Toto
Carl
scrivo dall'Australia non ho molte cose
interessanti da dire sul mio conto tranne il fatto di aver visto il mondo
con i miei occhi e vissuto esperienze di vita sulla mia pelle. Vorrei
pubblicare questo mio racconto per fare luce su un fatto che e' accaduto
ad un mio amico, e continua ad accadere ad altre persone in situazioni
simili. Ho cercato nei limiti del possibile d'entrare nei pensieri di
questa persona ed estrarne il travaglio di vita in una società in cui
vive.
Spero che vi piaccia. |
Omosessualità Contadina
Solo in un'angusta stanza di una città troppo
grande, finalmente trova le parole, e scrive questi versi:
Mia Matre mi chiamava a granne vuci
"picciccu... picciccu ieni a cca"
tisa sulla porta te la casa
paria la virgine santa sull'altari.
Molti anni prima:
"Ho scavato questo pozzo all'età di dodici anni
e mi disseta ancora matre mia.
Lo scavai con le mie mani, mentre mi patre si schiattava con il culo a
terra... sputando sangue e malvasia, matre se gli puzzava la vucca! e come
menava quella cintura dell diavolo che me la sento ancora sulle mie coscie
come frustate di fuoco... e le piaghe? Quelle, matre mia, erano come jettare
sale fino su nu cristo in croce. Pirciò non debbo nienti a nissuno io...
matre mia... se ho voglia di starmene sotto questo ulivo e menarmelo
pensando al moretto di Paterno' che male c'è vita infame..."
Vincenzino Calò afferrò il suo membro come se afferrasse il manico della
zappa, lo sente pulsare sotto i calli del palmo della mano, fra le dita unte
di terra rossa.
"Che male c'è matre mia, se al posto del mio cazzo, tuccassi quello
del moretto di Paternò saprei io come farlo gonfiare, saprei io come
tirarlo, col la stessa forza con cui tiro l'acqua da questo pozzo..ohooo...vita
infame...sono sicuro moretto mio che ti farebbe piacere sentire il tuo cazzo
fra le mie mani...che male c'è... sì qui, sulla mia terra, ti caccio fuori
tutto quello che hai e te lo faccio buttare qui sulla mia bocca... e ti
farò bere al mio pozzo che ho scavato per te... acqua fresca...fresca..mio...ohooo...che...male...
entrami da dietro e più stretto di mia moglie...liscio come la scorza delle
mie albicocche...toccalo, sentilo, profuma di macchia...moretto mio di
Paternò... ohooooo...ohooo...che bestia... matre mia che bestia che sugnu..."
Vincenzino Calò cadde tramortito al suolo, respirava a fatica, chiuse gli
occhi e per un attimo gli è parso d'essersi lasciato prendere dal sonno.
Le gambe gli tremavano appena quando si alzò per rientrare in paese,
sentiva un peso sulla coscienza, come ormai gli accadeva da tempo alla fine
di ogni lunga e faticosa giornata in campagna.
"Cristo santu lo vedi che persona onesta che sugnu, vita infame...picchè
mi facisti diventare un'animale ...picchè mi fai pinsari a quel moretto di
Paternò...ho moglie, figlie...dio mio che animale che mi facisti..."
Dall'altura si vedeva l'isola di Santo Iacopo e il mare andare fino in
Africa, in contrada Portulanu c'era la cappella dell'immacolata, dove
Vincenzino si fermava ogni sera prima di rientrare dalla moglie che, da
sempre alla stessa ora, l'ho aspettava sull'uscio di casa 'come una vergine
sull'altare' cosi gli appariva. Si tolse da dosso la terra rossa, immerse le
dita nell'acquasantiera e fece tre volte il segno della croce.
"Cristo santu...mia vergine...che onuri aggiu io pi darti l'acqua ti lu
puzzu? che tu mi donasti...tu mi donasti la forza te n' ommu...nu viro
contadino...meschino a dodici anni...ohooo..matonna mia bedda...castigami
come lu faciva il santu di mio patre che già sapia di lu diavulo...lu
moretto di Paternò...puniscimi...ma salva l'anima mia...le figlie mie
meschine...e mia moglie che così devota ti è... testimone carnale ne sono
...punisci questo schifo di contadino, con la frusta, la zappa ed il sangue
ma... salva l'anima mia salvala ora, ora..."
Appena uscito dalla cappella con le lacrime agli occhi, notò che dietro
l'isola di Santo Iacopo il sole era come una grossa arancia che calava
dentro un mare piatto. Camminando sul sentiro sterrato in cima all'altura, a
passo lento fece pace con la sua coscienza, era pronto come ogni sera a fare
ritorno a casa poi sciacquarsi, mangiare, bere e finalmente addormentarsi. |