Vincenzo
Russo vi racconto come è
andata. Quest'estate abbiamo parlato parecchio, una mia amica ed io. Ho
condensato le sue disavventure in questo racconto. Avevo intenzione di
inviarlo ad un concorso. Ho trovato Stampa Alternativa. Spero di vincere
delle reazioni. La mia amica ed io siamo del 1974. Lei studia
giurisprudenza, io lavoro in una biblioteca. Siamo del Sud, ma viviamo
altrove. Io nelle Marche, lei in Toscana. In estate ci rivediamo a Capo
Vaticano. E parliamo. |
Labbra cucite
I suoi muscoli si contraevano, guizzavano, si
distendevano seguendo le ondate di effimeri conquistatori, che con sicurezza
si stabilivano sulla sua fronte, strizzavano lacrime dai suoi occhi,
coloravano le sue guance di pulsazioni rosse e bianche, piegavano la sua
bocca, tendevano allo spasmo il suo collo e con velocità lasciavano il
posto ad un altro vincitore. Il volto di Susanna era il teatro di battaglia
del Dolore, della Gioia, del Rimprovero, della Felicità.
Tra lampi di sensazione pura tornavano in primo piano le razionalissime
cause che l'avevano portata a una folle, inevitabile conclusione.
La rabbia per essersi trascinata in una storia che
non voleva. Si era preparata un letto, ma bello davvero, con soffici cuscini
e morbide lenzuola, raggi di sole che tagliano la stanza e disegnano idilli
sulle pareti, profumi della notte a circondare finalmente l'uomo giusto,
l'unico capace di riunire il brivido della pelle alla danza delle idee. E fa
niente se questo uomo giusto non era bellissimo. Le sue sopracciglia si
abbracciavano nel centro della fronte, ma, pazienza, quando sarà mio gli
chiederò di diradare.
La stempiatura era a un micron dalla calvizie, ma, pazienza, lui si rasava a
zero e poi gli uomini calvi sono sexy, hai presente Michael Stipe che canta
"Hey baby, are we losing touch?".
E poi aveva un passato di lotta e resistenza, di forti ideali, di purezza
contro la corruzione, e un futuro di nuove lotte contro il male. Un eroe.
E i suoi occhi si illuminavano quando la vedeva. Un eroe innamorato.
E, capirete, era bello stare abbracciati con lui, parlare, e poi bastava
stringere la sua mano per scatenare ondate di piacere.
E, aveva detto, io vivo di emozioni.
E, aveva detto, mi piacciono i tuoi umori.
E, aveva detto, la storia con la mia ragazza è in un momento di crisi.
La conclusione doveva essere una, pura, diretta: con lei stai male, con me
è bellissimo, lasci lei e iniziamo la nostra vita insieme.
Ma il letto che si era preparata era un letto da amante, e dormirci iniziò
a diventare scomodo. La banalità si sedette ai bordi e accese la luce. Con
lei giaceva un ometto, che aveva una fidanzata da nove anni, futura moglie e
madre, e un'amante frizzante e divertente; che usava il potere che gli era
concesso per togliersi degli sfizi; che impazziva per gli umori, ma non
esattamente per quelli dello spirito; che le ricordava, cara piccola mia,
non si può vivere di emozioni.
Il cedimento del primo anello liberava rabbia insieme
all'ovvio dolore. Doveva essere la pietra tombale dei suoi sentimenti,
chiusura definitiva a ogni nuova sensazione, ma ora questo anellino si
allargava e graffiava la sua carne, strappava nel disperato tentativo di
resistere, si avvinghiava ma cedeva, si allontanava ma portava un trofeo con
sè. Ma ferita, sanguinante, Susanna non voleva fermarsi. Addio Piero, addio
rabbia contro di lui e contro quella stupida se stessa che si era illusa. La
sensazione era materiale, concreta, e la stava abbandonando, partendo dai
fianchi, per le costole, volava urlando dalla sua gola. Era solo l'inizio.
La polvere delle macerie di quella storia si diradava, e dietro si
intravedeva Davide. Mister secondo anello.
La storia era vecchia, banale e stantia. A guardarsi
intorno, l'amaro paradigma delle relazioni lunghe. Pirotecnica all'inizio,
alti e bassi, grandi sorprese, esperienze e problemi superati, e alla fine
imperanti routine, semplicemente noia. Con l'odioso contorno di certezze e
sicurezze, convinti che "certe cose capitano solo agli altri, a chi non
ha capito il segreto". E invece la loro storia si spegneva con
tristezza, era il tramonto di una giornata uggiosa, bianco opaco dietro il
grigio, con il rosso nel ruolo di sbiadito ricordo.
Stare a casa. Studiare. Pulire. Fare la spesa. Cucinare. Aspettare. Parlare
con la suocera. Cene silenziose. Sesso bimestrale. Eppure prima correva
scalza sulla spiaggia. E dopo si era ritrovata con scarpe chiodate,
pantaloni di velluto pesante e maglioni di lana, ingombranti mantelli di
loden, cappelli che ti facevano venire prurito alla testa, guanti enormi.
Stava andando giù. L'amore, si ricordava vagamente, doveva essere diverso.
Ma forse erano frottole da film e canzoni, l'amore vero era resistere
incrollabili al grigiume. E intanto si spegneva. I colori andavano via, lei
non si sentiva desiderata, ma, chissà, forse anche questa è una roba da
romanzetti. Sebbene la discesa fosse morbida, un relitto che affonda,
l'impatto con il fondo fu violento, come se l'acqua si fosse stufata di
opporre resistenza.
Doveva uscirne, ed era riconoscente a Piero (o a quella proiezione mentale
racchiusa nell'etichetta Piero) per averla aiutata. Ma Piero era un'immagine
in dissolvenza, e sentiva che nulla ormai la separava dall'attimo in cui il
secondo anello stretto nella sua carne avrebbe ceduto.
La rabbia era andata già via. Non riusciva a capire
come avesse potuto pensare di vivere con tre anelli sulle labbra,
praticamente una sutura completa. Come fosse possibile immaginare una vita
con un Piero e due anelli sulle labbra, e prenderla come esempio di
felicità.
Il secondo anello lentamente si staccava. In modo vischioso, come catrame
grattato via dalla pietra pomice. Si certo, c'era il sangue, c'era la carne
lacerata, e poi, in un posto così sensibile. Ma nascere è un trauma, e lei
aveva deciso di nascere. La sua consapevolezza abbracciava il dolore e la
gioia, presente e futura. Susanna non voleva tornare indietro. Rivoletti
rossi scendevano da lei e si allargavano nelle lenzuola. "Non ti
fermare", gli sussurrò.
Liberarsi dalla rabbia era stato doloroso. Liberarsi dalla noia era stato
faticoso. L'ultima sfida era la più difficile: doveva liberarsi dalla
felicità del passato, dalla storia perfetta.
Christian riapparve, bellissimo, un dio che
risvegliava la vita. Le bastava respirare la sua stessa aria, per essere
appagata. Pensare, parlare, fare l'amore non erano modi di mettersi in
relazione, loro erano due lati di una stessa entità. Lei ne era parte.
La perfetta sintonia con Christian, il vibrare di due chitarre accordate.
Erano note quelle che sentiva ora, erano le sue note, distinte nel marasma
di quella cascata. Ma non era il semplice rumore di una cascata. Non era
soltantano acqua su roccia. Era come se l'acqua portasse con sè legno, e
metallo, e casse armoniche e ottoni, e pelle e grancasse. La filarmonica di
Berlino travolta dalle cascate del Nilo. In aggiunta un la diesis, suonato
da due chitarre.
Un la che vibrava fortissimo.
Più tardi, magari, avrebbe cercato di razionalizzare, di capire, di
spiegarsi. Ma inutilmente. Lui era arrivato, lui se ne era andato. E lei
aveva deciso di rinchiudere il dolore dentro se stessa, con un bel piercing
sulle labbra. L'inizio di tutto.
Stava impazzendo, ne era sicura. Le idee saltavano su
e scendevano dalla giostra del suo cervello sempre più velocemente, e
vincevano sempre, tutte, un altro giro. Ma era felice.
Il dolore, passato da flash improvvisi a lampada puntata negli occhi da
cattivi poliziotti, adesso era sole allo zenith. Susanna sentiva il calore
di quella luce. Susanna percepiva la propria sparizione.
Avvertiva che il suo uomo, finalmente, stava vivendo con lei lo stesso
attimo, allo stesso modo. Sentiva l'amore passare attraverso i loro corpi.
Una porta spalancata dalla corrente, una diga riaperta. La sua identità, il
suo passato erano dei filtri inutili, spazzati via da una forza primordiale
che aveva trovato un varco.
Il terzo anello, l'ultimo dittatore che imponeva alle sue labbra di
chiudersi, si spaccò in due.
Il primo era a destra, il secondo a sinistra, il terzo diviso.
Susanna era libera di amare. |