David
Ferrari
classe 1978, quella dei robot giapponesi
tanto per intenderci. Ci hanno preceduto con le contestazioni e ci hanno
succeduto con l'antiglobalizzazione. E noi in mezzo. Conformati.
Omologati. Etichettati per benino e rimessi in provetta.
Almeno così credevano.
Eppure io sono qua, sghignazzante, errore di programmazione demografica e
indottrinamento culturale. Trasognato e lunatico col brutto vizio di
sputare parole su pezzi di carta.
Credo che la magia di uno scritto stia in buona parte nel potere evocativo
del suono delle parole. Ritmiche o armoniose colpiscono allo stomaco
mentre il contenuto, serio o faceto che sia, trova spazio comodamente
nella mente.
Colpire da due lati. Lasciare senza fiato e senza pensieri. Questo sarebbe
il coronamento di un sogno.
Blog: http://webfx.it/diariodibordo
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* DUST *
Credo che prima di venti minuti vomiterò sui piedi a
qualcuno. Già me li vedo: una mandria informe scalpitare e spintonare la
bestia di fronte per riuscire a scendere in corsa dal carro bestiame appena
giunto da chissà quale buco di culo di paese. Già me li vedo scansarsi
mentre mi passano accanto. Vedo i loro sguardi schifati. Il disgusto sul
viso delle madri e gli occhi sgranati dei più piccoli. Vedo l'odio di
molti, padri di famiglia e dirigenti del grancazzo di qualche azienducola.
E io me ne fotto.
Vado loro incontro barcollando, cercando di infilare un piede dietro
all'altro, con lo sguardo vitreo di chi è cosciente, lucido nella propria
insania, di essere il peggior riflesso del loro piccolo mondo.
Dopo tanto tempo ancora non capisco se sia più divertente o umiliante.
Probabilmente entrambe le cose. Le teste chine di chi viene nella mia
direzione. Il disagio e la vergogna. I no fatti con la testa o con la mano.
Amico, già lo sai che sto per chiederti della moneta, una sigaretta o solo
un cazzo di accendino. Scappa scappa! Tieniti stretto le tue piccole
proprietà.
Nemico a ore dodici. Capo Oro a Oro Due, vira a sinistra e scansa il nemico.
Capo Oro a Capo Blu, qua serve copertura. Cazzo cazzo veloci veloci!
Pericolo cessato, tornare in formazione.
I fumetti sulle loro teste scoppiano come bolle di sapone. La testa si
riempie di elio. Cazzo che botta.
Mi siedo sulla panchina sporca per non cadere a terra. Si sono tutti alzati
lo so. Non ho bisogno nemmeno di aprire gli occhi. Il tempo passa e cerco di
rialzarmi. La realtà ondeggia e lo stomaco si ribella, ma poi tutto passa.
Con un po' di culo non finirò carponi a vomitare succhi gastrici e un
tramezzino ammuffito. Sprecare cibo mi manda in bestia.
La banchina è deserta. Almeno credo.
La roba di quel polacco deve essere fatta con la merda e tagliata coi peggio
allucinogeni scaduti negli anni settanta. Il locomotore mi fissa ghignando e
scondizola i vagoni di coda mentre un grosso porco in divisa verde gli fa un
grattino a una zampa. Alla fine, se mai una fine esiste, una comincia a
pensare che la realtà sia quella ed è allora che capisci, mentre ti stai
pisciando addosso in un sottopasso ferroviario, che sei veramente fottuta.
Meglio tornare al loculo, prima che sto bestione decida che in fondo in
fondo come colazione potrei anche non fare schifo. Torno sui miei passi.
Devo riuscire ad arrivare al piano terra della stazione, poi da lì dovrebbe
essere semplice.
Arrivo alle scale - già una volta le scale mobili hanno cercato di
succhiarmi - ma devo fermarmi. Un rospo gigante staziona sull'ultimo gradino
e con la bocca spalancata ingoia tutte le bestie/persone che cercano di
scendere. Strofino gli occhi, mi mordo la lingua e la creatura se ne va
seccata. Dio, che schifo!
La discesa è lunga e il vociare della gente, riflesso dagli alti soffitti
fascisti, mi stordisce. Stringo le braccia attorno allo stomaco: ho freddo e
nausea. Devo fermarmi qualche istante per riprendere fiato. Siedo su una
delle panche di pietra ricoperte di guano e quando mi rialzo il sole è
tramontato. L'effetto della roba sta passando, ma presto verrà il peggio..
la voglia e il bisogno di farlo ancora. La Fame, com'è chiamata nel mio
giro, quella puttana che cammina sempre al tuo fianco, discreta e
silenziosa. Ti osserva e ti scruta. Ti fissa con grossi occhi spenti mentre
dormi, mentre mangi, mentre ti accasci a terra e mentre ti umili per mezza
dose. Lei se ne fotte. Lei guarda. Lei vigila. E quando torni alla realtà
ti artiglia lo stomaco e ti trascina verso di se, spalancando le fauci.
Chiudo gli occhi. Li riapro. La stazione è deserta, le biglietterie vuote.
Al centro del salone il cubo di plexiglass della Trudi è illuminato a
giorno e mi fa lacrimare gli occhi.
Svolto nel sottoscala e deambulo verso la porta di ferro blu che porta ai
sotterranei. Nessuno ci fai mai caso, nessuno la vede nè vuole vederla,
eppure è sempre stata lì. Un catenaccio e un grosso lucchetto sembrano
chiuderla ermeticamente, ma si tratta soltanto di un punto di vista. Anni fa
la porta fu scardinata e ironia della sorte ora ruota proprio sul catenaccio
posto a sigillarla.
Oltre quella porta arrugginita un'anacronistica corte dei miracoli rantola
al lume di pochi fuochi, sguazzando nel proprio piscio in attesa del
prossimo buco. E' casa mia.. casa merdosissima e dolce casa.
Il puzzo è sempre insopportabile. Liquami e carcasse di piccoli animali
appestano i cunicoli. Come se non bastasse qualche schizzato ha inchiodato
al muro le interiora di un topo o di un gatto disponendole a forma di cuore.
Un altro disperato che si è fatto l'ultimo viaggio.
Credevo l'effetto di quella roba fosse finito, invece eccolo di nuovo salire
prepotentemente verso il cervello, passando prima dallo stomaco per
accertarsi che non ci fosse (giustamente) nulla con cui giocherellare. Mi
ritrovo carponi biascicando bestemmie contro quel bastardo d'un polacco. Mai
più comprare da lui, mi dico.. come se potessi realmente permettermi di
essere schizzinosa. Nel delirio già mi vedo in pieno centro, in un locale
lussuoso ben chiusa nella mia pelliccia viola di orsetto del cuore. Dunque
vediamo… oggi mi dà... un paio di dosi di eronina. Sono tre lascio? Ma
si, non si preoccupi… a male non va.
Vomito. Cazzo no! I conati si sussegguono veloci e disperati anche se non
c'è nulla nel mio stomaco da sacrificare all'altare della nausea.
Alzo la testa ancora stordita e vedo il mio angolino poco lontano, le mie
scatole di cartone. C'è qualcuno nel mio loculo… qualcuno m'ha fregato la
tana. Tossisco e sputo per liberarmi dall'acido e vorrei piangere. Vorrei
ranicchiarmi dove mi trovo e cominciare a piangere per il dolore, per la
tristezza e un po' anche per l'odio nei confronti di quel ladro bastardo.
Devo assolutamente rimettermi in piedi e cacciarlo via.
Cerco di rialzarmi ma le gambe non rispondono alla mia volontà. Ricado
carponi e nemmeno le braccia riescono a reggermi facendomi finire faccia a
terra. Lì, prona e stordita, stringo i pugni e piango per la frustrazione.
Piango per l'incazzatura e piango per l'impotenza di non poter strappare la
faccia con le dita a quell'infame.
Rialzo la faccia. Fra le lacrime intravedo, sfuocata e distorta, una mano
tesa verso di me. E' bianca come solo la nebbia di questa città può
essere.
Non capisco, ma non ho alternative. Stringo la mano, cerco ancora di alzarmi
e finisco per sbattere di peso contro l'altro. Insieme cadiamo, lui sotto e
io sopra, sopra i miei cartoni. Alzo lo sguardo: è una donna e mi rendo
conto solo ora di avere il viso affondato nei suoi seni.
Vorrei colpirla e farle male, ma non ne ho la forza. Muovo le labbra per
dare sfogo almeno verbalmente alla mia ira, ma la gola brucia e sputo sangue
gorgogliando suoni indistinti. Il mio viso è una maschera di odio, me ne
rendo conto, eppure quella stronza non fa altro che fissarmi con quel
sorrisetto gentile. Riesco a sputarle in faccia e improvvisamente mi sento
realizzata. La macchia rossa scivola dal volto bianco della donna. Lei
continua a sorridere e io vorrei strapparle gli occhi con una lama
arrugginita.
La donna sa, capisce, ma semplicemente mi ignora e questo mi rode ancora di
più del disprezzo. Mi afferra per le spalle come fossi una bambola di pezza
e mi ruota. Ora mi trovo seduta fra le sue gambe, con la schiena appoggiata
al suo petto. Lei stringe le braccia intorno a me e io cerco inutilmente di
divincolarmi. Appoggia la testa sulla mia spalla e mi sussurra all'orecchio
- cosa vorresti ?
Io non capisco e fatico a concentrarmi, ma vedo le sue mani stringermi un
laccio al braccio, prendere una siringa e iniettarmi qualcosa.
Sento caldo. Un fuoco liquido che parte dal braccio e corre veloce in tutto
il corpo. Giunge alla testa a il cunicolo diventa improvvisamente luminoso.
Tutto quello su cui posso posare lo sguardo diventa nitido. Un velo si
solleva e anche i suoni acquistano forza e determinazione.
Ruoto la testa per guardare la donna, ma la sua mano mi ferma.
- cosa vorresti ? - ripete.
Sento il corpo leggero e allo stesso tempo sono consapevole di ogni muscolo
del mio corpo. Sento i capillari pulsare infinetesimali scariche elettriche
all'interno delle terminazioni nervose.
Cosa voglio ?
- Vorrei che non finisse - le sussurro, lucida e sicura di me stessa come
non mai.
La donna posa le sue mani bianche sui miei seni, si china su di me
baciandomi sul collo, con la dolcezza e la passione che solo l'amante di una
vita sa infondere.
Da qualche luogo distante il vento giunge fino a noi e io sono parte di
esso. |