Leonardo
Archini
ho 27 anni sono di Roma e faccio il
programmatore di mestiere. Ho sempre letto tanto e di tutto, specialmente
letteratura fantasy e fantascienza, ammirando coloro che riuscivano ad
inventare storie, alimentando la mia fantasia. Sono un amante dei giochi
di ruolo e, forse anche grazie a questa passione, un giorno che a lavoro
non avevo niente da fare, ho aperto un foglio sul computer e ho cominciato
a scrivere, per provare a fermare il flusso di fantasia.
Il mio metodo di scrittura è molto
semplice, scrivo una parola o una frase e poi lascio che la seconda parola
o la frase esca da sola, e cosi via, senza un'idea di base, con la mia
stessa curiosità di sapere come andrà a finire. Spesso ne rimango
meravigliato anche io. Sono io il primo lettore di quello che esce dalle
mie mani sulla tastiera. Quando inizio non so mai come andrà a finire.
Questo racconto è nato cosi, e si è concluso così, meravigliandomi. A
qualcuno è piaciuto, spero anche a voi.
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Il giocatore Perfetto
Era un ragazzo povero, che lavorava sotto terra in
uno scantinato...tutto il giorno
e guardava il sole attraverso una grata nel soffitto
Di notte usciva e andava in giro per le strade della città....da solo; gli
piaceva osservare la gente nascosto
in vicoli bui...
Osservava la borghesia, le donne coperte di gioielli e grasse e
ridanciane....
gli uomini opulenti sotto baffetti curati e talvolta finti...
un mondo di vetrina, di facciata, di sfarzo e luccichii...
e lui se ne cibava. Si riempiva gli occhi di colori
luci e chiassose risate che non sarebbero mai potute essere sue
tornando alla realta ogni volta che tornava a casa e vedeva il padre ubriaco
addormentato sulla
vecchia poltrona strappata, con la bottiglia semirovesciata ai piedi e la
bavetta dalla bocca.
Sapeva che il suo futuro era svegliarsi all'alba ed
andare a lavorare.... ogni giorno sempre e per sempre.
Costruiva scarpe, quello era il suo futuro.
Talvolta aveva provato di sera a mischiarsi a quella
gente, a parlare con qualche altro ragazzo
per la strada o semplicemente a chiedere una sigaretta....
Era stato solo deriso e preso in giro, per la sua faccia sporca, i suoi
vestiti rattoppati e per le
sue braccia secche secche... era troppo diverso per quel mondo...
Una sera, mentre se ne tornava a casa dai suoi giri
di osservazione notturna, venne fermato da un uomo:
era vestito bene, giacca grigia elegante e cilindro...
aveva una faccia lunga e magra , occhi neri e vispi, che ti entrano
dentro...
Per un attimo il ragazzo ne fu spaventato, quando
l'uomo lo avvicinò...
Lo avvicinò tanto da poter sentire l'odore del suo costoso dopobarba.
L'uomo lo chiamò per nome... e ovviamente il ragazzo
ne rimase sbalordito...
Il giovane non riuscì a far altro che chiedergli chi fosse, perche sapeva
il suo nome.
L'uomo gli rispose con una semplicità disarmante
"Anche io, come te, osservo... osservo la gente ricca,
quella che ti affascina tanto, ma osservo anche le persone come te...
solo che tu osservi la loro buccia esteriore... io ne osservo i sogni"
Il ragazzo non capì... quell'uomo lo attraeva, la
sua voce era calda e suadente,
tranquillizzante, ma allo stesso tempo c'era qualcosa che non andava... ne
era intimorito ma non sapeva il perchè.
L'uomo si sedette ad una panchina e invitò il
giovane a fargli compagnia.
Gli disse che conosceva i suoi sogni:
il sogno di cambiare vita....
l'odio per il padre, la fabbrica di scarpe e l'odio per l'arrivo del sole la
mattina,
dell'alba su una pallida e vuota giornata lavorativa.
Il ragazzo annuiva e basta, non c'era niente da
dire...
il suo cuore era come un libro aperto per quell'uomo misterioso e
affascinante.
Cosi l'uomo ad un certo punto, vedendo il ragazzo
abbattuto, sfoderando un sorriso completo,
gli propose di giocare con lui, di pulire la testa da tutti quei brutti
pensieri e giocare con lui.
Aprì la giacca e ne estrasse un mazzo di carte.
Il ragazzo timidamente gli disse che non conosceva giochi di carte... che
non aveva mai giocato...
allora l'uomo bonariamente gli propose un gioco "sempre e
geniale", che poteva essere imparato in un attimo...
Scelse dal mazzo tre carte: un 7 di picche, un 5 di
fiori e il Re di Cuori.
Ripose il resto delle carte nella tasca della giacca e ordinò le tre carte
sulla panchina tra lui e il giovane.
Con gesti rapidi scombinò l'ordine delle tre carte e lo ripristinò,
lentamente per fargli capire....
"Le carte nere perdono, sono la plebe, la gente inutile, una massa di
simboli tutti uguali ammassati uno vicino all'altro;
il re di cuori invece vince, lui vince sempre, è il successo, la fama, la
ricchezza, lui E' "
e muoveva le tre carte sempre piu velocemente...
Senza smettere di cambiar posto alle carte gli chiese
"vuoi sapere il mio nome ragazzo?"
Il ragazzo era ipnotizzato dal movimento rapido e fluente delle sue agili
mani...
ma riusci a rispondere "si...chi sei?"
"Sono Mamoulian, hai mai sentito questo nome?"
Il ragazzo si distrasse dal movimento di quelle carte.
Certo che lo conosceva quel nome!! Era un mito tra i vicoli e i cartoni, una
leggenda vivente,
un esempio tra ladri e truffatori,era definito il "giocatore
perfetto","il re della fortuna", "il padrone del
fato"
e tanti altri soprannomi suggestivi che erano stati accostati al suo nome.
Si vociferava che non avesse mai perso, contro chiunque e ovunque, anche
contro giocatori incalliti ed esperti,
qualunque gioco, carte ,dadi o testa o croce, tutto!
L'aveva sempre reputata una leggenda, un mito a cui ispirarsi, e ora ce
l'aveva davanti...e voleva giocare con lui!
Ma il ragazzo, con diffidenza, sbottò "Non puoi essere, non sei chi
dici di essere, mi stai prendendo in giro!"
L'uomo con un sorrisetto tagliente rispose
"Ogniuno è chi decide di essere e ogniuno vede negli altri una sua
idea di chi vuol vedere...
è cosi importante chi sono?"
Il ragazzo rimase confuso al sentire quelle parole e
non riuscì a ribattere niente.
Allora l'uomo smise di far roteare le tre carte e le depose agilmente sul
piano della panchina....
"Ora, scegli una carta, vediamo se il tuo destino sarà di continuare a
vivere in mezzo alla plebe,
la gente comune, sporca e nera oppure di sedere sul trono del regno di
cuori"
"Se vincerai ti farò un dono"
"e se perderò?" chiese timidamente il ragazzo.
"Non te ne curare....niente che tu non mi possa dare...ora fai la tua
scelta"
Al ragazzo tremava la mano , sospesa a mezz'aria su
quel trittico di carte,
che l'uomo aveva descritto come metafora della vita:
Tante pedine nere contro un solo re eppure era il re che vinceva...anche
contro un numero superiore.
Al ragazzo ronzavano in testa tutti i discorsi e
pettegolezzi ascoltati tra gli altri ragazzi dei
vicoli e nei dormitori "Non perde mai, non perde mai..."
Si chiedeva quale fosse il dono e soprattutto cosa poteva chiedere
quell'uomo splendente ad un
povero pidocchio come lui...
Incrociò gli occhi scuri dell'uomo che attendeva e
fu invaso da una profonda calma.
Guardò le tre carte e fece la sua scelta.
Il ragazzo aveva gli occhi chiusi quando alzò la
carta davanti al suo volto,
aprì gli occhi e con somma delusione vide un 6 di picche...
Quasi subito la delusione fu spazzata via dalla
curiosità e dall'incredulità
"Ma questa carta non c'era ?!"
L'uomo non rispose, ma gli strizzò l'occhio e girò le altre due carte
rimaste.
Il ragazzo, ancora piu stupito, vide un re di cuori e un re di quadri
"Come vedi hai vinto, a volte la gente semplice può vincere se ci
crede veramente...se lo vuole!"
L'uomo raccolse le carte, le rimise a posto nella
tasca interna della giacca e si alzò dalla panchina.
Fece un inchino al ragazzo, gli strinse la mano e sparì nell'oscurità.
Il ragazzo era rimasto incredulo dall'evento, al
punto di dubitare se tutta la scena fosse stata reale o no.
Poi, quasi sottovoce, disse "e il dono?"
Si alzò improvvisamente una folata di vento e dall'alto, svolazzando, si
posò sulla panchina una carta.
Il ragazzo si guardò intorno certo di vedere l'uomo, certo che stesse
scherzando con lui ma non c'era nessuno.
La carta era il Re di Cuori.
Il ragazzo non rivide piu quell'uomo, ma conservò
quella carta, neanche lui seppe il perchè.
Il giorno dopo andò al lavoro come sempre, si mise a
cucire le solite scarpe come sempre, ma si
rese conto che non andava bene come lo faceva. Poteva farlo meglio! Così
fece.
Dopo una settimana, il suo capo lo fece chiamare. Lui
entrò intimorito nella sua stanza,
ma il capo subito si complimentò con lui per il suo lavoro: le scarpe che
faceva erano migliori di quelle
fatte dagli altri, piu solide e robuste. Ebbe un aumento.
Dopo un po di tempo, gli venne affidato un gruppo di giovani assunti, lui
doveva coordinarli e insegnargli a fare le scarpe in quel modo.
Dopo qualche anno fu scelto dal suo capo, che andava in pensione, come
successore
e prese le redini della piccola società.
In breve tempo, grazie a sue intuizioni, grazie ad un
innato senso degli affari,
accrebbe gli introiti, creò altri tipi di scarpe, comprò altre fabbriche.
Riusciva a beffare i concorrenti, nonostante questi stipendiassero fior fior
di consulenti finanziari e teste calde dell'economia.
Arrivava prima di loro nell'acquisto dei terreni, riusciva ad indovinare la
cifrà piu alta nelle aste chiuse.
In breve tempo dalla fabbrichetta costruì un piccolo impero tessile.
Le sue ricchezze crebbero rapidamente, il suo nome appariva sulle prime
pagine delle testate finanziarie.
In breve raggiunse lo stato sociale in cui poteva permettersi di avere
tutto: denari, ville, donne...
Qualunque suo desiderio si poteva avverare...
E con i soldi, crebbe anche la brama di potere, che
non risparmiava niente e
chiunque si interponesse sul suo cammino veniva spazzato via.
Nelle sue società ci furono tagli del personale, per ampliare le sue
proprietà aveva sfrattato
interi quartieri, ma non si fermava davanti a niente. Niente rimorsi, niente
coscenza.
A 35 anni si sposò con una donna, con la figlia del
maggiore azionista di una grande società, un matrimonio
di interesse fatto solamente per mettere le mani su quella società.
La donna gli diede una figlia. Fu l'ultima volta che ebbe una seppur minima
attenzione per lei,
poi ebbe occhi solo per la figlia.
La sua ricchezza crebbe ancora, cosi come la sua
fame, fame per i soldi, fame per il potere.
Fagocitava, digeriva e defacava proprietà, persone, nemici e amici.
Una sera, apparentemente come le altre, tornò alla
sua villa, entrò nelle sue stanze e con somma sorpresa
vide una figura seduta sulla sua poltrona, dietro la sua scrivania.
Non riusciva a distinguere chi fosse, nell'oscurità resa un poco piu tenue
dal chiarore di una luna quasi completa che si affacciava da una finestra.
"Chi sei?" Domandò e girò l'interruttore.
La luce non si accese. Ne fu spaventato.
"Non ti ricordi di me?" la figura rispose.
"Come potrei? Ne vedo tanta di gente ogni giorno..." rispose
sdegnato.
In quel momento sentì sul petto un calore, aprì la giacca e ne trasse il
portafogli: da lì giungeva quel calore.
Lo aprì e vide quella vecchia carta ingiallita, il Re di Cuori di quella
sera cosi lontana.
Emetteva una debole luminescenza e un forte calore.
Lo lasciò cadere a terra, "Mamoulian!" Pensò.
Come se avesse letto nei suoi pensieri, Mamoulian
rispose "Precisamente..."
e continuò "Allora ti è piaciuto il mio dono?"
L'uomo rispose sdegnato "Quale dono?! Quella stupida carta? Non mi hai
donato niente..."
"Ti sbagli! Tutto questo è un mio dono" allargò le braccia
"i tuoi soldi, le tue ricchezze"
"Me li sono guadagnati duramente, altro che dono! Sono il frutto del
mio cerv..."
Mamoulian lo interruppe "...del tuo formidabile intuito negli affari.
Davvero pensi che un povero, sporco e ignorante
ragazzetto che cuciva scarpe, potesse costruire da solo questo impero?"
Erano al buio, ma l'uomo poteva sentire lo sguardo di Mamoulian su di se,
come se fosse tangibile.
Mamoulian continuò "Allora come ti trovi sul trono del regno di
cuori?"
Non attese risposta, continuò a parlare "e che ne è stato di quel
povero pedone triste?
Hai avuto la possibilità di cambiare vita, un futuro che molti neanche
sognano. Potevi essere diverso, invece
sei diventato un mostro...un avido squalo. Ora sei tu che obblighi poveri
ragazzi a cucire scarpe."
L'uomo provò a controbattere, aprì la bocca ma non ne uscì alcun suono.
"Beh ti dò un'ultima possibilità, giochiamo ancora!" ed estrasse
un mazzo di carte dalla sua tasca.
Scelse tre carte e le depose a faccia in sù sulla
scrivania, poi accese la lampada da tavolo.
L'uomo riconobbe le stesse carte di tanto tempo fa: un 7 di picche, un 5 di
fiori e il Re di Cuori.
Si rese anche conto che Mamoulian non era cambiato per niente, stessa faccia
lunga e magra, stessi occhi vispi
sembrava che per lui non fosse passato neanche un giorno.
La stanza intorno a lui perse di consistenza, era come intontito, non udiva
alcun suono, ne caldo ne freddo,
erano solo loro due con al centro un tavolo e tre carte sopra.
E Mamoulian girò le carte e prese a muoverle con al stessa maestria
dell'ultima volta, le volse e le girò diverse volte.
Si fermò e pronunciò le fatidiche parole: "Ora, scegli una
carta..."
L'uomo aveva la gola secca, si sentiva intimorito
come quella volta sulla panchina.
Era uno tra i piu potenti uomo di affari del suo tempo, aveva messo in
ginocchio chiunque si fosse interposto al suo potere,
poteva decidere la vita e la morte di intere città, eppure era lì tremante
come una foglia, solo e spaurito.
Provò a parlare e con sorpresa la voce uscì dalla sua bocca "Cosa
giochiamo questa volta?"
La risposta fu "Quello che ti è piu caro".
"Vinsi quella volta e vincerò anche questa
volta!" disse l'uomo con tutta la sicurezza che riuscì a tirar fuori.
e scelse la carta...
...come tanti anni prima, era un 6 di picche...e l'uomo sorrise.
ma Mamoulian sentenziò "Mi spiace ma stavolta hai perso."
Ogni traccia di sorriso allora sparì da quella
faccia, girò con sdegno un'altra carta gridando "Hai
imbrogliato!"
...era un altro 6 di picche...
girò anche l'ultima carta...ancora 6 di picche.
"Beh...come l'ultima volta...solo che quella
volta volevo che vincessi.Questa volta è diverso.
In entrambi i casi, è quello che ti meriti!"
L'uomo allora cercò di afferrarlo per il bavero "Non puoi farmi
questo! Non ho fatto niente..."
allungò le braccia davanti a se Mamoulian però non era piu seduto sulla
sua poltrona;
si voltò e lo vide sulla porta che giocava con una monetina.
La faceva volare in aria e la riprendeva. "Beh... alla prossima...
forse..."
L'uomo si alzò intimandogli con rabbia "Aspetta non PUOI
andare...", Mamoulian si fermò, come interdetto, si girò
e gli chiese "Testa o croce?".
L'uomo si sentì pietrificato. Dovette scegliere. Disse "Testa".
La moneta fu lanciata in aria, disegnò un arco nella
stanza, che l'uomo, come ipnotizzato, seguì con gli occhi,
e cadde sulla scrivania. Al sentire il rumore della moneta, l'uomo si riebbe
e guardò la porta.
Mamoulian era sparito.
Uscì dalla stanza e corse lungo il corridoio,
sperando di vederlo o di udirne i passi, ma niente.
Era come se non fosse mai esistito.
Allora corse verso la stanza della figlia e la spalancò. Il letto era in
ordine, nessuno ci dormiva, nonostante l'ora tarda.
Lei non c'era. L'uomo ebbe la certezza matematica che non l'avrebbe rivista
mai piu.
Tornò nella sua stanza, voleva comunque telefonare alla polizia,
all'esercito, a qualcuno.
Sul tavolo notò la moneta, se ne era dimenticato. Vi
era incisa sopra una croce cristiana.
La prese in mano e la girò, c'era una testa, la sua testa.
Stavolta aveva perso davvero. |