Gianluca
Garrapa
nato nel 1975. scrivo la mia vita e quella
di altri personaggi. vivo nel regime della dittatura elettrica di Ber Lu.
in questo nonluogo repressivo ho maturato una laurea in lettere e suono,
dipingo. ho pubblicato verso i 17 anni per Libro Italiano (Ragusa 1995)
sull'Antologia dei Poeti Contemporanei. altre mie tracce in rete: digito
"gianluca garrapa" e trovo poesieromanziracconti. ho smesso da
poco di poetare al computer, e sono ritornato alla manopenna. ho alle
spalle alcune performances e nello stomaco una gran rabbia (anch'io
semivittima di Arcanae presenze!!!) viviamo un'apocalisse dilatata
aspettando chi? cosa? |
Ebelines
Litanie
Racconto modale di gianluca garrapa
Poi, addossato al muro come una catapulta per
l'impossibile, il letto resisteva nella sua integrità ignota d'oggetto.
"Non credevo, che... si… insomma la pelle
profumata e semplice potesse….": le sfiorò l'ombra del corpo
proiettata sul muro. La voglia di vedere e toccare esasperava, violandole,
punte di piacere mai sondate prima d'allora. Come in un diagramma prensile:
le qualità delle sensazioni carnali sembravano esseri animati senza voce,
eppure lungo la linea che congiungeva gli occhi rimpiccioliti alle sottili
labbra stirate sul disegno del volto, pochi centimetri di carne pulsavano
inverosimile vita.
Giocavano piccole impressioni in cerchio, attorno agli occhi, alla bocca,
l'indice attraversava un campo di significati nascosti e trattenuti dal
semplice richiamo dei nomi come sul vetro appannato di certe macchine che
hanno dovuto proibire, amori e dolori prossimi ai roghi e trattenne un pugno
diretto al muro quotidiano di casa, giallognolo.
"Mi fai schifo: vederti e toccarti mi fa schifo!" Ebel aveva avuto
la facilità di un'infanzia difficile, poteva rendere vivo e dolorante ogni
singolo arto e, al suo posto, un rabdomante che cerca il piacere dell'acqua,
o la sacralità del fuoco, avrebbe dinoccolato poche parole immense con le
sembianze dei movimenti sottocutanei, lungo le nervature di un corpo…
avrebbe bruciato capelli e cute "Si, quell'odoraccio di bruciatura
epidermica mi fa ingelosire, vorrei un mio corpo e un mio dolore" disse
esalando fantasmi stropicciati mentre stupiva sul muro giallognolo,
perfettamente teso come un telo di lavande tenui.
Il campanello.
Mise via la silhouette d'Ines e truccò, per quanto
concesso dall'ipocrisia, tutte le espressioni di piacere, sintonizzandole
sulla banda larga delle frequenze formali degli atti. Ipocrita! una prima
interferenza sporca il silenzio perfettamente atavico del suo
radiotrasmissore d'emozioni a raggi x.
Ines si sobbarcò, suo malgrado, il posticipo cupo di una preveggenza
scaltra, ma non troppo, nel concedere in anticipo la sua propria fine alle
immagini di Ebel.
Arrivato al piano prescelto, l'ascensore si bloccò con un leggero mugolio,
e Ines ruppe le porte dell'ascensore in una grassa risata meccanica duplice,
come a dire "eccomi alla nostra ennesima recita!!" essenzialmente
complice.
Veramente, in quel preciso attimo, non pensava
affatto ad Ebel, ed infatti sminuzzò la frase a denti stretti palpeggiando
le parti metalliche dell'ascensore per richiuderlo, e osservando se stessa
rivolta al passato, completamente nuda addosso ai pulsanti di movimento
affondati nella peluria discreta del rivestimento di peluche rosso.
Accogliente e calda la cabina saliva o scendeva, ma era sempre la stessa
cosa: una cabina di piacere sublimato e profondamente accolto in un ventre
immaginario.
Ed Ebel nemmeno lui sembrava ignorare il desiderio di palpeggiare le bussole
fredde delle porte, per il solo piacere di ripetere quel sottile stringere
di una mano calda su un pomello gelido che lo spingeva, forse, ad amare
attraverso il corpo d'Ines, l'oggetto che n'accoglieva la carne, solo la
sensazione stringente della non-vita metallica lo scuoteva perpetuamente
nell'amore probabilistico con Ines. E lui andava, simil biglia in
experimenta nulli d'aria ma senza inerzia, degravitando nello spazio
interpersonale che divide le galassie umane. Questa battaglia oppiacea,
nerboruta e dolcedelicata, lo stava avvicinando ma il rischio di trovare una
continua soddisfazione nei lunghi atti carnali con Ines, non cessava di
ossessionarlo, e infine, il sentimento che tutta quella sicurezza erotica
sarebbe durata per il resto delle loro vite, lo stringeva nel petto.
Prendendo possesso della carne e radicandosi dentro i baci carnosi di saliva
e attorno alle volute floreali del pube, quando la lingua di entrambi girava
in cerchio lungo e dentro un gesto, sempre uguale, sempre uguale e fonico.
Ines avvertì l'ascensore ridiscendersene ai piani inferiori, lo scatto del
motore elettrico di sollevamento la fece trasalire, come se ci stesse ancora
dentro a venirsene quando l'intera cabina, tra un piano e l'altro la
penetrava, con un leggerissimo sussulto, gente permettendo, ovviamente!!
Spesso, infatti, la cabina aveva dovuto fingere un guasto, e l'ascensore
saliva o scendeva senza fermarsi alle chiamate. Lui l'amava Ines, amava il
suo corpo che gli ricordava quando ancora, anche lui, era un oggetto umano
ed aveva amato, come lei, un'ascensoressa.
Ansiosa e dietro un paio d'occhiali grandi e a
specchio, Ines segue per un po' l'ascesa atavica della postazione verso il
basso, da dentro verso fuori. È semplicemente un ascensore che scende a
raccogliere altra gente, "maledetti!" reagì contro quell'immagine
mentale, che non sopportava, lei era gelosa e assolutamente devota alla
carnalità degli interni, e l'ascensore non era semplicemente sceso a
prelevare altra gente, no: perché le avrebbe fatte godere, ammansite e poi
sputate fuori semplicemente come mai si sarebbe permesso di fare con lei.
Ines lanciò un'occhiata d'ammonimento mentre la cabina sprofondava al piano
di sotto. "Tutti uguali, oggetti umani ed ascensori…"
"Amami!"
Il campanello vibrò una seconda volta. Ebel era
completamente nudo davanti dietro la porta d'ingresso del suo appartamento.
La casa, accogliente come un antro vistoso dove l'occhio può perdersi senza
mai perdere l'equilibrio e seguendo le linee sonore come orecchie di
pipistrello, ammiccava maliziosamente al corpo nudo di Ebel. Persino la
silhouette vomitava un'ombra gigantesca e animata sulla parete di fronte
alla stanza dell'amore in atto di stupirsi lungo il profilo che pareva
staccarsi e tendersi vita umana dalla parete inorganica. Ebel si allontanò
fulmineamente dalla porta, voltandosi indietro e schizzando a divorare
nervosamente l'ombra; quindi vi si avvicinò lentamente e sazio, fino a un
palmo dal naso, poi cominciò a schiacciarvi tutte le parti del corpo contro
il freddo piacevole della superficie ricoperta da una sottile membrana di
colori e tessuti sabbiati. Rimase lì, piacevolmente fermo contro il muro,
perfettamente delineato dalla silhouette priva d'ombra per un po'…
Poi, altrettanto piacevolmente, avvertì, un sottile senso di calda
familiarità provenirgli tra le gambe.
Ines aveva deciso di suonare una terza volta. Ebel
scivolò lungo il muro lentamente e si raccolse in una posizione fetale che
gli dava sicurezza e fastidio per quel corpo di carne e di peli.
Le mani si toccarono ed egli, in quel preciso accarezzarsi, vide chiaramente
un brivido salirgli su per la schiena e alzò lo sguardo alla porta dietro
cui aspettava meccanicamente nervosa e consapevole.
Ines lanciò un'ultima occhiata all' ascensore: "Ok, è andato."
Rimase a mezzo metro dalla porta allungando il braccio una quarta volta, ma
non suonò. Fissò il campanello abbozzando uno sguardo avvenente e vi
avvicinò il dito come intorno al capezzolo di un uomo. Poi, risoluta,
allungò l'altra mano all'impugnatura di ferro ed ebbe la sensazione che
Ebel la stesse già sfiorando con il grande palmo della mano calda che
stringeva la maniglia fredda. Avvertì spontaneamente i ricordi farsi sempre
più cutanei, la mano impugnata sul freddo metallo della serratura come
sull'elsa di una spada, ma la guardia protettiva nel punto di giunzione
della lama era il legno liscio e verniciato della porta contro la quale
ondeggiava il corpo d'Ebel senza mai lambirla minimamente come aveva fatto
con il muro. Mentre l'altra mano giocherellava con l'indice intorno al
capezzolo, che ora era più suo che dell'appartamento o d'Ebel, la
sensazione d'estrema perfezione che suggeva con l'estremità callosa e
liscia del dito le risaliva attraverso tutto il sistema emozionale e
nervoso. Appoggiò l'orecchio alla porta strofinandosi col lato sinistro del
corpo. Quel grande orecchio trapassava il doppio legno aldilà del quale
c'era un corpo vicino ormai alla catarsi periodale d'ogni oggetto umano
sopraffatto dal fastidio carnale di un incontro.
"Non sfiorerò mai la tua carne, sacra emozione
del nulla, che mai..." Ebel infine, spalancò la porta e Ines cadde tra
le sue braccia esausta.
Ines, erano ormai 10 anni che la prassi nevrastenica
di entrambi non la sorprendeva più di tanto, si lasciò andare avvinghiata
al collo d'Ebel. Senza stupore. L'odore dell'incavo delle ascelle le fece
ricordare l'odore oleoso dell'ascensore. Si tradì. Avvampò imbarazzata.
Decise di strapparsi a quel loro corpo. Leggeva ogni parte d'Ebel. La più
intima, la più fragile. Decise di spogliarsi mentre Ebel, in piedi, la
fissava negli occhi torturandosi il capezzolo. Nessun suono questa volta.
Solo una visione di pelle in putrefazione.
Ebel finalmente risorse, trafitto dalla potente forma
delle sue gambe. Mentre le mani si riunivano intorno al suo corpo,
accerchiandolo, trattenendolo, come prima davanti all'ombra della
silhouette. Congiunse le mani e cominciava a vedere l'organico
nell'organico: la fredda metallica mano sussultare, le ossa dei polsi
scricchiolare come fritte e fra poco ingozzate dalla gola fredda della
serratura volendo spezzarsi e stringere la maniglia della porta. Ma il
gesto, automatico e serrato, finì a vuoto e l'intero corpo, sbilanciato
in avanti, cade a serpentina intorno ad Ines.
Ebel era sballottato dalla promessa del sogno e la
premessa d' ogni rapporto gli si sfaldò nella mente.
Trapezio e trapezoide, capitato e scafoide,
semilunare, uncinato pisiforme, piramidale.
Ebel si vestì in fretta, terrorizzato e scappò via.
Ines rimase sola e nuda, un black-out nell'intero quartiere.
L'ascensore rimase in ascolto aspettando. Immobile.
Poi il corpo d'Ines giunse con la velocità di un grave, percotendo quasi
tutti i corrimano della scala e facendo vibrare di voci sinistre l'intera
balaustra di alluminio boemo, all'interno di un parallelepipedo stretto.
Brandelli d'ossa e infine, per terra, nell'ingresso della palazzina, il
corpo d'Ines. Riconoscibilissimo... il volto rosso e sfigurato di capelli
era rivolto alle porte dell'ascensore. Lo sguardo aggrappato in alto.
La cabina dell'ascensore si aprì e Ines pianse, emise un lento gemito
soffocante e spirò.
Leggera come una foglia cadde planando, dopo alcuni secondi, la silhouette
come un lenzuolo sulle gambe d'Ines. Come il gesto di uomini su uomini
morti, sullo specchio rosso di Ines la luce stagnava grumosa e bianchiccia
dall'ascensore, poi Ebel schiacciò il pulsante e risalì nel suo
appartamento lasciandola sola dentro la luce serale dalla strada verso cui
guardavano le finestre fredde del palazzo. |