Thulcandra
Mondo silenzioso. Un nome forse un pò
pretenzioso che mi son data per descriver la forma delle mie emozioni o
forse più di tutto, la sorgente principale di ciò che le genera: la
natura. Il mio nome vero è Irene. Son nata a Sassari il 6 marzo 1980. Mi
piace tutto ciò che mi da emozioni forti..un giorno forse rivedrò questa
teoria, ma fino ad allora direi che vale. Ammiro moltissimo scrittori come
Oscar Wilde e Nabokov, autore tra l'altro di uno dei miei libri preferiti:
"Lolita". Amo poi le grotte, il mare e... la vita ! |
Medea 1753-1772
Il mio nome è Medea. Era il nome di mia nonna, di
mia bisnonna e della mia trisavola. Eppure...non è solo un nome, ma un'
essenza nel mio io e una maledizione. "Medea" significa
"pensiero"...oh..come ne andava fiera mia madre quando ne spiegava
agli sconosciuti il significato! Lei, che non l' aveva mai portato, così
ingenua,così inconsapevole dell' inganno, dell' anatema che dietro tale
sigla infausta si perpetuava!
Il pensiero, colui che governa la ragione, uccide nel suo tirannico dominio
l' azione, condannando i suoi sudditi alla sterile vita contemplativa. Così
fu per mia nonna sposa bambina e per la mia bisnonna dal volto nobile
consumato in preoccupazioni. Ma la maledizione che ha colpito la nostra
casata e che con me cesserà, proprio in me ha trovato il suo sfogo
peggiore.
Oh...quanto tempo è passato da allora, dalle giornate rumorose, dalla vista
diurna dei vigneti indorati dal sole lì, sulle rive dell' Arno. Il bosco si
stendeva sotto il dominio del mio vigile sguardo e la brezza della primavera
abbracciava i miei frivoli pensieri dall' ora e li dissolveva in tiepida
nebbia. E ora...ora è giunto il suo regno. Il regno del tiranno re
Pensiero.
Ora è il morbo il mio stato normale. Sono pochi i giorni che mi separano
dalla morte e ora vigilo nel mio letto solenne dal legno di mogano, l'
imponente baldacchino, le lenzuola setose, le trine ricamate sulla coperta.
Trascorro i giorni in questa ricca prigione che è il mio letto, sul quale
si spensero i sogni della mia giovane età. Le mie mani si strusciano
voluttuose sulla morbida setosità del materasso e poi si ritraggono
ripugnate quando sfiorano il mio corpo: la sua immobilità, il suo pallore,
la flaccidità che mai dovrebbero associarsi ad un corpo di diciottenne. I
miei occhi indugiano ogni giorno , dall' alba al vespro sulle pareti della
mia cella, sulla tapezzeria color granata, sui mobili rococò in legno
lucido e la luce volgare, irriverente che riesce a fiocare attraverso le
pesanti tende in raso. E' lei, lei immonda, lei che oltraggia la mia vita
buia e malata e illumina sulla parete opposta il dileggiato crocifisso. E'
lui che irride al mio stato, che riverivo nella sepolta infanzia, che mi
regalò in ricompensa questo dolce destino. Lui guardai fin dalla nascita e
spietato mi consegnò in giovane età il destino d' una malattia senza
possibilità d' appello.
Ma la notte non dormo. Giaccio esanime ma coscente. Cosciente del mio dolore
osservo attorno, se qualcosa in quella galera dorata m' è sfuggito. Allora
è la luce eburnea, delicata della luna a infiltrarsi insinuosa tra gli
angoli della tenda. Abbandona i fumosi recessi della natura e fruga negli
angoli dell' umana perversione. Si rotola, raggomitola, capriola qua e là
nel buio, giocando con le grottesche ombre notturne, operando argentei
incantesimi alla ragione che implacabile ci governa e dolcemente la
assopisce con un arcano infuso e lei, volatile, m' abbandona. Cade là,
oltre l' ostacolo fisico della materia, oltre le porte d' argento brunito
erte dall' uomo a rassicurante confine...
E' allora che i miei occhi cavalcano un' altra realtà, condotti sulle ali
del sogno. E' solo la notte che ridesta il mio spirito. Fra la nebbiosità
del paesaggio mi libro, mi stacco dal corpo in un agile balzo al di fuori
della corporea gabbia e lì, fuori dalla casa, nei valloni silenti, vago
scalza, sull' umido suolo , dove i piedi si fondono in profonde radici nel
sottosuolo abissale. Cammino in stato medianico, respiro a fondo, rilascio
nell' aria fredda il movimento del mio io. Guardo le vigne del nostro
podere, le arcate della nostra dimora sulla mia destra e lontano, a perdita
d' occhio, alberi soffici sulle colline sinuose, come nubi ondeggiano sulla
coltre notturna. Vigile il mo occhio, estasiato, curioso, s' addentra nel
bosco fra il richiamo del gufo e il cicaleccio sommesso. Vedo in fondo le
luci d' un villaggio spento nel sonno, in braccio alla notte sotto l'
incombenza del cielo. Non ho timore...di nulla. Sarà la notte a consegnarmi
per sempre la libertà eterna, là dove il sofferente giorno avrà per
sempre requie. Lontano avverto la sua invadente presenza, il suo incombente
arrivo: l' usurpatore della mia libertà. Mi ritraggo indispettita dal sole,
fuggendo indietro veloce tra gli alberi. Ondeggiano bianche le lunghe vesti,
mentre mi trascino in corsa contro il tempo verso la buia stanza, per
rientrare nella prigione corporea, per abbandonare il mio onirico vagare.
Eccola la stanza. Vi accedo attraverso la finestra chiusa. Vedo il mio corpo
esanime giacere sotto i miei occhi indifferenti. Lo scruto quel corpo niveo,
malato, consunto dal vaiolo. Riarse le labbra, ripiegate le braccia sopra il
capo e mollemente arricciate le mani su sè stesse. Rientro nella carne.
Incoscienza.
La luce arriverà di nuovo. La luce...
I miei occhi rivedranno allo specchio i difetti inflitti al mio viso
tumefatto, alle mani, ma questa volta non avranno scampo dalla realtà...come
sempre. Nel giorno a venire non portanno esimersi dal contemplare la verità
marcescente.
Di notte però, vagherò ancora nel regno libero e lì, ancora guarderò
estasiata le perfette fattezze del mio corpo virginale, finchè un giorno
quel sogno...non avrà più fine... |