Vittorio
Frau
Mi chiamo Vittorio Frau
e ho scritto alcuni racconti umoristici, il primo"Le vacanze
degli innocenti" è già presente su parecchi siti,
le numerose email di persone che si sono divertite nel leggere questa
breve simpatica storia, mi ha spinto a inviare il seguito del racconto:
"Le vacanze degli innocenti parte seconda".Sono piccoli
scritti senza pretese se non quella di strappare un sorriso a chi
volesse leggerli.
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"Le
vacanze degli innocenti"
Ritengo di essere una persona
"normale" se con questo termine vogliamo indicare una qualunque
persona che si adatta ai comuni stereotipi che dal momento della nostra
nascita a quello della dipartita ci accompagnano nei gesti quotidiani,
se non fosse per un piccolo problema che mi fa sentire in qualche
modo "fuori" : odio con tutte le mie forze le vacanze, in
modo particolare i viaggi all'estero e i campeggi. E non sopporto
sentir parlare di "vacanze intelligenti", perchè,
e ricordatevi bene queste parole, le vacanze non sono mai intelligenti
, né riesco a ritenere tali coloro che le attendono per undici
mesi e quindici giorni l'anno.
Non che si tratti di un odio per partito preso, questa mia avversione
è frutto di un serio ragionamento effettuato dopo aver fatto
le mie belle esperienze.
Devo ammettere di provenire da una realtà familiare in cui
grazie al cielo le vacanze hanno sempre avuto una scarsa importanza
e la mia infanzia è piena di dolci ricordi persi nei torridi
pomeriggi dell'agosto cittadino, quando tutti i rompiballe si allontanano
dalla città, lasciandola fra le mani di chi sa godersela in
ogni suo attimo.
Il mio esordio, il primo contatto cioè con la realtà
delle vacanze risale al lontano 1978 quando, tenero quattordicenne
avido di avventure da poter raccontare, organizzai con alcuni amici
il primo e purtroppo non ancora ultimo campeggio della mia vita.
La frase che riporto qui sopra "avventure da poter raccontare"
non è casuale: sono fermamente convinto che se ai villeggianti
qualcuno impedisse di raccontare in giro l'andamento delle proprie
vacanze, questi ultimi non esisterebbero. E' un po' come per le discoteche
(sulle quali quando diventerò famoso scriverò un intero
libro), infatti sono convinto che l'ottanta per cento dei frequentatori
delle discoteche lo sia soltanto per poter dire agli altri "ieri
notte sono stato in discoteca" senza però aggiungere di
essersi annoiato a morte, di aver fatto finta di essere ubriaco per
attirare l'attenzione delle ragazze (d'altronde chi potrebbe mai ubriacarsi
in un luogo in cui un bicchiere di Whisky costa quindicimila lire?)
e di avere contato con trepidazione i minuti che lo separavano dall'orario
di chiusura.
Tornando al mio primo campeggio, ricordo di essermi recato con un
mio zio di origini napoletane in un negozio di roba usata situato
nella mia adorata Cagliari, grazie al quale riuscii ad acquistare
un sacco a pelo seminuovo (anche se con un leggero odore di carogna)
al prezzo di settemila lire.
IL CAMPEGGIO A SANTA MARGHERITA DI PULA
Partimmo carichi di speranza,
cantando a squarciagola canzonette sconce, mentre, a bordo dei nostri
ciclomotori, divoravamo allegramente i chilometri che ci separavano
da Santa Margherita di Pula, meta del nostro viaggio. Avevo in quei
tempi un "Bravo" della Piaggio, sul cui microscopico sellino
prendemmo posto in due: io e il mio amico Claudio, un energumeno alto
un metro e novanta per circa novanta chili di peso, che provocava
nei cinquanta centimetri cubici del mio povero ciclomotore dei rumori
simili a lamenti di un animale ferito a morte.
Giunti al dodicesimo chilometro della Strada Statale 195, osservammo
il "vespino" condotto dall'amico Carmelo sbandare paurosamente
per poi rovinare con un tonfo secco contro un cumulo di sabbia posto
al lato della carreggiata, urto accompagnato da una singolare pioggia
di caffettiere, forchette, coltelli e persino un frullatore. Chiedemmo
a Carmelo cosa mai se ne facesse di un frullatore visto che il luogo
in cui saremmo dovuti andare era sprovvisto di energia elettrica e
lui rispose di non averci pensato. Scendemmo dai nostri ciclomotori
per aiutare le povere vittime del sinistro; era difficile capire dove
finisse il "vespino" e dove cominciasse il cumulo di sabbia,
ma dopo qualche tempo riuscimmo a distinguere le due parti e a disincastrare
il mezzo. Riprendemmo il nostro viaggio e, allo scopo di sdrammatizzare
l'incidente, Carmelo intonò un altra canzonetta sconcia, che
narrava delle vicissitudini di una giovinetta rimasta per due giorni
rinchiusa in un ascensore in compagnia di quattro ambulanti di colore.
Per colmo di sfortuna il nome della protagonista corrispondeva a quello
della fidanzata di Rolando, il passeggero da lui trasportato, il quale,
già indispettito per la rovinosa caduta, diede una poderosa
mazzata con il palmo della mano sulla nuca dell'incolpevole Carmelo
rischiando, durante la colluttazione che ne seguì, di cadere
nuovamente dalla sella.
Giungemmo senza ulteriori problemi alla nostra meta, ricordo che appena
sceso dal mio ciclomotore rimasi per qualche minuto bloccato con le
gambe divaricate a causa di un tremendo indolenzimento dovuto al fatto
che avevo percorso circa quaranta chilometri con l'osso sacro poggiato
su quattro centimetri di sellino.
Decidemmo di montare la tenda al centro di una pineta sita nelle vicinanze
di un lussuoso albergo; le operazioni di montaggio furono quanto di
più penoso si possa immaginare: urla, frasi irripetibili e
perfino pianti,fecero da colonna sonora all'immane fatica: Claudio
cadde più volte a terra alzando nuvole di polvere, Rolando
era avvolto dai tiranti della tenda in un modo tale che pareva essere
stato vittima di un gigantesco ragno, io appeso per le gambe a un
robusto ramo cercavo di tenere la tenda in piedi assicurandone la
sommità all'albero che mi sorreggeva. A questo punto Carmelo,
adducendo un passato da boy scout, si offrì di prendere in
mano la situazione dando vita a una scena che avrebbe fatto la fortuna
di chiunque avesse avuto in mano una telecamera, ma purtroppo in quei
tempi era difficile esserne provvisti: l'immagine che tuttora ho scolpita
nella mente è quella di Carmelo supino, praticamente sospeso
in aria, con le braccia innaturalmente allungate a sorreggere due
paletti, un vecchio mattone sul quale poggiava la schiena che gli
forniva la giusta distanza dal suolo e gli altri due picchetti serrati
fra l'alluce e il dito limitrofo di ogni piede che cercava di effettuare
un nodo da marinaio con la fune stretta fra i denti! Fu allora che
ci accorgemmo della presenza di due turisti tedeschi che seguivano
la scena con gli occhi sbarrati, paralizzati dall'incredibile spettacolo
offertogli dall'ex boy scout. Il più anziano dei due, un pallido
signore che teneva in mano un cono gelato che ormai squagliato aveva
iniziato a colargli sull'avambraccio farfugliava frasi a noi incomprensibili
con un tono compassionevole e affascinato. Seguirono quattro interminabili
ore che superarono non di poco i due minuti preventivati da Carmelo
per rizzare la tenda, durante le quali vidi i miei amici contorcersi
fra funi e tubi metallici assumendo posizioni innaturali prima di
aver ragione dell'infame dimora. Trascorsi quindici secondi dal termine
delle operazioni di montaggio venimmo circondati da tre auto dei carabinieri,
i quali ci cacciarono di malo modo sotto la minaccia di sanzioni pecuniarie
che avrebbero rovinato anche l'avvocato Agnelli. E' buffo constatare
la solerzia delle forze dell'ordine in tali frangenti, a tale proposito
rammento che una volta mi capitò di essere minacciato, all'uscita
di una discoteca, da un energumeno armato di un coltello simile a
una sciabola da samurai, ricordo che telefonai più volte ai
carabinieri sollecitando un loro intervento senza riuscire a vederne
l'ombra, eppure è sufficiente accendersi una canna o montare
una tendina canadese per vederli arrivare alla velocità della
luce. Se mai mi dovessi trovare di nuovo minacciato da un delinquente
armato la mia telefonata sarebbe la seguente: "Aiuto, sono minacciato
da un gaglioffo armato che è appena uscito da una tendina canadese
fumando uno spinello!" Allora avrei la certezza di un immediato
intervento.
Avevamo le lacrime agli occhi nello smontare la tendina rizzata con
tanta fatica, ma fu un attimo di sconforto passeggero, bastò
infatti che l'amico Rolando, da tempo malato di aerofagia, dedicasse
uno dei suoi caratteristici "rumori" a coloro che con tanta
disinvoltura ci avevano cacciato, per farci tornare il buon umore.
Vorrei soffermarmi su questo "difettuccio" di Rolando che
suscitava in tutti noi tanta ilarità: pare che il disturbo
fosse causato dalla deglutizione involontaria di aria che provocava
in lui una fastidiosa dilatazione dello stomaco, alla quale poneva
rimedio emettendo delle altisonanti flatulenze. Qualunque persona
con un briciolo di buona creanza cercherebbe di evitare di compiere
in pubblico tali operazioni, ma non Rolando che aveva la pessima abitudine
di addossare, con espressione impassibile, agli altri la paternità
delle sue "arie", causando liti fra fidanzati e stroncando
sul nascere storie d'amore appena sbocciate. Questo suo viziaccio
fu la causa che qualche anno dopo decretò la fine della nostra
amicizia: era un pomeriggio radioso, e il maggio odoroso spingeva
le giovini fanciulle a passeggiare leggiadre per le vie, camminavo
sereno per la Piazza Repubblica quando mi si affiancò Rolando,
a bordo di una fiammante "Golf Cabriolet", invitandomi a
salire.
Ci recammo nei pressi del liceo "Dettori" luogo notoriamente
frequentato dalle più avvenenti ragazze cagliaritane e ivi
ci fermammo; vidi Rolando armeggiare all'interno del cruscotto dell'auto,
dal quale estrasse una audiocassetta che infilò nella autoradio,
un "Pioneer" ultimo modello con altoparlanti da 500 watt.
Il vigliacco aveva registrato uno dei suoi "venti" più
poderosi sul nastro appena messo all'interno della autoradio, la quale
riprodusse l'osceno rumore enormemente amplificato. Tutte le fanciulle
presenti si voltarono scandalizzate guardandomi con aria schifata,
mentre io cercavo di discolparmi additando con l'indice proteso della
mano destra il mio ormai ex amico che mi osservava con la solita faccia
impassibile.
Il ricordo di quel pomeriggio suscita ancora in me, nonostante siano
passati tanti anni, un pesante senso di malessere.
Ma torniamo a noi; dopo la cacciata dal luogo in cui avevamo piazzato
la tenda, si presentava il problema di trovare uno spazio dove poter
passare la notte senza provocare l'intervento di iracondi tutori dell'ordine.
Identificammo l'agognato posto qualche chilometro più avanti,
in una graziosa pinetina il cui unico difetto era la pendenza pari
al 40%. Si era ormai fatto buio e decidemmo insieme di non montare
la tendina, ma di trascorrere una suggestiva notte sotto le stelle
dormendo all'interno dei sacchi a pelo. Ci disponemmo in cerchio e
cominciammo a discutere del più e del meno, raccontandoci a
vicenda fantascientifiche avventure amorose; in realtà nessuno
di noi credeva a una sola parola dei racconti degli altri, ma non
avevamo il televisore e dovevamo pur fare trascorrere il tempo. Verso
mezzanotte Carmelo disse: "Ora mi alzo e vado a prendere una
sigaretta nello zaino!" Carmelo era l'individuo più pigro
che mi fosse capitato di conoscere, caratteristica che dimostrò
anche in quel frangente: ritenendo troppo faticoso aprire la lampo
del sacco a pelo, si alzò in piedi e cercò di raggiungere
lo zaino saltellando come in una corsa coi sacchi, ma dopo pochi balzi
inciampò in una radice che spuntava a tradimento dal suolo,
sbattendo il capo contro un grosso pino che era lì da parecchi
secoli. Carmelo rinunciò alla sigaretta e dormì come
un sasso per tutta la notte.
Intanto Rolando, chiuso all'interno del sacco a pelo, dava sfogo alle
sue turbe intestinali emettendo rumori che portavano alla mente il
suono delle trombe del giudizio. Ricordo di aver pensato che non avrei
accettato di mettere il naso in quel sacco a pelo nemmeno per tutto
l'oro del mondo, poi, vinto dalla stanchezza, mi appisolai.
Dormimmo tutta la notte con il sonno pesante dei giovani, senza renderci
conto che, a causa della forte pendenza del terreno stavamo lentamente
ma inesorabilmente scivolando verso la Statale 195. L'alba ci sorprese
praticamente in mezzo alla strada, io fui il primo ad aprire gli occhi
grazie alle trombe di un autocisterna dell'AGIP che ci aveva schivato
miracolosamente. Subito dopo aprì gli occhi Carmelo che nel
guardare il proprio corpo fasciato dal sacco a pelo urlò: "AIUTO
NON HO PIÙ' LE BRACCIA!" "Apri il sacco a pelo cretino,
vedrai che le troverai la dentro!" - gridai - " e poi alzati
in fretta se non vuoi finire come quella pelle d'agnello che ha tuo
nonno in salotto!" A quel punto anche Carmelo si accorse della
poco felice posizione in cui ci trovavamo, e con uno scatto fulmineo
abbastanza anomalo, vista la sua "bradipea" pigrizia, si
mise in salvo. La discesa di Rolando era stata fermata da un cespuglio
di lentischio, mentre Claudio dormiva saporitamente con il corpo sul
finire del pendio e la testa sull'asfalto, il tutto sotto la supervisione
di un gatto randagio che lo osservava stupito. Proprio in quell'istante
si svegliò Rolando, il quale come al solito salutò il
nuovo giorno con uno dei suoi poderosi "venti" che squarciò
il silenzio mattutino, strappando dalla beata attività onirica
l'amico Claudio, il quale impiegò parecchi minuti per rendersi
conto della bizzarra posizione in cui si trovava. Allontanatici dal
pericolo cercammo di organizzare la giornata: "come prima cosa,
ci vuole una bella colazione" - disse Rolando massaggiandosi
lo stomaco - "io suggerirei di andare al bar del vicino albergo!"
"Ma non dire sciocchezze!"- sbottò Carmelo - "siamo
o non siamo dei campeggiatori? Penso io alla colazione, voi andate
al mare a fare un tuffo, vedrete che al vostro ritorno troverete un
bel caffè fumante, penso a tutto io!" La frase "penso
a tutto io" uscita dalla bocca di Carmelo, suonava come alle
mie orecchie come un altisonante campanello d'allarme, tuttavia decisi
di non dare ascolto al mio quasi infallibile pessimismo.
Oltrepassammo la collina, ci recammo alla vicina spiaggia e ci immergemmo
in quell'acqua gelida che solo chi conosce gli effetti che anno sul
mare nove giorni consecutivi di Maestrale in Sardegna può capire.
"Ehi Vittorio, che tu sappia è molto grande la caffettiera
di Carmelo?" - disse Claudio osservando il cielo -. Guardai in
alto e scorsi con terrore una gigantesca nube grigiastra che sovrastava
la collina sulla quale avevamo lasciato Carmelo. Corremmo a perdifiato
guidati da un terribile presentimento e, giunti nei pressi dell'improvvisato
campeggio, trovammo Carmelo sul ciglio della strada che, con gli occhi
sbarrati, osservava un immane rogo partito dal suo fornellino da campeggio
e propagatosi dapprima agli aghi di pino che coprivano abbondanti
il suolo quindi a tutta la pineta circostante. Riuscimmo a stento
a salvare la nostra roba e, scorgendo dall'altura in cui ci trovavamo
diversi automezzi delle guardie forestali che accorrevano da ogni
parte, decidemmo di allontanarci velocemente. Nascondemmo la nostra
roba dentro una vecchia casa cantoniera e ci infilammo carponi in
uno stretto cunicolo per il deflusso delle acque piovane che passava
sotto la strada. Il primo a entrare fu Claudio, io riuscii per un
soffio a precedere Rolando che entrò subito dopo; ultimo era
il povero Carmelo, che con il naso a un palmo di distanza dal deretano
di Rolando urlò:"se ti azzardi a farlo ti uccido!"
Non fece in tempo a terminare la frase che venne investito da una
terribile flatulenza amplificata dalle pareti del cunicolo. All'uscita
vi fu fra i due una breve colluttazione, ma poi il senso di amicizia
ebbe la meglio e la cosa non ebbe conseguenze.
Trascorremmo gran parte della mattinata nascosti in mezzo alla macchia
mediterranea e solo intorno alle 14.00 trovammo il coraggio di uscire,
constatando che l'incendio era stato domato. Raccogliemmo in fretta
e furia le nostre cose e, allo scopo di interporre fra noi e il luogo
del misfatto più strada possibile, percorremmo diversi chilometri
a ritroso. identificammo un altra zona in cui fermarci nei pressi
di "Forte Vacanze", un esclusivo luogo di vacanza per nababbi
dove i poveri campeggiatori come noi erano visti come Hitler avrebbe
visto un negro orfano adottato da una famiglia di ebrei e, temerariamente,
decidemmo di fermarci.
Il "Forte Vacanze" era un luogo da sempre avvolto nel più
fitto mistero e, come tutti i luoghi inaccessibili, era circondato
dalle più svariate leggende: Claudio ci raccontò che
nel 1969, un lontano cugino del fratello del cognato del marito di
seconde nozze di una sua prozia, era riuscito, in compagnia di tre
amici "hippies", a introdursi nel "Forte", dove
trascorse alcune ore liete prima di essere scoperto dai terribili
guardiani, descritti dai pochi che hanno potuto raccontarlo come esseri
giganteschi con un solo occhio posto al centro della fronte. La leggenda
dice che i poveri componenti dell'ex allegro quartetto vennero sottoposti
a torture indicibili e che tre di essi si trovino tuttora prigionieri
all'interno, dove è stato allestito un singolare Zoo in cui
i ricchi turisti possono ammirare le gabbie piene di campeggiatori
abusivi. L'unico che riuscì a tornare fu proprio il lontano
parente di Claudio, il quale fu ritrovato da alcuni familiari invecchiato
di dieci anni, con tutti i capelli bianchi e affetto dal morbo di
Parkinson, mentre parlava con gli uccelli in cima a una montagna.
Quando il racconto di Claudio si soffermò su alcuni presunti
episodi (anche se sporadici) di cannibalismo avvenuti all'interno
del luogo in questione, decidemmo di non dargli più ascolto,
poi una caratteristica "voce dall'interno" di Rolando ci
riportò alla realtà.
Decisi a non farci intimorire da assurde leggende, allestimmo fischiettando
l'improvvisato campeggio, con tanto di servizi igienici ricavati da
una vecchia lavatrice abbandonata priva dell'oblò. Scoprimmo
con sgomento che la nostra tendina canadese poteva ospitare al massimo
tre persone, quindi uno di noi avrebbe dovuto dormire all'esterno.
La soluzione più logica ci parve quella di far pernottare all'aria
aperta Rolando per ovvi motivi, ma egli si oppose energicamente, quindi
decidemmo di tirare a sorte. La pagliuzza più corta toccò
a Carmelo il quale, seppure a malincuore, accettò sportivamente.
Dopo aver fatto giurare Rolando che almeno nell'angusto ambiente della
tendina avrebbe evitato di dare sfogo all'aria che premeva rabbiosa
contro le pareti del suo stomaco, ci ritirammo per godere del meritato
riposo. Nessuno di noi si era accorto che il racconto di Claudio aveva
scosso seriamente il povero Carmelo, che al pensiero dei tremendi
guardiani del "Forte" non riusciva a chiudere occhio, e
a ogni minimo rumore trasaliva chiamando la mamma. All'alba, puntuali
come le scadenze delle cambiali, arrivarono le "gazzelle"
dei carabinieri, sorprendendoci nel sonno. Uno dei militari svegliò,
toccandolo con la punta dello stivale, il povero Carmelo che, ancora
terrorizzato dai racconti della sera precedente urlò: "aiuto,
ci sono i guardiani, non lasciate che mi portino nello Zoo dei campeggiatori!"
"Ma cosa stai dicendo, imbecille, sei forse drogato?"- disse
il carabiniere. -"Ah meno male, siete voi!" - rispose sollevato
Carmelo.- Il tutore dell'ordine lo guardò con aria perplessa
e, rivolgendosi a un suo collega, disse: apri quella tendina e sveglia
gli altri giovanotti.- "NO ASPETTATE UN ATTIMO!" - Gridò
Carmelo - ma prima che riuscisse a fermarlo, il carabiniere aprì
la tendina con un gesto deciso, e Rolando, convinto che si trattasse
dell'amico che aveva trascorso la notte all'esterno, gli scaricò
sul viso una putrescente miscela di gas intestinali che aveva tenuto
faticosamente imbrigliati per tutta la nottata. Rolando ebbe salva
la vita solo grazie alla prontezza degli altri carabinieri che riuscirono
a strappare la mitraglietta d'ordinanza dalle mani della furibonda
vittima.
Alla luce di questi avvenimenti concordammo sul fatto che quel campeggio
non era nato sotto una buona stella, e decidemmo di tornare a casa,
ma non prima di avere trascorso un ultima giornata da leoni.
Il sole splendeva alto nel cielo, e solo alcuni cordoni arancioni
tesi fra due pali dorati costituivano la barriera che ci separava
dal mondo incantato del "Forte Vacanze", ci guardammo in
faccia per un attimo e poi ci avventurammo disinvolti nell'esclusiva
spiaggia. Venimmo immediatamente riconosciuti dai guardiani, energumeni
la cui descrizione fattaci dai racconti di Claudio non si allontanava
troppo dalla realtà, che ci rispedirono a pedate nel mondo
dei poveri. Trascorremmo le ore successive nel silenzio più
totale, seduti su alcuni sassi, per poi avviarci mestamente verso
i nostri ciclomotori.
Strada facendo vedemmo, affisso a una cabina telefonica, un manifesto
che pubblicizzava una grandiosa festa danzante all'interno del "Forte";
a questo punto Claudio disse: "Sono sicuro che senza di voi,
che avete l'aspetto da barboni, stasera riuscirò a entrare
e a godermi la festa!" "Provaci!" - Rispondemmo quasi
all'unisono sentendoci feriti nell'orgoglio. - " Stasera vi farò
vedere io" - replicò Claudio dirigendosi verso il luogo
in cui aveva posato il suo zaino-. Visto il tempo che impiegò
per la scelta dell'abbigliamento, deducemmo che all'interno di quello
zaino doveva esserci il contenuto di un intera boutique. Dopo qualche
ora era pronto per recarsi alla festa.
Abbigliamento di Claudio: maglietta retinata giallo canarino con ampia
scollatura a barca; pantalone in lino attillato colore celeste chiaro,
stivaletti bicolori con tacco obliquo e piccola cerniera laterale;
profumo " Paciulli" versato con generosità in ogni
parte del corpo e pettinatura con "mascagna velenosa" alta
dodici centimetri, pettinatura che sarebbe stata alla moda circa sette
anni più tardi. Trattenemmo a stento le risate perchè
Claudio appariva molto fiero del suo aspetto e lo osservammo in religioso
silenzio mentre con passo deciso si introduceva, via spiaggia, nel
"Forte Vacanze". Spinti da ovvia curiosità ci disponemmo
lungo la rete di recinzione, luogo da cui riuscivamo a scorgere l'intero
andamento della festa.
Si trattava di un ricevimento come se ne possono vedere solo nei serial
del tipo di "Dallas" o "Dinasty" , intravedevamo
donne da favola con orecchini di zaffiri grandi come lampadari e gigantesche
collane d'oro sotto il cui peso si sarebbe schiantato un toro che
passeggiavano con classe, fasciate in stupendi abiti da sera. Gli
uomini erano tutti elegantissimi con dei visi da "foto del barbiere".
Osservavamo con la bocca aperta quello scenario irreale, quando dal
lato del giardino adiacente alla spiaggia apparve Claudio che, a causa
dell'abbigliamento descritto precedentemente e un portamento non proprio
da nobile, si trovò immediatamente al centro dell'attenzione.
Ben presto si trovò faccia a faccia con tre dei guardiani che
quel pomeriggio ci avevano ricordato a pedate il rango sociale al
quale appartenevamo.
Il povero Claudio fece un ultimo patetico tentativo per non farsi
riconoscere, cercando di stravolgere i propri lineamenti sbarrando
gli occhi e tirando in dentro le guance, ma purtroppo questo misero
espediente non bastò a evitargli una dura punizione corporale.
Venne agguantato da sei robuste braccia e trascinato all'interno di
un capanno per gli attrezzi, dove fu brutalmente percosso con il manico
di una zappa riportando, come avremmo constatato il giorno seguente,
vaste ecchimosi generalizzate. Restammo lì a fissare con gli
occhi sbarrati quei profondi solchi paralleli simili a binari lasciati
sul terreno dagli stivaletti di Claudio durante il trascinamento,
ormai rassegnati al peggio.
Dopo circa un quarto d'ora la porta del capanno si aprì, uscì
uno dei guardiani in compagnia del nostro amico, tenendogli la testa
saldamente serrata fra il braccio destro e il petto. Claudio fu poi
legato con una sagola da barca a uno dei lampioni del giardino, e
per il resto della nottata fu deriso dagli invitati, punzecchiato
con dei pezzi di legno da bambini curiosi e perfino usato come orinatoio
dal "pechinese" di una anziana contessa che, sollevata la
zampetta posteriore, macchiò irrimediabilmente i suoi tronchetti
bicolori.
A quel punto decidemmo di andarcene, dicendo che in fondo "se
l'era andata a cercare" e che dopo tutto una simile lezione non
poteva che "fargli bene" e, vista l'ora tarda, ci infilammo
nei nostri sacchi a pelo.
Claudio fu liberato all'alba e venne con aria disinvolta verso la
nostra direzione, inconsapevole del fatto che avevamo seguito da lontano
l'intera vicenda. " Beh rubacuori, dicci come è andata!"
- disse con una punta di sadismo Rolando - Magnificamente!" -
Rispose con una impennata d'orgoglio Claudio - " Ho conosciuto
una giovane signora che si è innamorata di me a prima vista,
che notte ragazzi!" A questo punto cominciò a raccontarci
una assurda storia sicuramente concepita durante le lunghe ore di
prigionia, farcita di particolari piccanti che ci fece scoprire in
lui doti di incredibile immaginazione e una faccia tosta che non temeva
confronti, il tutto accompagnato da ampi gesti con le mani e eloquenti
movimenti delle anche. " E bravo il nostro seduttore!" -
esclamò Rolando - e così dicendo gli diede una violenta
pacca sulla spalla che, a causa del dolore derivante dai colpi infertigli
con il manico della zappa, provocò in lui uno straziante grido
che lacerò il silenzio mattutino. "Cosa è successo
alla tua schiena?" - disse Rolando fingendosi stupito - "
Niente" - rispose Claudio arrossendo - quella donna era una vera
tigre, guardate cosa mi ha fatto!" Si girò scoprendosi
le spalle e constatammo con stupore che la sua schiena appariva maculata
come quella di un leopardo, grazie a un numero impressionante di lividi
multicolori.
Nessuno di noi ebbe a questo punto il coraggio di infierire ulteriormente,
quindi decidemmo, scambiandoci eloquenti occhiate, di stendere un
pietoso velo sull'intera vicenda e mantenere il silenzio, facendo
intendere all'amico Claudio di avere creduto a tutte le sue panzane.
Ci riunimmo mestamente all'ombra di un salice piangente, albero che
più di ogni altra pianta rispecchiava il nostro umore nel tirare
le somme di quei difficili giorni di vacanza e decidemmo di fare ritorno
a casa. Impiegammo circa due ore a inventare delle avventure convincenti
da raccontare agli amici rimasti in città ( pratica seguita
dalla stragrande maggioranza dei vacanzieri ), salimmo sui nostri
ciclomotori e partimmo alla volta della nostra agognata Cagliari.
Il cielo grigio faceva da giusta cornice al grottesco quadro delineatosi
in quei pochi giorni; non cantammo le canzonette sconce che furono
la colonna sonora del nostro viaggio di andata, ma impegnammo il tempo
a ripassare la falsa versione sull'andamento delle vacanze che avremmo
propinato a chiunque ci avesse domandato qualcosa.
Ricordo ancora la stupenda sensazione che provai quando, dalla Statale
195 cominciai a intravedere la città, divoravo con gli occhi
le pietre miliari che mi segnalavano il ridursi della distanza e ogni
sasso, ogni albero mi sembrava più bello; mi apparve stupenda
anche la mefitica spiaggia di " Giorgino", un orribile luogo
simile alle zone balneari romagnole, con sabbia nera e acqua ricoperta
da una schiumetta giallastra, spiaggia in cui si era perso il ricordo
dell'ultimo bagnante.
Feci così ritorno alla mia casetta di 60 metri quadrati che
mi parve per qualche giorno come una reggia, baciai tutte le pareti,
i mobili, il mio cane Ugo e infine i miei genitori ai quali propinai
una falsa versione sull'andamento del campeggio, che differiva da
quella concordata per la sola assenza di alcuni particolari piccanti
che avevamo deciso di inserire all'ultimo momento.
Questa esperienza mi portò a riflettere per la prima volta
sull'annoso problema delle vacanze e mi dissi: Cagliari ha una stupenda
spiaggia bianca lunga sei chilometri, dalla quale la mia abitazione
ne dista appena quattro; perchè dovrei essere così imbecille
da cercare posti lontani in cui i vacanzieri sono divisi in caste
sociali, quando ho tutto quello che cerco a portata di mano?
Non trovai opposizioni a quello che dicevo ( anche perchè stavo
parlando da solo), quindi approvai all'unanimità quella che
sarebbe stata la mia linea di condotta nei confronti delle vacanze.
Nei quattro anni successivi trascorsi altrettanti stupendi mesi di
agosto nella mia città; la mia giornata era articolata nel
seguente modo: sveglia alle ore dieci, colazione preparata da mamma
e mattinata al mare, pranzo alle tredici e trenta (sempre preparato
da mamma), abbandono della tavola senza toccare uno spillo e pennichella
pomeridiana, pomeriggio di nuovo al mare, rientro alle ore diciannove,
doccia e serata da trascorrere in una stupenda Cagliari semideserta,
silenziosa, leggendo negli occhi dei pochi passanti che mi capitava
di incrociare, una sorta di complicità nel godere di tanta
abbondanza approfittando dell'assenza degli spaccapalle lontani, impegnati
a lottare per la vita in orribili luoghi gremiti di gente.
Eppure ci ricascai, nell'agosto del 1982
LE VACANZE
DEGLI INNOCENTI PARTE SECONDA
(La passione di"Re Giovedì")
"Re Giovedì"
era uno degli svariati nomignoli con il quale era noto negli ambienti
cagliaritani il mio amico Orlando, un ameno individuo dal volto patibolare,
dotato di un senso dell'umorismo fuori dal comune e di una carica
erotica che rasentava la patologia clinica. Era noto per provare attrazione
sessuale verso qualunque essere vivente (o morto da poco), purché
maggiorenne, consenziente e naturalmente appartenente all'altro sesso.
Il bizzarro soprannome gli era stato affibbiato a causa di un originalissimo
sistema di "abbordaggio" che gli consentiva di ghermire
varie prede con le quali dare sfogo ai suoi istinti bestiali: il Giovedì,
infatti, era a quei tempi il giorno di riposo settimanale delle collaboratrici
domestiche, che egli soleva attendere pazientemente fin dalle prime
ore del pomeriggio nei pressi della stazione ferroviaria di Piazza
Repubblica, attirandole verso la sua direzione con potenti fischi
a risucchio, per poi conquistarle grazie alla facilità con
la quale riusciva ad inventare spaventose bugie che avrebbero fatto
vergognare persino Pinocchio.
Condividevo con "Re giovedì" il più totale
disprezzo per viaggi e vacanze, ma purtroppo alcuni amici privi di
scrupoli studiarono un diabolico piano con il quale riuscirono a scardinarne
le difese. Costoro, infatti, con una paziente opera di convincimento
basata su un castello di menzogne, riuscirono a convincere Orlando
che nei campeggi della Costa Smeralda era sufficiente schioccare le
dita perché la tendina canadese venisse invasa da straniere
assetate di sesso, che erano irresistibilmente attratte dagli italiani
con il petto villoso. Questo tarlo cominciò a divorare lentamente
il muro antivacanze che "Re Giovedì" aveva eretto.
Nei giorni successivi al colloquio con gli amici appariva sognante
e pensieroso, faceva lunghe passeggiate solitarie al tramonto, formandosi
con l'indice della mano destra dei riccioli di pelo sul petto che
come villosità non era inferiore a quello di qualsiasi gorilla
mai apparso sulle terre emerse; ricordo che qualcuno ha persino giurato
di averlo visto ululare sulla sommità di "Monte Urpinu".
La fatidica telefonata mi giunse all'alba del 13 agosto 1982: "Vittorio
ho deciso, IO CI VADO!" Fu come essere trafitto da un giavellotto,
caddi nello sconforto più totale, inforcai la mia "Vespa
PX 125" che nel corso degli anni aveva preso il posto del "Bravo"
giovanile e, cieco di dolore, feci un centinaio di giri della città
alla velocità di 90 Km orari, seminando il panico fra automobilisti
e pedoni che mi osservavano esterrefatti. Terminato il carburante
mi fermai, spinsi mestamente la "vespa" fino a casa e mi
distesi sul pavimento al buio, con le braccia aperte a mo' di Cristo
in croce e gli occhi sbarrati. Dopo cinque ore di spaventosi conflitti
interiori, maturai l'insana decisione e comunicai a "Re Giovedì"
l'intenzione di non abbandonarlo nei difficili giorni che prevedevo
avrebbe vissuto di lì a poco.
Il mio piede destro spinse con decisione la pedivella per l'accensione
della vespa alle ore 05.00 del 14 agosto 1982; Orlando abitava a poche
centinaia di metri da casa mia, e alle 05.02 ero sotto la sua abitazione.
Lui era lì, sotto il portone, con indosso una camicia hawayana,
un paio di bermuda impermeabili "Zeta Zucchi" a righe orizzontali
bianche e verdi e ai piedi zoccoli in legno di tipo olandese per la
cui fattura era senza dubbio stato necessario sacrificare un'intera
sequoia secolare. Ci guardammo negli occhi senza proferire verbo per
quindici lunghi minuti, durante i quali io speravo in un ripensamento,
mentre lui continuava imperterrito ad allisciarsi con il palmo della
mano destra un vistoso ciuffo di peli che la sua camicia conteneva
a fatica, poi si mise sulle spalle uno zaino militare avuto in prestito
dal fratello maggiore, dal quale spuntava beffarda una caffettiera
a quattro beccucci e partimmo senza indugi. Al nostro arrivo nella
Via Cettigne, luogo dell'appuntamento con il resto della compagnia,
fummo accolti da un'ovazione che, a causa dell'ora dai più
dedicata al riposo, provocò un lancio di acqua gelata da parte
dell'inquilino del primo piano, il signor Scarpa, con il quale già
da parecchio tempo eravamo ai ferri corti per via dei continui schiamazzi
di cui eravamo innegabilmente responsabili. La spiacevole cascata
centrò in pieno "Re Giovedì", che ancora una
volta non smentì il suo temperamento sanguigno sfilandosi lo
zoccolo sinistro e scagliandolo alla volta della finestra dalla quale
era partito il "gavettone", mandando in frantumi il vetro
che il signor Scarpa aveva chiuso con gesto felino. Questo fatto fece
sì che la nostra partenza avvenisse repentinamente, senza perdere
tempo in convenevoli. Lanciai uno sguardo carico d'odio a Giulio,
Pierclaudio, Giuseppe e Andrea visibilmente soddisfatti per essere
riusciti nell'epica impresa del convincerci a seguirli nel viaggio.
Vorrei spendere qualche riga per descrivere gli amici appena citati:
Giulio era un tipo imperturbabile, gioviale, il cui unico problema
erano i furiosi quanto improvvisi attacchi di dissenteria che, come
guidati da una regia occulta, lo colpivano quasi scientificamente
nei momenti meno opportuni, creandogli non pochi problemi; Giuseppe
"No limits" praticava con mediocrità tutti gli sport
esistenti al mondo, Andrea era il bello della compagnia, alto, longilineo,
occhi azzurri, proveniente da una famiglia di attivisti liberali,
viziato fino all'eccesso; la facilità con la quale conquistava
le donne era pari soltanto a quella con cui lo mandavano a quel paese
non appena affrontavano con lui un qualsiasi discorso. Ho volutamente
lasciato per ultimo l'amico Pierclaudio, venticinquenne, il più
grande della compagnia, noto negli ambienti giovanili con il nomignolo
di "Guasto"; non ho mai capito se fosse realmente scemo
o se facesse finta, so soltanto che mai soprannome fu tanto azzeccato.
Perennemente afflitto da herpes ed emorroidi, in "Guasto"
era totalmente assente qualsiasi senso della misura, unico scopo della
sua esistenza era l'architettare scherzi idioti al limite del codice
penale che portava avanti fino allo scontro fisico e oltre; più
volte è infatti stato necessario tramortirlo per mettere fine
alle sue burle. Facemmo l'immancabile sosta al 123° chilometro
della SS 131 dove si trova l'unico punto di ristoro che può
essere definito la "caricatura" di un autogrill. Mentre
noi ci rifocillavamo al bar, Orlando si avvicinò con fare indifferente
all'edicola vicino alle pompe di benzina dove acquistò con
naturalezza "Le Ore", "Play Men", un libro della
serie "armony" e una copia di "Lando", suo idolo
da sempre. L'apparente contraddizione riscontrabile nell'acquisto
simultaneo di un libro romantico e "Lando" può ovviamente
colpire chiunque non conosca a fondo la bizzarra personalità
del mio irsuto amico, in effetti un caratteristico aspetto della vulcanica
esistenza di "Re Giovedì" era quello concernente
l'amalgamarsi del suo lato romantico con la carica erotica primordiale
di cui era dotato, formando una miscela caratteriale che a mio parere
avrebbe dovuto far dichiarare "Re Giovedì" "patrimonio
dell'umanità". Per dare un'idea di questo fenomeno posso
raccontare ciò che accadde quando, qualche anno addietro, ci
recammo al cinema per vedere "Il tempo delle mele": il poveretto
rimase fortemente scosso dalle vicissitudini sentimentali della giovane
Sophie Marceau, singhiozzò per tutto il primo tempo per poi
scoppiare in un pianto a dirotto che portò al formarsi di un
capannello di persone impegnate a consolarlo. La serata si concluse
con una notte di passione trascorsa dall'imprevedibile Orlando con
una non più giovane vedova che pareva avere preso particolarmente
a cuore i sentimenti di quel "tenero giovanottone dall'aspetto
un po' rude", come lo definì mentre abbracciati si allontanavano
dalla sala di proiezione singhiozzando. Tornando a noi, ricordo che
entrò disinvolto nel bar con i giornali sottobraccio, scatenando
l'ilarità degli avventori sia per la qualità delle sue
letture, sia perché aveva ai piedi delle "giapponesine
infradito" celesti, prestategli da "Guasto" in sostituzione
degli zoccoli olandesi ormai scompagnati a causa del precedente lancio
contro la finestra del signor Scarpa. Poco dopo ci rimettemmo in viaggio,
ma dopo pochi chilometri venimmo fermati da una pattuglia della stradale.
"Bene, bene, voi credete di essere a Monza, vero?" - disse
l'agente probabilmente riferendosi al fatto che avevamo oltrepassato
i limiti di velocità - "Favorite i documenti!" -
a quel punto accadde ciò che purtroppo già mi aspettavo
per avere vissuto analoghe situazioni svariate volte: alla vista del
volto da rapinatore dell'amico Orlando i poliziotti cominciarono ad
accarezzare nervosamente i mitra che pendevano minacciosi dal loro
fianco sinistro e decisero di perquisirlo. La faccia da galera di
"Re Giovedì" era un arma a doppio taglio: se da un
lato c'era stata utile più di una volta per terrorizzare i
potenziali avversari dei litigi giovanili, dall'altro ci creava problemi
con le forze dell'ordine o i proprietari di qualsiasi attività
commerciale che non appena ci vedevano entrare nei loro esercizi chiudevano
la cassa, spesso ingoiando la chiave. "Belle scarpette"
- disse l'agente osservando le "giapponesine" ai piedi di
Orlando- "adesso metti le mani sul tettuccio della macchina e
divarica le gambe, sbaglierò ma tu somigli a un pericoloso
latitante!". Il poliziotto parlava con accento romano e Guasto,
ossessivamente e misteriosamente tifoso della Roma, ebbe l'infelice
idea di gridare "Forza magica Roma!", accompagnando l'esclamazione
con una violenta pacca sulla spalla dell'agente che, già con
i nervi tesi a causa della convinzione di trovarsi alle prese con
un pericoloso sequestratore, reagì d'istinto e con una mossa
imparata all'accademia mandò gambe all'aria l'amico Pierclaudio,
immobilizzandolo al suolo con un piede sul collo. "Stai fermo,
animale!" - gridò l'agente - "sei in arresto!"
Fu provvidenziale a quel punto l'intervento di Andrea il cui parlare
forbito, l'aspetto da bravo ragazzo, ma soprattutto il fare il nome
di un suo zio assessore regionale, riuscì a risolvere parzialmente
l'intricata situazione che rischiava di farsi pesante. " Va bene
voi potete andare, ma "l'animale" resta con noi !"
- esclamò l'iracondo tutore dell'ordine.- Nell'udire quella
frase "Guasto" scoppiò in un pianto a dirotto avvinghiandosi
a Giulio che lo scacciò con un calcio in pieno petto; allora
si aggrappò all'agente, cercando di baciarlo per ingraziarselo.
La scena era molto buffa: il poliziotto cercava di sottrarsi al bacio
spingendo con una mano la fronte di "Guasto" evidentemente
terrorizzato dall'idea di essere solo sfiorato da quelle sanguinolente
labbra martoriate dall'herpes, mentre Orlando, temendo in un nuovo
precipitare della situazione, tentava di tramortirlo colpendolo sul
capo con il solitario zoccolo olandese che portava nello zaino. I
colpi infertigli non bastarono per fargli perdere i sensi come più
volte in passato era stato necessario fare, tuttavia furono sufficienti
perché "Guasto" mollasse un attimo la presa lasciando
che i poliziotti, ormai sicuri di avere a che fare con un essere incapace
di intendere e volere, se ne andassero in gran fretta. "Guasto"
pianse ininterrottamente per i restanti 90 chilometri e, intorno alle
ore 14, arrivammo a Olbia. Eravamo stanchi, affamati, sudati come
cammelli e decidemmo quindi di fare un'improvvisata, a dire il vero
non troppo disinteressata, a un nostro vecchio amico di nome Gigi,
da tempo trasferitosi con la famiglia nella ridente cittadina Gallurese.
Gigi, non sospettando che l'unico motivo per cui bussavamo alla sua
porta era la fama di cuoca provetta che aveva sua madre, ci accolse
con le lacrime agli occhi e in men che non si dica ci trovammo di
fronte a una tavola imbandita con ogni ben di Dio. Lo spettacolo che
offrimmo nei minuti successivi non fu certo dei più edificanti,
mi limiterò a dire che tranne Andrea, che non smentì
neanche in quell'occasione la sua fama di ragazzo bene educato arrivando
persino a usare le posate, noi ci comportammo come il grande Totò
nella scena del pranzo nel film "Miseria e Nobiltà".
Ricordo come fosse ieri gli occhi sbarrati della mamma di Gigi, mentre
osservava "Guasto" che mangiava avidamente dei tovaglioli
tipo "scottex" inzuppati nel sugo, per poi congedarci adducendo
improbabili impegni improvvisi.
Ci dirigemmo verso uno dei tanti campeggi della Costa Smeralda, quello
di Isuledda, distante poche decine di chilometri da Olbia. Giunti
nelle vicinanze del campeggio, "Guasto" disse: " ragazzi
lasciate parlare me, sono già stato qui l'anno scorso!"
All'ingresso vi era una roulotte adibita a "reception";
Pierclaudio vi si avvicinò con la sua inconfondibile andatura:
punte dei piedi rivolte all'interno e gambe divaricate a causa della
cronica infiammazione emorroidale acutizzatasi durante il viaggio.
Scorgemmo l'addetto alla "reception" fissare con espressione
pietrificata quello strano essere con fare da plantigrado che gli
si avvicinava e, quando "Guasto" fu in prossimità
della sua roulotte, balbettò: " Tu! ... sei proprio tu!
... Maledetto animale! Io ti ammazzo, l'anno scorso hai fatto scappare
la metà dei campeggiatori!" E, afferrata una spranga metallica
che solitamente utilizzava per sollevare la tenda parasole del suo
ufficio semovente, scavalcò il bancone alla "olio cuore"
per poi inseguire il povero Pierclaudio vibrando dei fendenti senza
fortunatamente riuscire a colpirlo. L'inseguimento, che noi osservammo
a debita distanza, terminò parecchi chilometri dopo, allorché
"Guasto", dopo una bucolica corsa fra i campi, trovò
riparo in una porcilaia stracolma dei simpatici suini che sopportarono
malvolentieri la presenza fra loro di quello strano essere. L'inseguitore
piantonò la porcilaia per quattro interminabili ore, dopo di
che, a causa degli impegni di lavoro, fece ritorno alla roulotte con
il randello in spalla, non prima però di averci avvisato che
se Pierclaudio si fosse nuovamente avvicinato al campeggio durante
i prossimi cento anni "gli avrebbe staccato la testa dal collo.".
Dopo qualche minuto trascorso inutilmente chiamando a gran voce l'amico
nascosto, vedemmo la rudimentale porta della porcilaia aprirsi di
colpo, ma non uscì "Guasto" come tutti ci aspettavamo,
i primi a fuggire furono i maiali. Ci fu anche un risvolto sportivo
nella faccenda: Giuseppe "No Limits", memore dei rodei con
i maiali visti in una trasmissione sulla seconda rete, lanciò
un urlo da mandriano del Texas e balzò in groppa a quello che
per mole pareva essere il capo branco, finendo ben presto disarcionato
in prossimità di un cespuglio di rovi. Ricordo che a quel punto
ebbi un attimo di sconforto e pensai che una tale quantità
di imbecilli non poteva trovarsi concentrata in così poche
persone. Quando anche l'ultimo suino prese le distanze dall'indesiderato
ospite, ci facemmo coraggio, prendemmo un bel respiro e ci catapultammo
all'interno. "Guasto" era accovacciato carponi in un angolo,
con la faccia sprofondata nella melma che ricopriva abbondante il
suolo e il deretano rivolto verso l'alto. Accortosi che il suo aguzzino
era ormai lontano fece un grosso sospiro di sollievo che gli servì,
fra l'altro, a liberare la cavità orale da alcuni pezzi di
molliccio materiale marrone che aveva in bocca da quando aveva cercato
di nascondersi a mo' di struzzo. "Può darsi che la cacca
dei maiali faccia guarire la cancrena che hai nelle labbra!"
- sentenziò "Re Giovedì" -, frase che scatenò
in noi un'irrefrenabile ilarità che si spense parecchi minuti
più tardi. Guasto, dopo qualche resistenza, ci spiegò
il perchè quel tizio provasse tanto risentimento nei suoi confronti:
pare che l'anno precedente egli si trovasse da solo nel campeggio
di "Isuledda" poiché, e la cosa non provoca in me
nessuna meraviglia, alcuni amici con i quali avrebbe dovuto incontrarsi
non si erano presentati all'appuntamento e aveva pensato bene di divertirsi
alla sua maniera: introdottosi nottetempo nelle cucine del ristorante,
mise un potente purgante nelle scorte di sugo presenti nei frigoriferi
delle cucine, sostituì i funghi per il risotto con degli altri
altamente tossici, segò con lavoro certosino tutte le gambe
delle sedie lasciandole attaccate per la sola forza di gravità,
defecò in diversi barattolini di plastica che poi attaccò
con della colla da falegname al di sotto dei tavoli, inoltre, approfittando
dell'influenza che tutti gli imbecilli hanno sulle masse, fomentò
una rivolta dei campeggiatori motivandola con la scarsa igiene del
ristorante. Il risultato fu devastante per i titolari del campeggio:
più della metà dei villeggianti si recò, con
Guasto in testa, negli uffici della direzione e dopo aver distrutto
mobili e suppellettili, abbandonò il campeggio senza pagare
il conto.
Giungemmo al calare delle prime ombre della sera in un secondo "camping",
quello di Cala Gabbiano, un delizioso posto a due passi da una spiaggia
bianchissima e dall'acqua color smeraldo, poco distante dalle Grotte
di Venere, un posto dantesco raggiungibile dopo aver disceso settecento
ripidi scalini a strapiombo sul mare. Dentro di me speravo che "Guasto"
fosse già noto anche in questo campeggio così da accelerare
il ritorno a casa ma Giulio, il più saggio della compagnia,
decise di non mandare il turbolento amico in avanscoperta come aveva
fatto a "Isuledda". Si presentava quindi il problema di
scegliere chi avrebbe dovuto espletare le formalità di rito
alla reception del campeggio. Io fui scartato immediatamente perchè
Giulio temeva, non a torto, che avrei fatto di tutto perchè
ci venisse negato l'accesso anche a Cala Gabbiano, Orlando aveva,
come noto, un viso assai poco presentabile, quindi la scelta cadde
su Andrea che, orgoglioso per essere stato prescelto, sfoderò
tutto il suo "charme" e, soprattutto, fece per la seconda
volta il nome del suo zio assessore regionale. Giulio intimò
con linguaggio brutale a Guasto di comportarsi come un normale essere
umano per almeno mezzora, il tempo necessario perchè ci venisse
assegnata una piazzola dove mettere la tenda, e stranamente questa
volta fu ascoltato. Come tocco finale obbligò Orlando a coprirsi
il viso con un fazzoletto fingendo un mal di denti. Poche ore dopo
eravamo all'interno della tenda studiando a tavolino delle strategie
per la conquista delle turiste. "Re Giovedì" aveva
tenuto la sua libidine faticosamente imbrigliata per parecchie ore
e, memore del becero luogo comune che vuole le donne straniere attratte
dagli uomini con il petto villoso, gridò: "Adesso vi faccio
vedere io!" Si stracciò con gesto fatale la camicia awayana
dall'irsuto torace, uscì dalla tenda e si diresse con passo
sicuro verso tre deliziose tedeschine che, a una cinquantina di metri
di distanza stavano mettendo ad asciugare i loro teli da mare. Noi
eravamo troppo distanti per riuscire a sentire ciò che si dicevano,
vedemmo "Re Giovedì" appoggiarsi con fare sensuale
ad un albero cui era fissata un'estremità del filo utilizzato
dalle graziose turiste per stendere e dire qualche parola con un sorriso
mefistofelico, mentre con la mano destra si formava sul petto delle
trecce alla Bob Marley. Le ragazze dapprima lo guardarono stupite,
parlottarono fra loro e una si infilò dentro la tenda. "Incredibile,
quella ci sta davvero" - dissi pensando che quel suo appartarsi
fosse un esplicito invito per l'assatanato Orlando, ma fu un'impressione
sbagliata: la giovane, infatti, uscì poco dopo con qualcosa
nella mano sinistra che dalla nostra posizione non riuscivamo a identificare,
qualcosa che consegnò al nostro povero amico provocandogli
un repentino cambio d'umore. L'espressione sognante che "Re Giovedì"
aveva fino a pochi attimi prima sparì come d'incanto, e il
suo viso divenne cupo come il fondo di una miniera di carbone. Vedemmo
l'amico dirigersi verso la nostra tenda con passo lento, spalle incurvate
e occhi fissi al suolo, nella mano destra il beffardo "testimone"
passatogli dalla sua mancata preda un tubetto verde con scritto: "CREMA
DEPILATORIA RAPIDA". "Mi avete ingannato", - disse
Orlando scoppiando in lacrime - "non si scherza con i sentimenti
di un uomo". Quella frase ci fece capire che il nostro povero
Orlando non aveva ben chiara in mente la differenza fra i sentimenti
e i puri istinti bestiali che lui riteneva tali.
"Re Giovedì" si buttò bocconi sul lettino
e rimase immobile, noi parlottammo per qualche minuto poi, vinti dalla
stanchezza, ci addormentammo. Purtroppo non avevamo fatto i conti
con l'unica specie animale che, sfuggita alle leggi di Darwin, si
era evoluta appositamente per rovinare la vita dei vacanzieri poco
abbienti: le terribili "zanzare da campeggio", veri e propri
esseri maligni organizzati militarmente, con una rigida gerarchia
e capaci di strategie che avrebbero fatto impallidire anche Napoleone
Bonaparte: sferrarono il loro attacco dopo che era trascorso un minuto
esatto dalla chiusura dell'ultima palpebra: ingaggiammo una battaglia
furiosa con gesta epiche come il tramortire la "zanzara generale"
(una specie di "ape regina" del mondo delle zanzare da campeggiatore)
con una testata e mettendo in campo varie tecniche di difesa; la giapponesina
infradito di "Re Giovedì" saettava nell'aria sibilando
come una frusta da domatore, spesso concludendo la sua corsa sulla
schiena o sul viso di qualche malcapitato che, impegnato nella singolar
tenzone, non era in grado di spostarsi in tempo. Un gruppo di zanzare
riuscì con una manovra a tenaglia a disarmare Pierclaudio che
stramazzò al suolo, tuttavia gli immondi insetti, probabilmente
schifati al pensiero di cibarsi del sangue appartenente a "Guasto"
si limitavano ad effettuare a turno dei passaggi radenti in prossimità
delle sue enormi orecchie; accendemmo una quantità esagerata
di "zampironi" scaccia-insetti, ma le bestiacce erano immuni
a qualunque repellente. Ci torturarono fino all'alba, quando, soddisfatte
e grasse come quaglie, se ne andarono lasciandoci quasi esangui e
distesi sul pavimento. Fu allora che notammo Guasto che roteava con
la schiena appoggiata al suolo come in genere dovrebbero fare le zanzare
a contatto con i fumi dello zampirone: Andrea a tal proposito espose
una singolare teoria: secondo lui nel DNA di Guasto era presente una
massiccia dose di geni animali non ancora evoluti che avevano reagito
in quello strano modo all'effetto dello zampirone. Effettivamente
la cosa era possibile, pensai, poi stremato, cedetti alla stanchezza.
Alle sette del mattino fummo svegliati dal simpatico frugoletto della
tenda a fianco che rompeva il guscio a dei pinoli usando un sasso
piatto come incudine e uno zoccolo "Pescura" come martello.
Orlando diventava intrattabile se svegliato prima di mezzogiorno e
se a ciò aggiungiamo lo stato d'animo derivante dalla grossa
delusione della sera precedente e l'epica lotta contro le zanzare,
otteniamo una miscela pronta a esplodere: con un gesto secco aprì
la lampo della tendina e lanciò uno sguardo degno del mitico
Erode al chiassoso bambino che, alla vista di quel viso patibolare,
lasciò cadere al suolo zoccolo e pinoli per poi fuggire correndo
a perdifiato. Riuscimmo così a riposare fino alle undici circa,
quando Giulio ci svegliò preoccupato per l'assenza di Guasto.
"Sarò un cretino, ma quando non ce l'ho sotto controllo
ho paura che combini casini !" "Stai esagerando - risposi
- quel poveraccio sarà sicuramente andato al bagno". Ma
purtroppo era una frase che si rivelò troppo ottimistica, dopo
pochi secondi la nostra attenzione fu attratta dal pianto a dirotto
di un bambino e da una grossa voce maschile con accento romano che
disse: "Non piangere figliolo, vedrai che lo troviamo quell'animale
che ti ha rubato la figurina di Falcao!" Ci guardammo in faccia
senza parlare per alcuni secondi, poi Giulio disse: " Lo sapevo,
dovevamo legarlo al lettino!" "Non raggiungere conclusioni
affrettate - rispose Giuseppe - d'altronde non è detto che
sia stato lui". Uscimmo dalla tenda mostrando indifferenza proprio
mentre passava il piccoletto in lacrime accompagnato dal babbo, un
energumeno alla "Bud Spencer" calvo e tatuato: "Lo
ammazzo, se lo trovo lo ammazzo!" - ripeteva ossessivamente.
"Scusi egregio signore - disse Andrea con modi signorili e il
suo italiano forbito - è forse accaduto qualcosa al suo piccolo
consanguineo?" "Altrochè - rispose l'energumeno -
è incredibile, mio figlio stava giocando con le figurine della
Roma, quando gli si è avvicinato uno strano tipo con le labbra
sanguinanti, prima ha chiesto al bambino se era disposto a vendergli
la figurina di Falcao, poi al suo rifiuto gliela ha strappata dalle
mani ed è scappato via correndo con le punte dei piedi rivolte
all'interno e le gambe divaricate, come una specie di orso! Lo conoscete
forse?" "NO! - rispondemmo in coro - ma se ci capitasse
di incontrarlo glielo faremo sapere". Non vi erano più
dubbi, se mai potesse esistere sulla faccia della terra un altro individuo
adulto capace di rubare le figurine a un bambino, la descrizione fattaci
dall'infuriato signore non lasciava spazio a equivoci. "Non è
possibile -esclamò Giulio con un filo di voce - non può
esistere un essere umano così cretino... andiamo a cercarlo!"
Sollevammo di peso "Re Giovedì" che a causa della
frustrazione di cui era preda appariva totalmente abulico e ci mettemmo
a perlustrare il campeggio. Girammo in lungo e in largo per diverse
ore senza riuscire a trovarlo e, verso le due del pomeriggio ritornammo
alla nostra tenda. Trovammo Pierclaudio seduto all'interno, che osservava
estasiato la figurina di Falcao sistemata nel suo inseparabile album
fra quella di Bruno Conti e quella di Roberto Pruzzo, Giulio chiuse
lentamente alle nostre spalle la cerniera lampo della tendina canadese
e cominciammo ad avvicinarci a Guasto con aria minacciosa "Mi
mancava per completare l'album dei calciatori" - disse con un
filo di voce - "MA TI RENDI CONTO CHE HAI VENTICINQUE ANNI ANIMALE?"
-urlò Giulio e, preso un tubo metallico misteriosamente avanzatoci
nel montaggio della tenda, sollevò minaccioso il braccio destro;
eravamo pronti al peggio, ma fortunatamente accadde qualcosa che salvò
l'incolumità del cranio di Guasto: Giulio sbarrò gli
occhi e rimase come pietrificato con l'arto sollevato, la fronte imperlata
di sudore e il viso contorto in una smorfia di dolore; realizzammo
immediatamente che era in preda a uno dei suoi caratteristici improvvisi
attacchi di dissenteria; uscì dalla tenda con una mano sulla
fronte e l'altra a comprimersi il ventre, camminando in punta di piedi
con le ginocchia piegate, il busto proteso in avanti e si diresse
barcollando verso la toilette dove si "liberò" lanciando
urla selvagge che terrorizzarono gli ospiti del campeggio. Guasto
approfittò della situazione e si dileguò in direzione
della spiaggia. L'essere scampato miracolosamente alla furia omicida
di Giulio avrebbe provocato in qualunque normale essere umano quantomeno
il rimanere lontano dai guai per un po' di tempo, ma Guasto NON era
un normale essere umano, anzi mi permetterei di avallare la tesi di
Andrea secondo il quale nel suo bizzarro patrimonio genetico vi era
ben poco che potesse farlo ricondurre alla nostra specie; infatti
di lì a poco combinò qualcosa che ci costrinse a fuggire
in ordine sparso senza nemmeno recuperare tutti i nostri effetti personali:
dopo aver vagabondato senza meta per alcune ore, giunse in prossimità
delle Grotte di Venere, raggiungibili via terra soltanto tramite settecento
scalini a strapiombo sul mare. La vista della ripida scalinata mise
in moto quella parte del suo cervello (più piccolo di tre taglie
rispetto alla scatola cranica) straordinariamente attiva nell'elaborare
machiavellici piani ai danni di terzi. Le sue labbra sanguinolente
si disposero in quella posizione che in noi esseri umani si chiama
sorriso e si diresse con passo deciso verso un emporio distante poche
centinaia di metri dove acquistò duecento litri di olio riciclato
con il quale, dopo avere aspettato il calare delle tenebre, cosparse
tutti i settecento gradini.
Intanto Giulio aveva ripreso il controllo delle sue funzioni vitali
e ci aveva raggiunto all'interno della tenda dove ci riunimmo in gran
consiglio per fare il punto della situazione. Oltre alla sparizione
di Guasto avevamo un altro grave problema cui porre rimedio: Orlando!
Il poveretto, infatti, non dava alcun segno di miglioramento, il tremendo
smacco infertogli dalle turiste tedesche lo aveva messo in un grave
stato di prostrazione, ci accorgemmo che aveva toccato il fondo quando
accese un cero davanti alla copertina di "Lando" e si mise
a farfugliare frasi sconnesse con le mani giunte. Occorreva fare qualcosa,
"Re Giovedì" era un profondo conoscitore della primordiale
psicologia di Guasto, e solo lui poteva aiutarci a ritrovarlo prima
che combinasse qualcosa di irreparabile. "So io cosa ci vuole!"
- disse Giulio con decisione e, afferrate centomila lire dalla cassa
comune, si recò al parcheggio, inforcò la sua HD CAGIVA
e sparì imboccando la strada per Olbia. Tornò un'ora
più tardi in compagnia di una prostituta gallurese, una tardona
il cui fisico aveva conosciuto tempi migliori, con capelli arancioni
e folte sopracciglia nere, alla quale Andrea insegnò in fretta
e furia qualche parola in tedesco, così che potesse fingersi
una turista nordica attratta dal petto villoso di Orlando. Giulio
la lanciò all'interno della tenda ritraendo in fretta le braccia,
con un gesto che curiosamente mi ricordò quello che compiono
gli inservienti del circo quando portano il pasto alle belve feroci;
seguì un attimo di silenzio seguito da un "aufidersen"
pronunciato dalla disinibita signorina con inconfondibile accento
sardo, poi si udì un parlottare confuso, rumore di abiti lacerati,
urla e perfino ruggiti, la tenda era scossa da fremiti simili a quelli
provocati da un cinghiale che cerca di sfuggire ai cacciatori nascondendosi
in un fitto cespuglio. Il tutto durò diverse ore e si concluse
con la pretesa di un extra sull'onorario pattuito da parte della professionista
che, tra l'altro, minacciò di denunciarci a una sedicente associazione
di categoria se ci fossimo fatti rivedere dalle sue parti. Entrammo
nella tenda e trovammo "Re Giovedì" che, spento il
cero che illuminava il viso di Lando sulla copertina dell'omonimo
fumetto, aveva riacquistato la lucidità mentale che ci era
indispensabile per ritrovare Guasto. "Dobbiamo provare a pensare
come lui" - sentenziò Giuseppe - "Ci vorrebbe uno
zoologo specializzato nella psicologia animale" - rispose Giulio
- Parole sante, ma sfortunatamente non avevamo il tempo per consultare
un tale esperto, quindi ci sedemmo in cerchio e cominciammo una virtuale
esplorazione nei meandri da noi conosciuti della mente di Guasto.
Ad un tratto Orlando sbarrò gli occhi e urlò: GLI SCALINI!!!
Un silenzio tombale scese all'interno della tenda, un brivido freddo
mi percorse la spina dorsale dall'alto verso il basso, Giulio prese
ad agitarsi roteando più volte su un piede e portandosi le
mani alla testa, "Andiamo" - urlò Andrea "Sbrighiamoci
o questa volta nemmeno mio zio assessore potrà aiutarci!".
Intanto alle Grotte di Venere la tragedia si era consumata: le prime
vittime furono un gruppo di suore mercedarie, in viaggio parrocchiale
con un gruppo di fedeli che, dopo aver ruzzolato per l'interminabile
scalinata, erano finite in mare; poi fu la volta di un corpulento
turista tedesco la cui schiena toccò tutti i 700 scalini prima
che rovinasse addosso alla madre superiora che annaspava tra i flutti
cercando di riguadagnare la terraferma. Quando giungemmo sul posto
avemmo l'impressione di trovarci di fronte ad uno di quegli affreschi
raffiguranti le catastrofi bibliche: un incredibile ammasso di persone
doloranti e bagnate giaceva sul piccolo spiazzo che separava gli scalini
dal mare, spiazzo su cui aveva precedentemente preso posto l'amico
Guasto che, seduto su una sedia sdraio con le gambe accavallate e
le mani incrociate dietro alla nuca, si godeva lo spettacolo ridendo
a crepapelle. Quando fra i contusi riconoscemmo la sagoma di un noto
politico isolano capimmo di essere nei guai. Intanto alla nostra destra
si era radunata una folla di curiosi intenti ad osservare la scena
con espressione raccapricciata. D'un tratto alle nostre spalle si
alzò una voce: " Ma quello... quello laggiù che
ride... no! Non può essere lui!" Era una nostra vecchia
conoscenza, il guardiano del campeggio "Isuledda", colui
che poco tempo prima ci aveva scacciato brandendo un'arma impropria.
"Prendete quell'animale è stato lui, e loro sono suoi
amici!" - disse additandoci alla folla -. Ancora oggi non so
quale santo possa averci aiutato a fuggire da quella gente inferocita,
parecchie robuste braccia avevano afferrato Pierclaudio e ho tuttora
nella mente il viso diabolicamente trasfigurato della madre superiora
che, bagnata fradicia, frustava "Guasto" con un pesante
rosario di legno. Approfittammo di quell'attimo in cui la folla era
impegnata a linciare Pierclaudio per montare sulle nostre moto lasciate
previdentemente con il motore acceso e a far perdere le nostre tracce.
Dopo qualche minuto ci trovammo a percorrere a velocità sostenuta
la strada per Cagliari, dove giungemmo qualche ora più tardi,
dopo aver percorso la statale 131 con una media da formula 1. Scesi
dalle nostre moto restammo qualche minuto in silenzio, poi "Re
Giovedì" ebbe un crollo psicologico e, dopo aver urlato
frasi irripetibili per circa 10 minuti aggredì come una furia
Giulio e Giuseppe, responsabili di averci convinto a seguirli in quell'assurda
odissea e, dopo averli brutalmente percossi, mi abbracciò piangendo
giurando su quello che di più caro aveva al mondo (la collezione
di "Lando") che non avrebbe mai più disatteso a quello
che era il nostro patto antivacanze.
Sono passati tanti anni da quell'oscuro periodo della mia vita. Non
vedo più i miei compagni d'avventura, le nostre strade si sono
inevitabilmente separate e ora non ho quasi più notizie che
li riguardino, so soltanto che il mio amico Orlando, il grande "Re
Giovedì", è ora un onesto padre di famiglia che
ha messo in soffitta la collezione di "Lando", Andrea è
tuttora un portaborse del famoso zio assessore rimasto saldamente
ancorato alla poltrona saltellando disinvoltamente da uno schieramento
all'altro attraverso una miriade di legislature che, valutate le sue
capacità, lo ha relegato al ruolo di leccatore di francobolli
per le lettere di raccomandazione in partenza dal suo ufficio; Giuseppe
dopo aver riportato la frattura di quasi tutte le ossa del corpo in
varie competizioni, ha smesso di praticare sport estremi e gestisce
un piccolo negozio di autoricambi; Giulio ha sposato una corpulenta
ereditiera e fa il mantenuto. Ho lasciato come al solito per ultimo
l'amico Guasto: ho saputo da alcuni conoscenti comuni che qualche
tempo addietro era riuscito, esibendo un falso curriculum, a farsi
assumere come animatore da una blasonata agenzia turistica e a partire
con un gruppo di anziani su una nave da crociera, sulla quale ovviamente
ne combinò talmente tante che a un certo punto venne legato
e abbandonato su una scialuppa di salvataggio al largo di Mazzara
del Vallo, dove venne tratto in salvo da alcuni pescatori a bordo
del loro peschereccio che misteriosamente naufragò poche ore
dopo. Da allora le notizie su Guasto mi arrivano avvolte da un fitto
mistero, sporadici avvistamenti tra realtà e fantasia sulla
cui veridicità non ho mai avuto la certezza. Non so se sia
colato a picco con il peschereccio di Mazzara del Vallo o se dar retta
a coloro che giurano di averlo visto di recente a bordo della motonave
"Caralis" il giorno in cui andò a schiantarsi sugli
scogli dell'isola di Serpentara, so solo che prima o poi mi ricapiterà
fra i piedi perchè non può esistere né in cielo
né in terra un luogo in cui egli possa essere sopportato a
lungo; se poi parliamo dell'eternità non ho dubbi: né
il buon Dio né il più abbietto dei diavoli sarebbe al
sicuro con Guasto nei paraggi, quindi anche dando credito alla più
triste delle ipotesi sulla sua scomparsa, sono certo che chi di dovere
troverà il modo di rimandarlo sulla terra.
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