Leonardo Moro

sono nato il 31/12/85. 
Ho pubblicato nel giugno del 2003 il mio primo libro di poesia "Tuoni e Suoni". ( Firenze Libri ) Nel luglio 2003 è uscito il mio secondo libro di poesia " Rumore dal nulla" ( Ed.Il foglio ). Ho un sito www.leonardomoro.com

 

primo ottobre.

Ora è tutto finito. Praticamente non ci si vede più. Non che prima ci si vedesse molto, ma era diverso . Luca fa il geometra in comune. Valeria, si è sposata due volte, e lavora in un centro di rieducazione, per ragazzi disagiati . Carla sembrava che si sarebbe sposata con Luca, invece adesso è a capo di una comunità per lesbiche. Insomma, cazzo… non avrei mai pensato che Carla fosse lesbica. Andrea, lavora con il padre. Dopo studi tutt'altro che brillanti, il padre lo ha infilato nella ditta dove lavora, fa un po' di tutto, non so bene cosa, ma lavora lì.
Un tempo, il primo ottobre, era sinonimo di far sega a scuola. Era tassativo. Il primo ottobre non ci si andava a scuola, c ' erano quelli del primo anno che ci andavano. Ma noi, no. E così un primo ottobre, Luca la sparò fuori : " che ne dite di andare a Terni sta' mattina, tutta la mattina in stò' bar, me scasso le palle". Carla, accettò subito, accettava tutto quello che usciva dalla bocca di Luca. Valeria , e io non eravamo particolarmente, entusiasti di andare, ma cosa potevamo fare, starcene tutta la mattina al bar, non era una bellezza. Andrea guidava, perché era più grande di noi. Così entrammo nella sua auto. Andrea era fissato con la macchina, comprava un sacco di riviste al mese, che parlavano di macchine e roba del genere. Teneva la macchina pulita e lucida, la portava a lavare una volta a settimana. Prima di partire, passammo al distributore, sotto casa di Andrea a fare benzina. Tirammo fuori un tot. per uno . Appena partiti, Luca, che stava davanti, mise su, una cassetta di musica da discoteca, e quelle due sceme che stavano al posto di dietro con me, iniziarono a cantare. Cantavano e urlavano, anche dal finestrino. Fecero qualche gestaccio alle auto che viaggiavano sulla corsia opposta e risero di gusto. Carla aveva un sacco di casini a casa, con suo padre. I suoi erano separati. Sua madre, era una tossica, e suo padre mandava avanti la baracca, mantenendo anche sua moglie , che viveva con una spacciatore, un piccolo spacciatore. Carla non parlava mai con suo padre, andava vestita quasi con degli stracci, non perché non avesse i soldi, ma diceva che era la moda. Aveva una borsa militare, su cui aveva disegnato una A , gigante, di anarchia e a lato, aveva una scritta W il Che. Il padre di Carla, lavorava come bidello in una scuola. Era un uomo, che sembrava scomparire ogni volta che lo incontravi, insomma se tu lo vedevi per strada era come se vivesse conficcato, fino quasi a sparire, dentro ai suoi vestiti. Valeria, era una di famiglia benestante, ma cercava in ogni modo di fare la poveraccia. Avete capito bene, si vergognava di avere la grana e tutto il resto, così si vestiva con abiti da fiera, lasciando nell ' armadio, la roba firmata. I suoi si imbestialivano sempre quando si vestiva come una barbona. Aveva anche un fratellino più piccolo. Il suo problema era solo uno, era stupida. Ma mica così per dire, era davvero stupida e basta. Sia nel modo come si comportava e in tutto il resto. Era capace di farsi palpeggiare da uno che conosceva da un paio di ore, anzi direi da uno che conosceva da un ' ora e mezza. Valeria e Carla, andavano nella stessa scuola, e anche nella stessa classe, alle magistrali. Anche se si incazzavano quando dicevo magistrali. Dicevano che non si chiamavano più così. Ora erano un liceo. Sociopsicopedacogico, per la precisione. Per arrivare a Terni, potevamo passare o per la somma o per una strada, che non ricordo il nome, insomma quella sulla curva, prima di andare a Crocemarrogia. Firenzuola credo, ma non ne sono molto sicuro. Passammo per la somma e le prostitute erano già a lavoro. Quel posto pullulava di prostitute. Andrea suono e salutò un paio di professioniste e quelle risposero mostrando i glutei e lanciando baci. Valeria e Carla , scoppiarono a ridere. Dissero che anche loro sarebbero finite a battere, a somma. Continuarono dicendo che volevano una vita al massimo, spericolata, libera, piena di birra o qualsiasi tipo di alcolici e di fumo, qualsiasi tipo. Ridevano sempre, soprattutto Valeria, stava sempre a ridere. Luca cambiò cassetta , e inserì una roba di Vasco. Allora tutti si gasarono e iniziarono a cantare a squarciagola, mentre Andrea sorpassava. Andrea aveva finito la scuola in un liceo privato, con una media piuttosto bassa, nel liceo pubblico era una vera sega, aveva ripetuto il primo anno per tre volte di fila. Poi iniziò a fare due anni per uno, due anni per uno. E alla fine mollò tutto per prendersi la licenza liceale senza rischi in una scuola privata. Più o meno tu paghi e loro ti appioppano la licenza è facile. Ci sarei voluto andare anche io, in una di quelle scuole private. Ma per una serie di ragioni rimasi alla pubblica. Diciamo pure che Andrea vivacchiava. O dormiva o mangiava, o scarrozzava noi in macchina. Non che ci fosse molto altro nella sua vita. Non aveva mai voglia di fare niente , di dire niente. Passava le giornate a letto davanti alla tv, o alla playstation, in cerca di qualcosa di migliore. Il migliore che aspettava era qualcosa che fosse piovuto giù dal cielo, un incarico da qualche parte, uno stipendio da favola e ore di lavoro minime. Non aveva obbiettivi, mete da raggiungere. I suoi passatempi preferiti erano due, uno era la discoteca e il secondo il puttantour. Come credo avrete capito che cosa sia la discoteca non credo che sappiate che cos'è un puttantour. La prima volta che me lo disse non lo sapevo neanche io e me lo spiegò più o meno così " ieri sera sono andato in disco, al " volo notturno", hanno inaugurato una nuova gestione e poi sono passato al " Follia". Non c ' era quasi nessuno. Poche fiche, quasi niente. E dopo ho fatto un puttantour. Insomma mica ci devi andare con le mignotte, quando fai un puttantour. Tu vai lì dove battono, ci parli, chiedi quando vogliono , te le porti un po' per culo, resti seduto in macchina e ridi , non è davvero niente male".
Ci fermammo in un bar, perché Carla doveva comprare le sigarette. Fumava un sacco quella lì. Una volta che eravamo scesi, decidemmo di fare colazione. Ordinammo cappuccini e cornetti. Pagò il giro, Valeria. Aveva sempre dietro un sacco di grana.
- Va bè…. Offro io, che voi siete un gruppo di morti di fame. Bei cazzo de cavalieri che siete.
Salimmo di nuovo in macchina senza riaccendere la radio. Per qualche minuto restammo tutti in silenzio. A guardare dal finestrino le altre macchine che passavano. Luca iniziò a parlarci dei problemi del suo motorino, delle ultime modifiche apportate, e dei pezzi di ricambio che doveva comperare. Poi come spinto da qualcosa saltò sul sedile posteriore, e Valeria si andò a sdraiare nel portabagagli ridendo, come sempre. Luca prese Carla e la portò a se, iniziò a baciarla, anche se quella cercò di respingerlo sulle prima, poi si lasciò persuadere, e iniziò il girotondo di lingue. Valeria nel portabagagli sembrava a suo agio, giocava con il suo telefonino, e mangiucchiava un pezzo di pizza che aveva preso al bar. Andrea guidava, io guardavo fuori . Luca ha sempre avuto molto successo con le donne. Bastava che aprisse bocca e bam !. Erano ai suoi piedi, non doveva mai fare niente di particolare . Una volta mi raccontò la storia di sua nonna. Insomma sentirete che roba. Me la raccontò in lacrime a casa sua. Non rideva mica, piangeva come un ragazzino al primo giorno di scuola. La storia di sua nonna era una storia piuttosto strana. Adesso sua nonna, se ne sta' sotto terra, ma prima si dava da fare e mica poco. La beccarono nel bosco con un vecchio della sua età che scopavano. Mica per scherzo, avrà avuto settant'anni, sposata con marito, figli e nipoti in casa e se ne andava al bosco sopra a casa a scopare con un cazzo di vicino, del cazzo. Fu una storia che mi lasciò per un po' senza respiro, perché conoscevo la nonna di Luca, ma non me lo sarei mai immaginato che scopasse e tutto il resto. Quando pianse quel giorno Luca. Cercai di consolarlo e di dire qualche parola di conforto come si fa in quei casi. Non che sia particolarmente bravo a sparare parole di conforto, ma ci provai lo stesso.

- Hai da accendere ?, chiese Luca a Carla.
- Si tieni. rispose Carla.
Luca fumava perché era stata Carla a dirgli che doveva fumare, a dirgli che se non fumava era un uomo del cazzo se non fumava avrebbe fatto ridere anche i polli, perché tutti fumano. I grandi e quelli forti fumano. Io non fumai , perché non volevo sentirmi forte, né tantomeno grande. Non pensavo a niente, ascoltavo i più svariati discorsi, il più delle volte strampalati, che facevano i ragazzi. Finalmente, leggemmo il cartello di Terni est. E svoltammo a destra. Entrammo nella città. Luca finì la sua sigaretta e la gettò dal finestrino. Che tipo era Luca. Uno senza palle, bravo e grande amico quanto vi pare, ma alla fine era uno senza palle. Stava a sentire tutte le merdate che gli metteva in testa Carla. Come si faceva a starla a sentire quella là… . Luca non era matto, ma cercava di esserlo. La sua famiglia, lavorava tutta nel forno più grande della città. Ma li non sarebbe mai finito, diceva. Infatti è finito geometra, ma questo già lo sapete. Non parlava con suo padre, quasi mai, e nemmeno molto con sua madre. Se ne stava tutto il tempo a bighellonare in giro, a perdere tempo a vivere le giornate là fuori. Era bravo a scuola, prendeva ottimi voti e si odiava per quello, ma ogni volta continuava a prendere ottimi voti. Diceva che sarebbe scappato, voleva andare con una zattera in America. Ridevamo tutti ogni volta che raccontava la storia della zattera e dell ' America e della fuga. Ogni volta che litigava con Carla, diceva che avrebbe fatto il gigolò per vivere, mentre quando era in pace con Carla, diceva che avrebbe provato a fare l ' attore a Hollywood.
Arrivammo, a destinazione, e parcheggiammo, in un grande parcheggio che non era a pagamento, che stava vicino a un gruppo di scuole. Usciti fuori dalla macchina, ci stiracchiammo e lasciammo i giubbetti in macchina, perché faceva caldo. Aprimmo il cofano della macchina e Valeria uscì fuori ridendo. Andrea fece il verso di baciarla, ma lei non acconsentì anche se non si mosse davanti ad una palpata di culo del vecchio Andrea. Cercò di palparla e baciarla insieme, ma riuscì solo a palparla. Bella sfiga. Se c ' era una cosa che amava fare era palpare i culi, ma voleva anche il bacio. Ma Valeria non era una che baciava. Non baciava mai. Anche i suoi ragazzi non li baciava. Magari ci andava a letto, ma non li baciava. Diceva che il bacio era riservato al suo grande amore. Aspettava di trovarlo il grande amore. Era terribilmente patetica , quando si lanciava nella descrizione del suo grande amore. " deve essere bello, ricco, intelligente, e mi deve voler bene". Chiedete alle ragazze con il cervello da gallina, quale sia il loro amore e risponderanno tutte allo stesso modo. Che razza di stronzata.
Lasciammo il parcheggio, e iniziammo a camminare, attraversammo la strada. E sbucammo in una specie di sottopassaggio. Prendemmo su per un lungo viale, e girammo a sinistra, eravamo arrivati al corso. Dove volevamo andare. Guardammo il corso , ma fu una delusione o qualcosa del genere, non c 'era quasi nessuno. Poca gente. Pensavamo di trovarlo grondante di studenti che avevano marinato la scuola, ma ci eravamo sbagliati.
- Lo sapevo, che sti cazzzo di studenti de qui, non lo facevano il 1 ottobre. disse Andrea.
- Bella inculata. disse Luca.
- Non fate i tragici, per favore. disse Carla.
- Già che ci siamo andiamo. dissi .
- Andiamo, disse Valeria, ridendo.
Il corso era pieno di negozi, bar e pizzerie. La gente per strada , era adulta e vaccinata, tutti quelli che incontravamo si vedeva chiarissimo che non avevano più niente a che fare con la scuola. Non ci demoralizzammo, entrammo in un negozio di strumenti. Vendevano roba usata, e cd di cinquant'anni fa. Roba vecchia davvero. Tutti cantanti sconosciuti, che dopo il primo disco erano spariti.

- Serve aiuto ? disse la cassiera.
- No, rispose Luca.
- Stiamo dando un ' occhiata, aggiunse Carla.
Girammo in quel negozio e poi uscimmo senza comprare niente. Carla e Valeria, andarono avanti da sole, a vedere le vetrine . Noi vecchi lupi di mare, ci sedemmo su una panchina . Parlammo animatamente, di argomenti filosofici, del tipo se Del Piero era frocio. Io dicevo di no, mentre il resto dei ragazzi diceva che era frocio, che lo sapevano tutti e che io ero il solo a non saperlo. Luca e Andrea, dissero, che si vedeva chiaramente da come correva. Io chiesi , perché come corre ? e loro risposero " La classica corsa da frocio". Si misero a mostrarmela in mezzo alla strada, sottobraccio, mentre la gente che passava li guardava. Luca, si mise seduto vicino a me, e Andrea rimase alzato a fumare. Ci comprammo della pizza e delle coche , e ci incamminammo su per il corso. Arrivati alla fine c ' era una fontana, brutta, che sputava fuori acqua, da tutte le parti. A destra della fontana c ' erano tre o quattro alberi, e sotto c ' erano due ragazze. Ci sedemmo anche noi sotto agli alberi, pronti a partire all ' attacco. Pensammo ad un piano in breve, ma non ne cavammo fuori niente di buono. Mi feci avanti io, con una domanda del cazzo, ma era così tanto per attaccare bottone.
- Lo fate il primo ottobre ?
- Come? disse una delle due. Erano due ragazze entrambe more, una riccia e l ' altra con i capelli lisci, erano entrambe carine. Quella riccia aveva una fascia viola nei capelli. Rispose con quel come stiracchiato, proprio la riccia. Venne in aiuto, Luca.
- Insomma si marina la scuola il l primo ottobre, da voi ?
- Veramente, no. Noi non ci siamo andate, perché oggi interrogava quella di latino.
Fine. Cioè, non ci dissero niente altro. Stavano leggendo una rivista di moda, prima che arrivassimo, e alla fine del nostro approccio scadente, tornarono a quella lettura. Andrea, non era soddisfatto delle nostre domande. Ma almeno ora sapevamo, che il primo ottobre, a Terni, era un giorno come gli altri. Tornarono a farsi avanti Andrea e Luca. Soffiarono sui loro capelli, risero, le salutarono, si misero seduti accanto a loro. Ma le ragazze non sembravano affatto divertite, anzi erano scocciate. Alla fine decidemmo di lasciar perdere definitamente e restammo a guardare la fontana per un po'. Poi andammo all ' edicola, Andrea, chiese se era uscita una blasonata rivista di automobili, ma l ' edicolante, rispose negativamente. Il tipo dell ' edicola, stava mettendo a posto, le riviste che erano arrivate. Rimboccammo il corso dalla parte inversa. Incontrammo Valeria e Carla, sottobraccio, che guardavano i soliti stracci di vestiti. Si accodarono, eravamo di nuovo tutti insieme. Dopo pochi passi, ci sedemmo nuovamente. Su un 'altra panchina. Quelli eravamo noi, sbivaccati sulla panchina, inconcludenti e stanchi. Stanchi di cosa.. ? Di non far nulla avrebbe detto qualche adulto, saggio. Poi avrebbe aggiunto che almeno loro da giovani, lottavano per qualcosa, avevano degli ideali, noi eravamo un branco di pippe. Scansafatiche. Luca baciò Carla, e Andrea tocco il culo a Valeria , poi Luca e Valeria, iniziarono a salutare la gente per strada. Molti sorridevano, altri, cercavano di capire chi fossero, altri tiravano dritti. La mattinata stava passando, in un vuoto, e in una cazzo di solitudine giovanile , che non avrebbe portato a molto. Passò una volante dei carabinieri , davanti alla panchina mentre Carla e Luca, slinguazzavano. Luca ebbe la cazzo di idea, di gridare aiuto. Quelli inchiodarono, pronti a friggerlo. Avevano il finestrino aperto, e avevano sentito il suo aiuto sghignazzante. Bella cazzo di mossa. Fecero marcia indietro. E quello che era alla guida, disse " Non vi vergognate ? Tu, non fai più lo spiritoso, perché hai detto aiuto?", " mi stava violentando, di baci "rispose. " continui a scherzare, ehh… credi che io non abbia niente di meglio da fare, che stare quei a parlare, e ad ascoltare le tue cavolate". Poi tirò sù il finestrino e se ne andò. Quando erano lontani , Luca , chiamò di nuovo aiuto. Ma non lo sentirono. Non si vedeva anima viva, sotto ai trenta, così Andrea, decise di ripartire. Il resto, della truppa accettò. Andammo, di nuovo al parcheggio, salimmo e via. Valeria, si sistemò di nuovo nel portabagagli, dicendo che voleva dormire. Andrea andò al posto di guida, e Luca e Carla, si sistemarono dietro con me. Parlammo poco, al ritorno, qualche stronzata e un po' di musica. Quando stavamo per arrivare, Luca si calò i pantaloni e rimase in mutande, quando passammo davanti alle prostitute, mostrò il culo. A un paio di chilometri da Spoleto, ci fermammo, per pisciare. Tutti e tre, contro un albero, le ragazze stavano in macchina a guardarci e ridevano , le macchine in strada passavano. Se avessi potuto scattare una foto, avrei premuto, lì. Noi tre a urinare. Sarebbe stato un ricordo vivo. Ma non avevo la macchina fotografica. Me la ricordo in mente, però quella scenetta deliziosa. E forse è meglio ricordassi le cose in testa. Aveva qualcosa di poetico, quel pisciare, a pochi metri dalla strada, tutti e tre, contro un albero, con le risate delle ragazze e il rumore delle auto che passavano. Tornammo a Spoleto.

 

OSSESSIONE

Con alcuni amici, quelli più stretti, avevamo deciso di vederci in un locale, per festeggiare il mio compleanno. Trentadue anni. Tutti amici di vecchia data, Roberto, Filippo, Valerio e Marco. Era un pub. Niente di impegnativo. Mi regalarono, una cravatta, una ricarica per il telefonino , tutti i romanzi brevi di Dostoevskij e una maglietta con su scritto I love N.Y. il mio migliore amico era Roberto. Gli altri tre, erano amici e basta. Bevemmo un po', Marco iniziò a farci ridere. La serata si metteva bene. Eravamo lì per festeggiare. Nel locale, c'era parecchia gente. Era sabato sera. Anche se il mio compleanno era stato di giovedì, avevamo preferito festeggiare sabato, perché durante la settimana erano tutti impegnati con il lavoro. Le risate e le bevute aumentavano. Avevo trentadue anni. Con i miei amici, eravamo andati tutti alla stessa scuola. Filippo e Roberto si erano laureati. Io non avevo neanche preso il diploma, mentre Marco dopo essersi diplomato era andato a lavorare nel bar di suo padre. Era una bella serata, quella. Era la mia serata. Il mio compleanno. Non che fossi un fanatico dei festeggiamenti, ma era stato Roberto a insistere tanto, per quella serata al pub. Tornai a casa intorno alle tre e mezzo. Mi spogliai e mi misi subito a letto. Avevo una domenica intera, per dormire. Non che dormissi molto, ma la domenica mattina, non mi alzavo mai prima delle dieci e mezzo. Dormivo da solo, nel senso che non avevo una donna. Non che questo fosse molto piacevole, ma andava bene così. Non mi andava di impegnarmi con una donna. Anche se avevo avuto quattro storie così dette importanti. L ' ultima era stata due anni fa.
Una storia finita male. Era stata lei, a voler troncare la storia. Diceva che non avevo prospettive per il futuro, che non avevo molte ambizioni, che non sarei potuto essere un bravo padre. Stranamente mi svegliai alle cinque di mattina. Era una domenica mattina, ancora buia. Non riuscivo a dormire. Così alzai la cornetta del telefono e chiamai una di quelle linee erotiche. Dopo più di quattro minuti di attesa, mi iniziò a parlare una voce di donna. Mi diceva cose molto eccitanti, così iniziai a menarmelo. La ringraziai e tornai a letto. La sorella di Roberto era il mio problema. La desideravo. Ogni giorno, ogni istantte. Ma è sempre stata una passione personale. Una passione, che non avrebbe mai portato a niente di buono. Elisabbetta, era solo una quindicenne. Ma cosa mi stava succedendo. Io lì a sbavare dietro ad una minorenne. Io che dovevo essere un rispettabile trentenne. Tutto il suo corpo. I suoi capelli. I suoi vestiti. Il suo visetto truccato. Come era bella. Quella domenica ero stato invitato a pranzo a casa dei di Roberto. La nostra era un'amicizia solida. Ma non potevo andare da lui e confessargli, me lo meno pensando a tua sorella. Mi sentivo in imbarazzo. Alcune volte pensavo, in fondo non vi correte molti anni. Se soltanto si sbrigasse a crescere. Sono soltanto diciassette anni di differenza. Ma poi tornava in me e cercavo di riacquistare la ragione. Diciassette anni di differenza erano un abisso. Accanto a lei, mi sentivo a disagio. Quella domenica mi venne ad aprire la porta proprio lei. Indossava dei calzoncini corti e una magliettina molto attillata. Si era fatta le treccine. " ciao Paolo, entra.". disse. La salutai ed entrai in casa. Era così carina. Così felice. Con tutta la sua vitalità addosso. Salutai anche Roberto e i genitori. Mi sembravo il protagonista di quel libro in cui quel professore perde la testa per una graziosa tredicenne, "Lolita". Ma il suo caso sfiorava la pedofilia. Il mio caso era diverso. Elisabetta, si vestiva in un modo. Con quei capelli biondi. Ogni volta che si fidanzava lo faceva con un maggiorenne. Diciannove, venti anni. Elisabetta sembrava molto più grande della sua età. Sembrava una diciassettenni. Con quel suo seno. Con quel modo provocante di fare. Io mi stavo ammalando, non facevo altro che pensare a lei. Prima di pranzare, il padre di Roberto, fece partire un discorso politico in salotto. Non lo ascoltavo, lo osservavo, cercare di stare attento, ma non seguivo le sue parole. Quello che aveva da dire. Ero sotto i vestiti di Elisabetta. Ero lì, su un letto mentre la spogliavo . Ma stavo sognando. La mia immaginazione non aveva limiti. Elisabetta, la mia piccola Lolita. Quando giravo per la casa di Roberto, la vedevo mentre si muoveva. Mentre parlava con le amiche. Mentre parlava al telefono. Lei mi sorrideva. Roberto il mio migliore amico. I genitori di Roberto erano sempre stati molto gentili con me. Ed io facevo quei pensieri sulla loro bambina. Sulla loro Elisabetta. Quella domenica non potevo ancora sapere niente. Non potevo sapere. Elisabetta la studentessa modelle. Miss dell'anno, tra tutte le scuole per due anni di fila. Elisabetta la ragazza che usciva con questi maggiorenni. Andava sulle loro macchine. Magari loro la toccavano pure. Ma cosa potevo saperne io di quella domenica. Cosa potevo saperne. Elisabetta che rallegrava la mia vita, soltanto passandomi davanti. Il pranzo di quella domenica fu piacevole. Elisabetta raccontava delle barzellette e noi ridevamo. Nata così bella. Una vincitrice. Sempre al centro dell'attenzione. Sempre lì, per essere la prima. Non voleva mai arrivare seconda. Elisabetta, questa campionessa di ritmica di tennis. La mia Lolita.
Una volta , solo una volta restammo in casa io e lei soli. Era un venerdì pomeriggio. I genitori fuori, mentre Roberto non era ancora tornato. Io ero arrivato con mezz'ora di anticipo, sperando di trovarla sola in casa. sapevo che avevo solo trenta minuti, poi sarebbe arrivato Roberto. Un uomo ha trenta dannati minuti per contemplare tutta quella bellezza. Aveva una minigonna, ed una magliettina molta generosa. Quando si alzò dal divano per andare a bere, notai che indossava un tanga. Gesù Cristo esisteva. Immaginai che venisse verso di me e mi slacciasse la lampo. Che mi iniziasse a baciare. Ma in quei trenta minuti, non fece altro che parlarmi dei muscoli del suo ragazzo. un colgione con un'audi. Ma ero lì, solo con lei. Così bella. Così piccola. Dovevo proteggerla, pensai. Era piccola, ma già grande. il suo seno, le sue gambe. O piccola vieni fin qua, e slacciami questa lampo. Ma passata quella mezz'ora, Roberto tornò ed uscimmo. Restò sulla soglia della porta a salutarmi. Mi sentivo al centro di una vicenda, impossibile da raccontare. Non sapevo come comportarmi. Roberto era il mio migliore amico. Era sempre stato al mio fianco, da una vita. Ma Elisabetta era la luce di ogni maledetto giorno. dopo pranzo quella domenica, noi tre uomini ci spostammo in salotto, mentre la madre di Roberto sparecchiava la tavola. Elisabetta salì in camera sua. il padre di Roberto attaccò con un altro discorso politico. Restai ad ascoltarlo per un po'. Elisabetta scese dopo qualche minuto e si mise seduta in salotto con noi.. Elisabetta tutta la luce della mia vita in te. ma quella domenica aveva deciso di andare via. con il suo ragazzo. il padre la smise di parlare. Aveva deciso di passare le vacanze con il suo ragazzo. il padre non voleva e anche la madre non era molto d'accordo. Roberto fu secco nell'esprimere il suo giudizio " non se ne parla, sei troppo piccola ancora e poi questo tipo nemmeno lo conosciamo". Io non espressi giudizio. Ma sperai che i genitori non la lasciassero andare. Elisabetta aveva il dono della persuasione. Riuscì in un paio di ore a imbambolare i suoi genitori. Il suo ragazzo era ricco, alto, affidabile, atletico, figlio di un importante venditore di olio. Credo che da allora le cose non furono più le stesse. Da quella vacanza, la iniziai a vedere sempre di meno. Aveva ottimi voti a scuola, una grande libertà, una grande autonomia. Quando giravo per la casa di Roberto, lei era sempre fuori. Chi lo avrebbe mai detto che quella domenica così uguale a tante altre sarebbe stata fatale per la nostra storia impossibile. Una sola domenica che l ' aveva fatta crescere, cambiare, diventare una donna.
Adesso Elisabetta si è sposata non quel tipo della vacanza, ma con un'ingegnere. È felice, ha un buon lavoro, e aspetta anche un figlio. Io e Roberto ci siamo persi di vista. Ma Elisabetta è ancora presente nei miei pensieri come un'ossessione.