Stefano
Merialdi
scrittore e poeta piemontese;scrive da
sempre e vive in un paesino del basso alessandrino; dove del resto vive e
lavora. |
E qualcuno volò con Kesey
Stanno venendo. Scribi e amanuensi con giornaletti rosa e rubriche di cucito chiamano intelletti; senza intelletto. Con le teste piene di niente, le penne cariche e le meningi scariche; lle bocche funzionanti e il talento disfunzionante. Parlano di cose, che nessuno vuole sentire, quando scrivono, non dicono niente, quando parlano; non hanno niente da dire. Sono essi. Gli scrivani, scalda sedie. Copisti e copini, cronisti di corte, scrittori a gettone da cortile. Sono farisei di potere, statalisti, dicono solo quello che si può dire, dopo aver chiesto il permesso. Sono i più; ma non i soli. Accanto a questi dotti col guinzaglio, c'e uno spaurito gruppetto, una minoranza minore, relegata nell'ombra, ma non completamene, costretta a vivere un po' nel crepuscolo, contigua agli scrittori di potere, sommersi dai flash, paparazzi e riflettori da fiera del patrono. Questi sono scrittori, out, fuori dal seminato, non sono uguali; sono al di fuori della riga e degli schemi. Sono un po' pazzi per gli idioti, che si credono furbi, ed un po' artisti, per quelli, che hanno il coraggio e la voglia, invece di blaterare, di prendere i loro libri, e mettersi a leggere le pagine. Sono scrittori, di solito un pò ironici, spesso girovaghi; cantastorie e bardi di strada, per cui non è sempre facile seguirli, e quello che dicono è crudo, anche rozzo, essenziale, libero come la strada che descrivono, con la gente che la abita, che tira a sopravvivere, che sogna, che spera e soffre, lontana da riflettori e grancasse. Questi scrittori, diciamo pop, di frontiera e scapigliati, non scrivono storielle facili e brevi, come i rotocalchi scandalistici. Essi, buttano sulla carta, quello che sentono, vedono e parlano di vite vissute, mentre le vivono:E scrivono la rabbia sui muri, tra i ghetti e i quartieri degradati:E bestemmiano e i loro personaggi escono dai gangheri, mentre ci stanno uscendo loro. Il loro, non è un reportage, od un indagine da documentario, e una corsa inseguendo la vita, prima che sfugga; una lotta contro il tempo, prima di esserne spazzati, una denuncia, un grido, prima di soccombere; e sopraggiunga il silenzio, e la quiete, delle fine; del cigno che muore. E la tematica portata avanti nel libro di Ken Kesey, poeta cantastorie moderno, spregiudicato, ironico, florido dialettico ed incontenibile, che non scrive, inventa, plasma e modella personaggi viventi, goliardici e un po' pantagruelici, come l'irrefrenabile inquieto e ribelle Patrick Randall Mac Murphy. Un omaccio grande e possente, con la barba, ispido un ex avventuriero, marinaio vagabondo e poi galeotto. Che approda un po' per caso in un manicomio giudiziario, asettico sterile, freddo e fiscale, retto da una caposala distaccata, amorfa e cruda, che applica solo i regolamenti. E qui Kesy inizia il racconto dando vita, a figure stravaganti, bizzarre a volte ridicole, ma vere e piene di verve e umanità. Il suo è un libro che parla, di trasgressione, è un inno alla gioia di vivere , al vitalismo, un manifesto, che canta la voglia di libertà dell'uomo, che vuole spaccare e spezzare le sbarre, per pensare e volare, verso una nuova esistenza, un nuovo mondo; un lento percorso, sino a ritrovare la propria dignità e voglia di esserci, dapprima sopite, tra i letti, e le corsie di un ospedale. Qualcuno volò di Kesey, e una voce indipendente, un espressione tonante, di vita irruenta, una descrizione piena di trovate, di originalità e di energie vitali, che ritornano, si raccontano ed alla fine esplodono. Una volontà di rompere le barriere, per dire che l'uomo è al di sopra di ogni schema e seggio precostiuito ed indotto. I personaggi, del libro sono immediati, raccontati in stile diretto, semplice frizzante e scollacciato, ma non stupido o becero. Il romanzo best-seller, e poi grazie alla grande trasposizione cinematografica con un indimenticabile Jack Nicholson, che attore maledetto, scontroso imprevedibile ed istintivo è riuscito, e chi, meglio di lui avrebbe potuto, ad impersonare con verve, espressioni ghignanti che lo caratterizzano, è riuscito a dare il suo volto al personaggio, in modo esemplare, tanto che da quel momento in poi, il libro è diventato indissolubile dal film, è appena è citato, torna subito in mente Nicholson. Kesey, E un bardo, un cantore antischiavista, anti-conformismo di massa, quasi un poeta beat generation e da strada come Keruach. Ma in Keruach c'è un po' di tutto, dalla ribellione, dalla religione all'amore e alla delusione, mentre Kesey, grida parole, e la sua parola preferita è : Libertà. Libertà ad ogni costo, anche se c'è da rischiare, il giusto non è dato dalla regola e dal divieto, ed ognuno è nato libero, e libero dovrebbe restare. Le norme, i divieti sono fissati dalla maggioranza, ma la maggioranza spesso sbalglia, è acefala, pecorona e condizionata. Allo scrittore tutto questo non va giù e lo dice. Nel suo libro, escono fuori tutta una serie di individui, casi umani incredibili; dal ragazzo Billy, inesperto in fatto d'amore ed insicuro, il signor Harding e poi, il colossale, impassibile e torreggiante Capo indiano Pino che svetta, un Ceyenne o qualcosa del genere, che poi, è quello che parla in prima persona nel libro, per opera di Kesey, ed è il primo amico di Randall, quello che gli è più affezionato, e che poi, per rispetto verso di lui, lo elimina, quando ormai lobotomizzato, Randall non è più se stesso, ha perso la dignità, e l'indiano non accetta più, di vederlo ridotto così. Lo soffoca col cuscino, e poi sollevato un pezzo di lavandino, lo scaglia nella finestra, e fugge via, ritrovando la sete di libertà, e la voglia di vivere e volare alto, senza più ceppi. Anche qui il noto attore Lakota, ha poi interpretato ottimamente la figura libresca, sostituendolo, e divenendo la sua faccia e il suo volto. E' un pellerossa, famoso per aver partecipato in altri film, come Sfida al Bufalo bianco, a fianco di Charles Broson, in cui faceva la parte del capo Ceyenne, Cresy Horse. Ma l'apparizione in Qualcuno volò, è la compartecipazione più di rilievo. E' una storia profonda, di un grande scrittore, e con un buon regista. Secondo me, è la migliore interpretazione del film, poichè e riuscito a ricreare alla perfezione la figura, dell'indiano del libro. Kesey è uno scrittore potente, e la sua voce riecheggia, rimbombando su per le vallte e i monti, e i canyon del Colorado, e tra i pochi libri che vale la pena di leggere, accanto a Keruach il poeta beat, si schiera anche il Qualcuno Volò nel nido del Cuculo, con la sua trasgressività, la sua presenza di figure reali, umane carnali e vibranti, che urlano e cantano, di una libertà perduta, che non è più; chiusa, tra le pareti, mortificata dalle regole, fatta propria da politicanti ridotta niente, da chi non l'ha mai conosciuta e non è mai riuscito, a volare via libero, veramente. Lo scritto di Kesey, e il cantico di un vate delle strade metropolitane, una professione di vitalismo estremo, in cui riecheggiano, le reminiscenze e gli albori, del movimento della beat Generation, con i suoi artisti e scrittori girovaghi e maledetti, proiettati sulla strada, tra eccessi, scorribande per le praterie, in un desiderio spasmodico, ed irrefrenabile, di provare e godere, la vita intensamente, minuto per minuto. Dispersi, e concentrati, in una ricerca dell'imponderabile, e dei perché interiori, che si agitano e stimolano, i malesseri adolescenziali e non solo. Personaggi e giovani , santoni e un po' fachiri, che rifiutano i preconcetti, e la cultura preconfezionata, ma vogliono invece vivere la vita direttamente, senza freni. Come stiliti ed anacoreti post-moderni, scrivendo versi, ballate e pensieri astratti ed ogni emozione, provata e sofferta. Ben presto questo bagaglio d'esperienze vitali, è stato rubacchiato ai giovani, e traslato al cinema, con film vari ed eventuali, più o meno di pregio, come Giungla d'asfalto e il Ribelle con Brando, in cui registi ed educatori hanno rappresentato, paure ed angosce, di fronte ai problemi della violenza e della ribellione giovanile; sino a sfociare, con film come Gioventù bruciata, che ha proposto, la figura, dolente e tormentata, di un James Dean, inquieto ed impulsivo, che per la frustrazione esistenziale, le angosce, e i grandi slanci, è divenuto il symbol, del malessere giovanile, che così spesso vediamo, ma di cui non sappiamo spesso che dire, né porre rimedio. Dalla società curtense alla società multimediale Sin dai primordi, l'uomo si è unito a gruppi, e consorzi umani, per vivere un po' meglio, procacciarsi il cibo, in collaborazione ad altri, cacciare e formare, organizzazioni civili, ha formato cioè, delle società. La società e una struttura d'insieme, condivisa da uno o più gruppi, che si organizzano insieme, per creare strutture ed infrastrutture. Il coagulo di persone , sono i soggetti sociali, mentre le infrastrutture, sono oggetti, utensili, ed i negozi ed ambienti, ove procurarsele. Nei tempi antichi, la società era rurale, cioè di tipo agricolo, basata su forza lavoro servile, o sulla manodopera di mezzadri o braccianti, che lavoravano la terra, unica fonte di vera ricchezza del passato. Nell'economia schiavista del mondo antico, gli scambi e i contatti, non erano facili , ed erano saltuari, perché non tutti, possedevano cavalli e carri, per i tragitti, che per altro, non erano mai del tutto sicuri. I viaggi erano lunghi e perigliosi, costavano fatica, e di orari precisi, non ce n'erano. Perciò la gente si ritrovava soprattutto, in occasione di feste, ricorrenze, ed in occasione di sagre e fiere di paese. In queste fiere, ci si procurava, gli utensii, e le provviste di sale , ed altre derrate. Le vie di comunicazione, erano quindi insicure ed ostiche, e le comunicazioni di massa , ancora non esistevano. Le notizie, viaggiavano con le carovane, o in radio-scarpa; erano inaffidabili, frammentarie e rare. I contadini e la gente, in genere, sapevano solo con esattezza, le cose essenziali, del proprio paese, o contado, al massimo risapevano della città vicina, ma il mondo per loro, finiva ai confini del paese. Col medioevo, i commerci e i traffici, si rarefecero e si cristallizzarono, i paesini si stringevano, intorno ai castellacci dei signorotti e vassalli feudali; le strade erano malridotte e le città spopolate; il bosco, prese ad avanzare a macchia d'olio, e nella macchia, s'annidavano, lestofanti e furfanti, che assalivano cavalieri e pellegrini, per spennarli, e spremerli, per biechi motivi, che poco assomigliavano, alle leggende di Robin Hood, e dei ladri gentiluomini. I conti ed i baroni, si muovevano con scorte armate, e girovaghi, indovini e trovatori, si spostavano, da un maniero all'altro, a loro rischio e pericolo. La società castellana e feudataria era autarchica e chiusa a se stessa. Ogni borgo fortificato, badava a se stesso, con proprio armigeri, scorte e depositi nel castello, e con contingenti , barricati nel mastio, per estrema ratio. Questo tipo, di struttura umana, era gerarchica, vincolata, statica e conservatrice, ed aveva orrizzonti limitati, al feudo e al proprio particulare. La terra era sfruttata a rotazione, ed ogni lavoro e rituale agricolo, era cruciale e fondamentale; per un bel pezzo non ci fu più moneta circolante, per cui si ripiego nel baratto e nello scambio in natura. Ci si ritrovava in randez. vous da pionieri, in occasione di mercati, fiere e feste patronali, o durante i palii, in cui cavalli e fantini, scendevano in lizza, galoppando e rompendosi i gropponi. I mercati si tenevano in anguste piazzate, e negli antichi fori in rovina, e in quella circostanza, si ritrovavano i villici e i paesani dei contadi e dei paesi circonvicini, in mezzo a un via vai, di muli, schiamazzi di giovinastri, grida di ambulanti e avventori. Lo scambio d'informazioni e la comunicazione, era per via orale e verbale, ed avveniva a corto raggio, si affidava alla memoria, o alle canzoni dei cantastorie, che giravano per i villaggi dell'età di mezzo, con cartelloni e figure, che rappresentavano avvenimenti e gesta di cavalieri, un po' come i pupari siciliani, ricordano le gesta di Orlando e i paladini. Come abbiamo visto, la comunicazione, quindi, era monca, limitata e saltuaria, non esistevano i mezzi di massa, mass-media, e i contatti erano complessi, e difficili. Non solo gli scambi erano radi, ma anche la cultura era autonoma , locale e rarefatta, come quella delle polis greche, mirante cioè, a rimanere segregata, tra le mura del castello , o della signoria. Il mondo era spezzettato e tronco, le notizie vaghe ed imprecise, le lingue dialettali e volgari, e differivano da una città all'altra. Nel corso dei secoli, l'uomo riuscì faticosamente, a scoprire e costruire, invenzioni, per avvicinare la gente e i paesi, lontani; il telegrafo Marconiano, e poi il telefono vero e proprio, e i primi impianti radiofonici, con tutto il resto, hanno contrinuito ad accorciare le distanze, e a rendere il mondo, più piccolo e raggiungibile. Con essi, l'uomo e riuscito, a manipolare le energie della natura, trasmettendo al sua immagine e voce, a immani distanze, ha velocizzato i viaggi, stampato libri e creato servizi postali, che hanno consentito, un aumento dell'istruzione, e del sapere, aperto a tutti. L'uomo , ha moltiplicato se stesso, ha fatto viaggiare, via etere, la sua fonesi, ha creato appendici artificiali ed elettroniche di se stesso; aumentando la sua coesione, i suoi interventi, e la sua partecipazione, a fatti e trasformazioni sociali. L'essere umano, ha proiettato e amplificato se stesso, oltre ogni immaginazione, al punto che ha volte, gli è difficile controllare il proprio potere, e le forze che ne scatena. Il mondo, si è arricchito, di propaggini e periferiche, cibernetiche , che sempre di più , vanno verso un tipo di società, multimediale, o comunque, per male che vada, sicuramente una società, multi comunicativa, basata su una manipolazione di mass media, e strumenti d'informazione. Un modo di reperire, raccogliere e immagazzinare informazioni, sempre più mediato, e remoto. Un sistema in cui la realtà, è sempre più filtrata, e rielaborata, dai mezzi di massa, e calcolatori, su cui traffichiamo, ma di cui, sappiamo ben poco, e nemmeno immaginiamo, o conosciamo, il loro reale funzionamento profondo, ne chi sta dietro i chip, e il mercato mondiale, dell'informatica e cibernetica. Se da una parte l'elaboratore sembra fornire potenzialità al genere umano prima sconosciute, d'altra parte queste macchine, per i costi esorbitanti, e il numero di accessori caristiosi, che bisogna comprare, sono chiaramente rivolti, ad un pubblico esclusivo, vip e danaroso. Per un ambiente come quello informatico, bisogna innnanzitutto, essere pieni di grana, perche con i computer, in realtà, le spese sembrano non finire mai. Il mercato, sputa continuamente fuori nuovi modelli è sistemi, per cui, da un momento all'altro il personal , non vale nulla ed è da buttare nel cesso. Senza parlare poi, di accessori, microfoni , autoparlanti, viva voce e balle varie, che invitano il pubblico, a comprare cose inutili, buttando verdoni dalla finestra, senza fermarsi ed arrivare mai ad un punto fermo. Il mercato e la libera iniziativa, ci reggono per le balle, e ci spingono ad una corsa spasmodica e competitiva, a cercare sempre nuove novità, ed aggiornamenti. Per cui, non ci si raccapezza più, e non si sa , più, che cavolo comprare. Con un mercato, popolato spesso, da infinite offerte di macchine e computerini giocattolo, che magari spariscono come nebbia al sole, nel giro di pochi anni. Con varie forme di scelta ed acquisto, che sono cambiate nel giro di poco, completamente; prima c'erano i computer già assemblati, con pochi megaHertz, poi si è visto che non andava bene, ed ora ci sono le macchine da assemblare, in cui il cliente, va dal negoziante e contratta, scegliendo aggeggi e schede, per l'assemblaggio della macchina, che gli sembra più opportuna. Col risultato, che in pratica, bisognerebbe essere dei mezzi tecnici, e sapere tutto, per scegliere un po' bene. Ma il commercio di informatica, è comunque sempre troppo veloce, e stargli dietro, è difficile per tutti; in pratica a livello internazionale, non ci sono ancora regole e norme specifiche, che regolamentino il mercato, diano al limite alle porcherie, che succedono in internet, pongano un freno ai danni spesso catastrofici dei pirati e smanettoni , che vomitano virus pericolosi, a cascate. Per cui, accendendo e accedendo alla posta elettronica o alla rete, non sappiamo bene, che cacchio può capitarci. A rischio, di rimetterci l'unico personal in croce, faticosamente ragrannellato. Questo mercato quindi, è uno dei più grossi casini che ci siano, e non si finisce mai di scoprire, qualche accidente nuovo. Per cui , in pratica, è tutta una baraonda che non finisce mai, con Gates, che sputa programmi, a ritmo di mille al minuto, aumentando i suoi quattrinazzi, le aziende sfornano macchine come uova, che in un giorno, non valgono più una cicca, le assistenze dopo poco, non hanno più i pezzi di ricambio, e il computer, lo butti nel cesso. In tutto questo, l'uomo della strada non ha nessun controllo, ed anche le funzioni essenziali con l'uso dei programmi, gli scappano, sotto i piedi. Per cui, è necessario, prendere nuove qualifiche, e tornare tra i banchi, come bimbetti al primo giorno, e ricomincare da capo. Ed in effetti, le scuole di questo tipo, sono parecche, e corsi anche; anche se comunque , non c'è forza al mondo, capace di tenere il passo, con un mercato incasinato come questo. Resta cura del cliente, e utilizzatore, cercare di studiare e scartabellare, cercando di aggiornarsi. Per cui la cosa più importante, con i computer, e mettersi a zampettare sulla tastiera, provando e riprovando. In Italia, come sempre, siamo arrivati in ritardo, e come al solito, è successo di tutto e di più; computer baracconi e computer fantasma, subito scomparsi, linguaggi strani come l'Amiga e l'Msx, che sono finiti nello sciacquone, un mercato nostrano e paesano, in cui le sole, non sono mai mancate. E ancora , abbiamo da vedere, che succederà; sembra che comunque, per fortuna il dos, almeno quello rimarrà, speriamo. Sennò ci ritroveremo, con le braghe in mano, e le saccocce vuote. In realta, l'epoca del computer, e solo agli inizi, in Italia sicuramente, e i segni precursori, e l'andazzo del mercato, a volte fa pensare. Con caschi cibernetici virtuali, rimbambenti, strumenti sempre più ossessivi e disumanizzanti, che creano pericolosi automatismi e condizionamenti virtuali. Mah!Si vedra, per ora dobbiamo accontentarci, dei baracchini personal, per fortuna. Calvino e Marcovaldo in città Italo Calvino è stato una specie di folletto ,di mago merlino della letteratura;egli è un poeta e scrittore perfezionista,che cerca di ottenere da ogni parola,ogni periodo il massimo.Egli sonda le sillabe,gioca con le espressioni,trova sempre nuove uscite originali e un po' eccentriche.I suoi libri,raccolgono tutto questo sforzo,di trovare una forma d'esposizione e una prosa tersa,pura e leggera.Con le parole,crea giochi e contrasti,inventa situazioni paradossali,o contesti fantastici e dimensioni surreali.Marcovaldo è uno dei suoi personaggi più riusciti e azzeccati.E' la figura,di un povero manovale di qualche ditta,che vive suo malgrado e di malavoglia, in città;e qui tristemente, cerca di cogliere il passaggio e i segni delle stagioni,e le manifestazioni della natura,storpiate,deformate dai ritmi convulsi e dai modi caotici della città.Egli,ha sempre il muso per aria,trasognato,smilzo e smagrito,attento a ravvisare una nuvola,o un filo d'erba ,o una nuova gemma,nei pochi alberi malati e scortecciati della città.Quando trova dei funghi prataioli,almeno così crede lui,è raggiante,ne inizia la raccolta in gran segreto,e poi si accorge che lo sa,tutto il condominio;quasi tutta la città.E poi finisce,alla lavanda gastrica,steso nella branda,pallido e ceruleo,si prende le invettive ed imprecazioni,degli altri ammalati.Per ogni stagione naturale,nel libro c'e un racconto che lo contorna,lo distingue e lo sottolinea;dandogli,un senso compiuto.Per novembre,lo scrittore scrive la storia della cura dell api.Marcovaldo tenta di curare le lombaggini e gli acciacchi di stagione,ricorrendo alle punture delle vespe,che in un giornale spiegazzato,trovato per caso,sono indicate terapeutiche,specie il loro morso,dovrebbe essere taumaturgico.Tornato a casa,trasforma,l'abitazione in un ambulatorio;alla fine il caseggiato,viene invaso e attaccato da uno sciame inferocito di vespe;Marcovaldo e famiglia,insieme ai clienti,finiscono dritti in ospedale,gonfi di punture.Marcovaldo e i suoi clienti,si guardano doloranti in cagnesco,e col viso storto.Marcovaldo ha sempre nuove trovate,e invenzioni.Lui,come persona è alto,smilzo,e spilungo;la moglie non è certo una vamp,i figli sono tutti pallidi,magri e malaticci.Soffrono delle malattie di un ambiente umido e freddo in cui vivono,e della mancanza di spazi verdi e di luoghi ameni e liberi ,con aria buona.Marcovaldo,allora,li accompagna in collina,su,sempre più su,tutto contento,per poi accorgersi di essere finito nei pressi di un sanatorio,per malati di tbc.D'inverno,è tempo di neve,ghiaccio e spalatori.Marcovaldo,si alza di buon mattino tutto arzillo,e qui,con la neve si reinventa la città,la fa sua,la modifica con delle spalate di neve,col bianco manto,scolpisce una specie d'auto di neve;il capoufficio,ci finisce dentro.Poi si diverte,a creare strade e passaggi e viottoli,solo suoi.Gironzola con la pala e trova una citta innevata strana,come un paese degli gnomi;alla fine di ogni storia,gli capita un guaio;anche stavolta,finisce sotto un cumulo di neve,diventando uno specie di uomo delle nevi,e spaventando i vicini.Insomma tutto il libro è una favola moderna,contro il consumismo e il capitalismo, e un tentativo di riandare alle radici delle società industriale,di ritornare,a tempi pre-industriali,di scoprire nella grigia e noiosa città un po' di libertà e di natura non rattristata e violentata dalle macchine,smog e scarichi di macchine.Marcovaldoè triste,nei suoi contatti con l'opulenza è sempre in bolletta.Al massimo,si diverte a riempire i carrelli di un super-market,lui e i figli;sognando di fare gli acquisti sognati,riempono i carrelli come container e cargo merci,da nave.Anche questo,e una chimera,un fuoco fatuo,un miraggio di Marcovaldo;che dopo aver sognato,deve risvegliarsi e subisce la disillusione eil disincanto.Marcovaldo e pieno di malinconia e noia cittadina,e tutto nella sua vita è ammantato di note dolenti e pensose.Dietro gli episodi e gli aneddoti comici e ilari,sempre si recepisce ,una componente di monotonia e di solitudine amara.Marcovaldo non riesce a dormire per i rumori,altro male delle ciottà moderne,ed insegue il sonno per tutta la città,spaventando le guardie notturne,che si vedono passare vicino,una specie di essere mannaro,dagli istinti belluini.I suoi bambini non sanno,come sono fatti i veri alberi,e per far legna,tagliano i cartelloni e cartelli e i tabelloni pubblicitari.Marcovaldo deve sempre combattere,la disumanizzazione e lo snaturamento e lo sdradicamento,dei tempi moderni e delle sue città,non più a misura d'uomo;Marcovaldo avverte tutto questo,confusamente,egli lotta come può,in una battaglia senza speranza,contro i mali cittadini e metropolitani.Quando va al cinema,si immerge in paesaggi pluviali e selvaggi,coperti di giungle sempre verdi e posti lussureggianti delle storie di Salgari.Egli esce e sognando,e rivedendo il film al rallentatore,sale nel tram sbagliato e finisce in periferia;quasi si sperde e smarrisce ,tra la giungla d'asfalto.Il povero Marcovaldo è una sorta di Don Chisciotte a caccia di mulini a vento,che vede solo lui;insegue le utopie di una città,in commistione e integrata felicemente,con l'ecosistema e l'habitat naturale che la circonda.E un povero cantastorie di una vita spontanea e genuina,che non è più.Marcovaldo è un cercatore dei motivi e dei segni delle stagioni e del mondo panico ,della natura con sua flora e fauna;è una specie di druido celtico moderno,che cerca la foresta e il sottobosco,pieni ancora degli spiriti dei boschi e dei suoni e della saggezza e i segreti delle foreste e delle brughiere.Cerca la natura in città,come un moderno paladino Parsifal,cerca il sacro grall.La sua è una ricerca,dura e testarda,in un mondo urbano,ormai penoso e pieno,solo di fumi,di smog e di catrame;col cemento sopra e sotto i piedi;e tutto questo dovrebbe darci la felicità,ma non è così.Siamo sempre più pallidi ed emanciati,sempre più soli,con un vuoto pneumatico intorno;un vuoto di città.La dove c'era il verde,ora è citta,come direbbe Celentano;ma solo una speranza c'è,una fuga dal caos e il rumore,almeno col pensiero e la fantasia. Pasolini, storia d'una morte violenta Scorrono le riprese , con le immagini di borgate
romane vecchie e macilente, tra stradine polverose, case fantasma, mucchi
di materiali e vecchi mattoni, nel panorama della tuscolana e dell'Appia
antica, con le sue vestigia, i suoi relitti di mura romane, che sembrano
cadaveri d'ere paleolitiche, o tumuli lunari di qualche razza aliena,
fuori dal mondo e dal tempo; colline di rena, stradette sterrate, questi
gli ambienti e i luoghi, protagonisti dei film proletari o proletarizzati,
dei film di Pasolini, dal vero. Con la sua ricerca, angosciata, quasi
inquietante, di casi umani, di figure e personaggi popolani, tratti dalle
strade e i marciapiedi, dell'hinterland e la periferia romana. Un cammino
compiuto, a ridosso, dei ceti meno abbienti, alle soglie della povertà,
del degrado urbano e della ghettizzazione, dei quartieri poveri e
limitrofi della grande città, dove i tram non arrivano, mancano i servizi
e le strutture. E Pasolini, figlio d'un generale, reincarnato nelle
spoglie di scrittore e poeta moderno, bazzicava tra questi caseggiati,
queste borgate spettrali e abbandonate, quasi come compiendo un cammino di
redenzione ed una ricerca interiore, del diverso; puntando la cinepresa
sull'emarginazione e il decadentismo, d'uno sviluppo sociale e urbano
italiano, pieno di dislivelli e contraddizioni , cocenti. Con il dissesto
e il degrado dissennato, di speculazioni edilizie, il menefreghismo dei
potenti e delle istituzioni, nei confronti della massa dei più poveri,
degli inascoltati e degli ultimi. Pasolini, uomo e scrittore,
improvvisatosi, poi, anche neo-regista, dai molti ed insospettati colpi di
genio, o comunque pieno di idee e di risorse creative , nascoste. Una
figura, un uomo, dal carattere, e profilo interiore e spirituale, dalle
scelte personali e con atteggiamenti etici e morali, a volte opinabili e
discutibili, a ridosso a volte del populismo rimarcato e da un gusto a
tratti, un po' morboso ed ossessivo, per i giovani di strada, le lucciole
e le donnine perse, con una curiosità a volte polemica e provocatoria, a
cui sembrano confluire, spesso, atteggiamenti, di cercatore di chicche e
cose chich, da antiquario in vena di stranezze e cineserie. Con questo
volersi a tutti i costi, confrontare e riferire, ad un mondo di borgate e
di bisogno di povera gente, in cui lui, non c'entrava molto, e c'era
capitato, un po' per caso. Un attrattiva per questo piccolo mondo antico,
per questi quartieri da Remi senza famiglia, che a tratti faceva
discutere, e che a volte, rendeva perplessi, perché non si capiva bene,
dove lo scrittore, volesse arrivare, forse non lo sapeva nemmeno lui. Ciò
non toglie, e bisogna dare atto, all'uomo Pasolini, il suo talento,
l'estro creativo, che facevano di lui, un poeta scrittore, di indubbia
capacità; soprattutto, spiccava in lui, forte, il sentimento poetico, un
animo delicato, soprattutto una rara sensibilità artistica e letteraria,
piena d'intuizioni, e di ricerca attenta di quel mondo, drammatico e
selvaggio, fatto di periferia, di drammi e alienazioni sociali, di
mancanza di case e di lavoro, di avviimento e decadentismo umano, a cui
porta la povertà, ed i bisogni essenziali, insoddisfatti. Pasolini,
sembrava in certi momenti, appartenere ad un mondo astratto, ad un'altra
razza in estinzione, dell'intellettuale popolano, per il popolo. Una
figura romantica, un po' nichilista e crepuscolare, con accenni e
tematiche a volte intricate , difficili e contraddittorie , che hanno
fatto dell'uomo Pasolini, un fenomeno e un caso sociale. Intorno a cui,
sono germinati, come per tutti gli scrittori, dibattiti, , polemiche ed
accuse. Come scrittore, sono noti, le sue cronache e descrizioni, in
particolare, dei quartieri, più depressi e sottosviluppati, con un
attenzione, ai rapporti umani ed ai casi umani, spesso drammatici e
struggenti. Ma e forse questo è un peccato, è soprattutto per i suoi
lavori, diciamo, più plateali e spettacolari nel cinema, che Pasolini è
soprattutto ricordato. A cominciare dai suoi rapporti, con un ormai
attempato e sconsolato Totò, che al tramonto della vita e la carriera,
trovò una nuova ventata, di entusiasmo e di vivacità, interpretando i
film del regista Pasolini, Uccellacci e Uccellini, a fianco di Ninetto
Davoli, attore on the road, e dalla strada recuperato; immaginando un
fantasioso viaggio di padre e figlio, tra |