Daniele
Sabatini
Lavoro, dormo, a volte riesco anche a
divertirmi ma il più delle volte non ho voglia di fare un bel niente… e
se mi gira… scrivo.
Se poi devo proprio essere sincero…
"Si è vero odio il mondo ed ogni
anima che vi si possa elevare oltre oscurando quell'impareggiabile
spettacolo che opprime il mio spirito più della voglia di trovare una via
di uscita da questo schifo di vita.
Passo le ore a scoprire cose nuove cose che spaventano la mia ragione per
la loro completezza e essenzialità. Mi nascondo continuamente per fuggire
i mie orrendi pensieri… incubi incontrollabili ma allo stesso tempo li
rincorro nelle pieghe della mia mente ormai libera da moralità e timore
di apparire in tutta la sua genialità.
Spio figure ordinarie in ridicoli atteggiamenti socializzare e tramare
patetiche. Resto in attesa chiuso in questo stupido corpo assaporando
tranquillamente il dolce succo annusando il mio intorno in cerca di una
traccia. "
J. |
J
Uccidili i sogni. I sogni sono loro che uccidono
te.
E se j avesse ragione… se davvero il crepuscolo
della vita fosse ormai un inutile ragione, un crepaccio dove sparire
abbandonandosi a se stessi così, solo per non toccare nulla.. per lasciare
tutto quale era, tutto come sempre lui l'aveva visto… vuoto; che
affascinante prospettiva si apriva avanti ai suoi occhi… liberarsi per
sempre dalle sue intime ossessioni e riapparire in scena finalmente come
regista.
Senza attenzione, lasciando cadere il dovuto nel
piattino alla cassa, fissò allegramente lo sguardo alle banconote nel
cassetto.
- Grazie
S la barista porse meccanicamente il resto tornando ai suoi caffè.
17 agosto 1996. Raggiunto il luogo pattuito j. sali con i piedi sopra il
muro in mattoni e muschio che delimitava la piazzola di sosta lungo la
litoranea. Una leggera brezza da est pensò ondeggiando con il corpo, le
braccia aperte, testa tesa all'orizzonte, indugiando su invisibile appoggio.
- Sei già fatto? Scendi da li altrimenti a chi vendo la mia roba…
confuso nelle onde, emerse…
- Ti piace volare?…
- Dai che ho fretta scemo
- Non senti il bisogno di volare?
- Hai portato i soldi? Muoviti che me ne vado
- Tu non sai volare vero?
- Vaffanculo j
P si voltò, al secondo passo, sangue e polvere colando dalla testa gli
offuscavano la vista, il silenzio e il tepore lo avvolsero rapidamente. J.
continuava affascinato dai mattoni del muretto ormai pregni di un misto
cervello capelli dall'aspetto vagamente artistico.
- Si …ora vuoi provare a volare … ti va?
Alla mano sinistra parte semipulsante di P si incastrò nel cinturino del
vecchio casio. 17 agosto 1996… 19.43 strusciando il quadrante sul fiorire
di camicia di P si ricordò del dolce profumo di C che lo attendeva al
lavoro.
Sfilò dalle tasche di P ciò che più gli interessava e lo spinse nel vuoto…
osservandone il volo… imitandolo da sopra al suo muretto dietro ai suoi
occhiali con le braccia aperte e la testa tesa all'indietro. Rimase ancora
qualche minuto ad assaporare quel leggero vento da est.
La gente è strana… ama giudicarsi, specchiarsi
negli altri fino ad autoimitarsi ma J faceva eccezione, fosse solo per la
sua scarsa propensione ad ogni qual tipo di osservazione. Quel di dentro che
lo spingeva ad accartocciare i pacchetti, braccio roteante, centrando i
finestrini delle macchine in direzione inversa, a volte lo portava oltre
quel dolce sapore vagante tra conati di catrame e caramelle alla menta
lasciandogli intravedere il labile legame tra se stesso e la realtà.
S la barista era sola, in cruenta discussione con
macchina da caffè, non portò attenzione alla presenza alle sue spalle
quanto all'acre odore che l'avvolgeva insinuandosi tra gli aromi arabici
finemente macinati. J le torse la testa schiacciandola contro i filtri
incrostati svogliatamente riposti con indegna premura, costretta in
posizione intrigante a sesso istinti incipienti, rassegnata crema di lacrime
lungo il bancone J ansimante mangiando tramezzino formaggio prosciutto
svuotò tequila vetro tagliente il ventre di S liberò il terrore insieme a
intestino e caffè. I soldi nella cassa non erano molti ma sufficienti ad
invito pizza e birra, lui e i due occhi di C.
Il millante di pizza astrae dal concetto fisico dato
dalle variabili dimensionali, dalla massa, dalla sua forma e si erge nel
metafisico a pura idea. Ed il millante che J porse al fornaio poco differiva
da quell'idea, banconota non più frusciante, sbiadita, improponibile
rossetto in un volto accennato di pajette attorniato.
-A zombi…
J grufolando, di pizza brindando accenno un..
-Ti ho chiamato ieri ma non c'eri
-Si certo… J guarda che stai facendo incazzare un bel po' di gente… non
credi?
Un sorriso fece tracimare dalla bocca di J molliche e
saliva. Era lui ad essere incazzato ed il solo fatto che qualcuno potesse
anche lontanamente condividere le sue stesse emozioni lo faceva in qual modo
innervosire al punto che il sorriso divenne meno sorriso, saliva
gocciolando, occhi fissi al millante smozzicato nella mano destra distesa
lungo il fianco, rutto emettendo, bersagliò di pugno gong di sosta.
- stop
- che stop
- non è aria oggi
Si congedò tranquillamente ruotando incrociando schivando distratto
passante con sguardo ridente alternando pizzando l'asfalto prudente.
Entrando nella stanza lasciò cadere sul pavimento
umido degli umori della notte la giacca. Luce si faceva largo a forza
nell'aria densa di fumo puzza e tensione. Colando in gola di birra compose
il numero di C. Non che si aspettasse risposta quando
- ciao j…. Sei rientrato di già?
- Si ho finito presto oggi… ti passo a prendere alle dieci ok?
- Ti aspetto
Peli e brandelli di pelle inchinati lungo lama schizzata di rosso carambola
specchio agli occhi di J. Docciando a lungo indugiando il viso scorreva
impetuosa i segni cancellando del duro lavoro. Pelle distesa liberava succo
germogliando al tepore nel letto disteso emanando vapore.
Le immagini tramavano nitide la mente di J fondendosi armoniose passate e
future incuranti asserzioni in mare di gioie paure ossessioni.
Macchina sfrecciando irruppe in un baleno drago
fiammante destriero armato di lama inferse contro il grembo di acciaio teso
arreso semaforo lampeggiante sul cofano emettendo gli ultimi bagliori
scintille di vita lasciò.
- deve essere esplosa una gomma… non so… ho perso il controllo…
- stia tranquillo
J si lasciò manipolare dai paramedici senza porre obiezioni, solo qualche
piccola contusione, alzandosi si accorse di avere la giacca un po'
acciaffata, questo lo disturbò più che la vista della sua auto trascinata
a forza dal carro attrezzi del soccorso stradale.
- sono cose che capitano… vuole un passaggio
- lo so, non si preoccupi, chiamerò un taxi
11.35 vestitino da sera nero girocollo di perle
lunghi capelli coprivano il rimmel di lacrime sciolto. C lo accolse
freddamente le braccia strette raccolta sul divano.
- scusa c'era traffico e…
- non ti scusare… non con me ti prego.
- Ero distratto… sai il semaforo…
- Ti prego…
Un solo corpo il divano raccolse carezze sussurri braccia vibranti seguire
intensi sussulti la giacca tappeto di perle accolse al risveglio i due corpi
nascenti gli occhi chiusi vivendo istanti felici che nessun altro avrebbe
notato.
C aprì il frigo e ne estrasse una bottiglia di prosecco, salatini,
patatine, delle olive verdi in una tazza. Torno al divano. J fisso in uno
dei suoi sogni non parve attento al di lei invito. Era un quadro alla parete
sinistra della stanza, un angolo lievemente scrostato riportava in risalto
il trasloco non ancora terminato. Il quadro aveva per soggetto una piccola
se non minuscola radura al centro di una piantagione di granturco. E j era
in quella radura disteso al sole lontano all'infinito da quel divano e da C.
Un piccolo aereo da turismo sorvolava la zona mentre un contadino perplesso
camminava tra il grano ancora verde verso di lui con aria gioiosa. J lasciò
scorrere il braccio destro fino a sentire il gelo della canna in acciaio del
suo fucile. Accarezzò l'arma come fosse di velluto e scivolo con le dita
lungo il calcio fino ad impugnarlo a dovere. Con l'altra mano raccolse tra
l'erba un proiettile e lo porto davanti a se tra se ed il sole come schermo.
Osservò ogni più piccolo particolare, lo fece ruotare su se stesso e
scorse una piccola incisione, ne lesse numero di matricola, calibro, ed
altri codici. Una lieve imperfezione lungo la corona pensò. Gli occhi si
fissarono sulla curvatura perfetta dell'oggetto si domando quale uomo fosse
stato così arguto da progettarne il profilo, rimase deluso dal vuoto che
aveva cercando di comprendere come un piccolo gioiello potesse trasformarsi
in un dardo mortale. Ripose in canna di fucile puntante la testa sgraziata
il contadino sorpreso in un lampo di fuoco C prosecco porse in calici
d'argento.
- a cosa stavi pensando?
- A noi… a quanto mi sentirei solo se tu un giorno mi lasciassi
- Lo sai che non lo farei mai… non devi essere teso per questo.
- Sai C nulla è per sempre…e a volte i sogni possono spaventarti più
della realtà.
C non rispose e si accascio accanto a lui con la testa abbandonata sul di
lui ventre.
Fissò con forza il nodo alla cravatta, era solito
farlo ogni volta in ascensore quando i led indicavo un piano al suo ufficio.
Con fazzoletto cercò di arginare sangue sgorgante da mano ferita pugno
inferto terzo piano annoiato specchio frantumi taglienti a terra brillanti.
- cosa è successo?
- Cavolo con la ventiquattrore ho urtato lo specchio… che casino
- Chiamo l'inserviente… ma la tua mano..
- No nulla ora vado in bagno e metto del disinfettante.
Arpeggiando di lui orchestra tastiera seguiva passiva le email del giorno ad
una ad una evadeva di caffè e sigaretta apri la giornata. Nel difetto del
quando urtò di polso foglio cadente intenso respiro gioì sbadigliando.
La segretaria entrando fece cenno di saluto j ammaliato dal dolce sorriso in
candida sabbia ungendo di crema schiena infuocata le mani strinse il collo
costretto emettendo lamento
- scusi ho un po' di tosse… eccole la posta di oggi
- grazie, si riguardi… mi può portare altro caffè per cortesia
- certo
- grazie
Per lo più si trattava di semplice corrispondenza riviste, inviti, offerte,
ma tra le tante come sempre tra le tante ve ne è sempre una che senza aver
particolare carattere ha il potere di cambiare sembianza ad occhi attenti e
cangiando significato oscuro rivelare poté. J piegò con cura la missiva e
la ripose nella tasca interna della propria giacca riproponendosi di meglio
custodirla quanto prima. Turbato affannoso respiro pensante d'autore oscuro
scritto di lui sapeva.
R entrando nella stanza inebriato dal carisma emanato si lasciò gremire
dalla sensazione di viscido gelo della poltrona in pelle. Colse furtivo lo
sguardo di J estrarre dalla sua mente ogni spira di grigia annegata vita
incrinata. Resistere vano tentando l'inganno di essere altro lontano diverso
d'immagine vuota come ora sembrava.
R distolto lo sguardo umiliato sentimento dirompe ordinario il fragile
livello arretrando nel tempo nel male divelto.
- allora
- la relazione che mi aveva chiesto
- mi esponga
R parlando con voce sicura scopriva i difetti di una lezione troppo a lungo
ripetuta, breve pausa la schermo si illuminò di un grafico astruso per
quanto inutile mutazione di dati incrociati fra simili fino all'incesto
matematico. Il puntatore seguiva rapporti tangenti torri si soffermava su
improbabili bersagli per poi sparire in un angolo.
J forse annoiato ruotando di tazza bevve un sorso del suo caffè tagliacarte
giocando sguardo scivolando al quadrante tempo scadendo si alzò ed usci
lasciando R ed il suo puntatore in solitaria unione.
Il parcheggio era molto ampio illuminato da lunghi neon vibrante nel
consueto torrido fondo. J si diresse verso l'auto presa in sostituzione, una
porche nera cinguettò alla pressione del tasto di sblocco. Nella tasca
sinistra la mano accarezzava l'ormai tiepido metallo sondando la lama dalla
punta all'impugnatura. Sentiva il primo strato di pelle lacerarsi poi il
secondo ma fermarsi sempre in tempo per non ferirsi.
Due gambe due tacchi lo oltrepassarono velocemente di sorriso si volto
maliardo J cenno con gli occhi annui l'intesa. Fragola il rossetto copri
appena sapore succo fiottante nel ventre torceva la lama occhi traditi
gridando amore ruotando con mano estrasse di cuore arrestando il pulsare con
colpo straziante.
Amava il Porche. Una sensazione appagante di sicurezza estetica di
perfezione lineare lo accompagnava lungo i brevi tragitti casa ufficio. La
pelle dei sedili già pervasa del calore di C e dai suoi capelli lo rendeva
perfetto uno con l'auto e l'universo intero. Compose numero al cellulare
- C?
- Dimmi j..
- Farò tardi in ufficio questa sera non mi aspettare
- Ma…
Tasto rosso interruppe comunicazione bruscamente premendo a fondo piede
destro brucio di rosso svolta stoppata la rampa discese
- Gin liscio
Il bancone terminava su un caleidoscopio di corpi in convulso movimento.
L'uomo appoggiato alla parete scrutava il gruppo soffermandosi qua e la su
cosce sederi seni giovani false virtù di arte esperte quanto libere da
compromessi. L'uomo alla parete guarda la seconda destra minigonna top nero
scrutata ogni movimento ogni capello libero area fumosa intrisa di sudore
piccoli passi quelle piccole scarpe piccole caviglie confuse nell'oscurità
ergersi nitide nella sua mente sfiorate dalla sua rude mano bicchiere
spezzata contro colonna il mento fracassato gomito ginocchio il fianco
accasciò sonica urla il sangue confuse il sudore. Continuo fluire
caleidoscopio rimase assente calpestando quel lurido liquido.
J di Porche riprese tranquillo odore.
6.35 fracasso la sveglia abbagliato inconscio sonno
ruppe. J rotolo lungo il letto con pugno arrestando l'evento. Mattina fresca
come la sua mente libera inconsueta aperta al tiepido sole irruente nelle
fessure della grande finestra. Con slancio sollevo il corpo e tappeto
centrando sondando di pelle l'ambiente circostante traiettò lungo il
corridoio di doccia fremendo. Lungo ruotare lo spazzolino l'arcata inferiore
lieve scia di sangue lasciava cadere tra bolle saponate lavabo sciacquo
risciacquo colmo di reso di mano tolse quanto imprecato.
Le giornate, le ore, i minuti, ogni evento oscilla.
Oscilla tanto che mai si ferma soave equilibrio ma riprendere con più o
meno irruenza in tiepida relazione e in gelida opposizione. Nulla è per
sempre. Quel giorno J lo aveva sofferto analizzato rivissuto all'infinito
fino a comprenderlo in se. Ci sarebbe stato l'istante si l'istante di grazia
che colmo la propria entropia in armonia con il nulla avrebbe creato la
scintilla. Non era una sua asserzione. Era una sua comprensione. Nulla è
per sempre, nessun sogno è nitido per sempre, nessun sogno può svanire per
sempre e in quel giorno uscendo lungo il marciapiede scorrendo con gli occhi
di passi lenti quel leggero stato di ansia lunga ombra del palazzo
oltrepassata l'edicola odore di pollo fritto il brivido frenata alle spalle
la signora le buste bambino zaino musica l'auto al parcheggio ritmare il
profumo dei capelli accarezzati di amore calpestato il volantino del mago
rosso del film in cartellone incrociare quel raggio filtrato dalla tenda la
lavanderia quello sguardo sfuggito a entrambi quel respiro di sicurezza
perfetta raggiante unione oltre tutti i suoi sbagli di lei rimase solo. Ma
non sarebbe stato per sempre perché nulla è per sempre.
È il sempre a condizionare il nostro essere. Perdere
a volte acquisire. Sicurezza di se tentennante forza eccitazione depressione
paura comprensione istinto. J era tutto era nulla era se affondare ancora
quel lurido rasoio nelle carni per vedere sgorgare il rosso della sua
pienezza il sapore dolce di sola perfezione tratti di orgoglio mai
solitudine. C lontana sua comprensione distante la di lui passione era un
quadro quel quadro alla parete scrostato su un angolo una fragile abitudine
presenza continua quale difficile individuare al di la dello smarrimento
inconscio di un attimo e quell'attimo continua a fluttuare nell'ego libero
del momento. Compose di nuovo il numero.
- C?
Fruscio espressiva più di mille emozioni materializzando oltre il silenzio
- Ti va un caffè?… ti devo parlare
fruscio fumo sigaretta stretta tra mani trattenere lacrime e parole…
- Vengo da te.
Fruscio cenere che cade aleggiando di porpora tra i piedi raccolti…
- Mi manchi.
OK appena sussurrato terminare fruscio tagliando calore mascherare intimi
singhiozzi.
Scelse ad una ad una le rose mentre la fioraia lo
invitava imbarazzata. Osservava i petali contorcersi su sé stessi mostrando
piccole venature più scure cosi simili alle mani e tese gocce di acqua di
unica perfezione come occhi iride riflessi. La fioraia attendeva umile al
caldo della sua piccola stufetta elettrica seguendo quelle mani così
attente alla perfezione mimare composizioni grandiose. Estrasse tre rose le
tre prescelte da quel vaso e si avvicinò alla donna. Il tepore della
stufetta era più umido fetore un puzzo di verde profumo mal miscelato e la
testa curva alla cassa della donna era il naturale completamento di quel
lurido quadro. Forbici penetrando il colare rosso stufetta annegando
scintillio fragore ed ancora puzzo rantolando allagò di saliva il bancone
conato variopinto su morte composizioni.
Le tre rose varcarono la porta libere di sé stesse
tali gli occhi di C accolsero tristi teneri bagliori i riflessi. Si voltò e
le senti sue. |