Alfredo
Bruni
Opere edite: Parole Uguali, 1977; Parole (prefazione di Dante Maffia), 1981; Alfabeto, 1982; Testamento (poemetto), 1984, apparso nel n.8 di "Discorso Diretto", trimestrale di poesia diretto da Paolo Ruffilli; Il cane bugiardo (prefazione di Dario Bellezza), 1987; Ambiente e poesia (in collaborazione con Giovanni Spedicati), 1988; nel 1994 ha pubblicato un libretto senza titolo, in duecento copie numerate a mano e firmate, contenente una breve prosa e due poesie; La cosa assurda che sporca di bianco, 1995, edizione privata realizzata a mano in quattro copie firmate; Racconto breve (il testo), 1997, edizione privata realizzata in venti copie numerate e firmate; Reprint, 1998 e 2003, edizioni private; In calce e daccapo (briciole di cemento armato e di presente), 1999, edizione privata con illustrazioni dell'autore; Dubbi, 2000, edizione privata con copertina illustrata dall'autore, realizzata in 11 copie numerate e firmate, Immondizia Diario postumo di un netturbino, 2000, edizione privata con copertina illustrata dall'autore; Sesso, perverso, occasione mancata Sogni, bisogni e vita di un uomo/impiegato qualsiasi, 2000, edizione privata di cui sette copie stampate su carta da pacchi; Il mio immacolato disordine, 2000, edizione privata con un'illustrazione e la copertina disegnate al computer dall'autore; Avanguardia, 2000, edizione privata di un poemetto dedicato alla madre e composto a Bologna nell'aprile 1984 con copertina illustrata dall'autore. Collaborazioni: per la rivista Primi piani di Roma ha curato una rubrica di segnalazioni e recensioni di videocassette. Ha collaborato con il LiSSPAE di Brindisi e, tra le altre, con le riviste Verso il futuro, Logos, La mongolfiera e Il sodalizio. È stato redattore di Malvagia (trimestrale della cultura sommersa di Milano), in cui ha pubblicato alcune cronache e alcuni racconti. Principali premi: secondo classificato al Premio G. Carrieri 1983; targa Assitalia al Premio Vallecrati 1983; primo classificato (sezione silloge inedita) al Gran Premio Rebecca 1984 con Il cane bugiardo; secondo classificato al Premio M.F. Iacono 1985 con il racconto "I manichini sorridevano ai fantasmi"; diploma con targa al Concorso S.N.A. negli anni 1986 e 1987; finalista al Premio Fortezza '86 con il romanzo inedito "Vincenzo il pescivendolo"; primo classificato al Premio Poesie sotto le stelle - Notte di San Lorenzo 2002. È attivo nel campo della mail art e della pittura, sperimentando varie tecniche e materiali. Alcune sue composizioni sono state pubblicate nel saggio Parole senza frontiere, di Bianca Maria Folino (www.alosi.it/scrittori/Folino/), curato dall'autrice milanese per il sito web di Stampa Alternativa (www.stampalternativa.it/ma/index.htm). Il romanzo Vincenzo il pescivendolo è stato pubblicato nel sito www.utenti.lycos.it/Chimeraweb. Il poemetto Avanguardia è stato pubblicato nel sito www.poesia-creativa.it. È stato presentato al pubblico di Amendolara, Terranova da Sibari e Saracena nel corso dell'itinerario culturale meridionale Il Musagete. Per le edizioni La mongolfiera ha curato le poesie di Alfonso Iuso, giovane sieropositivo, ex tossicodipendente della Comunità Saman, pubblicate nel volume Ti chiamerò domani, e Quando il tempo…, della poetessa calabrese Rosalba De Simone. Nell'estate 2002 ha esposto sette suoi quadri nella collettiva di pittura Lo specchio infedele tenutasi a Cerchiara di Calabria (CS).
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Talismano
Io... Io sto scappando via, e so bene che quando si scappa lontano, non si lascia solo il luogo o si lascia solo qualcuno, so che si va sempre verso un altro qualcosa, un altro posto, oppure un altro e basta. È un cerchio perfetto, praticamente deforme, si scappa, si corre, si sente il cuore palpitare, scoppiare in gola, e si ritorna al punto uguale. Una cosa rotonda, bambini per strada, girogirotondo, il mondo non è mai bello. Passo le ore a masturbare la mente, l'anima, la memoria, e questo scher-mo ultrapiatto, cristalli liquidi, salati come l'oceano, emanano la luce nuova che oscura gli occhi. L'alba l'aspetto tutte le notti, ma il sole che nasce non l'ho visto mai. Quella volta in treno mi capi-tò una volta, c'era la ragazza dai capelli lunghi, ondulati come onde che all'improvviso ti folgorano per volontà del cielo. Mai visto un'onda folgorare nessuno, ma la metamorfosi delle cose, può esse-re tremenda, terribile come la maledizione che solo Dio può mandare dal cielo. Inferno, inferno, in-ferno... Vittoria del paradiso, ma in terra c'è solo una mezza stagione di infelicità. E tutta la notte, la mano tra le sue gambe, la folgore della vergogna mi inceneriva, ma il suo rossore era più bello di un tramonto estivo. E se non lo avessi fatto, cosa avrebbe pensato di me? Che sono gay, sicuramen-te avrebbe detto questo alle sue amiche appena scesa al primo rifugio del suo paese. Quanti anni e anni sono passati, ma poi divenni più giovane e quasi santo. Ma puzzavo, puzzavo, puzzavo, tre-mendamente puzzavo di troppa santità, e forse allora incominciò la fuga. Ovvero, avevo tanto pelo pubico in cui sguazzare, e lo tenevo in servo per i tempi migliori, invece di usarlo, usarlo tutti i giorni, mattina e sera. Allora aspettavo l'Apocalisse, ma un giorno un asino mi disse che ognuno parla la sua lingua, e che se a lui dicevano che ragliava come un ciuco, libro di Pinocchio, non si of-fendeva affatto, non si offendeva. Ma bisogna essere tristi, rispose il grillo, seduto sul sofà, posto più in alto dell'Olimpo, e il grillo parlava, parlava, parlava, anche se era morto. Questa volta ho de-ciso di usare le maiuscole, pochi giorni fa, mi hanno rimproverato perché non le uso mai. Ma sta-volta il computer ha incominciato a metterle all'inizio, e sono troppo pigro per far scendere una tendina e svirgolare un quadratino messo lì come per caso. Mi ricordo che una volta ho vinto pure a carte, ma la sfacciata fortuna, mi aprì il suo cuore e le sue gambe al buio, e pescai, come si pescano le cose... quali cose?, non fatemi domande per favore, pescai tutte le briscole, compreso l'asso di bastone. Vorrei vedere un film di Maciste, per sentirmi un'altra volta forte, come quando bambino, uomo giovane e incosciente, lottavo con la sagoma dei sogni. Ma il caffè troppo forte di mia madre, e quello di mia zia, e quello di tutti i bar del mondo, misero forza, fuoco e volontà dentro le ossa, e dopo un po' di tempo, dannai il giorno, per dedicarmi alla notte. In tre giorni scrissi tutta la mia vi-ta, ci impiegai un decennio per rileggerla, decisi che faceva schifo, la stracciai e la buttai via. Me ne pentii quasi subito, perché la vita è come i libri, se sono stracciati non servono a niente. Ma qualche brandello, l'ho recuperato, e qualche altro lo cerco ancora, inutile togliersi la pelle di dosso, se non si ha niente sotto. La ragazza del treno, madonna!, come cazzo si chiamava, Maria? Elisabetta? Marta? Maddalena? Elena? o semplicemente femmina? Conobbi Cinzia, quando avevo anni venti, quasi ventuno, per essere più onesti, e mi portò a casa sua, quando smise il turno al bar. Una notte, due notti, quattro notti, e poi basta. Qualcuno la sposò, quando io ancora balbettavo sulla pagina biancastra. Da allora decisi di scrivere su fogli colorati. Erano bei tempi quelli, c'era la Standa, e se alla Standa non c'era il colore, si andava all'Upim, proprio dietro l'angolo, quattro passi in più, e quattro a ritornare. A volte ci si andava apposta, in tutti e due i posti, per prendere un quaderno az-zurro e un altro color del sole. Le sposine ridevano felici, e una volta accadde che una dimenticò il pargolo addormentato, per prendere qualcosa tra le gambe. Colava come la fontana del mio paese, colava piacere e odore di donna. Fu un peccato, lasciare il bambino addormentato, ma sarebbe stato peccato lasciarla tutta sola e senza consolazione. Tutto sulla terra, in fondo in fondo, è un peccato mortale, le mosche che scopano sui vetri delle piazze, i fiori che scopano con le vespe e mandano in bianco l'ape, i cani che non odiano abbastanza il gatto del vicino. Ce la mettiamo tutta, è vero, per renderci infelici, ma a volte capita che non ci riusciamo, allora per pareggiare le cose, rimpiangiamo i tempi passati, le buone cose di un tempo, che sapori, che odori, che amore di ragazza, che mentina fresca, per profumare l'alito cattivo, frutto del peccato e della perdizione. Ogni giorno una preghie-ra, ogni domenica la messa, ogni festa un attacco di diarrea acuta e grande mal di pancia. Migliaia di bambini, muoiono ogni giorno, per la fame, ma muoiono anche i grandi, e ai miei tempi si moriva meglio. Tutta colpa del fumo, te lo dicevo io, non prenderlo il vizio maledetto, e adesso almeno smetti di fumare, anche se la tua fine è prossima, ma chi può dirlo che non moriamo tutti, la fine del mondo sarà un'improvvisata, di quelle vere, mica per niente l'ha inventata Dio. Intanto abbiamo provato il diluvio e imparato a costruire l'arca, ma la fine, la fine vera è tutta un'altra cosa, lo garan-tisco io, che parlo con il prete, disse la borghese, e se commetto dei peccati, veniali, badiamo bene, veniali e non mortali, mi metto subito tutta in ghingheri e rossetto e corro da don Lurio, per confes-sarli tutti. Si confuse un po' con Canzonissima, era in bianco e nero allora la TV, e quando vide quella cosa nuova, abbandonò la testa del marito, si asciugò le labbra con un gesto astuto, e massa-crò le mosche per evitare che ci facessero la cacca sopra il vetro. E venne il tempo che le puttane vere, arrivarono a frotte, esodo nella terra promessa. E si avverò la cosa che diceva, che il mondo è tutto uguale, e bianche e nere, e bionde e donne dai capelli rossi, tappezzano la strada della nostra immaginazione. Cinquanta a botta e vi do pure il culo, che è sempre ben lavato col lubrificante a acqua. E quando venne quella cosa strana, che non si uccideva nemmeno con la penicillina più for-te, ecco, è tutta colpa vostra, ve lo taglierei quel coso, che non sapete usare, disse una donna di ot-tanta anni e passa. Intanto Ulisse continuava a gironzolare, dietro la seconda casa, sulla veranda, lassù in montagna dove gli dei sono sempre i primi a decidere il destino. Pensava all'ICI, aveva uc-ciso il cane e anche d'estate, dopo tutta quell'avventura, doveva tenere addossa la mantellina rossa, l'unico pezzo che rimaneva della tela, per ripararsi dall'umido e curarsi gli acciacchi, beato figlio, dove sei stato in tutti questi anni! Acqua, sole, vento, intemperie e quella puttanona di una Circe, e hai cecato finanche un uomo con un occhio solo, che se nell'89 non ci fosse stata l'amnistia, ancora eri al carcere a mangiare cenere e carbone. Almeno adesso, un piatto di spaghetti, te lo cucino io. Fortuna che poi arrivò Garibaldi, camicia rossa e mille lire in tasca, per andarsene in America a far l'eroe del primo e del secondo mondo. Ma in seguito, qualcuno si affacciò al balcone e gridò, come un comizio in piazza grande, il palco messo apposta in quel luogo di passaggio, che l'unico bene e il bene comune, che a pensarci bene, è il bene moltiplicato per miliardi di singole persone. E una vol-ta, passando per Napoli, spararono a uno, l'unico che vidi, ma da un'altra parte ne spararono degli altri. Ma quando venne la polizia, il morto era già resuscitato, e interrogato dal capitano della PS, disse di chiamarsi Lazzaro. Come il parroco che coabita con altri al mio paese, ed è tutto pensiero per le cose grandi che accadono nel mondo, ma guai a sgarrare una domenica: la cresima a settem-bre. Poi venne l'estate, la casa galleggiava sull'acqua, fortuna che non so nuotare, me ne vado a fondo prima, ma era talmente sporco, il mare, che mi mantenne a galla. Scopammo due volte nell'acqua, e lei si beccò bacilli e strepto e si gonfiò come una cocca. Eziologia della malattia, la donna è aperta e se le becca tutte, nosografia del caso, amnesia totale, inutile stare a raccontare, po-sologia, non scopi per tre mesi. Ma meglio un'anamnesi che un'autopsia. Diligente, diligente in tut-to e non negligente, diceva la vecchia che vendeva panini e la verde varechina, odori, sapori di un tempo passato. Accidenti, qui rischiamo di ritrovare l'identità, casomai l'avessimo perduta. E vol-tiamo pagina, per parlare di nuovo della donna. La donna finisce in a, l'uomo finisce in o. In con-clusione, uomini e donne finiscono, presto o tardi, prima o poi, meglio dopo che prima, ma finisco-no. Ma quella lingua, che ricorda i litri di Coca Cola bevuta a litri, bottiglie da collezionare e usare come cazzi finti, senza guanti di velluto, quella lingua, dicevo, cerca di penetrare il buco, ed è una sensazione estrema, naturale, se non c'è il preservativo, e lei se lo mette pureinculo, pur di apparire arrapante, come una troia dell'antica Grecia, e ci volle quel viaggio al santuario di Pompei, per sca-vare nella coscienza fino in fondo. Porcatroia, qui si scopava di brutto, davanti di dietro di traverso in bocca in culo in fica e in ogni luogo sempre quasi d'essere a Internet City, quella città grandissi-ma che abbiamo in casa da qualcheannoaquestaparte, e prima era una cosa tantodifficile, che ci vol-le il buon Dio, per insegnarci tutto. Quindi, riallacciando i fili del discorso, la donna è una "a" aper-ta, mentre il pover'uomo, è solo una "o" chiusa. Un buco per ciascuno, ma lei ce ne ha due, ma quando il maschio se lo inculano - trannelogicamenteilcaso che fosse consenziente, niente di che contro i ricchioni, anche io una volta mi sono lasciato inculare e ho inculato uno, anche se eravamo un po' fumati-abbattuti-fottuti dalla vita - (e adesso mi tocca ripetere, altrimenti non fa effetto e mettere i due punti): ma quando il maschio se lo inculano, dicevo, lo inculano davvero, e, ripetizio-ne apparente, tranne il caso che non sia consenziente, fa un male cane, che forse deriva dal morso del cane o dal dolore del canino quando è guasto fracido alito cattivo di cattiva carie, che nemmeno la migliore menta può profumare l'atmosfera circostante. Circostanza, questa, non improbabile, che a volte uno spazzolino dura anche otto anni, e un tubetto di dentifricio, famiglia media, quattro per-sone, padre madre figlia maggiore e figlio maschio dopo undici anni, e parlo, sono sicuro che avete capito, di un tubetto medio, dura anche due anni, almeno fino a quando la figlia grande, voluta e cercata, e se è venuta femmina che ci possiamo fare, l'importante che stiano bene, maschi e femmi-ne sotto tutti uguali, è solo per via del nome, composto da un prenome, che sarà quello del nonno, e da un cognome, che sarà quello del padre, ma non stavamo parlando del tubetto, accidenti come si salta di palo in frasca, e il tubetto è un tubetto medio, e dura due anni in una famiglia media, fino a quando la figlia grande diventa grande e si lava ventiquattro volte al giorno i denti e le gengive, per accalappiare i maschi, questo avviene prima, e poi, finita l'operazione accalappiamento, per non fa-re capire ai suoi, che sono e lo ripeto una famiglia media, che fuma un po' di tutto, compreso il coso del cane... scusi, volevo dire, del ragazzo che c'è capitato per caso e si stanno conoscendo, e all'ultima boccata, toh!, guarda che sorpresa, lascia sempre uno schizzo di cosa bianca, che l'insegnante evoluta che va controcorrente ed educa le bimbe a certe cose, chiama sperma, e le bim-be dissennate, quando l'occhio è altrove, chiamano sborra maledetta che ti mette incinta. Ma è tanto buona, quando ti viene in bocca, o lungo il tubicino del mio culo. Il resto lo lasciamo per le nozze. Barbiere, parrucchiere, fiori bianchi, corredo, pattumiera, tutto di corsa, il compare all'altare palpa con gli occhi la sposa e la comara. E poi il ritmo della musica, la festa mia è più bella della tua, la mia mobilia, vero legno, il divano pelle umana trattata come quella animale. E il ritmo continua, fi-no a quando non ci accorgiamo che siamo diventati grandi. Grandi come Dio? Anche di più. Allora adesso ci attrezziamo, e scopriamo cosa c'è di più grande dell'Olimpo, trippa di Budda!, solo il pa-radiso può competere con noi. A causa di quella piccola paura delle corna, tanta paura che il fuoco è solo una scusante, ma avremmo preferito sposare una vacca ed essere dei tori, almeno le corna di-ventavano un orgoglio. Povero diavolo, per mettersi in mostra, si fece crescere persino la coda, e poi arrivarono loro e dissero che il peccato è la bellezza di una tetta, la rotondità di un culo, un caz-zo eretto, una coscia lunga milioni di chilometri. E tutti a correre, per prenotare un posto in paradi-so. Dovunque sia, purché non ci siano corna. Per prudenza, prudenza figliolo, moglie e buoi dei pa-esi tuoi, una bella ragazza, un po' larga di fianchi un quintale e quaranta, ma un vero corredo dentro il cassone, il salame curato appeso al soffitto, la scorta di vacche nella stalla di sotto, il diploma ve-nerato nel cassetto chiuso a chiave. Alt, patente, libretto e blocchetto degli assegni, ecco la vita tutta sognata, dopo la prima scopata dietro una tenda alla prima festa del liceo. E chi non è con noi, è contro di noi, attenti braccianti, proletari della mente, merda schifosa, fatti voi foste per vivere come numeri. Contiamo noi che facciamo legge e testo, e siamo noi a contarvi e riportarvi all'ovile, come pecorelle smarrite. E il figliol prodigo disse, cazzo, stasera si mangia meglio del previsto. Tutto perché, l'unione fa la forza, e più siamo e più possiamo resistere, seguiamo la nostra legge, e diven-teremo immortali. E puttana Eva, stronza d'una zoccola, poteva farne a meno di inghiottire il succo della mela. Ci fosse stato il succo di frutta al gusto tropicale, tutte le cose sarebbero diverse. Diver-samente, adesso ci tocca combattere, ma è questione di poco, un centinaio d'anni appena per cia-scuno. Per diventare razza, stato e orgoglio di nazione. Adesso avrei fretta anch'io, per uno che sta scappando, mi sono intrattenuto già per tanto, ma ci vuole il ritmo per scrivere una pagina, e se lo perdi, poi non lo ritrovi, e perdi i pensieri e il filo del discorso. Quindi arrivò l'estate, che, caso stra-no, come cambiano le stagioni, il tempo non è più quello di una volta, durò quell'anno solo nove giorni, e il decimo si riposò per sempre. Fu in quell'estate che persi nella sabbia la mia anima, e scava e scava e scava ancora, l'anima non si ritrova, perché non se n'era mai andata. C'è la legge, l'età, i bassifondi, e il ricordo di una bimba persa a Bologna. Però che costanza, tutte le sere, effetto del Prozac, fino al giorno seguente. E seguì l'anno dopo, quel volto che attirava, lei, alta più di me, la treccia sul lato, un corpo stupendo, ma il volto era tutto. Poi venne la sera, non rividi più nessuno, accesi il computer e cercai la via d'uscita. Battevo sui tasti e il silenzio ascoltava, la luna origliava alla finestra, il male uccideva metà dei miei gatti. Mi sentii perduto, solo quando non comparve Pi-pi, il gatto più vecchio di cinque anni appena. Poi un'altra macchina uccise anche Rossino, che all'età di sei mesi, già era stato investito. Allora decisi di andarmene, senza fare nemmeno la vali-gia, e allora scoprii che da tutta la vita stavo già scappando. Un uomo in fuga, titolo da film, ma an-che se ritorni, è necessario ripartire dalla zero. È vero, nella vita non ho mai rimpianto niente, oppu-re rimpiango tutto e nemmeno me ne accorgo. Ma nessuno lo sa, l'unica cosa che rimpiango davve-ro, è quel volto dell'estate successiva, lo vidi due o tre volte, quattro, cinque, sei, ma non lo conobbi mai. Qualche volta conosco una cassiera al supermercato, me la sposo all'istante, mi riempio le ma-ni di plastica per spesa, la bocca di parole traboccanti, le tasche di punti e buoni omaggio. Sconto con l'inganno la mia vendetta, contro un mondo fatto di persone troppo per bene, e all'improvviso, un giorno, cercando la camicia della felicità, nascosti sotto uno spesso strato di aria sporca, ritrovai il naso di Pinocchio, la spada di Peter, il vestito di Arlecchino, la maschera di Pulcinella, la croce di quel Cristo di Betlemme, e le mie ali, che all'età di otto ore e due minuti esatti, mi avevano tarpato, lasciandomi connesso, invece col cordone. E adesso, è il destino di tutti, se muore la madre, muore pure il figlio, il padre pensa al funerale, e se la cosa va all'inverso, niente di straordinario, ti legano al padre, mettiti il lutto altrimenti è vergogna piangi carogna, e la mamma, che aveva un gruzzolo nascosto tra le gambe pensa alle spese e al marito morto. Tutto si tramanda, anche quando si tra-sforma. E se una cosa si trasforma troppo, mandano la guardia, per dirti di stare in guardia, poi arri-va la bolletta da pagare, cifre, codici divini, e sembra l'estasi del valore aggiunto. Ci capisci poco, è vero, ma stai tranquillo, non c'è nemmeno vento questa sera. Ma meglio non esagerare con l'aria e coi pensieri, un'ora al giorno può anche bastare. Otto ore di sonno e otto di lavoro, contributi pagati, e la disoccupazione, stai meglio di un nababbo, un re del petrolio è meno del re del tuo paese. Sve-glia alle sei, alle sette in ufficio in cantiere in officina sull'impalcatura, e il muro di cemento, armato fino ai denti, separa il principio dalla fine. Ho tentato di riattaccarmi un giorno, le mie belle ali, la colla era buona, ma non era adatta alla bisogna. E lo sanno tutti, persino un bambino, ma persino il cretino del paese, persino il matto che uccide la città con la sua sporcizia da barbone, persino la vi-cina, che grida che il primo che incontra è sempre meglio che una persa e una lasciata, che un ange-lo umano, se non ha le ali a trent'anni, non riesce a volare. Può solo scappare, il cerchio si compone, al centro il santo Graal e l'orecchio di Vincent e l'insetto enorme che era umano. Logicamente è nella natura delle cose, ti condannano sempre, ma se hai fatto il bene diventi santo e punto e basta, e nemmeno una virgola, per addolcire l'amaro. Un tornado può uccidere milioni di persone, caso strano anche la guerra fa la stessa cosa, ma tutti gli altri restano e diventano civili, come i dinosauri del secolo ventesimo. Allora scappo, ma ci sono i martiri da onorare, e i cimiteri da pulire bene, sembriamo quattro gatti, in mezzo alla via lattea, svolto alla prima traversa e il suono della tromba è sempre lo stesso. Telefono a due amici un po' viziosi, rispondono le loro troie avvinazzate. Qui non c'è nessuno di quello che tu cerchi, il caso s'è portato via tutto il necessario. Era proprio necessario fare questo? Raccolta differenziata, raccolta di rifiuti umani sembrano le strade anche sotto Natale. Ninna nanna canta la bambina, ma è solo una bambola piccina che riprende vita. Dura poco, il mondo maniaco le squarcia le budella, e danno la colpa tutta quanta alle stelle. Continuo la rincorsa, non trovo il rifugio, sfoglio a caso il vocabolario, dizionario dei luoghi comuni, e scelgo a caso un vocabolo, mi esce nonnulla e mi sembra poetico, ma sarà un nonnulla per tutti - tutto quanto il re-sto, ma non per le mie mani senza stimmate, sporche d'inchiostro, e non di sangue, fuliggine di ver-bo e nulla più. Le dita corrono sulla tastiera ardente. Polpastrelli consumati con le pezze al culo. In conclusione di tutto, anche l'angelo buono, è come l'aeroplano, finita la miscela che è un intruglio misto di speranza umana, plana spietato sulla morte. E l'angelo muore, come un vecchio artista, du-rante la sua fuga circolare. Rimane una piuma, caduta sopra il foglio, e la conservo, insieme al volto ricordato, come un piccolo, inutile, vecchio talismano. - .............................. E qui segue una pausa lunga o potrei anche finire. Continuo? Continuerò. Sarà la poesia che scriverò domani. E il bacio delle nuvole, fulmini e saette non può fermare la fuga, e nemmeno uccidere la forza della mia mano destra, brulicante di parole, come un nido di piccole formiche. Il grido di cicala, annunzia la fuga e separa il male dalla morte, ad ogni rintocco di campana. Din... don... dan... Il giro è sempre quello, io, gli altri, la vita che fuggiamo è un girotondo, e avanti, prima di morire, regaliamo un fiore alla follia, etuttituttiquantiaterra, seduti sul cartone disegnato, e se guardi bene quel disegno, è solo una parola che non dice nulla, ma racchiude il mondo e la magia domestica, di tutti, tutti quanti i giorni. |