro del mattino, rincasando da un viaggio fuori paese - ma il viaggio era finto, capite?, aveva solo fatto finta d'andarsene - li trovò a letto assieme".
Non capisco perché debba sempre parlare con questo tono di voce. Suppongo che lo si senta da fuori, anche a finestrini chiusi. Sul retrovisore intravedo l'espressione di mia madre, che non ne può più. Quante volte ha già sentito questa storia?
"E allora?" chiede Giorgia, mentre scambia con me un'occhiata complice. Le sfioro un ginocchio.
"Niente. Lui sparò due revolverate, una a lei, la fedìgrafa, ed una all'altro, quel povero disgraziato!"
"E che fine fece l'assassino?"
"Eh, caro Filippo!". Odio quando assume l'aria da uomo vissuto, lo strangolerei. "La passò liscia. L'avevano visto partire in tanti, la sera prima. Aveva un buon alibi, e i carabinieri non andavano tanto per il sottile, a quei tempi"
Il tempo sta per cambiare. Il tramonto, che si preannunciava infuocato, è svilito da una distesa di nubi grigie. Spengo il condizionatore, comincia a rinfrescare. Forse il clima si sta adattando al mio umore.
"In punto di morte, confessò il suo crimine al sacerdote. Capito, ragazzi?"
Arriviamo in vista del ristorante, "Da Benito". Benito chi? Un altro amico di mio padre? L'ennesimo nostalgico dei bei tempi che furono?
La sala è semivuota, e ci consigliano di scegliere un altro tavolo, stanno per abbassare lo schermo per la partita.
"Ma certo, Benitone! Ci mancherebbe!", risponde mio padre a voce troppo alta. Domanda quale partita si gioca stasera, come gliene importasse qualcosa, poi. Ride forzato alle battute scontate del ristoratore.
Mangiamo una bruschetta con troppo aglio, pizza, un contorno e qualche altra sciocchezza - quel tanto che basta per sentirsi irrimediabilmente gonfi. In compenso, paghiamo poco.

"Fai presto!" grida mia madre, stringendosi nel cardigan troppo leggero. Siamo a mille metri d'altezza e in strada fa freddo. Salgo in auto con qualche difficoltà: ho addossato la macchina alla parete di roccia e terra, e sono costretto a scavalcare il sedile del passeggero e il tunnel centrale. Dopo cena, non sono piacevoli certe manovre.
La nebbia, calata improvvisamente dall'oscura montagna alle nostre spalle, trasforma le curve in un'ipotesi azzardata, ma ostento un'infantile sicurezza. Prendo a parlare fitto con Giorgia. Commentiamo con toni accesi il trattamento incivile che abbiamo ricevuto, a nostro avviso, durante la cena. Tutto quel chiasso, con la gente che faceva il tifo così! Mio padre, seduto sul sedile posteriore con mia madre, non dice una parola.
Qualche chilometro più a valle, la nebbia si dirada. Mi rilasso, cambio tono. È allora che comincia a piovere a dirotto. Siamo al bivio, scendiamo dall'auto per proseguire, finalmente soli, Giorgia ed io. La benzina basterà fino a casa. I fari dell'auto dei miei si allontanano nella pioggia che cade fittissima. Farebbero bene a fermarsi, non si vede da qui a lì.
Non ho visto mai tanta acqua in vita mia. Non è più un temporale, questo, sembra più un nubifragio. Sul calendario c'è scritto undici giugno, dovrà pur significare qualcosa, o no?
Rimaniamo seduti nell'utilitaria di Giorgia, aspettando che spiova. Le gocce di pioggia cadono sul tettuccio col ticchettio insistito di mille martelletti metallici. Passo il dorso della mano sul lunotto, rivoli di liquido circondano i tergicristalli immobili.
"Cos'hai?" chiede Giorgia, guardandomi in tralice.
"Niente" rispondo, stendendo le braccia sul volante.
"Non mi pare".
Ecco, ora si è adombrata lei, sono uno specialista in questo genere di cose.
Rovistando nel vano sotto allo sterzo, scateno un rumore di plastica che urta i nervi; cerco di coprirlo parlando a voce alta. Come fa di solito lui, mi viene spontaneo riflettere. "Guarda, ecco la cassetta di Hendrix che cercavi da tanto tempo!"
Giorgia neanche si gira, assorta a contemplare l'acqua che scorre sul vetro del nostro acquario umano. Accendo il quadro, e abbasso il mio finestrino. Un odore forte di terra bagnata ed erba medica penetra nell'abitacolo. Giorgia rabbrividisce, mi scocca un'occhiata che è un concentrato di noia accumulata e fastidio. Ora pioviggina appena, e decido di scendere dall'auto.
Mentre apro il bagagliaio, la sento agitarsi sul sedile. Scende anche lei.
"Vuoi spiegarmi?", dice.
"Hai visto che luce?", faccio io.
"Sì, ho visto. E allora?"
"Guarda là, amore". Senza staccare l'occhio dal mirino della reflex, punto il dito verso la stesa oltre il guardrail, dove la collina di sassi ed erba avvizzita degrada verso il blu dell'orizzonte.
"Cosa sono quelle luci arancioni?" chiede Giorgia, a braccia conserte per ripararsi dal freddo.
Appendo la macchina al collo.
"Quali?", chiedo, appoggiando la fronte al suo dito indice.
"Stupido!" dice lei, ridendo. "Hai capito benissimo, signor fotografo!"
"Sono le luci dell'autostrada"
"E si vedono da così lontano?"
"Merito della pioggia. Mette a fuoco i contorni."
"Li rende più contrastati, vero?"
"È così."
"Che bisogno avevi di prendertela con me?" dice poi, spostando il peso da una gamba all'altra. Il vento le sconvolge i capelli.
"Aspetta, non spostarti da lì, voglio farti una foto su questo sfondo." dice lui.
"Ma dai!"
Compongo l'immagine nel mirino. La luce è scarsa, schiarirò il viso con un lampeggio leggero. "Tu non devi stare a contatto con lui ogni giorno, Giorgia!" dico, regolando il diaframma.
"Lo so" risponde Giorgia, ravviandosi i capelli. "Ma hai scelto tu di lavorarci assieme."
Monto il flash sulla staffa, osservo i led rossi e verdi accendersi. "In più, ora ha dei tremendi sbalzi d'umore. Non sai quanto grida in ufficio!"
"Credi non l'abbia sentito, prima, in macchina?" fa lei.
"Aggredisce la gente, risponde con rabbia al telefono, tratta male i clienti. Non ne posso davvero più, Giorgia". Ruoto la ghiera della messa a fuoco, l'occhio sinistro poggiato all'oculare di gomma nera.
"Quanti anni sono che lavori con tuo padre?"
"Aspetta, aggiustati i capelli." le dico, guardandola attraverso l'obiettivo. L'esposimetro lampeggia. "Neanche lo ricordo, guarda. Mi sa dieci."
Mentre lei aggrotta la fronte, l'otturatore si apre, richiudendosi un sessantesimo di secondo dopo.
"Ehi, come mi hai presa?"
"Mi sa non troppo bene, sai?" rispondo, sorridendo.
"E tu sei quello che vorrebbe cambiare lavoro?" fa lei, avvicinandosi. Depongo la reflex sul sedile della macchina, in tempo per sentire le sue braccia cingermi la schiena. "Ti voglio bene, lo sai."
"Anche io, anche io" rispondo, liberandomi dall'abbraccio. "Ce la faremo, vedrai."