Filippo Skindrak

nasce ad Ancona nel 1980. Studia ingegneria elettronica nell'ateneo locale, e, se ispirato, con la sua pessima calligrafia, scrive poesie e racconti per sfogare la sua rabbia e la sua amarezza, per poi spargerli in tutta la rete informatica cercando di fortuna. Tentando di capire se è uno scrittore, o, più semplicemente, un inquinatore del cyber-spazio, continua ad imbrattare fogli aspettando che qualcuno lo fermi, o che, magari, lo pubblichi.

IL PROCESSO

Tutti in piedi entra la corte!

Mi sveglio. Apro gli occhi.
Quale corte?
Un tribunale. Sono in un'aula stracolma di gente. Seduto al tavolo degli imputati. In realtà non ne sono sicuro, ma sento che è così.
Mi alzo. Un riflesso condizionato scatenato da quell'ordine che mi ha svegliato. Non posso. Sono immobilizzato su una sedia, per giunta scomoda, e posso solo muovere la testa. Cerco di capire se ci sono corde o catene che mi vincolano, ma non riesco a scorgere niente. Le braccia sono morbidamente stese sui braccioli, le gambe piegate in maniera naturale e composta. Tutto perfettamente normale, ma io non mi posso muovere.
Osservo la stanza. Le pareti sono bianche e lisce. Nessun quadro o lampadario. Nessuna macchia o alone. Bianco come una camicia di forza lavata di fresco con uno di quei detersivi appena usciti dalla pubblicità.
Al centro della parete di fronte ai miei occhi, si trova un enorme seggio. Legno opaco e finemente lavorato. Intravedo delle forme scolpite in rilievo, ma sono troppo lontane e non capisco cosa rappresentano.
La mia sedia e un enorme tavolo di marmo alla mia destra, completano l'arredamento. Tutto è irreale. Non può esistere una stanza come questa. Da dove proviene la luce? Da dove entra l'aria?
Ridicolo.
Un sogno. Forse un incubo. Tanto non c'è differenza. Non posso pizzicarmi. Mi mordo la lingua. Sangue caldo e amaro mi scorre in bocca. Un dolore acuto mi riempie la testa. Soffoco un grido e inghiotto il mio fluido vitale.
Reale.
Impossibile, e proprio per questo reale.
Un uomo spunta alla mia destra. Proprio dietro al gran tavolo. Alto, giovane e perfettamente in forma. Capelli mori tenuti corti e pettinati alla moda. Pelle liscia. Nessun segno di barba. Mi guarda. Scuote la testa.
Un lieve scampanellio riempie l'aula. Riporto lo sguardo sul gran seggio di legno. Un neonato se ne sta tranquillamente seduto in cima allo scranno. Il pannolone che spunta da sotto la toga nera. Sorride mentre scuote il sonaglino che tiene nella mano sinistra.
Assurdo.
"Ma cosa sta succedendo?" urlo.
L'uomo perfetto mi guarda. Leggo nei suoi occhi il disprezzo.
"E' inutile che parli. Sei solo un errore!"
"Gran figlio di ……." ma dalla mia bocca non esce nessun suono. È come se mi avesse tolto il volume
Un fiume di rabbia inonda la mia mente, ma è tutto inutile.
Il bastardo ben vestito si avvicina al neonato e inizia a parlare.
"Buon giorno, vostro onore. Se lei è d'accordo farei entrare subito la giuria in modo da non sprecare il suo tempo."
Un gorgoglio divertito come unica risposta.
"Mi fa piacere che lei la pensi come me." continua "Fate entrare i giurati"
Una figura completamente coperta da un mantello nero fa il suo ingresso. Un cappuccio gli copre il volto. Non cammina. Scorre sul pavimento come trasportata da un invisibile tapis roulant. Si avvicina, e subito alla mia sinistra spunta una sedia ricoperta di velluto rosso. Seguo il suo percorso.
Fatta eccezione per il suo modo di avanzare, i suoi modi sono fluidi e naturali. Lentamente si siede sul posto a lei riservato. Mani pallide spuntano fuori delle lunghe maniche, mentre si toglie il cappuccio.
Un urlo mi sale in gole, ma esplode solo nella mia mente.
L'uomo non ha lineamenti. Lunghi capelli castani, incorniciano un ovale grigio da dove, a ritmo regolare, spuntano facce che scrutano interessate l'aula.
È un incubo. Un lungo, vivido e terrificante incubo. Ma questa non è forse la definizione di realtà?
"Bene, vostro onore. Se lei mi da il permesso, andrei a cominciare la mia arringa iniziale."
Un'altra risatina.
L'uomo annuisce serio. Cammina avanti e indietro alla mia sedia, e continua a parlare.
"Signore e signori giurati, siamo qui per giudicare un caso tanto comune quanto semplice. Il qui presente Filippo Skindrak è un terrorista. Un pericolo per le persone per bene. Lungo tutto l'arco del processo, dimostreremo come la sua pericolosità, più volte segnalata, non dipenda da una malattia o da qualche forma di pazzia. Distruggeremo con il grande maglio della morale, tutte le attenuanti che l'imputato si accrediterà, e porteremo alla luce la sua natura sovversiva. Se ascolterete attentamente le mie argomentazioni, per voi sarà naturale condannare l'imputato. E con questo ho finito."
Sorride. Lo stesso ghigno semi-umano di una iena che affonda i denti in una carogna marcescente.
Preda. È quello che sono. Una preda immobile che guarda il suo carnefice prendere la carica.
Un pianto disperato mi distoglie dalle mie considerazioni.
Il baby-togato, si dimena inconsolabile, ed improvvisamente tutto sparisce.
Mi ritrovo in un nulla bianco. Ancora seduto. Ancora paralizzato.
"COSA SUCCEDE?"
Questa volta l'urlo si propaga al di fuori del mio cervello. Il cuore mi martella in gola, mentre affogo in un mare di sensazioni diverse. Rabbia. Incredulità. Paura.
"Il giudice ha chiesto una pausa."
Mi volto di scatto a destra, convinto di ritrovarmi di fronte mister perfezione. Non è lui. È il suo esatto opposto. Basso ed evidentemente soprappeso. Pochi ciuffi spettinati gli coprono la testa lucida di sudore. Una giacca logora, compre la camicia macchiata e un paio di pantaloni sformati completano il quadro. Il suo sguardo è stanco. La sua espressione triste.
"Chi sei? Che cosa hai detto?" lo aggredisco.
"Sono il tuo avvocato difensore" risponde impacciato "e ho detto che il giudice ha chiesto una pausa."
"Giudice? Quale giudice?"
"Bene. Bene. Se continui così mi sarà più facile dimostrare che sei pazzo."
"Ma cosa stai dicendo? Io non sono pazzo. Mi vuoi spiegare cosa sta succedendo?"
L'uomo scuote la testa e sospira.
"Siamo al tuo processo, spero che questo lo hai capito. Il giudice che ti è capitato è molto imparziale ed esperto. Il prossimo mese scade il suo mandato. Il problema è l'avvocato dell'accusa. John Show è il migliore. Lo è stato negli ultimi anni, e lo sarà per molti altri a venire."
"Ma non ha senso." urlo quasi sbavando dalla rabbia "il giudice è un neonato……"
"Ma è normale che lo sia. Volevi per caso un vecchio smemorato?"
"Un uomo anziano sarebbe sicuramente più saggio ed esperto di un infante!"
"I vecchi sono solo inutili! E poi i bambini devo imparare a giudicare le persone. Come potrebbero sopravvivere nella nostra società senza dare giudizi?"
Strabuzzo gli occhi. E' pazzesco.
"E…….e…….e…..t..t..t..u" balbetto incerto" perché non sei in aula?"
"Ma sei fuori di testa? Mi hai guardato? Come posso mostrarmi in pubblico con questo corpo? Se la giuria mi vedesse non ci faresti certo una bella figura!"
Assurdo!
Rimango in silenzio mentre mille domande intasano la mia mente.
" Si è fatto tardi. Devo andare……"
"Aspetta" lo interrompo "dove vai? Come mi devo comportare? Che cosa devo dire?"
"Tu sei l'imputato. Cosa vorresti dire? Gli altri ti devono giudicare. Tu non ti puoi difendere. Ci vediamo alla prossima pausa" e scotendo sempre più forte la testa scompare come era venuto.
Tutto riappare esattamente come prima. Sembra che nessuno si sia accorto della pausa. Provo a dire qualche parola sottovoce. Nessun suono.
Mentre l'avvocato Show continua a parlare con la sua perfetta ed asettica dizione, mi soffermo ad osservare lo strano essere alla mia sinistra. Il suo viso cambia in continuazione. Mille volti si affacciano, assorti e concentrati, rapiti da quelle parole che assomigliano sempre di più a coltelli lanciati contro di me. Tutti affilati. Tutti piantati al centro del bersaglio.
Improvvisamente emerge un viso di donna. Un'anziana signora che sorride gentilmente. I suoi occhi brillano di pietà. Capisco che mi sta guardando, ma non mi vede. Il suo sguardo è puntato su qualcosa di molto lontano. Qualcosa completamente estraneo a questa irreale aula di tribunale. Solo pochi secondi, e la sua immagine scompare, ma sembra quasi che il suo volto sia stato scacciato. Un giovane uomo prende il suo posto. Il suo sguardo carico di disprezzo. La sua bocca ha già pronunciato il verdetto.
Riporto l'attenzione al perfetto avvo-cato avvo-ltoio.
"Che entri il primo testimone!" grida sorridendo con fare cerimonioso.
Alla sinistra dell'imponente seggio del giudice, esattamente di fronte alla postazione dell'accusa, appare un grande telo nero. Una sedia scricchiola mentre il fantomatico testimone si è seduto ben celato da quella protezione.
"Ricordiamo a tutti i giurati" continua Mr. Show "che questa precauzione è stata giustamente richiesta dalla nostra testimone per evitare di essere riconosciuta. Chi vorrebbe essere ricordato per aver conosciuto l'imputato qui presente?"
Vorrei solo alzarmi e sfidare a duello quest'arrogante squalo dalle sembianze umane. Una contesa dal sapore antico. Umiliarlo a colpi di spada solo per ricordargli che perfezione fa rima con finzione.
Ma io sono immobilizzato, e lui continua a parlare.
"Bene signorina, ci vuole spiegare come ha conosciuto il qui presente Filippo Skindrak?"
"Tramite amici comuni. Penso che tutto si possa riassumere così."
"E quale erano i vostri rapporti?"
"Eravamo amici. No. Scusate. Credo che sia meglio dire buoni conoscenti."
"Conoscenti? Niente di più profondo?"
"Buon Dio, no! In realtà ho sempre pensato che lui fosse molto attratto da me, ma io non avrei mai potuto mettermi con uno come lui."
"Ci può spiegare il motivo?"
"Mi ha sempre trattato bene. Che gusto ci sarebbe a mettersi con uno come lui?"
Sento i muscoli fremere dalla collera. Le sue parole mi feriscono, ma non mi abbattono. Sono una tigre ferita accecata dalla rabbia e dal desiderio di uccidere il cacciatore. Rabbia o disperazione? È ira quella che sento scorrere nelle mie vene, o semplice sconforto? Il sapore del fallimento mi sale in gola. Un rigurgito di insuccesso causato dal suono della sua voce, che tutto sommato mi ha fatto piacere risentire.
Mr. Show sta continuando a chiedere. Lei continua a rispondere. Il giudice tiene in mano il suo orsacchiotto e ride divertito giocandoci, inconsapevole di quello che succede.
Sono stanco. Troppo stanco. L'assurdità di questo processo sta prendendo il sopravvento.
Una lunga fila di testimoni scorre nel seggio accanto al giudice. Gente che non si vergogna a mostrare il proprio volto. Gente che non ho mai visto in vita mia, ma che mi conosce benissimo perché mi ha incrociato per qualche istante in strada, al mare o in un pub.
Poi, per la seconda volta, tutto sparisce, ma io non me ne accorgo nemmeno. L'impacciato avvocato che dovrebbe difendermi mi scuote dal torpore in cui sono caduto.
"Cosa è successo?" chiedo.
"Il giudice aveva fame. Ci siamo dovuti fermare per la poppata."
Guardo quell'uomo impacciato e non parlo. Si asciuga continuamente il sudore dalla testa calva con un fazzoletto sgualcito, e sposta il peso da un piede all'altro, nervoso e imbarazzato.
"Il processo non sta andando al meglio" afferma "i testimoni dell'accusa sono molto convincenti. È gente adulta, molto brava a giudicare. I giurati si fidano di loro."
"Magari le cose miglioreranno quando toccherà ai testimoni in mio favore?"
"Quali testimoni? La difesa non può presentare alcun testimone."
"Ma cosa diavolo vuol dire? E i miei amici? Non possono parlare, difendermi………"
"Povero ragazzo" sospira e scuote la testa "e cosa potrebbero dire i tuoi amici? Gli amici sono tali perché non ti giudicano. Potrebbero solo peggiorare la situazione."
"Non ha senso……"
"Non ti preoccupare. Possiamo sempre dimostrare che sei pazzo. E, fidati, se continui a parlare così non sarà difficile farlo."
"IO NON SONO PAZZO!"
"Certo, certo." Sogghigna e continua a scuotere la testa "Ora devi tornare in aula. A più tardi."
Svanisce mentre si deterge il sudore, e ricompare il suo collega. Questa volta c'è qualcosa di diverso. Ha qualche capello fuori posto, e le maniche della giacca sono spiegazzate. Guardo meglio, ma tutto è tornato perfetto. Vedo la mia vicina di casa salire sul banco dei testimoni. Lo sguardo arcigno dietro ai piccoli occhiali da presbite. La bocca piegata leggermente all'ingiù. Neanche mi guarda. La sua attenzione è tutta per Mr. Show.
"Buon giorno, signora Judge"
"Buon giorno a lei avvocato". L'espressione colma di rispetto.
"Vuole dire a questa corte il motivo per cui conosce l'imputato Skindrak?"
"E' il mio vicino di casa……….. purtroppo."
"Perché ha aggiunto purtroppo, signora Judge?"
"Perché nessuno vorrebbe avere un vicino come lui."
"Ci può dire il motivo?"
"Certamente. Prima di tutto invita i suoi compari a casa con i quali parla a voce alta. Cenano e sicuramente si ubriacano, poi escono e prima di lasciare il pianerottolo ridono e fanno baccano. Io li osservo sempre dallo spioncino. E poi quando è solo in casa, ascolta quella musica demoniaca…….e balla anche."
Rido. Rido fino alle lacrime. Povera vecchia. Mi chiedo come l'abbiano strappata dai suoi crocefissi e dai suoi rosari per portarla in questo tribunale. Secondo lei tutti i giovani non fanno altro che bere e ascoltare la musica demoniaca, che poi non è altro che molto rock, una dose di punk e una spruzzatina di metal. Ma forse non è solo lei a pensarlo…………
La signora Judge esce di scena regalando un santino al baby-giudice.
"Ed ora entri il professore!" proclama l'avvocato Show.
Il mio vecchio professore di latino, cammina lentamente appoggiandosi al suo vecchio bastone di legno. Procede eretto. L'espressione austera.
Ed ecco, signore e signori, l'unico professore che ha dato sempre tutti i voti secondo l'idea che si era fatto (alla prima occhiata) degli alunni!
Guardo Mr. Perfezione. Ha l'aria compiaciuta. È convinto che questa sia il colpo deciso per la mia condanna. Aspetta prima di iniziare a fare le domande. Vuole che la giuria lo osservi attentamente e capisca che di lui ci si possa fidare. Finalmente attacca.
"Se non erro professore lei ha avuto, per tre anni, come alunno il qui presente Filippo Skindrak. È corretto?"
"Si."
"Leggo dalle sue valutazioni che non era un alunno brillante….."
"Sicuramente. Fin dal primo giorno ho capito che il suo futuro era buio."
"Può spiegare il motivo di questa affermazione?"
"Certamente. Vede, ho compreso fin da subito che il ragazzo credeva nel raziocinio. Per ogni azione che gli chiedevo di fare, lui ne voleva sapere il motivo. Per tre anni ha rifiutato la disciplina che gli imponevo. Voleva scrivere come piaceva a lui, e non come volevo io. Non leggeva i giornali che gli indicavo, ma ne comprava altri che andavano contro la mia fede politica. Si vestiva come un pagliaccio, ma forse questo era anche giusto."
"E perché?"
"Perché in fin dei conti non è altro che un pagliaccio materialista, che crede ancora nella libertà di pensiero."
Mille risate si spargono per l'aula. Ride il professore. Ride l'avvocato. Ridono le facce che affiorano dal volto grigio della giuria. L'intera stanza inizia a girare. Riesco a vedere solo i loro ghigni famelici. Denti aguzzi spuntano dalle loro bocche. Rivoli di bava scivolano lungo i loro colli. Abbasso lo sguardo per non vederli, ma è peggio perché sono vestito veramente da pagliaccio. Una larga blusa bianco rossa e un paio di sformati pantaloni blu. Enormi scarpe rosse spuntano da sotto la sedia, e d'avanti ai miei occhi vedo scendere le punte flosce di un cappello da giullare.
Sono solo uno stupido clown che ha l'obbligo di far ridere.
Urlo con tutto il fiato che ho in corpo. Ruggisco. Gli occhi chiusi, i polmoni in fiamme.
Sento una mano scuotermi. Alzo lo sguardo, mentre la testa mi pulsa per lo sforzo. Di nuovo il mio presunto avvocato. Il volto serio per la prima volta non è sudato. Mi guarda con aria greve. Non scuote la testa, non dice niente.
"Cosa succede?" chiedo.
"L'ultima interruzione, mi dispiace." Una breve pausa, poi ricomincia. "Non voglio prenderti in giro. Dopo la testimonianza del tuo professore non hai molta speranza di essere assolto, ma cercherò di fare il possibile. Ho deciso che sarò al tuo fianco."
Annuisco silenziosamente. Non riesco più a ragionare. Sono una piccola barca sperduta in mezzo all'oceano, durante un uragano.
La pausa finisce, e l'aula irreale ricompare. Un tavolo è apparso di fronte a me. Più piccolo di quello dell'accusa, ma dello stesso marmo. Giro la testa alla mia sinistra e vedo che non sono più solo. Il mio avvocato però non c'è. Al mio fianco sta seduta l'esatta copia di Mr. Show, fatta eccezione per i capelli biondi e gli occhi azzurri.
Hanno chiamato i rinforzi. I due fratelli perfetti per giustiziare l'imputato malridotto. Non ho neanche la forza di arrabbiarmi. Sfinito. Troppo stanco.
Il biondo si alza lentamente. Lo guardo. Lui ricambia il mio sguardo. Sorride e inizia a parlare in mia difesa.
Improvvisamente capisco tutto quanto. Mi volto a guardare Mr. Show, ma ora lo vedo veramente. I suoi lineamenti perfetti, il suo vestito firmato, le sue scarpe lucide. Tutto finto. Semplici vestiti di scena.
Apparenza. Il solo valore.
Rivolgo l'attenzione allo strano essere che forma la giuria. Una normale telecamera attraverso cui la società può osservare e giudicare.
Uno spettacolo. La mia vita non è altro che uno dei tanti spettacoli che la gente può vedere. Non si può scappare. Nessuna via di fuga. Esiste un solo concetto di giusto. Esiste una sola realtà. Chi non è d'accordo semplicemente non esiste come essere umano.
Uno strano fenomeno da baraccone, da osservare attraverso una grata. Un cattivo esempio da mostrare ai bambini.
"Mamma, mamma perché lui non è come te e papà?"
"Perché lui non ha seguito le regole. Vedi come si diventa a voler esprimere le proprie idee. Mi raccomando figliolo pensa sempre come fa la maggioranza, vestiti secondo le mode, e ascolta solo la musica che ascoltano tutte le persone normali. Non agire secondo quello che tu ritieni giusto, ma sempre secondo quello che la nostra grande società ha deciso che è corretto. Non vuoi mica diventare come questo Filippo Skindrak?"

La giuria ha raggiunto un verdetto unanime. L'imputato è Colpevole di reati contro la morale comune e viene quindi condannato ad omologarsi. Gli verrà sottratto il libero arbitrio, gli verranno imposti i giusti modi di comportarsi e di vestirsi. Tutti lo vedranno e tutti lo giudicheranno senza conoscerlo. Nel momento in cui violerà una soltanto di queste imposizioni, verrà immediatamente rispedito alla fabbrica, perché un burattino rotto non serve a nessuno.