Cristiano
Villa
ho trentacinque anni, vivo in un paesino
in provincia di Piacenza e non mi sono mai affacciato al mondo editoriale.
Ho scritto molto, ma solo ora comincio a mettere la testa fuori da guscio;
sarò instancabile. |
La signora non è contenta?
Si era svegliata presto. Non lo faceva mai, ma
quell'ultimo martedì di marzo sarebbe partita, si sarebbe messa alle spalle
quanto di più vecchio aveva: il suo corpo.
Se ne stava seduta sul divano in soggiorno. I capelli raccolti sotto un
cappello nero, gonna e camicetta azzurre, ed un paio di scarpe con poco
tacco. Teneva un beauty-case appoggiato sulle ginocchia, e le mani su
questo. Dalla porta a vetri che dava in giardino, il sole colpiva il
pavimento in legno, lucidato da poco. Lei sentiva l'odore dell'acqua di
colonia del marito, ed il suo respiro irregolare.
"A che ora hai detto che è il treno?", disse il marito stando in
piedi alle sue spalle.
"A mezzogiorno e un quarto", disse lei.
"C'è ancora tempo", disse il marito.
Lui indossava un paio di pantaloni di vigogna, retti da una sottile cintura
che sembrava soffrirne il ventre prominente. Un bottone della camicia era
rimasto aperto, e si intravedeva la canottiera di lana. Appoggiato sui
talloni, teneva le mani in tasca e faceva girare alcune monete fra le dita
della mano sinistra. Guardava fuori, in giardino, oltre la porta a vetri.
"Oggi è una bella giornata", disse.
"Vero", rispose lei, ma non subito. "Se pensi che è soltanto
marzo", aggiunse distante.
"Stavo pensando di mettere una luce vicino alla fontana", disse il
marito. Col mento indicò in direzione del giardino, come se la moglie
potesse vederlo. C'era una fontana. Piccola, bianca e con un unico zampillo.
Rimaneva spenta il più delle volte, ma a loro piaceva anche così; rendeva
il davanti della casa più forte, aveva detto una volta lei rubando la frase
ad una rivista.
"Direi che è una buona idea", disse lei.
"Domani chiamo l'elettricista", disse lui.
"Sei sicuro che ci voglia l'eletricista?", disse lei.
"Credo di sì. E chi altri sennò. Domani lo chiamo".
"Ormai il taxi dovrebbe arrivare", disse lei dando un rapido
sguardo alle due valige accanto alla porta d'ingresso. Una era rigida e
rossa e l'altra di tela color nocciola; più piccola.
"A che ora deve arrivare?", disse lui.
"Alle undici e mezza", disse lei. Poi aggiunse: "Comunque il
treno è solo alle dodici e un quarto. E poi ho già il biglietto".
"C'è ancora tempo", disse lui.
La moglie posò lo sguardo sul depliant che stava sopra il tavolino, davanti
a lei. I bordi del pezzo di carta pareggiavano quelli del mobile, come se
dovesse stare proprio in quella posizione. Coperto di pieghe e con gli
angoli consumati, sul frontespizio, in alto, si leggeva: DOTTOR MESINI -
CLINICA DI RINGIOVANIMENTO. Accanto alla scritta c'era una croce, come
quelle che lampeggiano fuori dalle farmacie. Le signore sorridenti e di
mezza età che apparivano in alcune foto più in basso, sembravano guardare
lei; sembravano chiamarla, invitarla ad unirsi a loro nella sauna, in
palestra o anche solo a prendere un tè sulla veranda.
Le avrebbe raggiunte; presto, il taxi sarebbe arrivato e l'avrebbe portata
alla stazione. Sorrise anche lei.
"Credo che chiamerò Tersi", disse il marito.
"Chi?", disse lei riportando lo sguardo in giardino.
"Tersi, l'elettricista che ci ha montato il cancello automatico; quello
del garage".
"Tersi è una brava persona", disse lei.
"Lo è", disse lui.
La donna tornò sui suoi pensieri. Sulle valige accanto alla porta, e sul
loro contenuto. Le aveva preparate la sera. Per un momento era tornata
bambina, quando alla vigilia del primo giorno di scuola si preparava per
andare in collegio. Eccitata dal cambiamento.
Rigida sulla schiena, mise la mano nella borsetta nera al suo fianco e ne
estrasse uno specchietto, uno di quelli che stanno nelle scatolette di
plastica.
"Per l'amor del Cielo, non cominciare", disse il marito alzando la
voce. Girò intorno al divano e le si parò davanti. Cercò con gli occhi
quelli di lei, chini sullo specchio.
Piegandosi in avanti disse: "È da questa mattina alle sei che ti
prepari. Ti prepari e ti guardi allo specchio. Ti guardi allo specchio e ti
prepari". Accompagnava le parole con il movimento della mano: da
sinistra a destra e da destra a sinistra.
Lei non disse niente. Chiuse lo specchio.
"Non ho potuto neanche farmi la barba", disse lui toccandosi il
mento. Poi si fermò e la guardò in silenzio.
Lei rimise lo specchio nella borsetta fissando il beauty-case che aveva in
grembo.
Sempre in silenzio, il marito si raddrizzò e si girò verso la porta a
vetri, verso la fontana.
Lei lo sentì emettere un profondo sospiro.
"Credo che una luce ci starebbe proprio bene la fuori", disse lui
tornando a giocare con le monete nella tasca.
Lei annuì, come se lui potesse vederla; rialzò lo sguardo e sorrise,
tornando ad appoggiare le mani sul beauty-case. "Sì, accanto alla
fontana", disse poi.
"Già", disse lui.
"Che ore sono?", chiese lei.
"C'è ancora tempo", disse lui; ma senza guardare l'orologio.
Sei anni d'età li separavano, ed erano sposati da ventisette. Da quattro
abitavano in quella casa e solo due anni prima avevano fatto mettere la
fontana nel giardino. Lei l'aveva voluta, ma lui l'aveva scelta. Piaceva ad
entrambi, ed era proprio sul vialetto che dal cancello d'ingresso portava in
casa. Tutti la potevano vedere: chi andava a trovarli, i vicini; ma anche
chi passava in strada. I primi giorni, appena installata, andava giorno e
notte. Poi avevano cominciato a spegnerla prima di andare a dormire e
riaccenderla in tarda mattinata. Adesso funzionava solo se qualcuno
arrivava. E nessuno la puliva più da tempo.
"Una luce, questo è quello che ci vuole", rimuginava da giorni il
marito. Questo era quello che pensava.
Squillò il telefono. Lei s'irrigidì, le nocche le diventarono bianche da
tanto che stringeva il beauty-case. Squillò ancora. Ed ancora. Lui non si
muoveva, e continuava a guardare in giardino.
"Puoi rispondere. Per favore", disse lei infine.
Lui si girò e si diresse, senza guardare la moglie, verso il telefono
accanto alla porta d'ingresso.
"Pronto", disse.
Un lungo silenzio. Poi disse: "Sì". Altra pausa, e poi:
"Sì, certo". Il marito ascoltava l'interlocutore, poi dava uno
sguardo alle valige al suo fianco. Diceva un sì e poi guardava ancora le
valige. Poi ripose la cornetta.
Lei non disse niente. Aspettò che lui tornasse alle sue spalle; ne poteva
sentire il respiro. "Perché non ti siedi?", disse lei.
"Non ne ho voglia", disse lui.
Un passero andò a posarsi sul bordo della fontana. Entrambi lo osservarono
saltellare tutt'intorno, alla ricerca d'acqua.
"Chi era?", lei chiese.
"Franco, il nostro vicino", rispose lui.
Lei allungò il collo cercando, di guardare oltre la siepe che delimitava il
giardino sulla sinistra. Verso una casa bianca a due piani, e col camino in
mattoni.
"Stai tranquilla", disse lui buttando fuori il fiato con forza. E
aggiunse: "Non era a casa, ma in ufficio".
"Te l'ha detto lui?", disse lei.
"Già", disse lui.
Lei si girò verso il marito, e disse: "Non gli avrai mica detto
niente, vero?".
Lui non rispose. Guardava oltre la porta a vetri in giardino.
"Cosa voleva?", chiese lei infine.
"Che andassi a trovarlo stasera, dopo cena".
"Ma la moglie non è…"
"È via, sì; da sua madre credo", la interruppe. Poi disse:
"Per questo mi ha chiesto di passare la serata da lui".
Lei si girò nuovamente verso il giardino. Il passero era volato via.
Si appoggiò allo schienale del divano. Mentalmente, cominciò a passare in
rassegna quanto aveva messo nelle valige: prima in quella rossa poi in
quella color nocciola. Infilando una mano nella borsetta al suo fianco,
tastando con le dita, si assicurò che i biglietti del treno ci fossero,
così come il borsellino. Poi sentì i passi del marito che andavano in
cucina; la porta del frigo aprirsi. Aveva messo tutto quanto serviva, stando
almeno alla lista che la clinica le aveva inviato con la conferma della
prenotazione. Quattro settimane lontano da casa non sono facili da
organizzare, aveva detto al marito la sera prima; fortuna che mi dicono per
filo e per segno cosa ci vuole.
Lui tornò facendo tintinnare del ghiaccio nel bicchiere. Con la mano destra
in tasca.
"Non bere roba ghiacciata di mattina", disse lei, più che altro
per abitudine. Non guardò neppure quel che lui stava bevendo.
Lui non disse niente. Mandò giù un sorso e poi: "Non è più
mattina".
"Che ore sono?".
"A che ora hai detto che c'è il taxi?", chiese lui senza
rispondere alla domanda della moglie.
Neanche lei gli rispose. Il sole era ormai alto in cielo, e dalle macchine
che passavano in strada non arrivavano più i lampi dei riflessi sui
finestrini. Un leggero vento si era alzato, e la cima irregolare della siepe
sulla sinistra si muoveva come un'onda. Un'onda che andava lontano; un'onda
che portava lontano. A lei parve di sollevarsi.
"Vedrai che starai bene", la richiamò il marito. E poi: "Mi
hanno detto che è il posto migliore del paese".
Lei si girò di nuovo, preoccupata. "Chi te l'ha detto?", disse.
"Volevo dire che l'ho sentito dire", disse lui incrociandone lo
sguardo; ma solo per un istante.
Lei tornò ancora a guardare il giardino, il cielo. Il cuore le batteva
forte, e strinse a sé il beauty-case.
"Starai bene", ripeté lui guardando le valige.
Lei sorrise, annuì e si adagiò sullo schienale. Poi disse: "Credo che
una luce ci stia proprio bene vicino alla fontana".
"Sì. E anche una bella ripulita", disse lui.
"Ricordati di chiamare Tersi, domani", disse lei.
"Sì, certo. Tersi".
"Fra poco deve arrivare il taxi", disse lei.
"Sì, fra poco", disse il marito; "Ma c'è ancora
tempo", aggiunse poi. |